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martedì 31 marzo 2015

Il Coordinamento per la Pace in Siria scrive al ministro Gentiloni: l'Italia promuova pace vera.


Dopo anni di mezze verità e di disinformazione sulla situazione siriana, finalmente qualcuno comincia a mettere in fila i fatti, a raccogliere testimonianze di prima mano, a informare la gente e a fare pressione sui nostri politici. E' il caso del "Coordinamento Nazionale per la Pace in Siria". 

Il 29 marzo 2015, con una lettera aperta al Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Paolo Gentiloni, il Coordinamento denuncia l'inizio del piano triennale di addestramento militare USA di 15.000 "ribelli moderati"  in Turchia, sancendo così l'inizio di un nuovo triennio di guerra mentre l'incaricato ONU cerca di avviare inutili negoziati di pace. Ancora armi ed addestramento a guerrieri pronti a passare nelle fila dei fondamentalisti, come se l'Afganistan, la Libia, e tutte le "primavere arabe" non avessero insegnato nulla.


E' tutta da leggere la lettera del Coordinamento per la Pace in Siria, per non cadere nella trappola degli slogan e per dare credito alla voce dei nostri fratelli cristiani che oggi soffrono la guerra e domani la persecuzione.


La leggiamo avendo negli occhi Myriam, motivo di speranza e di fede sopra tutti i giochi sporchi di un occidente senza Dio.



 missili USA utilizzati da al-Nusra, branca di al-Qaeda, nella conquista di Idlib la settimana scorsa. 

Giunge intanto la notizia che padre Ibrahim Farah di Idlib è stato catturato e dovrà 

comparire davanti alla corte della sharia 

.
 Preghiamo per lui e per tutti i cristiani perseguitati.



Egregio signor ministro degli Esteri Gentiloni,
come Lei sa, è stato avviato il progetto turco-statunitense di addestrare 5.000 ‘ribelli moderati’ anti-ISIS. 15.000 combattenti nell’arco di tre anni saranno addestrati  dalle forze speciali statunitensi presso i campi di addestramento situati in Turchia (Kirsehir), Arabia Saudita e Giordania.
I primi 2.000 saranno principalmente scelti tra elementi turcmeni notoriamente ostili ad Assad. Le parole di Abdurrahman Mustafa (capo dell’Assemblea turkmena) alla televisione statale turca Trt chiariscono che la posizione di Ankara sposa perfettamente il punto di vista dei turcmeni: ”Aleppo è e rimarrà una città turca “.  
Anche le successive aliquote avranno una forte caratterizzazione antigovernativa. In Siria, dopo 4 anni di guerra, si combatte o con Assad o contro Assad e pensiamo che i ribelli saranno scelti tra quelli anti-Assad…
E' di dominio pubblico che conserveranno la denominazione di 'ribelli', appartenendo alle forze anti-Assad. A questa qualifica è stata aggiunta quella di 'moderati': a queste forze sarà messo in mano il futuro della Siria, il compito di risolvere il conflitto siriano.
Si sarà accorto, Signor Ministro che è già un non senso: i veri moderati sono quelli che non combattono, quelli che non hanno mai avuto l'attenzione della Comunità Internazionale e non sono mai stati invitati a trattative di pace…
Ma andiamo avanti: l’inizio del training è imminente, forse è già iniziato. L'addestramento in grande stile di 'ribelli moderati' era già stato deciso mentre l'incaricato Onu De Mistura cercava una difficile intesa per avviare nuovi negoziati di pace, questa volta più inclusivi.  
Signor Ministro, come si può affermare che da parte occidentale si vuole negoziare se si era già pianificato il proseguimento della guerra prima che quei negoziati iniziassero? Se l'incongruenza l'hanno colta i ribelli (che infatti hanno rifiutato ogni negoziato), l'avrà colta anche il governo italiano…
Il progetto per il quale le potenze occidentali stanno spendendo più energie è infatti che l'opposizione 'moderata siriana' formata da USA e Turchia dovrà essere in grado di combattere IS e successivamente il 'regime' di Bashar Assad. Le dichiarazioni del portavoce del Pentagono ammiraglio John Kirby e del Capo di Stato Maggiore Martin Dempsey sulla duplice finalità di queste forze, sono inequivocabili.
E anche se l'impiego dei ribelli moderati mutasse in corso d'opera con sole finalità anti-ISIS, non si può trascurare che l'utilizzo di ribelli 'moderati' è significato sinora il puntuale passaggio 'in toto' di uomini e mezzi ai vari gruppi jihadisti. Inoltre le stesse brigate di 'ribelli moderati' che saranno i primi ad essere addestrati continuano a combattere ad Aleppo le forze governative che devono così distogliere ingenti risorse dalla guerra contro ISIS: è un non senso.
Siamo certi che riconoscerà l'ambiguità di quando sta succedendo. Inoltre Lei sa benissimo che tutte le potenze regionali che hanno aderito a supportare il suddetto training non hanno mai nascosto di fornire basi e mezzi per il training solo a condizione che la nuova forza sia usata contro Assad.
Lei conosce benissimo i sentimenti delle forze regionali: queste forze regionali hanno fatto fuoco e fiamme alla sola ipotesi affacciata dal Segretario di Stato USA  Kerry (nel corso di una recente intervista televisiva) di aprire ad Assad per una soluzione pacifica del conflitto..
Non sfugge che se questi piani 'dominanti' si dovessero realizzare, la prospettiva per la Siria sarebbe quella di veder continuata l'opera di devastazione in corso. Facciamo nostro il giudizio del vescovo di Aleppo Abou Kazen, apparso in una recente intervista di Radio Vaticana: La guerra continuerà finché le potenze straniere vorranno alimentarla. Statunitensi e turchi hanno appena dichiarato di avere un piano di sostegno e addestramento dei gruppi ribelli per i prossimi tre anni.
Quindi hanno già messo in programma che la guerra durerà altri tre anni, e la gente qui continuerà a soffrire e a morire per altri tre anni
”.
Come Coordinamento Nazionale per la pace in Siria ci associamo al giudizio espresso dalla rete No War Italia e da altri soggetti, circa l'ambiguità occidentale usata nella guerra libica e poi in quella siriana per giustificare una non lungimirante e ingiusta politica estera.
E' avvilente che per nascondere questi interventi armati fatti solo per meri interessi geopolitici, si è usato impropriamente il ricorso alla guerra 'umanitaria' con il solo scopo di bypassare le Costituzioni nazionali e i Trattati internazionali.
Si tratta di scelte spregiudicate perché si basano più che sulla giustezza delle decisioni prese su ciniche scelte di campo. L'appartenenza a storiche alleanze di area, le motivazioni geopolitiche ed economiche non possono e non devono prevalere su ogni altra considerazione etica e morale! Inutile dire che aver intrapreso questo percorso espone a pericolose derive. Oggi proprio vicino alle nostre coste mediterranee ne vediamo le nefaste conseguenze.
Le nostre considerazioni sono quelle di migliaia e migliaia di italiani, perciò le chiediamo signor Ministro:
– di voler assumere una posizione autonoma e critica in merito al nuovo addestramento dei 'ribelli moderati' siriani;
– di voler riesaminare insieme al governo la permanenza dell'Italia nel gruppo 'amici della Siria' alla luce degli eventi attuali che mettono in chiara luce la natura settaria del conflitto siriano;
– di voler promuovere l' eliminazione delle sanzioni alla Siria che si accaniscono soprattutto sulla società civile, diventate ingiustificate anche verso il governo siriano che sta combattendo contro gli jihadisti;
– di voler riaprire i rapporti diplomatici con il governo di Damasco in considerazione del fatto che non esiste preclusione ad un negoziato da parte sua, bensì dalla parte antagonista.

                                                                              La ringraziamo dell'attenzione
                                                   
                                                                Coordinamento per la pace in Siria
http://www.siriapax.org/?p=5031

domenica 29 marzo 2015

Camminando ancora oggi sulla Via Dolorosa

I  quattro anni rubati ai bambini della Siria


AVVENIRE, 27 marzo 2015

di Marco Perini

In quattro anni un neonato si stacca dal seno della mamma, inizia a camminare, parla ed è pronto ad andare a scuola. In quattro anni un bambino ha quasi completato il suo ciclo di scuola primaria, ha imparato tante cose e Peppa Pig inizia ad essere noiosa. In quattro anni un ragazzo forma il suo carattere, gioca tanto con i suoi amici e usa il cellulare meglio dei suoi genitori. 
Ma questa è più o meno la vita normale, cioè proprio quella che non hanno vissuto le decine di migliaia di bambini profughi che in questi anni AVSI ha assistito nel sud del Libano. 
Loro, scappati dalla guerra in Syria, sono rimasti senza scuola e libri; hanno sofferto nei freddi inverni sotto a una tenda che è diventata casa loro; hanno contratto almeno una malattia della pelle, dovuta al fatto che l’acqua è un lusso sovente troppo caro anche per lavarsi; hanno sofferto della mancanza del papà rimasto a combattere o ucciso; non fanno sogni d’oro, ma piuttosto sono svegliati dagli incubi di un mortaio che scoppia; giocano a calcio senza scarpe perchè quelle che hanno, al posto dei tacchetti, hanno i buchi dell’usato o sono ciabatte in gomma; non programmano il futuro perche’ il presente è sufficientemente difficile da affrontare che non c’è più tempo per pensare al domani, bisogna sopravvivere oggi. 
Ormai più di quattro anni son passati da quando qualche ragazzo di Daraa manifesto’ per una Siria più libera e da quando immediatamente i soliti noti presero in possesso le loro giovani speranze trasformando una rondine che non fece mai primavera (araba) in un lungo e mortifero inverno dell’uomo. Oggi i morti si sommano oltre i 200mila e le persone che tecnicamente si definiscono bisognose di assistenza umanitaria sono 12 milioni. Tutto questo solo a causa della guerra in Siria, ma se aggiungiamo l’Iraq e il Kurdistan questo raccapricciante conteggio non può che salire. 
Il mondo ha ricordato questo triste compleanno più per la paura dello spietato Stato Islamico che per i bisogni di innocenti in fuga verso una destinazione senza futuro. Ma lo Stato Islamico non è nato dal nulla, senza un dollaro e formato da quattro accattoni: esiste da prima che i riflettori lo inquadrassero ed è stato addestrato e foraggiato anche da chi oggi vorrebbe combatterlo. 
 
Dopodichè contro di loro potremo vincere delle battaglie, ma mai la guerra e la ragione e’ tanto crudele quanto semplice: fino a quando questo nostro sistema continuerà a produrre guerre e miseria, di ragazzi senza futuro sarà pieno il mondo. Neonati sofferenti, bambini analfabeti, ragazzi rifugiati, giovani senza lavoro, padri morti, mamme disperate: un incredibile terreno fertile per chi propone loro una 'guerra santa' per un mondo migliore, tanto uno peggio di quello che stanno vivendo oggi non riescono ad immaginarlo. 

Ecco perche’ solo attraverso l’aiuto a queste persone, che da quattro anni sopravvivono in un campo profughi lontane da casa, si può immaginare un futuro diverso dal presente: un bambino che va a scuola, una mamma che lo aspetta con il pranzo fumante o una medicina in caso di malattia e un padre che porta a casa un salario, difficilmente vorranno diventare carne da macello per una “guerra santa”. Ma se manca anche quel minimo di normalità che ognuno di noi cerca, allora continueremo a chiederci senza trovare risposta perchè le periferie del mondo continuano a produrre tanta disperazione. 
Monsignor Antoine Audo, presidente di Caritas Syria scrive: “…In questo momento non c’è né sicurezza né lavoro. I ricchi hanno lasciato la Siria e la regione, la classe media è diventata povera e i poveri sono nella miseria”. Il quarto compleanno non è un bel giorno, però ognuno di noi può fare qualcosa perche’ il prossimo sia migliore.


Gregorio III Laham: Il Libano chiude le frontiere e cresce il dramma dei cristiani siriani


Il patriarca melchita racconta ad AsiaNews di “moltissimi” sfollati interni in Siria, un problema “ancor più grande” dei rifugiati oltreconfine. Oggi i varchi restano aperti per i cristiani di Hassakeh, vittime dell’offensiva dello Stato islamico. La guerra "origine di tutti i mali". In Quaresima chiese di Damasco gremite di fedeli che pregano per la pace. 




AsiaNews

  La decisione del Libano di chiudere le frontiere "ha reso ancor più grave e drammatico" il problema dei rifugiati cristiani. Oltre a quelli che vivono nei campi profughi oltreconfine, adesso vi sono "moltissimi sfollati interni" in Siria ed essi rappresentano "un problema ancora più grande".
È quanto afferma ad AsiaNews il Patriarca melchita Gregorio III Laham, il quale chiede con forza "la fine della guerra" perché "è solo da essa" che derivano tutti i mali non solo della Siria, ma di tutta la regione mediorientale.
Intanto i cristiani siriani e irakeni fuggiti nei mesi scorsi in Libano lanciano un appello per "ulteriori aiuti dalla comunità internazionale": vi è un bisogno crescente di nuove abitazioni per accogliere gli esuli e garantire loro un tetto sotto il quale vivere. 
Dall'inizio della rivolta contro il presidente Bashar al Assad, nel 2011, oltre 3,2 milioni di persone hanno abbandonato la Siria e altri 7,6 milioni sono sfollati interni. Almeno 200mila le vittime del conflitto, molte delle quali civili per i quali il 2014 è stato l'anno peggiore. Proprio nel contesto del conflitto siriano è emerso per la prima volta, nella primavera del 2013, in tutta la sua violenza e brutalità lo Stato islamico, che ha strappato ampie porzioni di territorio a Damasco e Baghdad.

In questi giorni migliaia di persone hanno affollato due chiese di Beirut, per ricevere scorte alimentari e altri generi di aiuti distribuiti da organizzazioni attiviste internazionali che operano a favore dei rifugiati.
Iman Chamoun, 42enne cristiana originaria di Mosul, in Iraq, prima grande città a cadere nelle mani dei jihadisti, da nove mesi vive nel campo profughi: "Ci hanno preso tutto, casa, libri, persino le porte. Il lavoro di 25 anni - piange - perso in un minuto". 
Una donna del villaggio di Tel Nasri, a maggioranza cristiana assira nella provincia nord-orientale di Hassakeh, sottolinea che "vivevamo come re nella nostra terra, i nostri figli potevano andare a scuola. Avevamo tutto, e guardate ora in che condizioni siamo". Accanto a lei due materassi e un cesto di cibo, appena ricevuti. Due settimane fa ha lasciato il villaggio di origine con i figli, mentre il marito è rimasto a guardia della casa. 
Nelle ultime settimane il Libano ha chiuso le frontiere con la Siria, perché non è più in grado di accogliere altre ondate di profughi. Resta valido l'ingresso per i cristiani della provincia di Hassakeh, teatro di recente di un'offensiva dello SI che ha sequestrato centinaia di fedeli, molti dei quali tuttora nelle loro mani.


Per i cristiani siriani è "più facile" la scelta del Libano, spiega il patriarca Gregorio III Laham, perché "da lì resta viva la speranza di tornare nelle proprie case, un giorno" e di "non svuotare la regione della presenza cristiana". Ora però Beirut "ha chiuso le frontiere" e "non accetta più nessuno, se non quanti sono fuggiti dai villaggi di Hassakeh", perché "non è più in grado di ricevere altra gente, altri profughi, mancano gli aiuti, mancano le scuole per far studiare i bambini".

Per il patriarca melchita si tratta di un "duplice dramma", perché oggi lo Stato e le organizzazioni internazionali "non bastano più" per rispondere ai bisogni dei profughi e "la portata della tragedia si fa sempre più ampia". Per questo, sottolinea, "sono sì importanti gli aiuti, ma quello che davvero serve è la fine della guerra".
Egli lancia un appello "per la fine dei conflitti" e si rivolge ai governi stranieri "perché la smettano di dare denaro e armi", elementi che favoriscono l'inasprirsi delle tensione e delle violenze. "La guerra, ecco il vero, grande e unico problema - accusa - per questo preghiamo per la fine degli scontri".

In questi giorni di Quaresima, conclude il patriarca, le chiese di Damasco "sono gremite di fedeli" che chiedono la pace, "che pregano con rinnovato vigore per un futuro di pace" in Siria e in tutto il Medio oriente.