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martedì 28 marzo 2017

Incontri nella Siria dei 6 anni di guerra: (3) Mons. Abu Khazen. Il cuore del padre

In occasione della celebrazione per i 12 anni della presenza in Siria delle Monache Trappiste , ci raggiunge Mons. GEORGES ABOU KHAZEN, VESCOVO DI ALEPPO E DEI LATINI DI SIRIA. 
Gli chiedo quali sono le preoccupazioni del suo cuore di pastore.


"I timori sono parecchi: abbiamo molta paura per l'avvenire della Siria, su come andrà a finire, perché non è per niente chiaro; e poi soprattutto per il futuro della Chiesa, con questa emigrazione costante dei giovani e delle giovani famiglie, per cui si rischia di rimanere non solo in pochi, ma anche solamente persone di età avanzata, mentre il futuro della Chiesa sono i ragazzi e i giovani. Però nell'Antico Testamento abbiamo l'esempio del piccolo resto che il Signore ha salvato, ed era gente che dal punto di vista umano non valeva niente, non era niente, e quindi il Signore è capace veramente di tutto.

Tuttavia, anche il mezzo a tutto il buio che ci circonda e alle cose non chiare, abbiamo pure tanti punti luminosi che ci danno sicuramente speranza: abbiamo molti cristiani che sono molto più impegnati cristianamente, molti che sono tornati ai valori genuinamente cristiani tra cui, molto importante è il punto del perdono: atteggiamento che assolutamente non è facile... eppure vediamo persone che soffrono veramente e pregano per i loro persecutori. Questa è una cosa commovente e credo che il Padre Celeste non dimenticherà questi gesti.
  Abbiamo anche molta più condivisione! E' vero che sono tutti nella necessità, ma qui abbiamo parecchi fedeli che danno tutto quello che hanno, come la vedova della parabola del Vangelo: ad esempio, quando manca l'acqua e non c'è elettricità, parecchi portano l'acqua con i bidoni e se trovano un vicino di casa che abita al quarto o quinto piano, un anziano, un'anziana o un malato gliela portano su con una gioia e un amore veramente cristiano. Così pure con la luce: noi dobbiamo fare l'abbonamento ai generatori di elettricità, ma talvolta ci sono persone che non hanno di che pagare; allora molti tra noi cristiani, vedendo queste estreme necessità, cercano di aiutare, condividendo con chi non può, collegando il loro impianto elettrico con un cavo, in modo che possano almeno vedere la televisione.
 La nostra preoccupazione, la nostra paura, oltre che sul futuro della Chiesa, è anche per il futuro della patria, perché quelli che se ne sono andati sono le persone più preparate, quelli in grado in futuro di prendersi delle responsabilità, e questo ci dà veramente da pensare e ci mette un po' in ansia per il futuro.
 Ma io ho anche una grande fede, perchè il cristianesimo è nato proprio qui ad Antiochia: dalla Siria dopo Gerusalemme sono partiti in tutto il mondo, qua i discepoli sono stati chiamati per la prima volta cristiani e qui è avvenuta la conversione di San Paolo: quindi so che il Signore sa utilizzare le persone al momento giusto. Perciò io credo che la nostra presenza qui in Oriente non sia una presenza qualsiasi ma credo che per noi sia una vocazione e una missione da adempiere.
 Non importa forse nemmeno il nostro numero o la nostra influenza sociale, ma quello che più conta per noi è di essere obbedienti alla parola di Dio, fare quello che vuole Lui. Per questo io chiedo anche a voi di pregare per noi, affinché possiamo discernere cosa vuole lo Spirito da noi in questi avvenimenti e per il nostro futuro.

 E' proprio questa la nostra quaresima: seguire il cammino di Gesù anche senza vedere dove ci conduce. Saliamo con Gesù fino a Gerusalemme, certi che dopo la croce c'è la resurrezione."

venerdì 24 marzo 2017

Incontri nella Siria dei 6 anni di guerra: (2) La cura dei piccoli sfollati


Intervista a suor Lydia delle Suore del Perpetuo Soccorso, direttrice dell'Asilo 'alAmal' di Marmarita (Valle dei Cristiani).


D: Suor Lidia, ci racconti un po' del vostro lavoro qui nell'Asilo alAmal..
  “Anzitutto, siamo felicissime di ricevervi qui tra di noi nel nostro piccolo convento di suore del Perpetuo Soccorso.
All'inizio avevamo soltanto tre sezioni per un numero complessivo di 80 bambini prima della guerra, ma dopo la guerra sono diventati 90 e via via sono aumentati fino agli attuali 400.
Alla fine, abbiamo dovuto aprire anche un nido per i piccolini al di sotto dei tre anni, per aiutare le mamme che lavorano e non hanno nessuno che custodisca i loro bambini: la loro situazione ci ha interpellato proprio perché la nostra vocazione è di testimoniare Cristo presente dentro la vita delle persone, a fianco dei bisognosi, ed è proprio questo ciò che essi si aspettano da noi.
 Abbiamo perciò ingrandito il nostro edificio e così adesso abbiamo 10 classi di bambini dai tre anni ai sei anni e anche un nido frequentato da 30 bebè da tre mesi a tre anni, dopodiché vengono indirizzati alle classi della scuola materna.
 Quando terminano la scuola materna presso di noi, i bambini passano direttamente alla scuola elementare che è qui di fianco e ed è molto ben equipaggiata perché prima della guerra era stata costruita e resa pienamente funzionale dalla principessa del Qatar che si era sposata ed aveva voluto proprio costruire la scuola qui in Marmarita, in accordo con il governo siriano che in quel tempo era in amicizia con il Qatar."
D: Come sono questi bambini? Avete incontrato problemi?
  "Sono bambini che hanno molto sofferto le conseguenze della guerra. Lo si percepisce dalla violenza dei loro comportamenti: per mesi se non per anni hanno sentito bombardamenti nelle loro città di provenienza cioè Aleppo, Homs, Damasco... Molto spesso questi bambini si picchiano perché hanno visto queste scene di violenza intorno a loro e alla televisione. Per questo preferiamo che vengano in un ambiente educativo come il nostro piuttosto che restare magari con i nonni.
Si dicono tra loro brutte parole, quelle che vedono alla televisione, dove le scene presentano ogni giorno lo Stato islamico nella sua brutalità.
  Alcuni bambini talvolta presentano problemi e alcuni non partecipano a niente, in questi casi possiamo fare ricorso anche ad uno psichiatra per i casi più difficili; poi ci sono altri casi di difficoltà nella pronuncia e quindi le insegnanti ricorrono a specialisti, logopedisti nei percorsi di ortofonia; abbiamo anche bambini con alcune malattie gravi per esempio un paio malati di cancro. Nel nido abbiamo un piccolo che ha una forma di poliomielite, ma da quando sta da noi è molto migliorato perché comincia a fare qualche passo se viene sorretto, a pronunciare qualche parola e ad aprirsi agli altri senza restare in disparte dal gruppo.
  Un'altra ragione per cui è meglio che i bimbi vengano da noi è il problema del riscaldamento, perché nella nostra zona fa molto freddo e le case sono pochissimo riscaldate perché il gasolio è molto caro e poche famiglie possono permetterselo, sicché ci sono sempre molti bambini malati, con la febbre, e i genitori ci chiedono aiuto, per questo diciamo loro: 'mandateli qui, non teneteli a casa al freddo'. Qui da noi sono in un ambiente più caldo e ai bambini malati diamo anche le medicine, quindi è un servizio che facciamo anche alle famiglie."
D: Qual è adesso qui la situazione della gente?
  "Qui nella nostra regione non c'è Daech ma c'è un "Daech" diverso e similmente crudele, quello economico: per esempio il mazut (carburante tipo gasolio) scarseggia e il prezzo d'acquisto regolare di 37.000 Lire siriane per 100 lt. è enormemente caro. L'elettricità viene fornita per un'ora e poi sospesa per sette ore, dunque in realtà abbiamo solo quattro ore di elettricità in un giorno. Si va avanti perciò con il generatore, che serve per riscaldamento e per l'energia ma mantenerlo è molto costoso.
  Al momento non abbiamo famiglie che sono rientrate in Aleppo o in Homs; invece qualcuno purtroppo ha cominciato ad andarsene, soprattutto in Australia.
Un grande problema è rappresentato dal servizio militare, perché si stanno reclutando tutti i giovani in età di leva e mentre sono ancora studenti universitari si affaccia la prospettiva dell'essere chiamati alle armi, perché sono risparmiati soltanto quelli che stanno frequentando l'università con buoni risultati; per cui molti cercano di sfuggire riparando all'estero, soprattutto andando in Libano. Questo comporta che qui restano soprattutto dei bambini e dei vecchi, ma la maggior parte delle famiglie sta preparando i documenti per ottenere il visto per l'emigrazione."

D: C'è qualcos'altro che le preme di raccontarci o di chiederci?
  "Anzitutto vi ringraziamo moltissimo per essere stati accanto a noi con l'aiuto che ci avete fatto giungere dall'Italia costantemente e che ci ha dato la possibilità di riscaldare gli ambienti che accolgono questi bambini. Voi ci aiutate a compiere la nostra missione, perché anche se noi siamo delle religiose non basta dare la parola di Dio, ma come ha detto Gesù: 'date loro del pane da mangiare'.
 Non potete immaginare la gioia che ci avete regalato a Natale, finanziando il dono delle giacche calde, ed i dolci e i doni distribuiti nella festa: i genitori non finivano di ringraziare! E' stato un dono di grande valore! Anche avere incaricato un laboratorio di Aleppo di confezionare le giacchette, è stata un'occasione per dare lavoro ad alcune famiglie. Adesso le famiglie sono così impoverite che spesso non hanno i soldi per comperare i vestiti, allora abbiamo suggerito a quei genitori disponibili a cui i bambini non vanno più bene i vestiti di portarli a noi per poterli passare ad altri bambini che ne hanno bisogno.
Anche le famiglie che avete aiutato a portare avanti il loro piccolo negozio vi sono tanto grate. Sono quattro famiglie di Marmarita e due famiglie di un altro villaggio. Naturalmente abbiamo aiutato con molta discrezione, perché non era possibile aiutare tutti.
  Oggi è il giorno della vaccinazione antipolio, che abbiamo deciso di fare all'interno stesso dell'Istituto per sollevare le famiglie da questo onere e dalla spesa di dover portare con il taxi i bambini al dispensario. A questo scopo ci siamo accordate con il ministero della salute perché il personale del dispensario si spostasse qui da noi.
  Tra i progetti che abbiamo per il prossimo futuro c'è quello di acquistare un nuovo generatore elettrico perché quello attuale è molto usurato e spesso si ferma.
  Un altro progetto è quello di fare una piccola copertura dalla strada all'ingresso della scuola perché i bambini non facciano un lungo percorso sotto la pioggia.

  Adesso stiamo organizzando la festa della Pasqua e le attività che continueremo nei mesi estivi, perchè noi offriamo ai bimbi anche la colonia estiva. Le nostre educatrici hanno fatto l'università e comprendono molto bene i bisogni anche psicologici dei bambini, oltre ad essere qualificate dal punto di vista cristiano e a dare quindi anche un insegnamento religioso.
  Le nostre attività comprendono, oltre quelle di apprendimento, anche canti, danze e un corso di lingua francese che noi impartiamo perfino alle classi dei più piccoli”.
E infatti concludiamo commossi la nostra visita nelle classi distribuendo caramelle italiane mentre i bambini, educatissimi e con grande entusiasmo, ci cantano Alouette ed allegre canzoncine in francese.

martedì 21 marzo 2017

Incontri nella Siria dei 6 anni di guerra: 'sperando contro ogni disperazione' (1) Le Trappiste di Azeir

   Mi sono recata in Siria nelle scorse settimane per incontrare le Sorelle Trappiste, che in Siria sono presenti con una fondazione del monastero italiano di Valserena, ed altre esperienze cristiane con cui da alcuni anni OraproSiria è in amichevole rapporto.
Colpisce anzitutto la bellezza e la cura del sito sul quale amorevolmente le Suore stanno costruendo il loro monastero, permeato di pace, di serenità, della letizia dei loro volti.
  La situazione di guerra incide profondamente sulla vita anche di questo angolo relativamente tranquillo del Paese, adiacente alla 'Valle dei Cristiani': pesantissimo è l'aumento vertiginoso dei prezzi, il razionamento dell'energia elettrica (il Governo fornisce un'ora di luce ogni cinque), la mancanza di combustibile per il funzionamento dei generatori.
L'embargo imposto dall'Occidente ha ulteriormente frustrato il reperimento delle materie prime, annientando le attività produttive, il commercio, gli scambi, quindi il lavoro.
  La preoccupazione di non intravedere una soluzione e un futuro dignitoso crea uno scoramento tangibile in tutta la popolazione; di conseguenza la mancanza di prospettive genera una sempre maggior spinta all'emigrazione.
  Nel tessuto sociale così ferito, colpisce il coraggio di questo popolo che affronta la vita quotidiana con dignità, con la voglia di vivere, con un attaccamento leale alla propria nazione e che si indigna della informazione distorta circolante sulla guerra che è stata imposta dall'esterno al proprio Paese,
  Vi racconterò in diverse “puntate” le testimonianze che ho raccolto, grata di tanta fede e cammino di purificazione che mi sono stati consegnati ed ho ricevuto come un dono prezioso.

  Fiorenza


Intervista a suor Marta superiora del monastero delle Trappiste di 'Azeir
14 marzo 2017

D: Da cosa è nata la vostra presenza qui?
Il 14 marzo è il giorno del nostro primo arrivo in Siria, ormai 12 anni fa, nel 2005. Anno dopo anno, stiamo riscoprendo veramente la grazia di questo cammino provvidenziale di scoperta di tante cose che noi stiamo sperimentando ogni giorno, perché noi siamo state sorrette in ogni nostro progetto e desiderio.
All'inizio è stato il desiderio di seguire i nostri fratelli dell'Atlas (Tibhirine), non tanto coltivando la memoria della loro morte, quanto nello scoprire in che modo essi vivevano. Nel nostro stesso Ordine ci si è chiesti come questa comunità sempre un po' precaria e fragile, in una situazione di minoranza, senza troppe prospettive per il futuro, proprio anche per le persone che ne facevano parte (perché la comunità raccoglieva personale da monasteri diversi e non c'era una comunità cristiana locale da cui sperare vocazioni), che senso avesse. Col tempo, nell'Ordine si è riscoperto il senso di questa presenza fondamentalmente gratuita. Loro si definivano 'oranti in mezzo ad altri oranti', quindi il primo approccio è stato quello di partire avendo un'eredità da custodire, perché i nostri fratelli erano morti, ma in Algeria non era possibile dare continuità alla loro presenza e quindi si è posto il problema di come vivere e dove continuare questa eredità.

Abbiamo sentito questo come una grazia anzitutto per noi. In terra d'islam essendo minoranza abbiamo riscoperto la Grazia di appartenere a Cristo vivendo la nostra fede in modo radicale: dove tu hai intorno un contesto religioso differente devi rimotivare anzitutto a te stesso le ragioni della tua fede approfondendo il tuo rapporto con Cristo. Devi testimoniarlo in modo vero sapendo di appartenerGli.
Da una parte quindi il dialogo con l'Islam, dialogo inteso come apertura ad altri credenti, ma testimoniando nei fatti la nostra Fede, con decisione, senza annacquarla e senza contrapporla alla loro. Anche i nostri fratelli in Algeria non hanno mai vissuto una situazione di sincretismo, sono sempre stati dei monaci fedeli a Cristo che cercavano il Signore e, proprio per questo, senza paura. Più si approfondiva la loro appartenenza a Cristo più erano capaci di vivere in apertura semplice e quotidiana con gli altri. Questa è stata la chiave e la ricchezza dalla quale abbiamo potuto attingere.

E' quindi avvenuta la scoperta della Siria, quando 12 anni fa nessuno parlava della Siria. Non si sapeva nemmeno dove fosse, né si conosceva la ricchezza della sua storia e della sua cultura, della tradizione antichissima del suo monachesimo: si conosce la tradizione dei monaci in Egitto ma pochi sanno che essa è nata proprio in Siria. Ne è un esempio Isacco di Ninive che ha influenzato tutta la spiritualità dell'Occidente e la vita monastica arrivando fino a San Benedetto e da lì anche alle nostre radici cistercensi.
E poi è stato l'incontro con il presente, con la numerosa presenza di etnie diverse: curdi, drusi, sciiti, sunniti, cristiani armeni e tutta la ricchezza delle tradizioni religiose cristiane e non cristiane, perché in Siria sono presenti tutti e tutti vivevamo insieme con questa mescolanza molto naturale, nella vita quotidiana.
Dunque, alla prima motivazione con questo sguardo rivolto all'Islam, come la religione altra di maggioranza, in questo nostro cammino si è unita la scoperta delle altre tradizioni cristiane e la volontà di inserirci dentro questo patrimonio.
All'inizio pensammo di entrare a far parte di uno dei riti di quella tradizione orientale qui presenti, ma gli stessi vescovi ci hanno invitato a restare aperte ma restando latine; l'invito è stato: “Rimanete aperte a tutti, sarete considerate forse un po' straniere ma cercate di cogliere un po' da tutti”. Questo ci ha permesso di attingere con libertà a tutte le varie realtà e anche dalla vita reale che c'è in Siria, perché la prima cosa che abbiamo notato nei cinque anni trascorsi ad Aleppo è che i cristiani passavano da una chiesa all'altra con semplicità ovunque ci fosse preghiera, perfino tra ortodossi e cattolici si potevano incontrare persone alla stessa messa; trovavamo maroniti alla messa siro cattolica con moltissima libertà. E anche le famiglie erano composte nello stesso modo.

E così abbiamo scoperto che ci sono i cristiani arabi, perché noi pensiamo che arabi significhi appartenenti all'Islam, invece è una cultura, un modo di percepire la fede legato alla lingua, cioè alla forma di pensiero e questa è una ricchezza dalle mille sfumature. In Siria non si deve mai generalizzare ma avere rispetto per tutti i cammini e i mille percorsi delle varie comunità perché qui la realtà è molto composita e molto ricca: questo ci insegna ad avere sempre una grossa apertura con tutti, con un profondo rispetto, proprio perché come persone siamo state accolte con una grande generosità e con molta benevolenza. Ci siamo così sentite, noi, ospiti benvolute e questa sta diventando sempre più la nostra terra: ci sentiamo con un cuore siriano grazie alla loro accoglienza e noi vogliamo ascoltare la loro esperienza e ciò va fatto con tanta attenzione e senza preconcetti .
Nel rispetto, si scopre che dietro ad ogni storia c'è il mistero di una persona e questo ci ha dato, come criterio per dipanare la vicenda delle persone e del Paese stesso, quello del BENE. La ricerca del bene apre alla possibilità anche di trovare soluzioni a quello che oggi si vive.

Purtroppo la Siria adesso è conosciutissima, ma a un prezzo molto caro, non diciamo a prezzo di una morte, perché la Siria è viva, ma di una grande distruzione e sofferenza che è stata imposta al 98% da forze straniere. Il cammino è quello di un amore vero a questa terra e a questa gente, così com'è oggi, senza sognare su cose che non sono, ma con la disponibilità a ricostruire con le persone che ci sono: non quindi per distruggere qualcosa ma disponibili a fare un cammino insieme a partire dall'essere diversi, con una verità e con un bene che è possibile cercare insieme.

D: Come coniugate la risposta al bisogno che incontrate e la vostra vocazione contemplativa?
La prima risposta ce l'hanno data proprio loro, perché durante la guerra ci hanno detto che il saperci qui, per loro era un aiuto, una forza, si sono sentiti aiutati dalla nostra presenza e dalla nostra preghiera. La preghiera è una cosa molto attiva, è un'arma diversa ma potente, perché non siamo più noi che agiamo ma consegniamo tutto nelle mani del Padre, che non è una remissività, una passività, un fatalismo, ma è un chiedere il bene, chiedere la conversione del cuore, chiedere la pace e anche sentire nella preghiera, soprattutto con la preghiera dei salmi, che possiamo portare tutta la gioia, tutta la sofferenza, tutta la rabbia, l'invocazione e la disperazione. Tutto questo passa nella preghiera, perché la preghiera e mettersi davanti a Dio così come si è e noi cerchiamo di farlo semplicemente stando qui.
Abbiamo sentito come un grande dono per noi essere qui: se fossimo in Italia parleremmo tanto della Siria, qui non parliamo tanto, ma "siamo con" e per questo siamo contente di essere qua con questa gente che sta soffrendo perché qualcosa sta succedendo 'sopra' di loro, e noi, semplicemente, con tutta la nostra inadeguatezza alla situazione, siamo con loro, siamo qui.

Quello che è importante è incarnare un'esperienza concreta a fianco della sofferenza, però con una speranza; vuol dire anche darsi ragione, perché non basta essere solidali, occorre chiedersi ogni giorno: “abbiamo una risposta? Crediamo che il Signore ha vinto la morte o no?” Non tanto per quello che faccio o non faccio, ma se io vivo questa speranza la mia speranza passa per me e passa per gli altri. È veramente un impegno mettersi davanti alle domande fondamentali del nostro stare al mondo e questo ci ha fatto maturare una riflessione anche a livello ecclesiale: è chiaro che c'è bisogno di rispondere a tutte le necessità materiali, che sono tremende, perché non si tratta solo di un po' più di lavoro o un po' più di stabilità: stiamo parlando di gente che muore per le strade, di bambini straziati e senza famiglia, di situazioni atroci, e grazie a Dio ci sono tanti che stanno operando in un modo veramente bello! Nello stesso tempo l'uomo non è definito solo dai suoi bisogni materiali, c'è una sete più profonda, una sete di senso e c'è anche il bisogno di trovare il motivo per cui resistere. Alla fine, perché resistere a questa distruzione? Si è fatto tutto il possibile e allora perché non lasciarsi andare? Ma se la vita è altro, se l'uomo è altro, allora uno trova anche le risorse, trova anche il senso dentro la sofferenza e la distruzione.
Tante volte parlando con i giovani che volevano partire e sono partiti dal paese, senza giudicare e capendo molto bene le motivazioni non solo per sè ma anche per la famiglia, con la preoccupazione quindi di far crescere i figli con delle possibilità, la domanda però alla fine è: “che cosa cerchiamo veramente? Si può essere pienamente uomini e donne, qui, o no?” Se si risponde a questa domanda, si trova il senso del restare o no, e questo dipende da quale umanità io voglio vivere. C'è qualcosa che m'impedisce veramente di essere pienamente uomo, creatura di Dio con la mia dignità, qui, o no? In base alla risposta che mi do poi faccio delle scelte, Per noi è stato anche un modo di credere anzitutto noi in questo e di cercare di camminare con loro; piano piano, perché per la lingua abbiamo ancora difficoltà ma ormai da un anno e mezzo abbiamo sempre più ospiti che arrivano e il nostro desiderio è di offrire uno spazio per queste domande e per questa riflessione.

La gente che viene al monastero sente forte la presenza di una vita comune, di una comunità e ci dicono che si percepisce una gioia, una serenità; trovano un'accoglienza serena, un sorriso e ci dicono che sentono la forza della nostra preghiera. A volte noi siamo molto preoccupate per la lingua perché molto del nostro ufficio liturgico non è in arabo, ma loro sentono lo stesso uno spessore, sentono che c'è una dimensione di preghiera che li aiuta, uno spazio dove possono stare con tutta la loro dimensione che a volte viene un po' soffocata dalle necessità quotidiane, ma che invece li dilata quando riescono a riempirsene i polmoni.
Abbiamo quindi piccoli gruppi che vengono qui, se avessimo più disponibilità di posto, con le richieste che abbiamo, potremmo fare molto di più in termini di accoglienza. Però preferiamo che le persone abbiano uno spazio di silenzio per porsi le domande vere, piuttosto che ricevere i grandi gruppi.

D: Quale servizio offre il monastero alle comunità religiose locali?
C'è un grande bisogno di formazione e il nostro sogno è che il nostro monastero possa diventare un luogo dove persone, anche di tradizioni diverse si incontrino, anche solo per scambiare una riflessione e una speranza; che diventi anche un luogo in cui nascano progetti a partire dalla chiarezza della nostra missione qui in Siria: è la strada dell'amicizia, senza pretese, per poter mettere in comune il desiderio di costruire, perché si creda che c'è una speranza e che possiamo condividerla. Ci piacerebbe che tra consacrati ci si ritrovasse per una giornata di fraternità anche tra riti diversi.. e anche che tra i giovani si creasse un luogo di scambio. Insomma ci portiamo nel cuore questo desiderio di essere un segno, e questa è la progettualità cristiana.

Ma poi c'è anche proprio l'essere insieme a tutti: tra i nostri operai ci sono sia cristiani che sunniti che alauiti, e qui si vede come nello stare insieme si costruisce giorno per giorno, con un sorriso, con l'ascolto delle persone, con la nostra stessa presenza, un segno di fraternità.
Ci sono tutti molto grati per il fatto che pur potendo andarcene abbiamo scelto di restare qui. Ci capita spesso ai posti di blocco che ci chiedano di fermarci a prendere un caffè con loro o ci offrano un cioccolatino e quando andiamo nel villaggio dicono: "queste sono le nostre suore".
Adesso la nostra zona è più tranquilla ma anche quando i combattimenti erano molto vicini, siamo andate avanti a costruire e a coltivare, e questo è stato un grande segno, proprio perché coglievano che non si viveva così ,alla giornata, aspettando quel che succede, ma con una progettualità, mantenendo un impegno nella realtà carico della nostra speranza, e poco a poco ci sono dei piccoli segni di riconoscimento reciproco che ci fanno sentire di appartenere alla stessa vita, che ci siamo e che viviamo insieme.

D: Quale assistenza date ai bisogni materiali della gente?
La nostra resta una vita contemplativa; non abbiamo opere esterne; il nostro aiuto consiste soprattutto nell'offrire lavoro: in sei anni non si è mai interrotto il cantiere e ci sono persone che non hanno altro lavoro che quello svolto presso di noi, noi abbiamo cercato di aiutare soprattutto creando un lavoro semplice, come quello agricolo o spostare i sassi e la piccola manodopera.
Per 6-7 anni abbiamo potuto dare lavoro con continuità a 10 -15 persone e frequentemente ad altri specializzati come il mobiliere, l'idraulico... Cerchiamo anche di sopperire ai tanti bisogni concreti: si rivolgono a noi sempre più spesso per la necessità di un intervento chirurgico, per finanziare le cure mediche o sostenere gli studi di ragazzi che non riescono a pagarsi neppure il costo del pulmino per andare tutti i giorni in università.

Quello che però va fatto, ma è un po' più difficile, è creare la possibilità di intrapresa, ma qui la vera arma micidiale è l'embargo, che è davvero un'arma di morte, che nessuno vuole affrontare.
Le sanzioni penalizzano pesantemente tutta la vita di questa gente: anzitutto con le materie prime che non ci sono e quindi come si fa a lavorare? E quando ci sono hanno prezzi insostenibili.
Poi la mancanza di gasolio, le medicine e gli alimenti... Insomma è la mancanza concreta di tutto! Ma l'altra faccia terribile delle sanzioni è che alimentano le mafie, perché la gente ha bisogno di procurarsi il necessario e ciò avviene sovente attraverso vie illegali con il mercato nero.
Se non ci fossero le sanzioni non avremmo questa terribile svalutazione della lira siriana rispetto al dollaro (il cambio attuale è 500 lire per un dollaro). Non ci sarebbe nemmeno l'accaparramento di beni che poi vengono messi sul mercato quando si vuole e al prezzo che si vuole. La gente prima, anche con salari minimi aveva una vita dignitosa; prima con il suo salario poco a poco si costruiva la casa, adesso gli impiegati e la classe media non hanno neppure i soldi per curarsi un malanno. Non si possono pagare neppure le spese per il riscaldamento. Ovviamente tutto ciò ha fatto aumentare la corruzione, anche a piccoli livelli, perché chi può procurarti qualcosa, ti chiede di pagare per procacciarti quel bene di cui hai bisogno, chi può si inventa un pretesto per alzare il prezzo... Ci sono persone che guadagnano 20.000 Lire siriane al mese (40 dollari), ma come fa a procurarsi quel sacchetto di lenticchie che prima costava 35 o 40 lire e adesso ne costa cinquecento o seicento? Quindi tutti cercano di arrangiarsi in qualche modo. Una volta abbiamo comprato un sacco di zucchero per fare le marmellate che poi vendiamo e ci siamo accorte dopo che era un aiuto umanitario che ci era stato rivenduto.
Questo dramma delle sanzioni sta veramente soffocando la popolazione, ma non ha affatto colpito quelli a cui si diceva che erano dirette. Dannose, inutili e controproducenti tanto che si è creato un meccanismo di solidarietà con la propria nazione, perché la gente dice: “bene, stiamo soffrendo ma resistiamo!” Ma è un resistere sulla pelle dei bambini e degli anziani! Le sanzioni come strumento di coercizione politica sono una vera aberrazione. Noi che siamo qui vediamo la contraddizione nell'affamare la gente e contemporaneamente lo sperpero di soldi nei cosiddetti aiuti umanitari, quando basterebbe semplicemente aiutare la gente a lavorare, lasciare che la gente possa produrre, vendere i suoi prodotti. Tuttavia, purtroppo il ricorso alle sanzioni non trova il modo di essere annullato per cui noi pensiamo che dietro ci debbano essere altri interessi. Chi vuol fare qualcosa per la Siria deve affrontare questo problema delle sanzioni, altrimenti sono tutte parole a vuoto. Quindi, chi ha il potere di trovare soluzioni politiche lo faccia nelle sue sedi, ma che almeno si metta la gente in condizione di vivere. Qui non si tratta di libertà, né religiosa né politica né umana: in una nazione che aveva livelli di vita accettabili e che stava crescendo, tutto si è fermato, e non si può farlo passare in alcun modo come un bene , non è giustificabile a nessun livello!

D: Qual è adesso il vero bisogno della Siria?
Quello che noi vediamo dalla nostra angolatura di vita religiosa, che non esaurisce tutto, è il discorso formativo, di crescita, di dare uno spazio alle motivazioni, a una crescita umana e di responsabilità a tutti i livelli, personali, civili ed ecclesiali, perché le persone possano trovare uno spazio per esprimere una responsabilità verso il proprio destino.
C'è un discorso individuale, perché ognuno sia impegnato nel proprio cammino personale; c'è un discorso ecclesiale, perché come Chiesa non si risponda soltanto ai bisogni materiali ma anche al bisogno profondo della persona.
E infine, è fondamentale che la comunità internazionale ci dia dia la possibilità di avere accesso alle risorse materiali e culturali: in fin dei conti consentire il ritorno a una vita, perchè è fuori di dubbio che i siriani nonostante tutto quello che hanno passato vogliono vivere. La voglia di vivere va aiutata e favorita e non spenta!

Il compito dei cristiani allora è quello di guardare la radice vera di ogni evento e poi le soluzioni pratiche si trovano, ma il modo di affrontare i problemi della vita dipende dal cammino che si vuole fare... Che tipo di umanità si vuole? Senza voler entrare nella polemica sulla emigrazione o non emigrazione, bisogna chiedersi: perchè si va via? Perché si resta? Noi non siamo degli uomini vaganti che cercano una terra in cui soffermarsi; la terra in cui vogliamo davvero mettere le radici non è un problema di visti... Io penso che i cristiani debbano riflettere, pregare e poi agire di conseguenza: se non c'è un pensiero non c'è neanche un'azione che vale. Pensare vuol dire mettersi davanti a Dio e alla nostra realtà di creature chiamate a un destino di gloria. Cosa significa questo... e in mezzo a una realtà di contraddizione, di guerra, di male? Non è una realtà vittoriosa, ma noi crediamo che c'è già una vittoria di Cristo sulla morte. Questo implica che si sta davanti alle situazioni senza ignorarle, ponendosi delle domande a cui magari non si ha risposta, a costo anche di arrabbiarsi e indignarsi con Dio ma ponendosi il problema e questo ci rende capaci di operare, ognuno nella sua situazione, noi nella nostra vocazione monastica, altri nel loro servizio, in questa ricerca di Dio che dà senso alla nostra vita.

lunedì 20 marzo 2017

I Maristi di Aleppo... con cauto ottimismo

Lettera da Aleppo N° 29
15 marzo 2017
di Nabil Antaki, per i Maristi Blu.

Per gli abitanti di Aleppo, l’incubo terminò il 23 dicembre 2016. In quel giorno l’ultimo convoglio di ribelli e di terroristi, che occupavano i quartieri est e sud dal luglio 2012, con una supervisione neutrale lasciò la città per una provincia vicina, Idleb, ancora controllata dai terroristi di Al-Nusra. Gli Aleppini esultarono per la liberazione della loro città. Non esisteva più est e ovest. Aleppo era tornata ad essere, come è sempre stata, un’unica città sotto il controllo dello Stato Siriano. Solamente 15.000 abitanti dei quartieri est scelsero di essere evacuati per Idleb insieme ai ribelli. Gli altri, oltre 100.000, che avevano subito  l’occupazione senza averla scelta, ma semplicemente perché le loro abitazioni si trovavano lì, rimasero in Aleppo. Avevano sofferto molto, ma finalmente si sentivano sollevati dopo quattro anni di occupazione terrorista e tre mesi di assedio da parte dell’esercito siriano.
Per il milione e mezzo di abitanti dei quartieri ovest sotto controllo governativo, la liberazione portò un sentimento di sicurezza perso da più di quattro anni: la sicurezza di non ricevere più razzi, bombole del gas trasformate in bombe e tiri di cecchini, ma ottimismo prudente. Bombe continuano a cadere occasionalmente ancora oggi sui quartieri periferici nella zona ovest, lanciate da ribelli tuttora presenti ad alcuni chilometri nella periferia ovest.
Come tutti gli Aleppini, anche noi abbiamo visitato le vecchie linee del fronte, il quartiere storico Jdeideh, la città vecchia intorno alla Cittadella e i quartieri est e sud. La vastità delle distruzioni supera ciò che avevamo immaginato. A Midan, quartiere armeno, a Jdeideh, quartiere storico dei cristiani, a Hanano, à Sukari etc., la realtà supera spesso l’immaginazione. Con la liberazione, la città riprende un aspetto più normale e più civile. Tutte le strade – la maggior parte erano state chiuse da barricate o muri di pietra durante i quattro anni di guerra - sono state riaperte alla circolazione. I pedoni riempiono le vie. La gente cammina serena, senza temere la morte che la spaventava prima della liberazione. Il traffico automobilistico è denso. I semafori e l’illuminazione delle rotonde, alimentati da pannelli solari installati ad ogni crocevia, funzionano di nuovo. È ripresa la raccolta dei rifiuti ed i giardinieri comunali sono tornati al lavoro nei giardini pubblici e nelle aiuole. Le scuole e l’Università funzionano normalmente, ma cauto ottimismo.
La vita quotidiana è ancora molto difficile. L’inverno è stato particolarmente rigido, e per la penuria di oli combustibili e assenza di elettricità è stato quasi impossibile riuscire a scaldarci nei mesi di dicembre, gennaio e febbraio. Come durante gli ultimi due anni, e malgrado la liberazione, continuiamo ad essere privi di elettricità. La acquistiamo, a prezzi molto alti, da proprietari di generatori privati che abbondano sui marciapiedi della nostra bella città diventata molto brutta con questi generatori che inquinano ed i cavi elettrici che pendono ovunque. Le autorità si sono impegnate moltissimo per collegare nuovamente Aleppo attraverso l’alta tensione al circuito nazionale. Sembra che l’operazione sia riuscita e adesso abbiamo un’ora di elettricità al giorno. L’acqua corrente è ancora tagliata. Durante l'occupazione, l'acqua proveniente dall’Eufrate verso i bacini di trattamento fu bloccata perché la stazione di pompaggio era nelle mani dei ribelli di Aleppo est. Ora, la stazione di pompaggio è di nuovo sotto il controllo del governo siriano, ma l’ISIS, che occupa la piccola città di Khafsa sull'Eufrate, controlla il flusso dell’acqua. L'esercito siriano sta cercando di riconquistare Khafsa, ma cauto ottimismo.
Nel frattempo, un milione e mezzo di Aleppini continuano a utilizzare l'acqua, spesso insalubre, dei 300 pozzi in città. Le infezioni intestinali si sono moltiplicate. Alcune famiglie di sfollati sono rientrate nelle loro case; altre devono fare grandi riparazioni; altre aspettano il completamento dello sminamento e il ripristino delle infrastrutture rovinate; altre ancora, le cui abitazioni sono completamente distrutte, devono attendere la ricostruzione. I progetti di riedificazione della città sono numerosi e molte organizzazioni internazionali e nazionali hanno chiesto i permessi per partecipare al rifacimento di dieci scuole, al ripristino di duecento appartamenti, al restauro della città vecchia, etc. ... ma cauto ottimismo. Nulla è ancora iniziato. Aspettare per vedere.
La crisi economica è molto grave. In sei anni di guerra, la popolazione si è impoverita a causa della disoccupazione, e il costo della vita è aumentato vertiginosamente. Situazione paradossale: gli Aleppini non trovano lavoro, ma le piccole imprese che cominciano a timidamente a riaprire non trovano lavoratori qualificati. La maggior parte dei giovani è arruolata nel servizio militare o come riservista o ha lasciato il Paese per lidi più sicuri. Gli Aleppini hanno, ora più che mai, bisogno di aiuto per sopravvivere.
Nel frattempo, la guerra continua con il coinvolgimento di numerose forze straniere. Una parte del territorio e molti piccoli centri sono stati ripresi all’ISIS. Alcuni si trovano nuovamente sotto il controllo dello Stato siriano, altri sotto il controllo di Curdi, Turchi o islamisti. Negli ultimi due mesi, si sono svolti negoziati inter-siriani sotto gli auspici di Iran e Russia a Astana e sotto l'egida delle Nazioni Unite a Ginevra. Non c’è stato alcun progresso, ma cauto ottimismo. Si è stabilito ed accettato un elenco dei problemi, ed è stata fissata la data per la ripresa dei negoziati.
Nessuna delle centinaia di famiglie sfollate che beneficiavano dei vari programmi dei Maristi Blu è potuta tornare a casa. Abbiamo anzi inserito molte famiglie di nuovi sfollati che vivevano nei quartieri orientali e che sono venuti ad abitare con dei vecchi sfollati loro parenti. Noi, Maristi blu, non abbiamo né i mezzi né le competenze né la missione di partecipare alla ricostruzione fisica della città, ma riteniamo che la ricostruzione dell'uomo sia fondamentale e, per quanto ci è possibile, vi mettiamo tutto il nostro impegno.
Abbiamo ulteriormente sviluppato i nostri progetti educativi e ne abbiamo avviato di nuovi. Il nostro centro di formazione per adulti, "il M.I.T." continua ad organizzare due seminari al mese su tematiche ben definite per persone dai 20 ai 45 anni. Nel mese di febbraio, frère George ha tenuto un seminario su: "il perdono per la riconciliazione" e stiamo prendendo in considerazione, data la sua importanza, di riproporlo ad altri gruppi il prima possibile. Convinti della necessità di aiutare i giovani a lavorare per vivere e sfuggire al circolo vizioso guerra - catastrofica situazione economica - disoccupazione - povertà - assistenzialismo o migrazione, abbiamo organizzato, alla fine del 2016, un seminario di 100 ore in due mesi per i giovani di età compresa tra i 20 e i 35 anni sul tema: "Come realizzare il proprio progetto." Venti partecipanti hanno appreso dai migliori esperti come pensare, creare e sviluppare un progetto. Alla fine del corso, la giuria ha selezionato i quattro migliori, fattibili in termini di redditività e prospettive di successo, e li abbiamo parzialmente finanziati. Dato il buon esito dell’iniziativa, abbiamo appena ricominciato con altri quindici partecipanti. 
Recentemente, hanno preso il via diversi programmi educativi e di consulenza.
  • "Taglia e cuci" insegna ad una trentina di signore a cucire e a confezionare vestiario per la famiglia e anche per trovare un posto di lavoro nelle fabbriche di abbigliamento che riaprono e cercano operaie. Il primo gruppo sta per completare i quattro mesi di apprendimento e le iscrizioni al prossimo corso sono già numerose. Approfittiamo della loro partecipazione a corsi di cucito per offrire anche principi di formazione personale e supporto psicologico.
  • "La speranza" è un progetto che si propone di insegnare una lingua straniera, inglese o francese, a giovani madri con bambini che frequentano la scuola elementare. Infatti, l'insegnamento di una lingua straniera inizia dalla prima elementare. Le madri sono contente, perché oltre alla soddisfazione personale sarà loro possibile seguire l’istruzione dei propri figli.
  • "Douroub" accoglie bambini di 10-11 che sono stati finora trascurati dai nostri vari progetti. Con un team di tre guide, si incontrano per le attività educative e ricreative." ‘’La lotta contro l'analfabetismo" continua su due livelli. Il livello superiore, per coloro che hanno già partecipato alla prima sessione di due mesi per gli insegnamenti della terza elementare: cioè comporre frasi, lettura e scrittura. Il livello per principianti, con un nuovo gruppo di genitori e giovani analfabeti che insegna a scrivere e leggere le parole.
    - "Discipline di crescita personale e professionale" per 75 adolescenti, "Impara a crescere" e "voglio imparare", con 200 bambini dai 3 ai 6 anni, proseguono con entusiasmo i loro bei programmi per educare e sostenere i bambini ed i giovani.
    - I nostri vari programmi di soccorso continuano ad aiutare gli sfollati e i poveri. "I Maristi Blu per gli sfollati" aiuta quasi 1.000 famiglie, cristiane e musulmane, a sopravvivere per mezzo di una congrua distribuzione di panieri alimentari mensili, denaro contante per pagare un ampere di energia elettrica acquistata da generatori privati e un buono al mese per carne o pollo. Aiutiamo anche famiglie sfollate a pagare l'affitto per la loro sistemazione temporanea.
  • Il programma "Feriti civili di guerra" che, per anni, ha curato e salvato migliaia di feriti, per fortuna ha rallentato, grazie alla liberazione di Aleppo, ma continuiamo a curare sia nuovi feriti da mine, lasciate dai ribelli prima della loro partenza, sia vecchie lesioni già curate, ma che richiedono altre cure o un intervento chirurgico. Invece, il ‘’Programma medico Maristi Blu" si è sviluppato in modo significativo a causa dell'aumento della povertà, della disoccupazione e del costo della vita. Per i pazienti che non hanno i mezzi, abbiamo contribuito alle spese di interventi chirurgici, trattamenti in ospedale o per i farmaci (il prezzo dei farmaci di fabbricazione locale è aumentato del 400%) di radiografie, ecografie e test di laboratorio.
  • Il programma "Ho sete" distribuisce ogni giorno, con i nostri quattro camioncini, l'acqua nelle case di 40-45 famiglie. Per la difficoltà di riempire i furgoni ai pozzi scavati ovunque in Aleppo e presi d’assalto dalle 8 del mattino alle 10 di sera con lunghe code d’attesa, abbiamo iniziato la trivellazione dei nostri pozzi. Possiamo quindi riempire rapidamente e distribuire acqua a un maggior numero di famiglie.
  • Infine, il programma "Goccia di latte" è giunto al ventiduesimo mese, con la distribuzione a 3000 bambini. Questo progetto chiave per la crescita e lo sviluppo dei nostri figli non ha smesso un solo giorno, malgrado le difficoltà di approvvigionamento del latte, in particolare quello speciale per neonati, e l'alto costo.
  • Dopo la liberazione di Aleppo e nonostante il nostro cauto ottimismo, il compito diventa ancora più importante di prima. Anzi, enorme! Saremo in grado fisicamente, moralmente e finanziariamente di affrontare le sfide? Di aiutare gli sfollati a tornare a casa quando sarà il momento? I disoccupati a trovare un lavoro? I traumatizzati a guarire le loro ferite? I disperati a ritrovare la speranza? I bambini a vivere la loro infanzia rubata dalla guerra? Le persone a perdonare? A riconciliarsi? Saremo in grado di convincere le persone a non lasciare il Paese? L'esodo continua, e ogni giorno amici, conoscenti, volontari, dipendenti o beneficiati ci dicono un arrivederci che assomiglia di più a un addio. Nonostante tutto, continuiamo a vivere il nostro impegno e, con cauto ottimismo, appoggiamo questo estratto dal bel testo del nostro amico P. Jean Debruynne: "Resistere è ostinarsi a guardare lo stesso pezzo di cielo, anche quando è grigio o nero, anche se è come un fazzoletto imprigionato tra mura troppo alte. Resistere è non rinunciare mai a guardare il sole dall’apertura di un tombino. Resistere è essere abbastanza testardo per vedere sorgere il giorno dietro il filo spinato. Resistere non è cedere all'obbligo di tacere. Resistere è fierezza. Resistere è rifiutare l'intolleranza, l'indifferenza e la negazione delle differenze. Resistere è non mollare mai. Resistere è non accettare mai la tranquillità. Resistere è scegliere di essere responsabili. Resistere è stare in piedi davanti a Dio. In piedi e non proni o in ginocchio. Perché resistere è inventare l'amore. "
Crediamo anche che resistere sia la speranza, come a Pasqua, che dopo la morte c'è resurrezione.
Nabil Antaki | 15 marzo 2017 | Per i Maristi Blu

Traduzione : Maria Antonietta Carta

venerdì 17 marzo 2017

A colloquio con Benjamin Blanchard, direttore dell’associazione francese ‘SOS Chrétiens d’Orient’

Rossoporpora.org, 3 marzo 2017
di Giuseppe Rusconi

Nel corso del 2013 ci eravamo incontrati in occasione delle grandi Manif pour tous che allora scuotevano la Francia per protestare contro l’imposizione del matrimonio ‘egualitario’, una vera rivoluzione antropologica che noi non abbiamo mai accettato. A ottobre dello stesso anno ci siamo chiesti se non sarebbe stato utile, da giovani cattolici parigini, impegnarsi anche su un terreno di quotidianità concreta. Erano giorni quelli in cui la Francia minacciava di bombardare la Siria di Assad, mentre nel contempo erano centinaia i giovani che dalla Francia si arruolavano tra le file dell’Isis. Abbiamo riflettuto e ci siamo detti che l’immagine della Francia non poteva essere solo quella connotata da bombe e terrorismo. Erano anche i giorni in cui cadeva in mano terrorista il villaggio di Maalula, gioiello aramaico con due monasteri molto cari ai siriani. Allora ci siamo detti: forse siamo un po’ pazzi… ma perché non andare a festeggiare Natale a Damasco con i profughi che hanno perso tutto e sono stati cacciati dalle loro case? Così io, Charles de Meyer (presidente della nostra associazione) e altri 17 giovani  ci siamo ritrovati a Natale  nella capitale siriana. E’ lì che ‘SOS Chrétiens d’Orient’ è nata de facto, con un’esperienza concreta e toccante nel contempo.... 

IN SIRIA …
In Siria SOS Chrétiens d’Orient ha oggi un ufficio centrale a Damasco e una presenza permanente tra l’altro a Aleppo, Homs, Maalula, Sadad, Tartus (secondo porto della Siria). Quattro gli elementi caratterizzanti di ogni presenza: le donazioni alimentari e di igiene (distribuzione di cibo, acqua, prodotti per l’igiene intima, ecc…), l’aiuto sanitario (distribuzione di medicamenti, finanziamenti di presidi sanitari, costruzione o ristrutturazione di ospedali), l’educazione (sostegno scolastico, aiuto all’infanzia, finanziamenti per corsi professionali, attività educative e ludiche, colonie estive, ecc…), la cura del patrimonio e della cultura ( ricostruzione di case e chiese, attività culturali come ad esempio pellegrinaggi). Qui sono concentrati i grandi progetti. In Siria si è sul cantiere della cattedrale greco-cattolica di Homs e di quella di Aleppo. Si partecipa alla ricostruzione di case, in particolare a Homs, Aleppo, Maalula, Sadat. Ad Aleppo l’associazione dona quotidianamente acqua agli abitanti e fornisce casse di medicamenti agli ospedali, a Damasco sta ricostruendo una scuola di formazione professionale. Molto particolare è il sostegno dato alla squadra nazionale siriana dei disabili che partecipa alle olimpiadi invernali in Austria. SOS Chrétiens d’Orient non discrimina tra le diverse chiese cristiane (ottimi tra l’altro i rapporti con il nunzio apostolico, l’odierno cardinale Mario Zenari e il presidente di ‘Caritas Siria’, il vescovo caldeo di Aleppo Antoine Audo) e trova una collaborazione intensa anche da parte musulmana, secondo una buona tradizione consolidata nei secoli.
… E IN LIBANO
In Libano tale collaborazione è un po’ diversa, nel senso che non c’è quella ‘trasversalità’ tipica siriana. Lì l’associazione lavora in primo luogo a beneficio dei libanesi di alcuni villaggi cristiani alla frontiera con Siria e Israele, immersi in un contesto musulmano generalmente diffidente, se non ostile. In secondo luogo per i tanti profughi siriani, iracheni, palestinesi rifugiati nel Paese dei Cedri. SOS Chrétiens d’Orient lavora in particolare con l’associazione Al Nawrai, presieduta dal medico Fouad Abou Nader, nipote di Pierre Gemayel (fondatore della ‘Falange’) e famoso comandante delle ‘Forze libanesi’ nella guerra che il Paese ha sofferto negli Anni Settanta e Ottanta. L’obiettivo da perseguire è da una parte di contribuire alla sicurezza dei villaggi in partenariato con l’esercito libanese, dall’altra di riuscire a stimolare la permanenza dei cristiani in loco promuovendo soprattutto lo sviluppo di agricoltura e artigianato. Ottima la collaborazione pure in Libano con tutte le Chiese cristiane e con i loro patriarchi, tra i quali il cardinale Béchara Raï, a capo della Chiesa più importante, quella maronita, incontrato anche recentemente (il 10 gennaio) da Benjamin Blanchard.
I VOLONTARI
Il nostro interlocutore ci parla poi dei volontari (sono solo due i salariati, i capi-missione che fanno la spola tra Parigi e l’area interessata), che fin qui hanno raggiunto quota ottocento, partiti dalla Francia e dal resto d’Europa per vivere l’esperienza mediorientale di aiuto per un periodo minimo di un mese. La maggioranza di loro è francese, ma hanno aderito ad esempio anche alcuni italiani, belgi, olandesi, svizzeri, polacchi, canadesi, venezuelani. Oggi sul terreno i volontari sono una sessantina, di cui venti in Libano. Ogni giorno incomincia con una preghiera in comune e ogni domenica e festa comandata si partecipa a una messa in una delle diverse chiese in cui si articola il cattolicesimo orientale. Un’occasione per tutti, anche per i ‘tiepidi’, di scoprire la bellezza e la profondità delle liturgie che vengono dalle terre dei primi cristiani.
I RAPPORTI CON I MUSULMANI
Per quanto riguarda i rapporti in genere con i musulmani, il direttore generale di SOS Chrétiens d’Orient evidenzia che l’associazione vuole vivere in mezzo alla popolazione e quindi non intende creare problemi ai cristiani che condividono la loro quotidianità con loro. Anzi, siccome uno egli obiettivi principali è di fare in modo che i cristiani restino là dove risiedono, la collaborazione con i musulmani è benvenuta: Alcuni dei nostri impiegati sono musulmani – rileva Blanchard – come pure qualche volontario”.
DIFFICOLTA’ E SODDISFAZIONI
Tra le maggiori difficoltà incontrate, Benjamin Blanchard cita il problema della sicurezza in Paesi in guerra come Siria e Iraq. Anche l’incertezza delle vie di comunicazione. E la necessità, a volte dolorosa, di scegliere chi aiutare: I bisogni sono tali che non riusciamo a dare a tutti un sostegno. E’ comunque molto difficile scegliere”. 
E le soddisfazioni più grandi? Soprattutto quelle di essere invitati a pranzo da persone aiutate nella ricostruzione della casa e di vedere la popolazione che torna nelle chiese per festeggiare il Natale.

VERGOGNA OCCIDENTALE: LA GRANDE MENZOGNA SU ALEPPO
Chiediamo a Benjamin Blanchard di darci una valutazione di quello che è successo ad Aleppo: Aleppo è una città che è stata martirizzata per quattro anni da gruppi terroristi guidati da Al Qaeda-Al NusraGli aleppini hanno dovuto subire quotidianamente per anni i bombardamenti dei terroristi, che hanno colpito scuole, ospedali, mercati, oltre a tagliare l’acqua, l’elettricità, lo stesso vettovagliamento di Aleppo come per cinque mesi nel 2013-14”. 
Gravi le responsabilità dell’Occidente, Stati Uniti di Obama-Hillary Clinton, Gran Bretagna,  Francia, oltre a quelle di Paesi arabi come l’Arabia Saudita…: “Per tutti questi anni in Occidente non si è quasi mai parlato di quello che accadeva ad Aleppo, salvo per quanto succedeva nei quartieri est, in mano ai terroristi, peraltro definiti con mistificazione colossale dei ‘ribelli’. Un atteggiamento, quello di gran parte dei media occidentali, che gli aleppini non hanno mai né capito né digerito. Ancora oggi mi si fa notare che, secondo gli occidentali, se Al Qaeda compie un attentato in Francia viene giustamente condannata, ma se bombarda i civili ad Aleppo fa un buon lavoro. Non si riesce a capire questo comportamento, specialmente da parte dei cristiani della città. 
Ora Aleppo è stata liberata…: Nell’autunno del 2016 l’esercito siriano, aiutato da truppe russe, ha sferrato un’offensiva finale per liberare Aleppo est dai terroristi. L’attacco ha provocato anche vittime civili - come purtroppo è normale in guerra - e questo dispiace molto. Però la vittoria ha permesso il ritorno della pace ad Aleppo e la felicità della popolazione di essere stata liberata si è manifestata intensamente nelle feste di Natale, quando tutte le sere c’erano centinaia di aleppini attorno al grande albero di Natale che abbiamo innalzato in una delle piazze simbolo, tutti insieme: cristiani e musulmani. Nei media occidentali la liberazione di Aleppo è stata chiamata ‘caduta’ di Aleppo, si è parlato anche di ‘genocidio’: choccante leggere ed ascoltare simili giudizi, che capovolgevano la realtà. In effetti i 30mila simpatizzanti dei terroristi hanno potuto andarsene indisturbati su appositi bus da Aleppo est! Si sono poi ascoltate e lette tante menzogne colossali, ad esempio che il Governo continuava a tagliare l’elettricità nei quartieri est: la verità invece è che fino a questo momento di elettricità non ce n’è ad Aleppo est come ad Aleppo ovest, così come l’acqua, poiché i terroristi hanno ancora (forse per qualche giorno) il controllo della stazione di pompaggio a circa 80 chilometri a est della città. 

SOSTEGNO IN FRANCIA E NON SOLO…
Veniamo al sostegno che SOS Chrétiens d’Orient trova in Francia e in Europa. Blanchard ha tenuto, invitato dalla parrocchia locale che sostiene finanziariamente e con la preghiera l’associazione, una serie di conferenze a Rocky Mount nella Carolina del Nord. E’ andato a Budapest per incontri con le autorità ungheresi, il cui Governo – primo e unico fin qui – ha istituito un Segretariato per l’aiuto ai Cristiani perseguitati nel mondo: si spera in una possibilità di collaborazione. In Francia l’associazione gode di non pochi aiuti, ad esempio di alcuni vescovi come quelli di Vannes, Fréjus-Toulon (diocesi che si è anche gemellata con l’arci-eparchia greco-cattolica di Homs e organizza pellegrinaggi in terra siriana di sacerdoti diocesani, guidati dal vescovo), di Bayonne. E di diversi sindaci e parlamentari: “Il 6 gennaio eravamo ad Aleppo con gli armeni e con una delegazione parlamentare francese”.

UN CD COINVOLGENTE DELLA GRANDE CORALE DI DAMASCO “CHOEUR-JOIE”
Benjamin Blanchard ci mostra poi altri prodotti dell’attività di SOS Chrétien d’Orient. Per esempio un cd (l’abbiamo ascoltato, è veramente bello e coinvolgente!) del coro Coeur-Joie” di Damasco, fondato negli Anni Novanta e diretto da una grande figura della Chiesa siriana, padre Elias Zahlaoui: 130 cantori e musicisti che nel marzo 2016 (dopo 14 mesi di preparativi) sono riusciti a venire in Francia per una tournée di concerti in sette città da Parigi a Lourdes, passando da Lione, Bollène e Orange, Tolone, Béziers, Tolosa. Ottomila gli spettatori che hanno vissuto un’esperienza gioiosa proveniente dalla Siria, posta sotto il titolo ‘Chants d’espérance’. Quando i 130 sono partiti da Damasco qualcuno pensava che non sarebbero tornati. Invece sono tornati tutti e il loro concerto successivo, all’Opera della capitale, è stato un trionfo (Il nostro Paese, per ferito che sia, noi lo ricostruiremo, anche se siamo pochi! Pochi ma non rassegnati a piangere e a lamentarci sulle rovine!”, così dicono le parole della terz’ultima canzone del cd).

L’ATTIVITA’ EDITORIALE 
Interessante anche l’attività editoriale: fin qui l’associazione ha sostenuto quattro pubblicazioni: un’agenda 2016, l’interessantissimo libro-intervista di Charlotte d’Ornellas  a colloquio con il patriarca Gregorio III Laham (ed. Artège) , il suggestivo e commovente volume fotografico (testi di Pierre-Alexandre Bouclay, foto di Katharine Cooper, ed. Rocher di Monaco) “Peuples persécutés d’Orient” (Siria, Iraq, Kossovo), una raccolta di poesie di Anne-Lise Blanchard (madre del nostro interlocutore).

C’E’ QUALCHE GIOVANE CHE VUOLE DIVENTARE VOLONTARIO?
In conclusione Benjamin Blanchard definisce i due grandi obiettivi dell’associazione per il 2017: la ricostruzione e il ritorno a casa, in particolare per gli sfollati della Piana di Ninive e il reinsediamento nei villaggi oggetto dell’attività di SOS Chrétiens d’Orient. Senza mai dimenticare il grande obiettivo di rafforzare i legami tra cristiani d’Oriente e d’Occidente. Un desiderio forte? Che l’intervista possa in qualche modo servire come stimolo per i giovani intenzionati a ‘fare qualcosa’ di utile sul terreno per i nostri fratelli del Medio Oriente In Iraq, Siria, Libano, Giordania ed Egitto (qui per il momento solo d'estate). Contatti? roma@soschretiensdorient.fr , www.soschretiendorient.fr , 0039 / 339 73 50 686 .   

martedì 14 marzo 2017

La narrazione dell'ostaggio e il silenzio stampa

Theo Padnos, il protagonista dell’intervista che segue, è un giornalista statunitense di Atlanta, rapito in Siria nel mese di ottobre del 2012 e durante due anni prigioniero di al-Nusra, fronte siriano di al-Qaïda. Fu liberato nell’agosto 2014 per intercessione del Qatar. Fox news è il canale televisivo ‘’all news’’ più visto in assoluto negli USA, subito prima della CNN. L’autore dell’intervista a Theo Padnos è il rinomato giornalista Tucker Carlson, conduttore del seguitissimo programma di attualità politica ‘’Tucker Carlson Tonight’’, che va in onda dal 14 Novembre 2016.
Questi elementi, uniti all’altalenante, o ambiguo, atteggiamento dell’incipiente amministrazione Trump, soprattutto negli affari internazionali e mediorientali in particolare, dovrebbero aver suscitato l’interesse nei commentatori della nostra stampa mainstream per un’intervista che si può definire strabiliante, proprio per il contesto in cui si svolge. Invece nulla. Silenzio assoluto.  Che il timore di veder rovinare le loro narrazioni mendaci sulla Siria li stia mandando sempre più in confusione?

Maria Antonietta Carta 

Theo Padnos, ostaggio statunitense sopravvissuto all’ordalia terroristica in Siria, consegna un impressionante messaggio alla combriccola USA-UK per il 'cambio di regime' in Siria.

   21st Century Wire, 7 Marzo 2017
Un piccolo miracolo. Un raro momento di verità sui media mainstream. Nascosto sotto i volgari e sensazionalistici titoli in prima pagina ed i finti intrighi russi a Washington della scorsa settimana, il conduttore di FOX News Tucker Carlson ha diffuso una breve ma sorprendente intervista a Theo Padnos, giornalista americano che, per due anni (2012 - 2014), fu prigioniero in Siria dei terroristi di Al-Nusra, alias Al-Qaïda, sostenuti da USA-UK e dalle Monarchie del Golfo.
Nel corso degli ultimi sei anni, durante la presidenza di Barack Obama, funzionari statunitensi inadempienti, come Hillary Clinton e John Kerry, hanno occultato la vera natura dei cosiddetti "ribelli moderati" in Siria – etichettandoli ripetutamente come legittimi ‘combattenti per la libertà’ 'per una democrazia embrionale in Siria’. Padnos cancella l’inganno delle istituzioni governative statunitensi e dei media su questo tema, e ristabilisce la verità sulla violenza perversa dei cosiddetti "ribelli ', molti dei quali nemmeno siriani.
"Assassinano la gente per strada e utilizzano bambini come torturatori. Stanno distruggendo la società di quel Paese."
"Alcuni sono interessati al denaro, altri al potere e altri ancora amano le armi. Per tutti loro, la jihad è una stagione meravigliosa (...). Hanno le chiavi di pick-up nuovi fiammanti e del buon cibo gratis ..."
" Laggiù, stanno edificando un vero e proprio arcipelago carcerario, con una moltitudine di prigionieri e una moltitudine di persone che a loro non piacciono. "
"Un incredibile asse del potere per molti giovani uomini che nella loro esistenza non ne hanno avuto nessuno fino ad ora. Nelle regioni non controllate dal governo siriano, si sta sviluppando una situazione pericolosa."
L’intervistatore chiede poi a Padnos un giudizio sul governo di Assad, e alla CNN o alla NBC una risposta simile non si è mai sentita da alcuno degli 'esperti' che, sin dallo scoppio delle ostilità nel 2011 e per tutti questi anni, hanno sostenuto pienamente il cambio di regime:
"Il regime di Assad? In questo momento, circa 16 milioni di persone vivono in condizioni di sicurezza. Le scuole, le Università, e gli ospedali funzionano, e i vigili regolano il traffico nelle strade. Certo, non è la Svizzera - non è una società perfetta - penso che loro stessi lo ammettano. Chiunque voglia la pace in Siria saprà riconoscere e rispettare la pace che hanno in questo momento, anziché pregiudicarla e danneggiarla in qualunque modo – come ha fatto l'amministrazione Obama inviando missili e ogni genere di armi ai "ribelli '- il che mi è sembrato indecente perché ha distrutto la pace che c’era."
" Sussiste la realtà di ’enclave’ dei ribelli. Queste ’enclave’ non sono tranquille, certo che no. Sono state distrutte. Guarda, è una guerra civile. Nelle ’enclave’ dei ribelli vive solo una minoranza della popolazione. La maggior parte dei Siriani vivono in una relativa calma sotto il regime di Assad. Sì, questo è preferibile ai bombardamenti e alle crocifissioni nelle strade a cui si assiste, all’assassinio di cittadini, alle torture e all'imprigionamento indiscriminato che [i terroristi 'ribelli'] esercitano.
   Trad. Maria Antonietta Carta

sabato 11 marzo 2017

L'Industria dei Diritti Umani al servizio dell'imperialismo


di Margaret Kimberley
15 febbraio, 2017

Quando le Organizzazioni dei cosiddetti Diritti Umani sono finanziate dall’un per cento, esse sicuramente riflettono le priorità e le prevenzioni dei loro influenti sponsor. Pertanto, Amnesty International è una vitale fonte della propaganda di guerra a favore degli interventi imperialisti USA in Medio Oriente e altrove. Il loro "rapporto" di un presunto "macello umano" ad opera dal regime siriano è l'ultimo episodio di una campagna volta a giustificare l’intervento degli Stati Uniti in Medio Oriente.

L'umanità ha un disperato bisogno di individui e organizzazioni che alzino la voce per il suo diritto a vivere libera dal rischio della violenza di Stato. Invece, abbiamo un’Industria dei Diritti Umani, che parla per i potenti e racconta menzogne per giustificare le loro aggressioni. Amnesty International e Human Rights Watch sono al vertice di questa lista infame. Hanno il modello e la prassi per fornire una copertura al cambiamento di regime ordito dagli Stati Uniti, dai partner della NATO e dalle monarchie del Golfo, come l'Arabia Saudita.
Amnesty International ha recentemente pubblicato un rapporto dal titolo ‘’ Mattatoio umano: impiccagioni di massa e sterminio nella prigione di Saydnaya in Siria", in cui si sostiene che il governo siriano abbia ucciso tra le 5000 e le 13.000 persone in un periodo di cinque anni. Il rapporto si basa su fonti anonime fuori dalla Siria, per sentito dire, e sull'uso discutibile di foto satellitari, che evoca la performance di Colin Powell alle Nazioni Unite nel 2003. Si fa un ampio uso di termini iperbolici quali ‘’mattatoio" e "sterminio", ma mancano le prove sulle gravi accuse proferite.

Pochi giorni dopo, Human Rights Watch si è unito al gruppo che denuncia il governo siriano per l’impiego di gas clorino contro civili in fuga da Aleppo. Ancora una volta, le argomentazioni sono state supportate da scarse indicazioni del fatto: soltanto fango, gettato contro un muro con la speranza che un poco di esso resti attaccato. Era stato invece il Fronte al-Nusra ad aggredire i profughi di Aleppo mentre tentavano di raggiungere le linee dell'esercito siriano. Un giorno esce un rapporto su esecuzioni capitali, il giorno dopo sull’impiego di armi chimiche, le barrel bombs il giorno successivo e così via.

Queste organizzazioni fasulle non dicono mai che la catastrofe umanitaria in Siria è stata provocata dall'intervento occidentale e dai loro alleati jihadisti tagliatori di teste.
La guerra non è finita, ma il governo e i suoi alleati stanno vincendo. Saranno loro a determinare il futuro della Siria. La Russia, la Turchia e l'Iran hanno convocato i negoziati di pace tra il governo e l'opposizione, ed è per questo che i tentativi di gettare discredito andranno avanti.

A partire dal 2011, gli Stati Uniti usano un sistema collaudato per imporre l’imperialismo. Si accusa un leader straniero di essere un tiranno che terrorizza la sua nazione. Ed ecco le argomentazioni per zittire le critiche: si compra il consenso dei mass media e dei politici cinici, e infine arriva la morte attraverso i cosiddetti salvatori. Ci sono nove milioni di rifugiati siriani proprio a causa della collusione tra l'Occidente e le alleate monarchie del Golfo. Hanno causato loro la sofferenza della popolazione civile, e soltanto la determinazione dei Siriani e l'aiuto dei loro alleati hanno impedito che si ripetesse la fine della Libia.

Ora che i jihadisti sono in fuga e il loro sostenitore turco sembra forse aver cambiato bandiera, la festa è finita. Ma gli imperialisti non andranno via tranquillamente. Ecco perché Human Rights Watch e Amnesty International riappaiono al momento cruciale. 

Il nuovo presidente Donald Trump è una totale incognita. Durante la campagna elettorale, ha affermato che non avrebbe sostenuto un cambio di regime, ma la sua personalità e la sua politica sono imprevedibili. Non è mai chiaro cosa intenda dire o voglia. Il suo staff è altrettanto dilettantistico, e la direzione della politica estera americana è ancora un mistero. Un giorno vuole migliorare le relazioni con la Russia e il giorno successivo fa l’inutile richiesta di restituire la Crimea ai signori neonazisti. Ma repubblicani e democratici del partito della guerra non lasciano alcun dubbio sui loro piani. Essi non rinunciano alla lotta per l’egemonia ed hanno bisogno di tutta la credibilità possibile. Per fornire la propaganda, Amnesty International e Human Rights Watch intervengono tempestivamente.
Se fossero stati davvero seri nell’obiettivo dichiarato di dare voce ai maltrattati, avrebbero usato le loro ampie risorse per criticare gli Stati Uniti a livello nazionale e mondiale. Quando il presidente George Bush istigò l'invasione dell’Iraq nel 1991, hanno ripetuto la favola dei soldati che uccidevano i neonati nelle incubatrici. Non hanno mai spiegato né si sono scusati per le loro azioni. Hanno continuato la loro orribile collaborazione nel 2011, fornendo all'amministrazione Obama una copertura per l’attacco e la distruzione della Libia.

Nessuna organizzazione denuncerà lo stato carcerario americano, il peggiore del mondo. Essi potrebbero criticare il pattugliamento dei nuovi schiavi, che uccide tre persone ogni giorno. Potrebbero chiedere perché gli Stati Uniti hanno un implicito diritto di decidere che la Libia o la Siria o la Somalia possono essere distrutti e le loro popolazioni costrette a patire. Ma affrontare questi temi andrebbe contro la loro vera missione: creare le condizioni necessarie per consentire agli Stati Uniti di commettere aggressioni senza il timore di una opinione pubblica contraria. Amnesty International e Human Rights Watch non sono amichevoli con tutti i Popoli del mondo. Se la prendono con i deboli e con i bersagli dell’attacco imperialista. Mentono in nome di coloro che violano massicciamente i diritti umani. Nonostante abbiano giocato un ruolo di primo piano nel disastro siriano, gli Stati Uniti sono stati invitati come osservatori ai prossimi colloqui di pace. Amnesty International e Human Rights Watch intervengono per fare in modo che, se l'amministrazione Trump dovesse partecipare, non ci sia alcun cambiamento di cui doversi impensierire. L’industria dei Diritti Umani è sicuramente dalla parte dei malvagi e delle loro sporche azioni.

Margaret Kimberley 

La colonna di Margaret Kimberley, Freedom Rider, appare settimanalmente nel Black Agenda Report, dove lavora come redattore e giornalista.  Ha anche un blog: freedomrider.blogspot.com.

   Trad. Maria Antonietta Carta