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mercoledì 8 giugno 2016

Benvenuto al nuovo Custode di Terra Santa

L'abbraccio tra fra Pierbattista Pizzaballa e fra Francesco Patton
Fra Francesco Patton ha fatto il suo ingresso ufficiale a Gerusalemme lunedì 6 giugno, diventando il 168esimo Custode di Terra Santa. Secondo una tradizione secolare, l'accoglienza è avvenuta alla porta di Jaffa.

Della situazione della Terra Santa oggi, segnata da profondi conflitti, fra Francesco Patton parla come di una «scommessa di Dio».
«Credo che abbia un significato il fatto che quando Dio ha scelto d’incarnarsi, lo abbia fatto proprio in Terra Santa. La storia di questa terra è segnata da conflitti e scontri. Il fatto che Dio abbia scelto d’incarnarsi qui, sembra proprio una scommessa. Quasi a dire: se si realizzeranno qui, allora è possibile che pace e giustizia possano regnare su tutta la terra. Tutti noi siamo chiamati ad andare e a restare in Terra Santa, sapendo che siamo parte di questo “sogno di Dio”. La possibilità cioè che “il lupo pascoli con l’agnello”, come ci dice la visione di Isaia. E che venga un tempo, come ci testimoniano i profeti, “di cieli nuovi e terra nuova”. Noi dobbiamo credere che tutto ciò accadrà. Perché quello che impedisce la realizzazione dei progetti di Dio è anche la nostra mancanza di fede».
I primi tempi del suo mandato – fra Francesco ne è certo – saranno una sorta di «noviziato». «Non ho la presunzione di riuscire ad entrare subito in una realtà complessa come quella della Custodia di Terra Santa e del contesto ecclesiale e sociale nel quale come frati minori siamo chiamati a lavorare. Mi metterò in ascolto. Credo che le esperienze di internazionalità a servizio dell’Ordine mi possano aiutare a prestare attenzione alle varie sensibilità e culture».
Di una cosa è però certo fra Patton: «Il mio cuore è in Terra Santa. Da quando mi hanno comunicato la nomina, ho iniziato a ricordare quotidianamente nella preghiera i confratelli che vivono in Siria, tutti coloro che servono con tanta dedizione nei santuari e sono impegnati nelle parrocchie e nelle tante realtà sociali della Custodia; coloro che si impegnano nei vari centri di per non dimenticare i padri Commissari impegnati a diffondere l’opera della Custodia in tutto il mondo. Sento per loro grande affetto e riconoscenza. Mi sono preziosi e li sento tutti uniti nella preghiera».

lunedì 6 giugno 2016

L'oratorio estivo dei francescani chiama l'Italia


Avvenire, 4 giugno 2016
di Giorgio Paolucci

Un oratorio a prova di bomba. L’immagine non sembri irriverente né spropositata né troppo ottimistica, perché è quello che accade in questi giorni ad Aleppo e che si propone davvero come sfida alla logica umana. 

Trecentocinquanta bambini dai 3 ai 15 anni, aderendo all’invito dei frati minori che curano la parrocchia latina di San Francesco, tornano a essere protagonisti di un oratorio estivo in un contesto totalmente sfavorevole, devastato e devastante. Si gioca, si canta, si prega, si diventa amici, mentre tutto intorno si combatte, con il boato delle esplosioni a fare da sottofondo. 

È una luce nel buio della città martire della guerra siriana, definita dall’Onu la più sanguinosa dopo il secondo conflitto mondiale: 250mila morti, milioni e milioni e milioni di sfollati. Sembra incredibile, eppure accade: un’oasi di pace abitata da trecentocinquanta bambini e ragazzi, cento in più dell’anno scorso, più della metà dei piccoli cristiani rimasti ad Aleppo. Cattolici, ortodossi, armeni, melchiti, tra i quali l’esperienza dell’unità prevale sulla differenza delle antiche screziature confessionalinel segno della «gioia del Vangelo» e di quell’«ecumenismo del sangue» più volte evocato da papa Francesco proprio in riferimento alla situazione dei cristiani nel Vicino Oriente.

Quest’anno, poi, c’è una novità che riguarda direttamente il nostro Paese:l’Associazione Pro Terra Sancta, che opera al servizio della Custodia di Terra Santa affidata ai francescani dal 1217, ha proposto alle parrocchie italiane di avviare dei gemellaggi perché i piccoli siriani sperimentino la vicinanza dei loro coetanei italiani, e questi ultimi possano conoscere da vicino come si vive laggiù, con l’ausilio di un libretto che documenta la pratica delle opere di misericordia corporale, filo conduttore di questo anno giubilare (i dettagli dell’iniziativa ). 

Migliaia di bambini italiani che frequentano il "Grest" – come viene chiamato in molte nostre città l’oratorio estivo – possono leggere e vedere cosa significa concretamente dar da mangiare agli affamati, visitare gli ammalati, vestire gli ignudi, seppellire i morti. Ad Aleppo, con la sua gente. E i piccoli siriani, molti dei quali sono nati in guerra e porteranno per sempre negli occhi e nella mente il macabro ricordo del quotidiano crepitare delle armi e l’urlo straziante delle vittime, potranno trarre conforto ricevendo piccole-grandi testimonianze di amicizia: disegni, poesie, lettere provenienti dagli oratori del nostro Paese. 

«Abbiamo bisogno di questa comunione con voi», fa sapere da Aleppo padre Firas Lutfi, responsabile dell’oratorio estivo. E Ibrahim Alsabagh, il parroco, racconta che «in una Aleppo semidistrutta la gioia di stare insieme riesce a prendere il sopravvento» dentro una esperienza di vita e di amicizia nel nome di Gesù. 
Da dove viene questa irriducibile positività che potrebbe sembrare addirittura fuori luogo in un contesto di dolore come quello che da anni attanaglia l’antichissima città? Viene dalla certezza che la morte non è l’ultima parola, perché Qualcuno l’ha vinta con il sacrificio della propria vita

È una certezza generatrice di gesti che lasciano a bocca aperta. Come la preghiera recitata ogni giorno all’oratorio di Aleppo per chiedere la conversione dei cuori dei jihadisti che, poco lontano, lanciano ordigni mortali e predicano l’odio. 

O come la decisione di trasformare il residuato di una bomba caduta sulla chiesa in un vaso riempito di fiori che durante la celebrazione della messa, al momento dell’offertorio, viene portato all’altare in segno di ringraziamento. Per testimoniare che uno strumento di male può diventare strumento di bene. In quella stessa chiesa, in dicembre, era stata aperta la porta santa della misericordia, l’unica vera medicina per curare il tumore dell’odio reciproco. 

Non a caso, «Misericordiosi come il Padre nostro» è il tema che guida le otto settimane dell’oratorio estivo: sanno a Chi guardare, questi nostri fratelli che non cedono alla logica della violenza e ripongono tutta la loro fiducia in un amore capace di un perdono umanamente inconcepibile. 

«Non riusciranno ad avere la nostra paura – dice padre Firas da Aleppo –. Perché ogni giorno vogliamo sfidare le bombe e la morte con la nostra gioia di vivere». 
Di quella stessa gioia di vivere hanno bisogno i nostri figli, qui in Italia. E ne abbiamo bisogno – tanto bisogno – noi uomini e donne d’Occidente, troppo spesso incapaci di uno sguardo positivo sull’esistenza, succubi come siamo di uno scetticismo che sembra avere dimenticato il fascino di una Bellezza disarmata e disarmante, perciò ultimamente vincente. Per questo possiamo dire che oggi, davvero, da Aleppo arriva una buona notizia.

http://www.avvenire.it/Commenti/Pagine/paolucci-luce-bambina-aleppo.aspx


«La soluzione dei problemi non verrà dalle mani dell’uomo, ma per intervento divino»


TEMPI.it , 6 giugno 2016

di Rodolfo Casadei

Di cosa sono fatti questi preti che restano sul posto, al servizio di un popolo sempre più piccolo? Questi vescovi che continuano a vigilare sul gregge anche se il pascolo è quasi diserbato e sopra ci piovono razzi e bombe? Tre quarti degli abitanti di Aleppo  se ne sono andati, in fuga per la salvezza o falciati dai cecchini e dalle esplosioni. Invece il 95 per cento del clero resiste lì dove la guerra lo ha trovato quattro anni fa, e alcuni confratelli sono giunti nel frattempo a dare manforte. Gli assenti sono quasi tutti giustificati: sono stati rapiti o uccisi nel corso della guerra. Le comunità si sono assottigliate, ma la vita comunitaria cristiana si è intensificata grazie alla dedizione dei sacerdoti. Nessuno di loro lascia mai la sua postazione, se non temporaneamente per poi tornare a servire meglio la comunità.
....
Le notizie dal fronte come sempre oscillano fra l’illusione e la disperazione. Pare essere alle viste una grande offensiva delle Forze democratiche siriane, cioè curdi e arabi armati e sostenuti dal Pentagono, supportati dall’aviazione della coalizione a guida statunitense, contro Raqqa, la capitale dell’Isis. Pare che i russi abbiano concesso una tregua ai ribelli per incoraggiarli a staccarsi da Jabhat al Nusra e che vogliano unirsi all’offensiva contro Raqqa, ma gli americani hanno risposto “niet”. 
Intanto i turchi ritornano all’attacco con la loro proposta di creare una zona di non sorvolo e di protezione umanitaria all’interno del territorio siriano, garantita dalla Nato: la questione dei profughi è un puro pretesto, Erdogan vuole poter occupare fette di territorio siriano con l’approvazione della comunità internazionale o almeno di arabi e occidentali. 
I siriani come padre Ibrahim guardano con scetticismo a questi sviluppi. Ma soprattutto con una certezza di fede che spiazza l’interlocutore: «La soluzione dei nostri problemi non verrà dalle mani degli uomini, ma per intervento divino. Abbiamo fiducia nella preghiera nostra e vostra. Il futuro è avvolto nella nebbia, tanti pensano di emigrare, noi restiamo per la forza della fede».

Finiti i soldi ne arrivano altriLa parrocchia di san Francesco ad Azizieh è diventata un centro di resistenza umana non solo per le 600 famiglie di parrocchiani latini rimaste in città, ma per tutte le 12 mila famiglie cristiane ancora presenti e per i musulmani sfollati nei quartieri a maggioranza cristiana a causa della guerra. Che si tratti del pacco alimentare, delle sovvenzioni per l’acquisto di medicinali o di carburante per i generatori, dell’accesso all’acqua dei pozzi quando si interrompe l’erogazione di quella della rete cittadina, dell’oratorio estivo, del catechismo, dei gruppi di studio per gli alunni delle superiori e universitari, del té delle cinque per le signore nel cortile della parrocchia, delle visite ai malati, agli anziani, ai feriti e ai poveri («più del 90 per cento di tutti i nostri parrocchiani vive sotto la linea della povertà», dice padre Ibrahim), la parrocchia latina è diventata punto di riferimento per tantissimi aleppini in cerca di aiuto e di calore umano nella città semideserta e impoverita. Per arrivare a questo ci voleva il coraggio dei frati di restare, la capacità di intrecciare rapporti coi donatori in Europa, le qualità pastorali appropriate per una situazione limite come quella di una guerra che va avanti per anni senza che se ne intraveda la conclusione all’orizzonte.
Tutto questo non poteva condensarsi senza una maturazione di fede. Questo è ciò che il francescano spiega: 
«Ad Aleppo siamo circondati dal male, ne facciamo esperienza quotidianamente e questo male ci spaventa. Ma proprio l’azione di questo male per reazione produce in noi il bene. La nostra natura spirituale, colpita dal male, genera il bene. Nel momento in cui ci affidiamo a Dio, Lui agisce in noi attraverso il suo Spirito, ci dona la carità, e la carità ci insegna cosa fare, ci spinge oltre i nostri limiti, ci permette di affidarci alla Provvidenza. Faccio un esempio: all’inizio io avevo molto paura di spendere il denaro che mi era stato affidato, temevo di sbagliare, di restare senza, di non poter affrontare emergenze future. Quando mi sono fidato della Provvidenza, e ho svuotato le mie tasche del denaro che c’era, e ho speso come un incosciente, allora ho fatto esperienza della Provvidenza: abbiamo risposto ai bisogni, è arrivato altro denaro a prendere il posto di quello che non avevamo più, e la cosa è andata sempre crescendo. Quando leggo le cifre dei soldi che abbiamo ricevuto e speso in questi mesi, mi spavento. Mi chiedo come abbiamo fatto e come facciamo a continuare così. Mi rispondo: affidandoci allo Spirito Santo. Questo fa sorgere in noi la carità, che è virtù coraggiosa, e la carità rende presente il Regno di Dio qui e ora, in mezzo all’inferno e al purgatorio della Aleppo di tutti i giorni: famiglie rimaste senza casa, persone fatte a pezzi dalle bombe, gente che impazzisce, gente che soffre per la povertà o per le ferite». «Siamo riusciti a fare cose che gli enti istituzionali non riuscivano più a fare, a intervenire tempestivamente laddove le Ong ci mettevano mesi perché ponevano condizioni e avanzavano pretese che si possono soddisfare soltanto avendo a disposizione molto tempo. Ma nel frattempo tanti sarebbero morti, se noi non ci fossimo buttati subito».

sabato 4 giugno 2016

Germania riconosce Genocidio Armeno, quartiere armeno di Aleppo devastato


 Poche ore dopo il riconoscimento da parte del Parlamento tedesco del genocidio armeno , 4 cittadini siriani armeni sono morti a causa dei bombardamenti con dei missili dei ribelli nella città di Aleppo sul quartiere Midan (armeno).






Distruzioni ingenti della 'Chiesa della Gioia',
 della scuola elementare appartenente al vescovado armeno  e di appartamenti.

Si contano 4 martiri:  Vasken Jabaghjourian, Hovsep Janissian, Khatchik Abolabotian, siriani armeni, nonché almeno 16 feriti....
La zona della chiesa armena è stata colpita da 4 missili.
In chiesa c'erano 200 persone, soprattutto donne e qualche bambino.

Si sono rifugiati dapprima sotto la chiesa e poi sono usciti 20 per volta per tornare a casa.

Due piani della scuola sono stati distrutti.



martedì 31 maggio 2016

Giornata mondiale di preghiera con i bambini della Siria: Bambino Gesù, donaci la pace!

La Giornata Internazionale del Bambino – ha detto il Papa – sarà in Siria l’occasione, mercoledì prossimo, per una speciale preghiera che unirà le comunità cattoliche ed ortodosse:  “Vivranno insieme una speciale preghiera per la pace che avrà come protagonisti proprio i bambini. 
I bambini siriani invitano i bambini di tutto il mondo ad unirsi alla loro preghiera per la pace."
PiccoleNote,  30 maggio 2016

Per il primo giugno, nella giornata internazionale del bambino, i patriarchi e i vescovi cattolici e ortodossi della Siria hanno chiesto ai bambini del loro Paese di unirsi in preghiera perché sia concesso al loro Paese il dono della pace.
Una iniziativa promossa dalla Chiesa che soffre, che domenica papa Francesco ha invitato ad accogliere e ad accompagnare con la nostra, certo più povera, preghiera.
Bello che come “patrono” di tale momento di preghiera sia stato scelto il bambino Gesù che con una mano regge il mondo e con l’altra lo benedice (nel caso specifico la statuetta di Praga). Quel bambino Gesù che, come i bambini siriani, ha voluto farsi inerme nonostante la sua onnipotenza. E come loro ha conosciuto l’odio del mondo, tanto da dover essere riparato da Maria e Giuseppe, esule, in Egitto.
Una preghiera bambina alla quale così, di lontano, possiamo partecipare per grazia anche noi, poveri peccatori. Di fronte alla potenza del mondo, tale iniziativa palesa tutta la sua inermità. 
  Che però può dire, con le parole di papa Benedetto XVI: Signore «ti ringraziamo per la tua bontà, ma ti preghiamo anche: mostra la tua potenza».
Marmarita

1° Giugno 2016: I Patriarchi della Siria lanciano 

un appello ai nostri bambini:

" La giornata internazionale dell'infanzia è celebrata il 1° Giugno, al fine di promuovere la dignità e i diritti del fanciullo. La dignità speciale dei bambini è al centro del messaggio cristiano. Gesù ha benedetto i bambini, li ha stretti al suo cuore, e ha promesso il regno dei cieli alle persone che assomiglino loro. Il Salvatore stesso è venuto al mondo come un bambino indifeso che ha dovuto subire la povertà, la persecuzione e l'esilio.

Nel nostro paese, la Siria, i bambini sono i fratellini e le sorelline di Gesù bambino che soffre. Da più di 5 anni essi sono feriti, traumatizzati, uccisi da una guerra crudele. Molti hanno perso i loro genitori e tutto ciò che era loro caro. Tanti bambini sono nati durante la guerra e non hanno mai conosciuto la pace. Le loro lacrime e le loro sofferenze gridano verso il cielo.
Ecco perché i bambini cristiani di molte città della Siria ( Damasco, Aleppo, Homs, Tartus, Marmarita ) vogliono unirsi il 1° giugno nella preghiera in questa "giornata internazionale del bambino" e pregare insieme perchè la pace si stabilisca, finalmente. 
Noi, patriarchi cristiani di Siria, vorremmo invitarvi tutti a partecipare a questa preghiera. "

Il 1° Giugno, a mezzogiorno, per favore pregate in comunione con i bambini della Siria:
O Cristo, re dell'universo,
Ti chiediamo di benedire I bambini della Siria.
Tu che sei l'unico a poter portare la pace,
Ti supplichiamo:
Proteggi e salva i bambini di questo paese!
Esaudisci ora le nostre preghiere!
Non indugiare più a lungo a offrire la pace al nostro paese!
Guarda le lacrime dei bambini,
Asciuga quelle delle loro madri,
Fa' infine cessare le grida di dolore.
Amen


«Speriamo che questa azione non finisca finché brilli la luce della pace», affermano i vescovi siriani.  In particolare i bambini nelle scuole e nelle parrocchie del mondo intero sono invitati a partecipare ad incontri di preghiera per i loro coetanei in Siria.

lunedì 30 maggio 2016

La UE conferma le sanzioni: una misura disumana.


Come prevedibile, il 27 maggio 2016, Il Consiglio dell’Unione Europea ha prorogato le sanzioni alla Siria. Sanzioni che, come ribadito nell’Appello  degli esponenti cattolici della comunità siriana,  
..hanno contribuito a distruggere la società siriana condannandola alla fame, alle epidemie, alla miseria, favorendo l’attivismo delle milizie combattenti integraliste e terroriste che oggi colpiscono anche in Europa” (...) “Non solo:  la retorica sui profughi che scappano dalla guerra siriana appare ipocrita se nello stesso tempo si continua ad affamare, impedire le cure, negare l’acqua potabile, il lavoro, la sicurezza, la dignità a chi rimane in Siria...”

A sostegno di questo Appello, lanciato il 15 maggio 2016, si è costituito un Comitato,  che ha trovato  l’adesione del Premio Nobel per la Pace Mairead Maguire, e che ha raccolto, oltre a migliaia di firme, mozioni di parlamentari italiani.
Un appello che non ha trovato eco sui grandi media italiani oltre ai siti cattolici, e che ha evidenziato il paradosso di un’Europa che obbliga con le sanzioni il popolo siriano ad abbandonare la propria terra salvo poi piangere lacrime di coccodrillo sulle centinaia di migliaia di profughi siriani che approdano sul nostro continente.

Resta il grande sconcerto per una misura disumana rinnovata in maniera automatica, senza una riflessione adeguata, senza un dubbio riguardo a un possibile attutimento "umanitario" delle restrizioni. Senza soprattutto un dibattito alto, come richiedeva una situazione tanto drammatica.
Una decisione oscura presa, tra l’altro, senza tenere nella minima considerazione il fatto che la crisi siriana, da quando le sanzioni sono state varate, ha conosciuto sviluppi, che pur nella precarietà e nelle tragiche ambiguità, hanno portato a una cessazione delle ostilità. 
E’ sconcertante che quanti spingono, a parole, per una soluzione negoziale del conflitto, non tengano in alcun conto le sofferenze del popolo siriano, come non fosse  questo il motivo fondante di tali sforzi diplomatici,
Date le sanzioni, i siriani, tra cui tanti bambini, continueranno a morire per mancanza di medicine, a subire le conseguenze della denutrizione e degli stenti, a non poter vedere alleviate le loro sofferenze dalle organizzazioni umanitarie e dai sostenitori delle realtà caritative attive In Siria. E ciò avviene proprio quando, per tragica ironia, a Istanbul si è tenuto un vertice umanitario per dare risposta alle sofferenze del mondo...
Noi continueremo a esserci e a sostenere tutte le iniziative volte a porre fine a questa guerra feroce che da cinque anni sta divorando la Siria.  E a tentare di dar voce a quanti questa voce non l’hanno.
Il loro grido disperato, che l’Occidente non vuole ascoltare, ci conforta nel fatto di essere dalla parte giusta della storia. Quella che prima o poi giudicherà quanti, in Occidente come altrove, stanno anteponendo i loro interessi geostrategici al diritto alla vita di un intero popolo.
Ora pro Siria



 L'Arcivescovo Marayati: soffrirà il popolo, non chi comanda. E c'è chi non vuole che la guerra finisca

Agenzia Fides 28/5/2016

"La proroga di un anno delle sanzioni contro la Siria di Assad, disposta ieri dal Consiglio dell'Unione Europea (UE), rappresenta l'ennesima espressione “di una politica incomprensibile, che ci sconcerta. Perchè le sanzioni fanno male al popolo, ai civili, alla povera gente. Non certo al governo e nemmeno ai gruppi armati, che come si vede sono ben riforniti di tutte le risorse, e usano armi sempre più sofisticate”. Così l'Arcivescovo Boutros Marayati, alla guida dell'arcieparchia armena cattolica di Aleppo, commenta la decisione presa ieri dall'Unione Europea di prorogare fino al primo giugno 2017 le sanzioni imposte a una nazione dilaniata da cinque anni di conflitto. 

Nelle scorse settimane, anche l'Arcivescovo Boutros aveva sottoscritto l'appello/petizione lanciato sulla piattaforma change.org con cui numerosi Vescovi, religiosi e consacrati cattolici, appartenenti a diverse Chiese sui iuris, chiedevano all'Unione Europea di porre fine alla “iniquità delle sanzioni alla Siria” (vedi Fides 17/5/2016). 
“Sappiamo bene che nessuno ci dà retta. Così la gente continua a soffrire. Anche ieri - racconta all'Agenzia Fides mons. Marayati - è stata bombardata la nostra casa di anziani armeni. E' morta una lavoratrice che si prendeva cura di loro, e abbiamo dovuto portar via 45 anziani, che adesso vivono in una sala sotterranea della parrocchia armena ortodossa. La situazione sta peggiorando. Dai quartieri in mano ai ribelli arrivano colpi d'artiglieria lanciati con armi più devastanti, che fanno più male dei colpi di mortaio di prima. Ad Aleppo la tregua non regge. Si moltiplicano gli attacchi da una parte e dall'altra. E noi siamo sotto il fuoco dei gruppi jihadisti”. 

Vista dalla frontiera di Aleppo, anche la decisione europea conferma le intuizioni da tempo avvertite da molti Vescovi e pastori della regione: “Se la guerra continua - ripete a Fides l'Arcivescovo Boutros Marayati - vuol dire che qualcuno non vuole che la guerra finisca. In Europa cresce l'ossessione per i profughi e si sperimentano nuove politiche di respingimento. Ma si dimentica che nessuno andrebbe via dalla Siria, se non ci fosse la guerra e anche le sanzioni che contribuiscono a affamare la gente. La Siria è sempre stata un Paese che i profughi li accoglieva. Se le armi tacessero, e se le sanzioni fossero tolte, nessuno di qui penserebbe a scappare per andare a vivere sotto la neve. Ma è evidente che qualcuno non vuole che questa guerra finisca. Chiediamo la preghiera di tutti, affinchè arrivi la pace, come una grazia del Signore”. 

venerdì 27 maggio 2016

"Dice di volere il bene del popolo siriano e invece ..."

Giunge oggi la notizia della decisione dell'Unione Europea di rinnovare le sanzioni contro la Siria per un altro anno. Riportiamo l'intervista rilasciata qualche giorno fa dal Vescovo di Hassakè Behnan Hindo , come primo commento a tale scelta, che per altro comporta conseguenze inumane per il popolo siriano


Piccole Note, 24 maggio

Sono cinque anni che una guerra feroce tormenta la Siria. Una tragedia senza fine si è abbattuta sulla popolazione siriana, che le sanzioni imposte dalla comunità internazionale strangolano ancora di più. «E le organizzazioni non governative e l’Onu invece di aiutarci, ci affamano», afferma monsignor Jacques Behnan Hindo, arcivescovo dell’eparchia siro-cattolica di Hassaké Nisibi, che la guerra in Siria la vede da vicino.

Lo incontriamo in una visita romana, ed è proprio su questo tema che inizia il suo dire: «L’Onu dovrebbe avere un ruolo istituzionale. Dice di volere il bene del popolo siriano e invece… basta pensare agli aiuti destinati ai siriani: le Nazioni Unite comprano merce fuori dal Paese per poi distribuirla sotto forma di aiuti umanitari. Un terzo dei finanziamenti destinati a questo scopo finiscono al personale Onu, altro si spende nel trasporto, molto costoso date le difficoltà della guerra. Se invece si comprasse merce siriana, che tra l’altro costa anche molto meno, si eviterebbero tante di queste spese, ma soprattutto si aiuterebbe il commercio locale, alleviando le sofferenza di un popolo su cui grava un’estrema povertà. Eppure si sceglie la strada più tortuosa, più costosa e meno efficace. Ci domandiamo perché…».

In fondo, anche questa discrasia è in linea con l’evanescenza dell’Onu riguardo la tragedia siriana, aggiunge monsignore, che ricorda con ironia le esternazioni «angosciate» di Ban ki-Moon a seguito delle stragi più efferate: «Parole, solo parole… è il nostro popolo a essere davvero “angosciato”, ma nessuno fa niente. Perché all’Occidente non interessa far finire questa guerra, dal momento che persegue i propri interessi, che poi sono in linea con quelli dell’Arabia Saudita, del Qatar e della Turchia».

Guerra per procura, quella contro Assad, che ha scatenato in Siria miliziani stranieri provenienti da ogni parte del mondo. Legioni che sono arrivate nel Paese sotto gli occhi complici dei servizi segreti di Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Italia, aggiunge monsignore. Ci sono anche dei siriani tra le fila dei miliziani, certo. Reclutati con un sistema di arruolamento antico ma sempre efficace: il libero esercito siriano paga 10.000 lire siriane al mese: al Nusra, la più terribile milizia jihadista (le cui stragi non hanno eco in Occidente) paga 25.000 lire, mentre Daesh, ovvero l’Isis, 50.000 lire.

Cifre astronomiche per i normali stipendi siriani, che hanno sedotto i cuori di tanta povera gente che così ha trovato l’America. Non solo i soldi: quando iniziò la cosiddetta primavera araba siriana, in un mese il Paese si riempì di armi, come racconta il presule, che accenna anche alle decine di migliaia di pik-up Honda bianchi, con tanto di mitragliatrice posizionata nel retro, arrivate nel Paese: veicoli nuovi fiammanti che qualcuno ha comprato e girato ai miliziani e che oggi fanno bella mostra di sé in tutto il Paese.

Quanto ai cosiddetti “ribelli moderati”, come sono chiamati in Occidente alcuni battaglioni di miliziani, monsignor Hindo è netto: semplicemente non esistono. I miliziani passano da un gruppo all’altro con estrema facilità, come anche le armi che l’Occidente fornisce ai loro protetti.

Guerra sporca, quella siriana, dove tutto è ribaltato e dove tutto è usato per uno scopo diverso da quello dichiarato. Anche il recente cessate il fuoco, spiega monsignore, è stato usato a scopo bellico: per rifornire di armi i jihadisti e per farne entrare di nuovi dai confini turchi: circa diecimila.

La sua regione, tra l’altro, vede anche l’attivismo curdo, che certo è diretto contro le bande terroriste, ma che ha le sue ambiguità. Monsignor Hindo spiega che i curdi sono arrivati negli ultimi decenni, da Iraq e Turchia, a seguito delle repressioni subite in quei Paesi. Oggi tale minoranza combatte una battaglia che non coincide con quella dei siriani, tanto che esiste una conflittualità latente tra curdi ed esercito siriano e una diffidenza di fondo tra questi e le popolazioni locali. Storie di un Paese frammentato, a tutto vantaggio dei costruttori di caos.

E dei costruttori di caos è la formula magica «scontro di civiltà», una formula usata da tempo per spiegare la nuova conflittualità globale, che vede il mondo dilaniato dal conflitto tra islamici e cristiani. Una narrativa che vede l’Occidente ergersi a difensore dei cristiani. «Non abbiamo bisogno di protettori – spiega monsignore -. Abbiamo solo bisogno di essere lasciati in pace… Piuttosto la smettano di alimentare questa guerra. Dalle crociate in poi, quando l’Occidente ha usato la difesa dei cristiani come copertura per i propri interessi, i cristiani del mondo arabo hanno sempre pagato un prezzo altissimo. È ora di finirla».

Gli chiediamo del dramma dei profughi, e della nuova propensione all’accoglienza (pur oggetto di controversia) dell’Europa. Anche su questo tema monsignor Hindo ha idee molto chiare: non gli piacciono le distinzioni con le quali si accompagnano tali proclami, ovvero un’accoglienza mirata ai soli cristiani. «Non si tratta di salvare i soli cristiani, ma tutti i siriani. Dio ha donato la sua creazione all’uomo, e si è abbassato a servirlo. Anche a noi è stato dato il compito di servire l’uomo, tutti gli uomini, non solo i cristiani».


martedì 24 maggio 2016

Partecipiamo al dolore di tutto il popolo siriano


Osservando quel che sta accadendo in Siria in queste ore, sarebbe legittimo aspettarsi un'indignazione almeno pari a quella degli attentati di Parigi e di Bruxelles, ma gli almeno 148 morti degli attentati perpetrati ad Aleppo, Latakia, Jableh, Tartous (che non sono 'roccaforti del regime' ma città plurietniche e recentemente rifugio di sfollati interni da luoghi invivibili), come pure il massacro della scorsa settimana degli inermi cittadini di al-Zara, non toccano le nostre coscienze allo stesso modo.

Del resto, perché aspettarselo?  Questo Occidente così attento ad occuparsi di pseudodiritti e a fare astratti proclami sulla pace e sulla fratellanza, non si accorge che tanta gente muore proprio per i propri errori e la propria insipienza nella gestione di questa guerra tra i Siriani e il resto del mondo.
Si ribadisce, anche nel documento  emesso ieri dal Consiglio Europeo, che si tratta di 'guerra civile' e che c'è un regime “che perpetra attacchi contro il suo stesso popolo”, ma quello che è sotto gli occhi di tutti è altro: c' è il Male che ormai è incontenibile, basti pensare al martellamento costante dei mortai dei terroristi sui quartieri cristiani di Aleppo, ai due missili jihadisti sulla casa di riposo per anziani nel Collegio di Terra Santa dei Francescani, alle 7 autobombe detonate da suicidi assassini, alla donna che fingendosi incinta ricorre al pronto soccorso e si fa esplodere.... 

Questo Male in ogni caso non nasce per una guerra di liberazione e aneliti di giustizia da parte di un popolo vessato e schiacciato da 'un regime criminale'. 
Come sovente denunciato da Patriarchi e Vescovi siriani, nasce per disegni geopolitici che sono altrove, calcoli e progetti che hanno favorito la nascita di Daesh e dei mille altri gruppi più o meno 'moderati', ma accomunati nel loro progetto di conquista e sottomissione e la conseguente estromissione dei Cristiani dalla Siria e dall'Iraq.

Davanti a tutto questo ci si aspetterebbe da parte della UE un soprassalto di coscienza che lenisca le sofferenze della popolazione siriana, abolendo le sanzioni comminate alla Siria già da 5 anni. Lo vorremmo con tutto il cuore ma non ci speriamo. La politica UE semplicemente non esiste, e la UE ed i suoi "governanti" forse si limitano ad eseguire ordini...
  In questo quadro tragico e oscuro, i cristiani continuano a ribadire cosa ci si aspetta dall'Occidente.  Questi pastori continuano a restare tra la propria gente adoperandosi in ogni modo per costruire un Medio Oriente più umano, più giusto, rispettoso e comprensivo delle identità.

Un lavoro incessante che ci verrà testimoniato anche in questi giorni da Fra  Ibrahim Alsabagh, Parroco nella parrocchia di San Francesco ad Aleppo, nel suo giro di testimonianze in Italia ( calendario in aggiornamento alla pagina Appuntamenti e Incontri ..... )
la Redazione di Ora pro Siria 

Fra Ibrahim: L’attacco al Collegio francescano per colpire civili, seminare caos e terrore

L’obiettivo dei missili “era proprio quello di centrare la zona in cui sorge” il Collegio di Terra Santa, nei pressi del quale vi è anche “una caserma per giovani reclute” dell’esercito governativo. I gruppi jihadisti “vogliono colpire la popolazione e seminare il panico fra la gente”. Così p. Ibrahim Alsabagh, 44enne francescano, guardiano e parroco della parrocchia latina di san Francesco ad Aleppo, la “capitale del Nord” della Siria da settimane teatro di violenti combattimenti, descrive ad AsiaNews l’attacco al Collegio di Terra Santa ad Aleppo. È un messaggio in puro “stile terroristico”, avverte il sacerdote, in cui si vuole “colpire gli innocenti per lanciare un messaggio: o con noi jihadisti, altrimenti è la morte”. È evidente il proposito di alimentare “caos e terrore” fra la popolazione, “terrorizzando la gente: o con noi, oppure facciamo fuori tutti. E colpiscono gli innocenti prima dei militari”. 
La sera del 21 maggio scorso due missili lanciati dai jihadisti hanno colpito il Collegio di Terra Santa dei francescani ad Aleppo, causando un morto e due feriti gravi tra gli anziani che si erano rifugiati in questo luogo. La vittima, racconta il sacerdote, “è una donna di 94 anni che aveva cercato accoglienza” nel centro, per “sfuggire alle violenze della guerra”. Anche le altre due persone ferite “sono due donne, di circa 80 anni, ospiti” della Casa di riposo del Collegio dopo aver abbandonato nell’aprile 2015 il Centro di San Vincenzo de Paoli “quando è finito sotto attacco”. “Le anziane pensavano di essere al sicuro - commenta p. Ibrahim - e di morire in pace all’interno della Custodia, ma non è stato così”. 
Finora il centro, la scuola e il grande parco che la circonda erano stati uno dei luoghi più sicuri della città, risparmiati almeno in parte dalla violenza cieca di una guerra che ha causato in cinque anni 280mila morti. Nel Collegio vivevano una ventina di persone anziane che avevano le loro case bombardate. Era considerata “la zona quasi più sicura di Aleppo”, dove in cinque anni “erano caduti solo due o tre” razzi, prosegue p. Ibrahim, su un terreno “molto grande che prima fungeva da scuola” ed era “la più prestigiosa” di tutta la città. Nel tempo i militari governativi hanno requisito una parte per “costruire una caserma per giovani reclute”; tuttavia la zona “continuava a essere considerata tranquilla”, una sorta di “polmone verde di Aleppo”, l’unico spazio in cui le famiglie “potevano riunirsi e far respirare aria buona ai bambini”.  Un posto, aggiunge il sacerdote, dove andare per fare un campeggio, in cui “avevamo avviato lavori di restauro” per “accogliere” altre famiglie della città. Ad Aleppo i francescani hanno tre centri: la parrocchia san Francesco d’Assisi, colpita una volta, il convento di Er Ram, colpito già cinque volte, e il collegio di Terra Santa. “Ora - racconta p. Ibrahim - non vi è un solo centro ad essere stato risparmiato dalle bombe e dai missili”.
Nell’ultimo attacco i jihadisti hanno usato “un missile di un metro e mezzo”, non un semplice colpo di cannone, a conferma “della crescita del potenziale bellico” a disposizione dei movimenti estremisti filo-islamici. Il loro obiettivo, avverte il sacerdote, è colpire “le aree di Aleppo ovest” [sotto il controllo governativo], dove “si trovano le comunità cristiane”. 
Oggi, intanto, due città costiere siriane, Tartus e Jableh, nella provincia di Latakia, sulla costa mediterranea, roccaforte del governo di Damasco, sono state teatro oggi di una serie di attentati in simultanea, che hanno provocato almeno 100 morti, e oltre 120 feriti. Dietro gli attacchi vi sarebbero i miliziani dello Stato islamico (SI), che hanno rivendicato la carneficina attraverso l’agenzia di stampa Amaq, vicina al movimento jihadista. Obiettivo delle violenze gli “assembramenti di alawiti” delle due città; si tratta della stessa confessione islamica, minoritaria nel Paese, di cui fa parte anche lo stesso presidente siriano Bashar al-Assad.
La zona colpita, racconta p. Ibrahim, non vi sono solo alawiti ma pure cristiani, sunniti, sciiti. E poi vi è anche “la base russa sul Mediterraneo”, ecco perché questi attacchi sembrano più “un messaggio a Mosca che a Damasco”. I miliziani vogliono far capire che “possono arrivare dappertutto e seminare il caos”, grazie anche ad armi “sempre più sofisticate” a disposizione. Il dramma, conclude il sacerdote, è che “a pagare il prezzo”, degli attacchi bomba come dell’embargo e delle sanzioni, è sempre “la povera gente innocente”.