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lunedì 25 maggio 2015

"Ci vogliono morti, ma noi rimarremo qui, con la nostra gente": voce unanime dei religiosi da Damasco e da Aleppo


Intervista a don Alejandro Leon, salesiano di Damasco


Don Alejandro si occupa di un centro giovanile a Damasco e come tutti i religiosi di Siria è in mezzo ai suoi fedeli anche in queste ore difficili in cui i miliziani di Isis sembrano avvicinarsi minacciosamente alla capitale.

ilsussidiario.net. 

Don Leon, lei conosceva di persona il sacerdote rapito, padre Murad?
Non di persona, ma il suo nome era noto. Il suo prodigarsi per i suoi fedeli e non solo era ben noto in Siria.

Ha idea di chi ci sia dietro a questo rapimento?
No, non ho idea, ma in Siria non vengono rapiti solo i preti, i cristiani siriani rischiano la vita ogni giorno, siamo tutti in pericolo allo stesso modo. E' una situazione di pericolo, la nostra, che vive tutto il popolo.

Dopo la caduta di Palmira la situazione è ancora più difficile. La gente fugge di casa?
Sì, tanta gente fugge. Tutto il nord, tutta la zona di Aleppo è nelle mani dell'Isis e tutti sappiamo cosa fa questa gente quando conquista una città, uccide e fa violenze terribili. Quando si avvicinano a un villaggio è logico che la gente fugga, ha paura di essere uccisa. 

Adesso si sono avvicinati ulteriormente a Damasco. Come vivete questa situazione?
Con tanta paura. Ci sono sempre più missili che arrivano sulla città, armi sempre più potenti, i miliziani dispongono, è evidente, di armi nuove e sempre più distruttive. 

Il rapimento di padre Jacques che si era rifiutato di lasciare la sua comunità, riporta in primo piano la testimonianza di voi religiosi in Siria.
Non è nulla, è il minimo che possiamo fare. Quella che voi chiamate testimonianza da parte di noi religiosi in Siria, è solo il minimo che possiamo fare, è un obbligo con la nostra coscienza di religiosi, con l'impegno che abbiamo preso. Come cristiani prima che come religiosi, noi rimarremo qui, con la nostra gente. 

Vi sentite abbandonati dall'occidente?
Sappiamo che c'è tanta gente che ci accompagna, con la preghiera e l'aiuto economico, tante persone preoccupate per noi, ma da voi in occidente c'è anche tanta disinformazione, tanta manipolazione delle notizie.

In che senso?
Chi ha il potere in occidente manipola l'informazione e non dice la realtà di quello che succede qui. 

Cosa vorreste che si dicesse?
Semplicemente la verità: che i governi occidentali continuano ad appoggiare e aiutare la gente sbagliata.

Intende che l'occidente avrebbe dovuto appoggiare Assad?
Esattamente, con lui la situazione non era certo questa, la libertà religiosa era rispettata. I governanti occidentali dovrebbero togliere le sanzioni contro di lui, ad esempio.

Come vivono i cristiani di Damasco questa situazione?
Non è uguale per tutti, non tutti sanno vivere queste prove che sono molto forti. Il centro giovanile di cui mi occupo ospita circa 650 ragazzi e non c'è uno di loro che non abbia perso almeno un parente o un vicino di casa. Tutti sono toccati dalla guerra e c'è chi vive crisi di fede. Ma in generale questa situazione ci ha spinti a essere più autentici, a cogliere maggiormente l'essenziale, che vuol dire Cristo. Tanta gente soffre duramente, ma la comunità cristiana adesso ha una fede più forte, il sentimento che prevale è la testimonianza di fede del popolo che è molto forte. 

Cosa vorrebbe dire ai cristiani d'occidente?
Io ringrazio di cuore tutti, perché so che tanta gente con la preghiera e gli aiuti che ci possono inviare sono con noi. Ma bisognerà che questa testimonianza, anche se so che è molto difficile, questo sentimento popolare arrivi a chi ha il potere.
 I vostri governanti appoggiano la parte sbagliata, continuano a vendere armi o a comprare il petrolio di contrabbando perché più economico. Qualcuno in occidente lo compra e questi sono soldi che servono per uccidere i cristiani di qui. Se il vostro popolo facesse la voce più forte per noi sarebbe una grande cosa.



Antoine Audo SJ, Vescovo caldeo di Aleppo: 

a orchestrare l’espulsione dei cristiani dal Medio Oriente sono i Paesi della regione da sempre allineati con l’Occidente


VATICAN INSIDER, 
Intervista di gianni valente

«Forse rimarremo in pochi. Ma rimarremo. Anche se ci imporranno di pagare la Jizya, la tassa di sottomissione». È vescovo nella città martire di Aleppo, il gesuita Antoine Audo. E vescovo della Chiesa caldea, la comunità cattolica orientale più decimata dall'emorragia di fedeli innescata dalle convulsioni mediorientali degli ultimi decenni.


Lei ha detto che nei conflitti in Medio Oriente c'è chi usa anche le sofferenze dei cristiani per nascondere le dinamiche reali delle guerre.
L'allarme ricorrente sui cristiani perseguitati può essere letto da almeno due punti di vista.
In certi ambienti c'è una propaganda intensa che punta a aumentare la paura indistinta dell'Occidente nei confronti dell'islam, per suscitare la spinta emotiva popolare e così giustificare un maggior controllo sugli ambienti musulmani, soprattutto in Europa.
Dall'altro, ci sono Paesi della regione che con il loro islam wahhabita e l'ansia di rivalse storiche verso la cristianità non riescono a sopportare nemmeno l'idea di una presenza dei cristiani in Medio Oriente. Queste due logiche, per paradosso, si sostengono l'una con l'altra, e convergono fatalmente nello spingere i cristiani fuori da tutta la regione. In Siria non era così. E anche adesso è falso presentare il conflitto siriano come una guerra tra cristiani e musulmani. Ma è questo il messaggio che vogliono far passare, perché fa comodo a tutti.

Il tema della persecuzione dei cristiani viene strumentalizzato nelle strategie geopolitiche?
I Paesi che ho citato sono gli unici che si muovono nella prospettiva di “ripulire” il Medio Oriente dai cristiani autoctoni. Il wahhabismo poi collega il cristianesimo alla modernità, all'eguaglianza dei diritti e al principio di cittadinanza. Tutte cose che loro rifiutano.
Eppure proprio quei Paesi sono gli alleati storici dell'Occidente nella regione. E i circoli occidentali che fanno propaganda e mobilitazione permanente sul tema della persecuzione dei cristiani si accordano splendidamente con la loro strategia. E intanto usano il tema della persecuzione dei cristiani per spingere le loro opinioni pubbliche a giustificare i loro nuovi interventi armati nella regione e aumentare la paura verso gli islamici.
Dicono che le guerre servono per difendere i cristiani. Così cercano di motivare la loro presenza nella regione. Una cosa che non era successa ai tempi delle guerre nel Golfo, quando Papa Wojtyla non aveva dato nessuna sponda a chi voleva presentare gli interventi a guida Usa come nuove Crociate.

Però anche capi delle Chiese cristiane d'Oriente hanno applicato alle sofferenze attuali dei cristiani la definizione di “genocidio”.
Certe affermazioni vanno messe nel contesto del Centenario del Genocidio degli armeni e del Genocidio assiro. In molti siamo ancora segnati da quelle vicende. Anche il mio bisnonno è morto in Turchia in quei massacri, e il resto della famiglia si salvò trovando rifugio a Aleppo. Ci viene spontaneo parlare di Genocidio, anche esagerando. Ma un modo per dire che abbiamo paura. Temiamo che possa riaccadere quello che abbiamo già visto accadere.

Servono a qualcosa le mobilitazioni, o le richieste di interventi internazionali?
Per quattro anni ho ripetuto instancabilmente che l'unica via d'uscita era la soluzione politica del conflitto, che potesse aprire la via alla riconciliazione. Ma ora mi sembra sempre più chiaro che c’è una agenda per distruggere il Paese, spezzettarlo su base settaria senza mettere in conto la permanenza dei cristiani, che devono solo andare via. Questo è il messaggio che ci arriva adesso.

Domenica 24 maggio, una bomba ha colpito l'Arcivescovado siro-ortodosso di Aleppo, danneggiando la preziosa biblioteca del Vescovo Mar Gregorios Yohanna Ibrahim, rapito il 22 aprile 2013 (foto Jamil Diarbakerli)

Stavolta, come ne uscirete?
Come Chiesa faremo di tutto per rimanere. Anche se dovessimo vivere sotto il potere dei jihadisti e pagare la Jizya, la tassa di sottomissione. Quelli che vogliono partire, partiranno. Ma un piccolo gruppo resterà. I vecchi, i poveri, i sacerdoti, i religiosi. Continueremo in ogni modo a confessare la nostra fede nel nostro Paese, nella condizione data. Anche se si consolidasse il regime del Califfato. Rimarremo lì, e vedremo cosa succede. Possiamo provare a trovare una soluzione, un modo per andare avanti, come abbiamo già fatto nella storia. Non è la prima volta. Questo è il mistero della Chiesa, che nel mondo rimane inerme. E la sua forza non consiste mai negli interventi e nei sostegni esterni. 

Ci sono organizzazioni che aiutano i cristiani a andar via. E il Patriarca caldeo è da tempo in conflitto con alcuni preti che sono emigrati in America senza il consenso dei superiori, dicendo che erano minacciati di morte certa.
Io rispetto le famiglie che hanno i bambini e vanno via. Non dirò mai una parola, un giudizio non benevolo su chi va via perché vuole proteggere i suoi figli dalle sofferenze. Ma per i sacerdoti è diverso. Chi ha delle responsabilità nella Chiesa e va via, lo fa perché sceglie la soluzione più comoda. Se poi si giustifica presentandosi come vittima della persecuzione, questo è anche oltraggioso nei confronti dei veri perseguitati.

sabato 23 maggio 2015

DAL CUORE DELLA SIRIA , INERME , UNA PREGHIERA



La situazione in Siria sta peggiorando. Noi cristiani ci sentiamo soli. Le parole non mi aiutano ad interpretare tutto ciò che sentiamo veramente. Ora sto comprendendo cosa vuole dire vivere da vero cristiano, vero fedele di Gesù risorto. Ora sento lo stesso sentimento dei primi cristiani, che erano cosi pieni di fede nonostante le forti persecuzioni. Vedo la fede in Cristo risorto più forte di prima tra la gente, anche se qualcuno quella fede l’ha persa completamente”. 
Così inizia una missiva che ci è pervenuta dalla Siria, da Samaan Daoud, cristiano cattolico (di rito greco-melkita), ex guida turistica che la guida ora non fa più.

Una lettera che è testimonianza cristiana, ma nella quale c’è anche tutto lo scoramento di una situazione insostenibile: la guerra ha falcidiato vite, tante vite, e depauperato un popolo prima prospero. E oggi infuria più che mai, con l’Isis a 200 chilometri da Damasco. Oggi che i confini sono chiusi in una morsa di ferro perché le varie bande di tagliagole li hanno occupati tutti: da quello con la Giordania a quello con la Turchia, da quello con Israele a quello con il Libano (senza che tali Paesi li disturbino minimamente, per scelta o impotenza).
Siamo chiusi in una gabbia”, conclude sconfortato Samaan, che lamenta anche mancanze nei pastori della Chiesa, i quali non comprendono che l’unico desiderio della gente è scappare altrove e che il loro richiamo a restare in Patria, seppur motivato dall’importanza della presenza cristiana in Terrasanta, suona duro. E spesso non riescono a custodire il gregge loro affidato dal Signore come la gente si aspetterebbe (o forse sono semplicemente e totalmente inermi, esattamente come le loro pecore).
Stiamo per diventare legna da ardere per alimentare il fuoco di questa guerra assurda”, conclude Samaan nella sua missiva, ricordando che il figlio più grande presto compirà 17 anni e dovrà arruolarsi anche lui e andare a combattere; per difendere la sua gente, i suoi, dai tagliagole che l’Occidente e le Monarchie del Golfo gli hanno scatenato contro. 
A combattere una guerra senza senso, perché il senso lo ha solo per quanti l’hanno scatenata e la alimentano in ogni modo.

Avevamo iniziato la Quaresima chiedendo ai nostri lettori preghiere e un sostegno economico (felicemente arrivato) per la popolazione siriana. Concludiamo questo periodo pasquale con queste righe che grondano conforto cristiano e insieme, angoscia. 
Sembra paradossale questa unione di opposti, ma certi paradossi appartengono alla grazia di Dio. Così che la vita cristiana scorre tra le tribolazioni del mondo e le consolazioni di Dio, come scrive sant’Agostino e come è evidente, splendente direi, nella lettera del nostro amico Samaan.

Da questa parte di mondo, inani spettatori di quanto si consuma di là del Mare Nostrum, non possiamo che partecipare di questo conforto e di questa angoscia con la preghiera e quei poveri gesti di carità che il Signore suggerisce e andrà a suggerire. 
Inermi di fronte allo scatenarsi delle forze demoniache. E non usiamo tale termine per qualche bizzarro bigottismo, ma perché l’agire dei tagliagole siriani – e iracheni – grondano, volutamente, di simbolismi satanici, come richiesto delle logge sataniche, non certo islamiche, che ne governano l’agire (quelli che sono di Satana, come da Apocalisse di Giovanni).
Inermi che però, come accade per Samaan e per i suoi, nostri fratelli nella fede, possono affidare le proprie pene e le proprie speranze – che abitano il cuore nonostante tutto – al Signore. E in questo mese di maggio, benedetto dalla recita del santo rosario, affidarsi in particolare all’intercessione della Madonna, la nostra Madre celeste, onnipotente per grazia come recita la supplica alla Madonna di Pompei.

venerdì 22 maggio 2015

Il rapimento di padre Jacques Mourad e l'orrore di Palmyra


Rapito padre Jacques Murad, della stessa comunità di padre Paolo Dall'Oglio

Agenzia Fides  22/5/2015

Homs 
 Il sacerdote Jacques Murad, Priore del Monastero di Mar Elian, è stato rapito da alcuni sequestratori che lo hanno prelevato dal Monastero sotto la minaccia delle armi. Secondo alcune fonti locali, contattate dall’Agenzia Fides, il sequestro sarebbe avvenuto lunedì 18 maggio, mentre altre fonti sostengono che il sacerdote è stato rapito nella giornata di giovedì 21 maggio. La notizia è stata confermata oggi dall’arcidiocesi siro cattolica di Homs, che ha chiesto a tutti i fedeli di invocare il Signore nella preghiera affinchè padre Jacques sia liberato e possa tornare alla sua vita di preghiera, al servizio dei fratelli e di tutti i siriani. Secondo alcune fonti locali, insieme a padre Jacques sarebbe stato prelevato dai rapitori anche il diacono Boutros Hanna. Ma tale indiscrezione non è stata al momento confermata dall’arcidiocesi siro-cattolica di Homs.
Secondo le prime ricostruzioni, il rapimento è stato realizzato da uomini armati giunti in moto al Monastero di Mar Elian. I sequestratori hanno costretto padre Jacques a mettersi alla guida della propria auto e, sotto la minaccia delle armi, gli hanno imposto di dirigersi verso una destinazione sconosciuta. 
Fonti locali consultate da Fides ipotizzano che dietro il rapimento ci siano gruppi salafiti presenti nella zona, che si sono sentiti rafforzati dai recenti successi dei jihadisti di al-Nusra e dello Stato Islamico in territorio siriano.
Padre Jacques Murad è Priore del Monastero di Mar Elian e parroco della comunità di Qaryatayn, 60 chilometri a sud est di Homs. L'insediamento monastico, collocato alla periferia di Quaryatayn, rappresenta una filiazione del Monastero di Deir Mar Musa al Habashi, rifondato dal gesuita italiano p. Paolo Dall'Oglio, rapito anche lui il 29 luglio 2013 mentre si trovava a Raqqa, capoluogo siriano da anni sotto il controllo dei jihadisti dello Stato Islamico. 
Negli anni del conflitto, la città di Qaryatayn era stata più volte conquistata da miliziani anti-Assad e bombardata dall'esercito siriano. Proprio padre Jacques, insieme a un avvocato sunnita, avevano assunto la funzione di mediatori per garantire che il centro urbano di 35mila abitanti fosse risparmiato per lunghi periodi dagli scontri armati. 
Nel Monastero sono stati ospitati centinaia di rifugiati, compresi più di cento bambini sotto i dieci anni. Padre Jacques e i suoi amici hanno provveduto a trovare il necessario per la loro sopravvivenza anche ricorrendo all'aiuto di donatori musulmani. 
Bastano questi pochi cenni a far intuire quale oasi di carità rappresenti il Monastero di Mar Elian per tutto il popolo siriano, massacrato da una guerra assurda, alimentata dall'esterno. 


Vive inquiétude après l’enlèvement d’un prêtre syrien près de HOMS

.....   « Alors que je lui proposais de quitter un moment Qaryatyan avec le rapprochement du DAECH il m’a répondu « comme prêtre et pasteur je ne quitterai jamais le lieu tant qu’il y a des gens, sauf si on ne chasse » nous confie-t-il .....


Se una colonna vale più di un uomo

In queste ore l'Isis compie massacri spaventosi nelle stesse aree, ma a quegli orrori ci stiamo abituando ....  Piangiamo per le pietre, ma non muoviamo un dito per gli umani. E forse per questo rischiamo di venir sconfitti.

Il Giornale, Ven, 22/05/2015
di Gian Micalessin 

Ormai c'indigniamo per una statua ridotta in briciole, ma rimaniamo impassibili di fronte ad una, dieci, cento teste umane mozzate. Un giorno storici e antropologi lo chiameranno, forse, il paradosso di Palmira.


Ma per il momento non è una sindrome antica o esotica. È solo una tragedia orribile e crudele. Pronta a compiersi. Sotto i nostri occhi. Sempre più avvezzi all'orrore. Sempre più indifferenti. Succede ora. Adesso. Mentre leggete questo pezzo centinaia di uomini in divisa e in abiti civili sono costretti ad inginocchiarsi davanti ai boia dello Stato Islamico. Quando avrete finito di leggere il loro urlo sarà solo un gorgoglio di sangue e fiato spento.
Succede a Palmira. Succede a poco più di duecento chilometri a est di Damasco. Lì sono entrati mercoledì notte i tagliagole del Califfato. Lì il Califfato ha creato la sua nuova roccaforte pronta a congiungersi in linea retta con Ramadi in Iraq e con Raqqa più a nord. Una roccaforte da cui avanzare verso Homs per stringere in una morsa implacabile Damasco e quel che resta della Siria di Bashar Assad. Mentre i militari governativi fuggivano, mentre i responsabili di musei e siti archeologici caricavano sui camion le ultime statue loro già rapivano e massacravano.
Samaan, l'amico cristiano compagno di tanti viaggi nella disgraziata Siria in guerra, me lo racconta al telefono. «Sono andati casa per casa. Quelli dell'Isis si sono fatti guidare dai jihadisti di Palmira. Si sono fatti indicare tutti quelli che collaboravano con il governo, con l'esercito o con le milizie. Un mio amico, uno che conoscevo da tanti anni, l'hanno decapitato subito assieme a una decina di altri civili e a tanti soldati. Gli altri attendono la sentenza della Corte islamica. Ma lo sappiamo tutti, per loro non ci sarà pietà. Tra poche ore anche le loro teste rotoleranno nella sabbia».
Palmira Samaan la conosce bene. Ci ha lavorato per anni come guida turistica. Ci ha portato migliaia di turisti italiani. A Palmira ha ancora tanti, troppi amici. «Non so neanche per chi preoccuparmi. A uno hanno già tagliato la testa, lo so per certo. Un altro è prigioniero e probabilmente verrà mandato a morte. Ma gli altri dove sono? Che fine hanno fatto? Non riesco a sentirli, i telefoni hanno smesso di funzionare. Non so più nulla di loro».
È la tragedia di Palmira. Quella vera. Quella di centinaia di migliaia di esseri umani inermi di fronte alla barbarie e alla crudeltà che avanza. Uomini e donne destinati alla morte o alla schiavitù. Certo l'antica «porta del deserto», la millenaria tappa della via della seta è anche un patrimonio dell'Unesco. È anche una distesa di reperti d'inestimabile valore. Non a caso per lei si è mobilitata la direttrice generale dell'Unesco, Irina Bokova, assieme a decine di intellettuali e artisti occidentali.
Eppure la tragedia vera, quella per cui nessuno qui in Occidente sembra più voler piangere, è quella dei suoi civili, dei militari colpevoli soltanto di averla difesa. Il loro destino è segnato. Nelle prossime ore le loro teste verranno passate a fil di coltello dai tagliagole con le bandiere nere mentre un lugubre e roco «Allah Akbar» consacrerà l'ennesima barbarie. È già successo a Mosul con yazidi e cristiani. Sta succedendo, sempre in queste ore, a Ramadi dove le vittime sono migliaia di civili e militari sciiti. Continuerà a succedere nelle prossime settimane e nei prossimi mesi ovunque arriverà la legge del Califfato.
Eppure questo nuovo mattatoio ci appare ormai un dettaglio, un appendice rispetto al destino di opere d'arte e siti archeologici destinati, come già successo a Ninive, Hatra e Nimrud a subire la furia distruttrice e iconoclasta dei fanatici di Allah. Solo questo ormai c'impressiona. Piangiamo per le pietre, ma non muoviamo un dito per gli umani. E forse per questo rischiamo di venir sconfitti.

giovedì 21 maggio 2015

padre Samir Khalil: per fermare l'Isis




ilsussidiario.net  mercoledì 20 maggio 2015
INT. Samir Khalil Samir


Dopo Ramadi, libereremo Baghdad e Karbala”. E’ l’annuncio di Abu Bakr Al Baghdadi in un video diffuso dai media dello stato islamico. In un video si mostrano le cartine dei nuovi territori irakeni ora controllati dall’Isis e si lodano i mujaheddin per le loro vittorie nella regione dell’Anbar, la cui capitale è Ramadi. Al Baghdadi aggiunge significativamente che la capitale irakena sarà conquistata contro “crociati e sciiti”. Per padre Samir Khalil Samir, gesuita egiziano e uno dei massimi studiosi del mondo islamico, “il progetto di conquista portato avanti dall’Isis è mondiale e per contrastarlo occorre un’iniziativa mondiale che coinvolga anche l’Iran”.

Che cosa ne pensa dell’ultimo annuncio del “califfo” Al Baghdadi?
E’ un proclama dal chiaro valore simbolico per rivendicare che l’Isis conquisterà il centro del mondo islamico. Baghdad ne è stata la capitale per cinque secoli, durante il grande periodo abbaside che va dal 750 al 1258. Non a caso il numero uno dell’Isis ha preso il nome di Al-Baghdadi, cui ha aggiunto Abu Bakr, cioè il primo califfo dopo Maometto. Karbala è inoltre la città santa degli sciiti che adesso governano l’Iraq.


Secondo lei quelle di Al Baghdadi sono solo farneticazioni?
Nei sogni di Al-Baghdadi l’intero islam sarà nelle sue mani, e il mio auspicio è che il mondo si svegli per fermare la realizzazione di questo progetto. L’idea dell’Isis è infatti conquistare Siria e Iraq per poi passare ad altri Paesi fino ad arrivare all’Europa, che agli occhi del califfato rappresenta il cristianesimo. Non a caso l’intera galassia fondamentalista chiama l’Occidente “i crociati”. Dopo avere sottomessi gli sciiti, l’Isis intende passare ai cristiani. Tocca a noi fare in modo che rimanga solo un sogno e che non si tramuti in realtà.


Che cosa si può fare in concreto?
Occorre una collaborazione globale per impedire che le grandi monarchie petrolifere sunnite, come Arabia Saudita e Qatar, continuino a fornire soldi e armi senza cui l’Isis non potrebbe continuare la sua guerra. Le armi maneggiate dei miliziani del Califfato sono state tutte fabbricate in Occidente. C’è un coinvolgimento globale, e si dovrebbe prenderne atto per dire “D’ora in poi non si fornisca una sola arma al Medio Oriente”. Occorre fare pressioni sui Paesi Arabi alleati degli Stati Uniti quali Arabia Saudita, Qatar e Dubai. Il progetto che l’Isis intende realizzare è mondiale, e la risposta deve essere dunque mondiale.


La prima mobilitazione intanto è stata quella delle milizie sciite legate all’Iran….
In questa risposta il coinvolgimento di Teheran è indispensabile. Contrariamente all’immagine diffusa in Occidente, l’Iran è un Paese piuttosto pacifico. Io lo ho visitato a lungo, sono stato anche invitato a Qom insieme agli imam. Gli sciiti non hanno una visione radicale dell’islam, sono molto più aperti e hanno una concezione della religione molto più mistica e filosofica rispetto ai sunniti.


Com’è la politica estera del presidente egiziano Al Sisi nei confronti dell’Isis?
La posizione del presidente Al Sisi è chiaramente contro i movimenti fondamentalisti e contro gli stessi estremisti come Isis, anzi è assolutamente agli antipodi. Lo ha dimostrato con l’attacco aereo contro le basi Isis in Libia dopo la decapitazione dei 21 copti. Il presidente Al Sisi e la maggioranza degli egiziani sono contrari al fondamentalismo islamico e buona parte del popolo non è con i Fratelli musulmani. Questi ultimi godono di un sostegno per il fatto di aiutare le classi più povere, dando loro da mangiare durante il Ramadan e offrendo loro assistenza medica.


La minaccia del Califfato è anche strumentalizzata da Al Sisi per usare la mano pesante in politica interna?
Può darsi che da parte di Al Sisi ci sia anche la volontà di giustificare la sua posizione agli occhi dell’Occidente. Fratelli musulmani e Isis sono però espressione della stessa tendenza, con la differenza che lo stato islamico è passato al terrorismo. Nello stesso movimento dei Fratelli musulmani c’è anche un gruppuscolo passato ad azioni terroristiche, e ciò è avvenuto anche nel 2013 dopo la deposizione di Morsi, quando persone armate uscite dalle moschee uccisero militari e civili. Alla base di Isis c’è infatti un’ideologia che è la stessa dei Fratelli musulmani.


In molti si sono chiesti se la condanna a morte di Morsi non sia stata una sentenza politica…
Non sono felice di questa condanna a morte, anche se i Fratelli musulmani rappresentano un grande pericolo per l’Egitto, e durante i dodici mesi della presidenza di Morsi lo hanno dimostrato. A un anno dalla sua elezione, 30 milioni di egiziani sono scesi per strada contro di lui e il popolo ha preso il potere per cacciare il presidente. Appena eletto con il 51,7% dei consensi, in un voto durante il quale sono avvenute delle manipolazioni, Morsi ha iniziato a islamizzare il Paese.


In che modo?
Ha nominato nove governatori per altrettante province, scegliendoli tutti tra i Fratelli musulmani. Uno di questi governatori al momento della nomina era in prigione per avere compiuto un attentato contro un autobus di turisti francesi, nel corso del quale erano morte più di 30 persone. Si è quindi islamizzata la tv, in un mese sono stati riscritti tutti i programmi scolastici per inserire il Corano in ogni materia e si è cambiata la Costituzione. Probabilmente alla fine la condanna a morte di Morsi, che personalmente non condivido, sarà cambiata in una sentenza all’ergastolo. Ma in questo verdetto del tribunale vedo soprattutto la decisione di esprimere un giudizio sul suo operato giudicandolo della massima gravità.


Come valuta invece la canonizzazione delle due suore palestinesi?
Queste suore erano due donne semplici, dedite alla preghiera e al lavoro. Anche questa canonizzazione ha un forte valore simbolico, perché esprime il fatto che il mondo arabo non coincide con l’Islam. La cultura araba precede l’Islam, tanto è vero che la maggior parte della Penisola Arabica prima di Maometto era cristiana. 

Oggi noi arabi abbiamo anche due sante e non soltanto dei terroristi. Quanto avvenuto in Vaticano è dunque un forte appello alla pace e alla riconciliazione, e dovunque in Medio Oriente ci sono dei cristiani questo è un aiuto e un fattore di progresso per l’intera società araba.
(Pietro Vernizzi)

http://www.ilsussidiario.net/News/Esteri/2015/5/20/ISLAM-Samir-per-fermare-l-Isis-l-occidente-parli-con-l-Iran/609832/



Sventola Bandiera Nera

Missioni Consolata, febbraio 2015
di Angela Lano
L'Islam e la guerra del Califfo. 
Dietro lo «Stato islamico» (Is - Islamic State)


Nessuna compassione per gli «infedeli»
L’islamismo radicale si sta diffondendo in molte regioni. Gli attori sono molti, ma oggi il principale si chiama «Stato islamico» (Is). Guidato dal califfo (autoproclamato) al-Baghdadi, l’Is si basa su alcuni concetti chiave: l’Islam è la soluzione e l’Is ne è l’unico vero custode; i paesi occidentali, guidati da miscredenti, sono responsabili dei problemi in Medio Oriente; i governanti locali sono agenti cooptati dall’Occidente. In queste pagine cercheremo di capire perché e come nasce l’Is. Tra alleanze cangianti e propaganda mediatica, le sorprese non mancano. 

Azioni di guerra, conquiste territoriali, decapitazioni, esecuzioni, rapimenti, violenze di ogni genere. L’islamismo radicale e conquistatore, si potrebbe dire «colonizzatore», si sta diffondendo nel Maghreb, nell’Africa subsahariana e in ampie regioni mediorientali, dalla Siria all’Iraq.
Il network di al-Qa‛ida (per comodità, d’ora in poi: al-Qaida) e le sue nuove filiazioni, comprese le antagoniste (come vedremo), stanno diventando un potentato, grazie alla conquista dei pozzi petroliferi in varie aree e alle armi ricevute dai paesi occidentali (Stati Uniti, Europa) e sunniti (Turchia, Qatar, Arabia Saudita).

In particolare, il 2014 è stato segnato dalle gesta del gruppo che, lo scorso giugno, ha annunciato la nascita dello «Stato islamico di Iraq e Siria»1 (Is, da Islamic State, come si legge anche in Dabiq, la rivista in lingua inglese e grafica moderna edita dall’organizzazione), e ha invitato al-Qaida e altri gruppi a stipulare un’alleanza per una «nuova era di jihad internazionale».
Quello attuale è un caso complesso di fondamentalismo, nel quale si mescolano religione (nella sua visione più oscurantista, arretrata e reazionaria), un uso sfrontato dei mezzi di comunicazione di massa (video, internet, social network, riviste come il già citato Dabiq), un ampio arsenale bellico, ingenti capitali provenienti anche dall’accaparramento delle fonti petrolifere, rabbia e aggressività verso l’Occidente invasore e «infedele» (kafir), odio settario contro le minoranza religiose e etniche, e contro gli apostati (kuffar e murtadin) musulmani (tutti coloro, cioè, che non condividono la linea politico-religiosa dell’Is), lotte interne, vendette e orgoglio sunnita dopo anni di dominazione sciita e alawita in Iraq e Siria, e altro ancora. Si tratta di un fenomeno aggressivo, spettacolare fino alla teatralità più macabra che riscuote successo sia nel mondo arabo-islamico sia in Occidente, in particolare tra le giovani generazioni di immigrati musulmani.

Così, tra i jihadisti, troviamo: benestanti e laureati (molti arrivano dall’Europa e dagli Usa); giovani emarginati delle periferie urbane occidentali e arabe alla ricerca della propria identità e dai progetti di integrazione falliti; poveri e disperati delle città e villaggi del mondo arabo-islamico invaso dalle truppe americane; oppressi da regimi dispotici locali o stranieri; notabili e membri di tribù sunnite che vogliono vendicarsi dei loro vicini o di leader di altre fazioni islamiche; ovviamente mercenari e larghe schiere di criminali e psicopatici. È un «melting pot» trasversale a luoghi, censo e età, e catalizzatore di sentimenti e aspirazioni contrastanti e differenti. Indubbiamente, ciò che li contraddistingue è la rabbia e la ferocia con la quale si abbattono su città e villaggi e su chi osa rifiutarli, e contro le minoranze etniche e religiose.
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     continua a leggere qui: 
http://www.rivistamissioniconsolata.it/new/articolo.php?id=3472

martedì 19 maggio 2015

Gregorio III: paghiamo gli errori dell'Ue e di Obama


Intervista a Gregorio III Laham






ilsussidiario.net
 18 maggio 2015



La Conferenza Episcopale Italiana ha deciso di dedicare la Veglia di Pentecoste del 23 maggio ai “martiri di oggi”, cioè ai cristiani perseguitati in tutto il mondo. Un dramma che non conosce confini geografici, anche se è particolarmente grave nelle aree di Siria e Iraq controllate dallo stato islamico. 
Dopo avere ucciso o costretto alla fuga migliaia di cristiani, yazidi e altre minoranze religiose, il califfato ha lanciato un’offensiva per la conquista della città irakena di Ramadi. Sempre ieri i caccia dell’aeronautica militare di Damasco hanno bombardato i sobborghi di Palmira, città siriana dove sono in corso violenti scontri tra l’esercito regolare e i miliziani dell’Isis. I resti del periodo greco e romano fanno di Palmira una delle meraviglie dell’umanità, che ora rischiano di scomparire se la città dovesse essere conquistata dallo stato islamico. 
Per Gregorio III Laham, patriarca cattolico siriano con sede a Damasco, “chi vuole distruggere le vestigia della civiltà sumera, il sito storico di Palmira e le chiese siriane non va contro questa o quella religione ma contro gli stessi valori umani”.

Il 23 maggio si pregherà per tutti i “martiri di oggi”. Com’è la situazione dei cristiani in Siria?
La guerra in corso in Siria è una tragedia per tutti, in quanto a essere sotto attacco sono cristiani e musulmani, sunniti e sciiti, drusi e yazidi. La situazione è particolarmente tragica ad Aleppo, le cui chiese sono state tutte distrutte o gravemente danneggiate. L’intera città si è trasformata in una grande prigione dalla quale non è possibile né uscire né entrare.


Com’è invece la situazione nella capitale e nelle zone circostanti?
Damasco non rischia incursioni di terra ma teme per i bombardamenti dal cielo. La situazione nei villaggi cristiani come Maalula in questo momento è calma. Ora la battaglia è particolarmente violenta intorno a Palmira, e anche il Nord è in pericolo.


Sono quattro anni che la Siria è attraversata dalla guerra. I cristiani come vivono questo momento?
I cristiani vivono l’aspirazione forte alla pace di tutti i siriani di buona volontà. Non si può dire che quella che sta avvenendo in Siria sia una persecuzione contro i cristiani. Quest’ultima sta avvenendo in Iraq, mentre i cristiani siriani sono vittime della guerra e non della persecuzione. Anche se noi cristiani, poiché siamo un gruppo più debole degli altri, siamo più esposti a questa tragedia.


Che cosa possono fare i cristiani occidentali per i loro fratelli siriani?
C’è bisogno di un aiuto materiale affinché le chiese in Siria possano essere vicine ai loro fedeli, e soprattutto ai rifugiati. Il mio patriarcato a Damasco per esempio deve spendere tra i 40 e i 50mila dollari ogni mese per i profughi. Ma c’è bisogno anche di un contatto continuo tra le conferenze episcopali dei principali Paesi europei e la Chiesa locale in Siria.


In che modo?
Invito i vescovi italiani a venire a pregare con noi a Damasco, perché sarebbe un gesto simbolico dal valore enorme. Aiutare i cristiani significa inoltre lavorare per la pace. La chiesa cattolica, quella ortodossa, le chiese orientali, gli anglicani e i protestanti dovrebbero sottoscrivere una dichiarazione comune per la pace in Siria, in Iraq e in Palestina.




Come valuta l’avanzata dell’Isis su Ramadi e Palmira?
E’ una domanda che dovrebbe rivolgere a un generale, non a me. La guerra è guerra, si avanza e poi ci si ritira. L’Isis è forte in quanto è sostenuta da tante nazioni, sia arabe sia europee. Gli stessi Stati Uniti dovrebbero essere più seri e aiutare il governo siriano.


In che senso?
La Siria è una nazione, non un regime. Non capisco perché Washington aiuti le cosiddette fazioni “moderate” dei ribelli, che poi sono moderate per modo di dire. Oggi dobbiamo riconoscere tutti che non abbiamo alternative. Questa opposizione siriana è divisa e corrotta, ed è quindi inutile aiutare un elemento così debole perché significa far sì che ci siano soltanto più vittime tra la popolazione siriana.



Che cosa intende dire quando afferma che l’Isis è aiutata dai Paesi europei?
Sappiamo che ogni giorno ci sono giovani italiani, inglesi e francesi che partono per la Siria con l’obiettivo di infittire le file dei gruppi fondamentalisti. Formazioni che non definirei islamiche, perché sono gruppi puramente militari. E la guerra non è tra islam e cristianesimo, bensì è una lotta per i valori umani. Chi vuole distruggere le vestigia della civiltà sumera, il sito storico di Palmira e le chiese siriane non va contro questa o quella religione ma contro gli stessi valori umani.


Quale responsabilità hanno gli Stati europei per i giovani che si arruolano nell’Isis?
Il punto è che manca una posizione unica dell’Unione Europea, la quale non si sta dando da fare in modo serio per favorire la pace in Medio Oriente. L’Ue è indecisa e non fa patti efficaci per fermare la guerra. Se i 28 Paesi Ue avessero un’unica posizione forte, ciò permetterebbe di fermare l’influenza dell’Isis in Medio Oriente. Il mondo arabo è diviso perché l’Europa è divisa. 

Il baluardo più efficace contro l’Isis è il governo siriano, e quindi se l’Ue si schiera chiaramente a fianco di Damasco può veramente contribuire a fermare l’Isis. Questo occorre, una dichiarazione comune dell’Ue a favore del governo siriano.
(Pietro Vernizzi)

sabato 16 maggio 2015

Veglia di Pentecoste, sabato 23 maggio 2015, dedicata ai martiri nostri contemporanei: un contributo dalla Siria

«Esiste un legame forte che già ci unisce, al di là di ogni divisione: è la testimonianza dei cristiani, appartenenti a Chiese e tradizioni diverse, vittime di persecuzioni e violenze solo a causa della fede che professano».  Con queste parole il Santo Padre ha ricevuto i membri della Commissione internazionale anglicana-cattolica (30 aprile 2015). Si tratta solo dell’ultimo intervento del Papa in ordine alla tragedia di tanti cristiani e di tante persone i cui diritti fondamentali alla vita e alla libertà religiosa vengono sistematicamente violati. 
Questa situazione ci interroga profondamente e deve spingerci ad unirci, in Italia e nel mondo, in un grande gesto di preghiera a Dio e di vicinanza con questi nostri fratelli e sorelle. Imploriamo il Signore, inchiniamoci davanti al martirio di persone innocenti, rompiamo il muro dell'indifferenza e del cinismo, lontano da ogni strumentalizzazione ideologica o confessionale.Da qui la proposta di dedicare, in Italia e in tutte le comunità del mondo che vorranno aderire, la prossima Veglia di Pentecoste, sabato 23 maggio 2015, ai martiri nostri contemporanei. 
A questo scopo si sta inoltre lavorando ad un progetto di diffusione - attraverso i social media - di testimonianze e storie, dai diversi paesi: racconti di fede e di amore estremo, eventi di condivisione, fatti di carità. Sono moltissimi i cristiani e gli uomini di ogni confessione capaci di testimoniare l’amore a prezzo della vita. Tale testimonianza non può passare sotto silenzio perché costituisce per tutti una ragione di incoraggiamento al bene e di resistenza al male.                                                                   
 La Presidenza della CEI


“Dobbiamo perdonare, questo infatti è il prezzo per la pace!” 





Omelia di Padre Daniel Maes, nella celebrazione dei suoi 50 anni di sacerdozio, il 23 aprile 2015


"Nel Vangelo (Luca 22, 31-38) Gesù avverte i discepoli che la battaglia sta arrivando. Satana metterà alla prova i seguaci di Gesù e li percuoterà. Pietro è audace e dice che sicuramente non mollerà. Ma Gesù gli dice: "Io ti dico, Pietro: il gallo non canterà prima che tu mi abbia rinnegato tre volte.” Quando, infatti, Pietro aveva negato Gesù per la terza volta, scoppia a piangere. Questo lo porta alla realtà e sarà la strada per il perdono e per la sua liberazione. Inoltre, nel Vangelo Gesù mostra la differenza tra l'inizio della sua vita pubblica e il periodo seguente. All’inizio c’era un periodo beato di predicazioni in Galilea. Una moltitudine di gente lo seguiva e lo cercava. Gesù guariva molti malati, esorcizzava spiriti immondi ed era molto stimato. Anche gli apostoli godevano della sua fama. Ora Gesù predica ai suoi apostoli che dovranno affrontare una dura battaglia, per la quale devono prepararsi. Gesù dice loro: "Ora chi ha una borsa se la porti con sé, e anche una bisaccia. E chi non possiede queste cose, deve vendere il suo mantello e procurarsi una spada. Ci sarà da combattere.” Immediatamente gli apostoli tirano fuori due spade, ma Gesù fa riferimento qui a una lotta spirituale, senza la forza delle armi. Gesù risponde: “Basta."

C'è un grande pericolo anche per noi, come per Pietro che pensava che questi tempi probabilmente non sarebbero arrivati e che sarebbero stati capaci di resistere. Invece è meglio prendere l’ avvertimento di Gesù molto seriamente. Siamo infatti entrati nella battaglia finale decisiva in cui due superpotenze si trovano una di fronte all'altra. Mi riferisco all'immagine di Giovanni, dal libro dell'Apocalisse, capitolo 13: la Bestia contro l'Agnello. Da un lato c’è il regno di Satana, dove sono le tenebre e le menzogne. Questo impero ha i suoi complici dappertutto. E dall’altra parte c'è il regno di Dio, cioè il regno di Cristo, l'Agnello di Dio, che ha anche seguaci in tutto il mondo. Paolo dice: “La nostra lotta non è contro sangue e carne ma contro i poteri di queste tenebre”. E Giovanni scrive nella sua prima lettera: “chi vuole amare e seguire il mondo, non possiede l'amore del Padre. O ci attacchiamo al mondo con tutto il suo potere, beni e onori, che sono tutte cose passeggere, o scegliamo consapevolmente Dio in Cristo e il suo regno, l'unica cosa che rimane. Il risultato finale è certo. Alla fine Cristo sarà il Vincitore. Prima ci sarà un grande combattimento al quale dobbiamo prepararci.”


Tutta l'umanità è testimone e nello stesso tempo anche vittima della stessa lotta tra il bene e il male. Nel Medio Oriente e in Siria, le potenze occidentali e i loro alleati – in modo concorde- combattono ferocemente per impossessarsi delle enormi risorse energetiche di questo paese con la sua posizione centrale. Per la popolazione Siriana, che rimane molto unita, questa guerra è un calvario doloroso. Ma qui, in Occidente stesso, sta infuriando anche una pesante battaglia per la distruzione dei valori cristiani e anche umani. Forse questa battaglia è perfino peggiore che quella in atto in Medio Oriente.
Si tratta di una battaglia contro la dignità dell'uomo, cioè un processo di disumanizzazione. Si tratta di un’alienazione multipla, che vuole separare l'uomo da Dio, dalla sua cultura e dal suo paese, dalla sua famiglia e da se stesso. Voglio presentare tre di questi movimenti in breve.


La prima e la più importante battaglia è la lotta diretta contro Dio. Forze oscure vogliono tagliare il legame tra l'uomo e Dio. Dove si toglie Dio, non c’è più gioia per l’uomo. Dove più nulla è sacro, non c'è più niente di sicuro. In tutto il mondo, la fede cristiana è la più combattuta. Ora ci sono più martiri cristiani che mai: i cristiani sono perseguitati, espulsi o uccisi. Il cristianesimo mesopotamico di 2000 anni è quasi sterminato. Se continua così, tra poco possiamo celebrare l’ultimo martire cristiano iracheno. Nella Siria stanno cercando di fare la stessa cosa. L'obiettivo finale è di espellere o sterminare tutti i cristiani dei paesi che formarono la culla della fede cristiana. Alla fine di tutto, quando le radici dell'albero (cristianesimo in Medio Oriente) saranno tagliate, l'albero (in Occidente) appassirà automaticamente.

Ma i cristiani pongono una resistenza coraggiosa. In Ma’aloula, la città cristiana – a 40 km da noi – dove si parla ancora l’aramaico, la lingua di Gesù, sono arrivati i ribelli e hanno preso in ostaggio alcuni giovani. Hanno puntato una pistola contro le loro gole e hanno loro ordinato di diventare musulmani. Il primo ragazzo ha risposto: "Sono cristiano, sono nato cristiano e morirò come cristiano." Gli hanno sparato insieme con i suoi cugini. Ora, essi sono venerati come martiri. Prima di partire per il Belgio, ho incontrato un cristiano di Ma’aloula che mi ha raccontato che già la metà delle famiglie è ritornata a Ma’aloula, nonostante la grande distruzione. E ci sono anche musulmani che danno un esempio di un comportamento veramente cristiano. Un giorno, Fawad, figlio unico di una famiglia musulmana di Homs non tornava dall'università. I genitori si resero conto, dopo averlo cercato in modo frenetico, che il loro figlio era stato rapito. Dopo mesi di trepidante attesa, hanno ricevuto una telefonata: "Vuoi rivedere tuo figlio?" I genitori hanno risposto di far di tutto. Il giorno dopo, alle 8 del mattino hanno suonato alla porta d'ingresso e una macchina è partita a tutta velocità. Davanti alla porta c’era un sacco di plastica con il corpo del figlio, tagliato in pezzi. Il padre ha testimoniato che in quel momento si accendeva in lui una tale rabbia che voleva impugnare un coltello per ammazzare tutti. Dopo è ritornato in sè. In una riunione di riconciliazione, la Mussalaha, a Homs, questo padre ha detto di aver perdonato gli assassini di suo figlio e ha anche aggiunto : “dobbiamo perdonare, questo infatti è il prezzo per la pace!” Ecco, qui c’è un musulmano, un sunnita che ha capito l'essenza della fede cristiana e la mette in pratica.

L'Europa ha cancellato le radici cristiane dalla sua Costituzione, anche se la sua grandezza è fondata quasi esclusivamente sulla fede giudeo-cristiana. La battaglia attuale in Occidente si concentra ora contro tutto il segno restante della fede cristiana. Il nostro compito sarà di testimoniare e vivere con orgoglio la ricchezza della nostra fede cristiana. Di fronte alla rimozione dei crocefissi e alla demolizione di edifici ecclesiastici, dobbiamo contrapporre un rinnovamento interiore della fede, aumentare la nostra devozione al Padre e Creatore, a Gesù il Salvatore e allo Spirito Santo, il Santificatore. Rinnoviamo anche il nostro amore per la Chiesa, che ha visto nascere tutte le istituzioni e i paesi europei e che vedrà anche la loro fine. La Chiesa stessa è umana e divina allo stesso tempo. La Chiesa ci dà la Parola di Dio, e i Sacramenti che ricreano e la guida necessaria. La Chiesa muore insieme con ogni cultura in cui è cresciuta, ma la Chiesa è l'unica realtà che si rialza sempre, perché porta in sè il germe indistruttibile del Regno di Dio sulla terra. In breve, quest’attacco mondiale, in particolare contro la fede cristiana e contro la Chiesa di Gesù Cristo, è una sfida per noi per diventare cristiani più autentici e più ferventi.

Un secondo attacco riguarda la famiglia. A livello globale, c’è una distruzione graduale e sistematica della famiglia. La sessualità è diventata una cosa banale, solo per il piacere personale, staccato da qualsiasi responsabilità. I matrimoni sono ridotti a un vivere in modo libero e in tutte le combinazioni possibili. Le famiglie si disgregano, c'è una proliferazione di tecniche di fertilità che sono disumanizzanti e ci sono manipolazioni con embrioni. Nel frattempo viviamo un invecchiamento drammatico della popolazione e un’implosione demografica. Sono felice e grato per le varie famiglie, rappresentate qui, che per mezzo secolo lavorano instancabilmente per la conservazione o per la ristrutturazione della famiglia cristiana. La famiglia cristiana, dopo tutto, presenta tutti i valori umani e cristiani per risolvere i grandi problemi del nostro tempo. La famiglia è il nucleo protettivo per poter resistere alla distruzione di tutti i valori umani e cristiani. Nella famiglia si concentra, infatti, la nostra lotta principale: motivare i giovani e aiutarli per poter creare una famiglia stabile e felice, dove i bambini possono imparare la fede, la sicurezza, l’amore e l'impegno generoso.

Infine c’è una lotta globale contro la dignità della persona umana stessa. Vogliono distruggere l’uomo nella sua più profonda identità come uomo o donna e come ragazzo o ragazza. Vogliono con forza ridurre l’uomo a un genere neutro, un “gender”, fuori da ogni realtà. E’ una follia, che riduce l’uomo a un individuo neutro e senza volontà,  programmato per fare nient'altro che piacere a se stesso, consumare e divertirsi. Siamo quasi costretti a negare la ricchezza della differenza tra uomini e donne e a dichiarare apertamente che gli uomini e le donne sono completamente identici. E’ vero, gli uomini e le donne sono uguali in dignità, ma nello stesso tempo l’uomo e la donna sono anche fondamentalmente diversi ed esattamente questa è la ricchezza della società, com’era l’intenzione di Dio. Le donne possono partorire figli e gli uomini no. Le donne portano una più grande responsabilità, impegni ed anche gioie nella procreazione e nell’educazione dei figli. Ogni essere umano è creato ad immagine e somiglianza di Dio, giustamente per poter partecipare un giorno alla felicità eterna di Dio. Siamo tutti equivalenti, ma allo stesso tempo siamo tutti diversi.




La guerra contro la Siria ci ha fatto apprezzare in modo migliore il valore insostituibile della fede cristiana. Gesù stesso, come Agnello innocente e come il Santo di Dio ha subito in tutta libertà e solo per amore la terribile morte di crocefissione. Gesù era dalla parte delle vittime innocenti. In lui sono rappresentate tutte le vittime innocenti, dalla creazione del mondo fino alla fine dei tempi. E Gesù è risorto. Anche per noi, solo attraverso la sofferenza e la morte si può partecipare alla risurrezione. Inoltre, nessuna sofferenza e morte è mai senza la speranza della risurrezione. In ogni notte buia c'è sempre da qualche parte una stella luminosa. Nella guerra più orribile ci sono sempre santi ed eroi accanto ai criminali. E noi li troviamo anche tra i musulmani intorno a noi. Fino adesso, insieme a famiglie musulmane, siamo sopravvissuti alla guerra in modo più che miracoloso. Quando celebriamo l'Eucaristia nel convento, ci sono spesso musulmani presenti. Anche loro ascoltano e pregano, e talvolta fanno la prima lettura, e al momento della comunione vengono avanti per chiedere la benedizione. I poteri delle tenebre sono ovunque, ma anche il regno di Dio è sorprendentemente attivo, anche in modo inaspettato. E, infatti, questa è la nostra speranza indistruttibile. Quando Gesù annuncia guerre, disastri e atrocità per l’umanità, dice: "Quando vedrete che accade tutto questo, alzate i vostri capi, perché la vostra salvezza è vicina!" .  
Gesù ci chiama a essere vigilanti. Allora, dimostriamo che siamo degni di vivere la nostra vita con tutte le sue difficoltà, lotte e sofferenze. Qui ognuno di noi ha la sua insostituibile missione. Ringraziamo in questa Eucaristia Dio in Cristo e chiediamo a Lui di darci la forza per compiere la nostra missione fino alla fine, solo per l’onore e la gloria di Dio e per la salvezza degli altri, e questo sarà anche la nostra gioia. 

(traduzione di A. Wilking)