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lunedì 9 febbraio 2015

9 febbraio: memoria di San Marone, monaco di Siria

foto: le rovine della basilica maronita (561 D.C.) a Barad - Nord Siria


San Marone ("piccolo Signore" in aramaico) è nato intorno al 350 d.C. a Cirro, una cittadina nei pressi di Antiochia.
Fu ordinato sacerdote e successivamente si ritirò come eremita per una montagna di Taurus, vicino ad Antiochia, sopra le rive del fiume Oronte. Trascorse il suo tempo pregando in solitudine, digiuno e lavorando.
Il grande arcivescovo di Costantinopoli, S. Giovanni Chrysostomo era suo amico. 

San Marone ha attratto molti discepoli: Giacomo di Cirro, Limnaeus, Domnina, Cyra, Marana, Abraham l'eremita, l'apostolo del Monte Libano e molti altri.
San Marone morì nel 410, dopo la sua morte sopra la sua tomba fu edificata una chiesa. 




All'intercessione di San Marone affidiamo oggi la pace di tutta la regione siro-libanese e la sorte dei due sacerdoti Michel Kayyal (armeno cattolico) e Maher Mahfouz (greco ortodosso) rapiti il 9 febbraio 2013 ad Aleppo

BREVE STORIA DELLA CHIESA E DELLA COMUNITA’ MARONITA




domenica 8 febbraio 2015

Roma: ​una mostra sulle devastazioni in Siria


nella splendida cornice romana della Basilica di Santa Maria in Cosmedin ("Bocca della verità"), l’esposizione 
sul patrimonio archeologico siriano, aperta tutti i giorni dalle ore 12.00 alle 18.00  fino al 14 febbraio. 
Chiusura domenica 15 febbraio quando alle ore 10.30 ci sarà la Messa per la Pace



OSSERVATORE ROMANO, 06 febbraio 2015
di Rossella Fabiani -

 La Siria è unica nel Vicino Oriente per l’abbondanza e la varietà delle testimonianze storiche e archeologiche. Dalle tombe monumentali di età sumerica ai possenti castelli dei crociati, dalle austere cattedrali bizantine alle moschee degli Omayyadi, dai templi ittiti in basalto nero ai marmi biancheggianti delle vie colonnate romane, la Siria conserva vaste e chiarissime tracce di quel caleidoscopio di culture che si sviluppò sul suo territorio dall’età della pietra all’evo moderno. Da qui emersero condottieri e dinastie che segnarono la storia, come i re di Ebla, Seleuco il grande, Diocleziano, Saladino.
Ma soprattutto la Siria da ben quattordici secoli significa un modello di convivenza pacifica tra le diverse confessioni religiose che abitano nel Paese. Un dialogo interreligioso, ma anche ecumenico che non si è mai interrotto sin dalle origini. Perché se la Palestina è la terra dove è nato Gesù, la Siria è stata la culla del primo cristianesimo con san Paolo sulla via di Damasco, la culla della vita monastica con san Simeone Stilita, sant’Ignazio, san Efrem, san Romano il Melode. Nella stessa Maaloula si parla ancora l’aramaico, la lingua di Gesù. Una accanto all’altra stanno la moschea con la chiesa, o meglio, le chiese: da quella melchita a quella ortodossa, da quella siriaca a quella armena. E tutto questo rischia di scomparire per sempre.

Oggi dopo quattro terribili anni di un conflitto che sta martoriando la Siria, più di un terzo dei cristiani — discendenti degli apostoli e dei Padri della Chiesa d’Oriente — hanno lasciato il Paese. Se spariscono, spariranno le radici della Chiesa e della civiltà occidentale. Ma la violenza della guerra sta costringendo anche a una riscrittura dei manuali di storia. Sono quasi trecento infatti i siti del patrimonio culturale siriano che sono stati toccati da un conflitto in cui lo scorso anno si sono inseriti i jihadisti dell’Is.

La devastazione è stata fotografata dai satelliti e monitorata dall’Unitar (United Nations Institute for Training and Research): le rovine greco-romane di Palmira, Dura-Europos sull’Eufrate e di Bosra, le città bizantine nella Siria del nord, la moschea Umayyad e la cittadella fortificata di Aleppo, il Krac des Cavaliers sono alcuni dei monumenti che le prossime generazioni potranno conoscere com’erano fino a quattro anni fa soltanto in fotografia.
La mostra fotografica promossa a Roma dalla comunità siriana in Italia in collaborazione con l’Associazione di volontariato europeo Sol.Id. e con il patrocinio del ministero del Turismo siriano, presso la basilica di Santa Maria in Cosmedin, la Chiesa cattolica greco-melchita retta dall’archimandrita Mtanious Haddad, documenta la distruzione che la furia del terrorismo ha inferto senza distinzione a luoghi storici e patrimoni dell’umanità.

Per misurare la devastazione, la mostra presenta foto di siti prima e dopo l’inizio della guerra. Immagini da Aleppo mostrano crateri grigi e montagne di macerie attorno alla celebre cittadella. Pesanti danni anche alla moschea Umayyad che ha perso il minareto dell’undicesimo secolo. Foto da Palmira e Dura-Europos mostrano i segni di vasti saccheggi, con il terreno punteggiato da scavi clandestini. La moschea al-Omari a Bosra risalente al vii secolo era la più antica moschea al mondo con il più antico minareto islamico che oggi non esiste più.

http://www.osservatoreromano.va/it/news/inventario-delle-macerie

Altre documentazioni: Directorate-General of Antiquities & Museums, DGAM Syria

giovedì 5 febbraio 2015

"Oggi gli angeli della morte volavano sopra il cielo di Damasco".

Una telefonata da Damasco,  5 febbraio 2015



"Ciao...eccoci qui vivi... 
Alle 7:30 di stamattina, ci siamo svegliati per grossi rimbombi. .. sono colpi di mortaio e missile lanciati da parte dei gruppi Jihadisti che si trovano nella zona di AlGuta est.Subito ho detto ai miei figli di non uscire da casa, perchè stavano uscendo per andare a scuola. Siccome abito non tanto lontano dalla zona di Jobar ho sentito la partenza dei missili ed i colpi di mortaio, la prima scarica era più di 25 tra missile e mortaio. 
Questi gruppi radicali hanno scelto l'ora più critica, infatti è l'ora dell'entrata nelle scuole e di andare al lavoro.

Il risultato di questo attacco che è durato fino alle ore 17:00 è di 9 martiri, e più di 35 civili feriti. Sono stati lanciati più di 130 missili, razzi Katyusha e colpi di mortaio su tutta Damasco. 
L'università di Damasco e' stata colpita... fortunatamente mio nipote che era lì è stato salvato. 
Uno di questi colpi ha preso il tetto della scuola di mio figlio maggiore. 
Una bimba di 9 anni (Gazal  Jaburi) è stata colpita mentre era dentro casa sua ed ha perso le sue gambe. 
I colpi hanno toccato il centro storico di Damasco (moschea degli Umayadi), il centro Cristiano (Bab Tuma) e tanti quartieri poveri (Mezeh 86), alcuni colpi hanno colpito la zona di Al-Mazraa e la zona intorno all'ospedale Italiano…L'oratorio dei Salesiani sarà chiuso (è vicino all'ospedale italiano) per oggi e domani. 

Oggi è stata una giornata di grande paura, Damasco era quasi vuota.

Non sappiamo cosa fare... abbiamo tanta paura di mandare i nostri figli a scuola…
Oggi gli angeli della morte volavano sopra il cielo di Damasco". 

INTEGRAZIONE notizia:  Agenzia Fides 6/2/2015

Giornata di bombardamenti a Damasco, colpito il convento francescano nel quartiere di Bab Touma

Damasco (Agenzia Fides)
........ 
Tra gli edifici colpiti c'è anche il convento francescano collegato alla parrocchia cattolica latina dedicata alla Conversione di San Paolo, nel quartiere di Bab Touma, la parte della città vecchia di Damasco, dove sono concentrate molte chiese cristiane. 

“Fin dalle prime ore del giorno - riferisce all'Agenzia Fides il parroco Raimondo Girgis, OFM - era iniziato lo scambio di razzi e di colpi di mortaio. Verso le 7,30 un colpo proveniente dai ribelli ha centrato e devastato il soffitto della stanza dove dorme p. Simon Pietro Herro (attuale ministro della Regione San Paolo della Custodia di Terra Santa, ndr).  In quel momento - fa notare il parroco siriano - ci trovavamo nell'ufficio parrocchiale, al piano di sotto, e p. Simone stava per salire nella sua stanza a prendere il breviario, come fa tutti i giorni dopo la messa e la colazione, per recitare la preghiera del mattino”. Il colpo di mortaio non ha causato danni alla chiesa. 
“E' stata una giornata pesante - commenta p. Raimondo - ma in quasi quattro anni di conflitto, abbiamo vissuto tante volte momenti del genere. La paura e la tensione fanno parte della quotidianità. E tutti continuano a pregare per chiedere di tornare presto a una vita normale”.

“L'escalation di attacchi indiscriminati registrati ad Aleppo e a Damasco nei giorni scorsi – scrive il Jesuit Refugee Service in un comunicato pervenuto all'Agenzia Fides - ha preso di mira intenzionalmente aree civili in cui moltissimi sfollati interni vivono fianco a fianco con i residenti. Non solo gli attacchi hanno creato panico e paura, causando danni alle infrastrutture e perdite di vite umane, ma contribuiscono anche ad alimentare le tensioni tra i gruppi" e “ostacolano l'assistenza umanitaria, costringendo le Ong a evacuare il proprio personale e a sospendere o interrompere le attività”.

martedì 3 febbraio 2015

Prosegue l'epurazione dei cristiani dai territori presi dallo Stato Islamico


Agenzia Fides 2/2/2015

Hassakè 
Le bande armate jihadiste dello Stato Islamico (IS) hanno fatto irruzione nel villaggio cristiano di Tel Hormuz, hanno saccheggiato la chiesa e imposto agli abitanti di rimuovere la croce dall'edificio sacro. Lo conferma all'Agenzia Fides Jacques Behnan Hindo, Arcivescovo siro-cattolico di Hassaké-Nisibi.
 “Venerdì scorso” racconta l'Arcivescovo ”due gruppi di miliziani armati dello Stato islamico sono scesi dalle montagne dove sono appostati e sono entrati nel villaggio, dove vivono ancora alcune dozzine di famiglie cristiane. I jihadisti hanno portato via oggetti preziosi dalla chiesa, e hanno intimato ai cristiani di rimuovere o nascondere le croci”.
L'episodio allunga la serie di attacchi e intimidazioni subiti dai villaggi cristiani situati nella regione attraversata dal fiume Khabur. “In quell'area” riferisce a Fides l'Arcivescovo Hindo “c'erano più di 30 villaggi cristiani, fondati negli anni Trenta del secolo scorso, che avevano accolto soprattutto i cristiani assiri e caldei provenienti dal nord dell'Iraq, che cercavano salvezza dai massacri perpetrati allora dall'esercito iracheno. Erano villaggi fiorenti, abitati ognuno da migliaia di persone, con chiese e comunità molto attive, che gestivano anche scuole e iniziative sociali. Ma dall'inizio della guerra si sono quasi tutti svuotati e alcuni di essi ormai appaiono come città fantasma. In uno di essi è rimasto un solo cristiano. In altri, gli abitanti sono ridotti a qualche decina. A Tel Hormuz rimane una delle comunità assire più consistenti. Ma adesso anche lì non superano i trecento, mentre un tempo erano più di quattromila. Gli altri sono tutti scappati all'estero. E molti di loro non torneranno più”. 


http://www.aina.org/news/20150131183427.htm


A Raqqa ancora 25 famiglie cristiane. Ribadito per loro l'obbligo di pagare la “tassa di protezione”

Raqqa (Agenzia Fides) – A Raqqa, la città della Siria settentrionale divenuta roccaforte dei jihadisti dello Stato Islamico (IS) dal 2014, risiedono soltanto 23 famiglie cristiane delle 1500 che vi abitavano prima che iniziasse il conflitto siriano. Su questo piccola comunità costituita da cristiani armeni, che non hanno potuto lasciare la città per mancanza di risorse o per motivi di età e di salute, la violenza del fanatismo islamista si abbatte anche con l'aspetto metodico delle prassi amministrativo- burocratiche: a loro sono stati recentemente comunicati i parametri della jizya, la “tassa di protezione” che dovranno pagare a partire dal 16 novembre se non vogliono essere espulsi e espropriati delle loro case e che ammonta all'equivalente di 535 dollari. L'informazione, proveniente dagli stessi cristiani di Raqqa, è stata diffusa dal sito arabo ankawa.com. Con tutta probabilità le famiglie cristiane, impoverite dalla guerra, non troveranno modo di pagare la tassa e dovranno abbandonare le proprie case.


La jizya è l'imposta che fino al XIX secolo ogni suddito non-musulmano era tenuto a pagare alle autorità islamiche come clausola del “patto” che garantiva loro protezione dalle aggressioni esterne e libertà di culto. A Raqqa i jihadisti dell'IS – che hanno assunto totale controllo della città nei primi mesi del 2014, dopo essersi scontrati con altre fazioni islamiste anti-Assad - hanno trasformato proprio la principale chiesa armena in ufficio per la gestione degli affari islamici e per la promozione della sharia. Nella città-roccaforte i miliziani dello Stato Islamico hanno già espropriato le proprietà dei cristiani fuggiti e hanno anche organizzato azioni simboliche, come il rogo di Bibbie e libri cristiani. Ad affiliati della fazione jihadista dell'IS viene attribuito il rapimento del gesuita romano Paolo Dall'Oglio, scomparso proprio a Raqqa alla fine di luglio del 2013. (Agenzia Fides 15/11/2014).

domenica 1 febbraio 2015

“AIUTATECI A RIMANERE A CASA NOSTRA”

WP: in Siria una guerra con combattenti di 80 nazioni

Testimonianza di Samaan Daoud, cristiano di Damasco:


Il Nuovo Giornale di Piacenza,
23 gennaio 2015

"Immaginate la Chiesa senza le sue radici. Senza San Paolo, che è diventato cristiano sulla via di Damasco. Senza Sant’Ignazio. Senza i Padri del deserto. Senza i monaci della Siria. Fra cinquant’anni potreste fare dei viaggi a Damasco e dire: qui una volta c’era la chiesa di Sant’Anania e una comunità cristiana molto forte. Pensare questo è per noi una grossa angoscia. Allora aiutateci a rimanere a casa nostra.
Non accusateci di essere pro Assad o pro governo. Noi siamo pro Siria. Se Assad se ne va, il vuoto da chi sarà riempito? Dai fondamentalisti. Lo abbiamo già visto in Libia, in Iraq, in Egitto, anche se qui per fortuna si sono svegliati”.

Samaan Daoud, cristiano di rito siro-cattolico, fino al 2011 a Damasco faceva la guida ai pellegrini. Classe 1970, sposato e padre di due figli di 16 e 12 anni, da ragazzo si è messo a studiare l’italiano perché innamorato del nostro Paese. Per due anni ha anche vissuto a Valdocco, paese natale di San Giovanni Bosco. Con lo scoppio della guerra, ha dovuto reinventarsi il lavoro. Rientra in quel 50% di siriani che ancora riesce a portare a casa uno stipendio. La guida adesso la fa ai giornalisti occidentali “che vogliono vedere cosa succede davvero”.
Collabora con i salesiani nella traduzione in arabo dei libri di don Bosco – “ne ho fatti sei, l’ultimo, le «Memorie dell’Oratorio », è in stampa” – e ha aperto a Damasco un ufficio della ong “Avsi”, che porta avanti progetti sanitari ed educativi. Nella serata del 16 gennaio – a poche ore dalla notizia della liberazione delle due cooperanti Greta Ramelli e Vanessa Marzullo e mentre in piazza Cavalli si radunava il corteo contro il terrorismo – è stato ospite a Piacenza di un incontro organizzato dall’Ordine della Santa Croce di Gerusalemme all’oratorio della Santissima Trinità. Un’amicizia nata negli anni dei pellegrinaggi in Siria guidati da mons. Riccardo Alessandrini e mai interrotta ...

Sei moderato se hai un kalashnikov?

— Dopo l’attentato di Parigi milioni di persone sono scese in piazza, in tutta Europa. Perché una mobilitazione simile non si è vista per le vittime del fondamentalismo in Medio Oriente e in Africa? È solo una questione di cattiva informazione?
La nostra sofferenza è cominciata nel 2011 e nessuno ha detto «Io sono i 200mila civili siriani morti» o fatto lo stesso con le 5mila donne siriane vendute al mercato. Già dall’inizio della “primavera araba” tantissimi sono stati ingannati. I capi politici dei Paesi di grande influenza, potendo controllare i media che godono di una certa credibilità, come Cnn, Bbc, Al Jazeera, El Arabia, hanno ingannato i loro e i nostri popoli. Ma le bugie hanno le gambe corte. Dopo un paio d’anni si è cominciato a capire che in Siria o Medio Oriente non è più questione di un uomo cattivo che sta ammazzando tutta la brava gente. Ci sono grossi giocatori, che prima stavano dietro le quinte e che adesso si fanno vedere: America, Russia, Iran, Arabia Saudita, Turchia..
Nel 2013, quando sono venuto in Italia – e ho parlato anche a Piacenza – dicevo: state attenti ai fondamentalisti, perché verranno pure a casa vostra. Il fanatismo non ha confini. Adesso siamo nella stessa barca: il popolo siriano, gli occidentali, i cristiani yazidi in Iraq e quelli in Nigeria.
Chi ci sta attaccando è stesso nemico. E il fanatismo attacca anche i musulmani. 

— Sta dicendo che l’Occidente ha spalleggiato i gruppi fondamentalisti e adesso se li trova davanti come nemici? 
La Francia nel 2013 l’ha detto chiaro e tondo: noi appoggiamo i cosiddetti “ribelli moderati”. La domanda che sempre faccio è: se hai un kalashnikov in mano sei moderato? L’Europa finanzia i ribelli, con milioni e milioni di euro, per far cadere il governo di Assad. Ma chi paga le conseguenze? Con le sanzioni contro la Siria, dal 2012, l’Europa è complice dello stato di miseria in cui oggi vive il Paese. Per venire qui ho dovuto attraversare una strada sotto la neve da Damasco a Beirut, in Libano, e da lì ho preso l’aereo per l’Italia. 

Uno Stato distrutto

— Isolamento totale?
Totale. Gli ospedali non riescono a procurarsi certe medicine. Gli apparecchi sanitari danneggiati sono fermi perché non ci sono pezzi di ricambio. Questa situazione alimenta il mercato nero e l’aggressività del fratello che mangia suo fratello. Far impoverire un popolo è la stessa cosa che se ci avessi lanciato delle bombe.

— Come si vive oggi in Siria?
Rispondo con alcuni numeri ufficiali: 3,8 milioni di siriani rifugiati, 7,6 milioni di sfollati, 12,1 di persone in stato di bisogno su una popolazione di circa 21 milioni, 3 milioni di case distrutte, 1200 scuole rovinate, esportazione zero.
È uno tsunami che ha colpito la Siria e purtroppo si tratta di uno tsunami provocato artificialmente. In Siria nelle loro file Isis e il fronte Al-Nusra filiale di Al Qaeda, hanno combattenti di 80 nazionalità. Il vostro Ministro dell’Interno ha detto in Parlamento che ci sono 50 italiani che sono andati a combattere in Siria? Per qualcuno non è un numero alto. Se di questi ne torna anche il 20-30%, basta poco. Quelli dell’attentato di Parigi erano tre.
Notate il loro modo di combattere: corrono con il kalashnikov in mano, sparano e si guardano attorno. È gente che per due anni ha fatto la guerra. L’Europa adesso si trova ad affrontare gente addestrata ad alto livello.

— Si torna a parlare di intervento armato in Siria.
L’America dopo l’11 settembre ha attaccato l’Afghanistan per eliminare Bin Laden. Ma quanti Bin Laden abbiamo adesso? Il terrorismo è come un albero. L’albero per crescere ha bisogno di acqua; il terrorismo per crescere ha bisogno del sangue. Più guerre fai, più ingiustizia c’è, più sangue viene versato, più il terrorismo si rafforza.
Guardiamo cosa sta succedendo: la Nigeria si sta scannando, il Sudan è tagliato in due, in Yemen c’è una guerra interna, in Iraq non esiste più uno Stato. Basta usare la motivazione del terrorismo per attaccare. Non si può portare la democrazia con i carri armati e gli aerei. 

— La strada allora qual è?
Dire ai turchi: chiudete la frontiera, così non aiutate più Isis e Al Nusrah. Ai giordani: basta fare campi di addestramento dalle vostre parti. A Israele: impegnati seriamente a non irrompere in Siria. All’Arabia Saudita: smetti di fornire soldi e armi da Al Nusrah. Al Qatar: basta fornire armi e terreno a Isis. E poi c’è l’Iran che fornisce armi al governo siriano. C’è la Russia. E l’America, la Francia… Quando i leader politici si metteranno attorno a un tavolo con grande buona volontà, si trova la soluzione.
La Siria che ha 21 milioni di abitanti e ha fatto arrivare al potere Assad è capace di far arrivare un altro siriano (e con il tono di voce sottolinea l’aggettivo “siriano”), che crede in uno Stato laico nel quale c’è rispetto per tutte le religioni. Lo ripeto: come cristiani non siamo legati ad Assad, ma siamo legati alla Siria. Se però Assad adesso se ne va, il vuoto chi lo riempie?

 Gemellaggi tra oratori 


— Questo per i politici. Ma noi gente comune, cosa possiamo fare?
Aiutate le ong.  Con “Avsi”, che lavora in modo serio, aiutiamo i siriani poveri, anche in Giordania e in Libano. Abbiamo progetti sanitari, di distribuzione del cibo, per pagare gli affitti. Le idee in testa ci sono; le realizziamo in base ai fondi che abbiamo. Dall’anno scorso con il Coordinamento nazionale per la pace in Siria e il gruppo di italo-siriani lavoriamo per creare un ponte tra i nostri Paesi.

Io ho lanciato l’idea del gemellaggio tra parrocchie e scuole. Ho avuto risposta in Italia da una scuola elementare di Lecco, che ha fatto una raccolta per comprare pecore per il villaggio di Malula, che è stato distrutto come reazione all’appello del Papa di pregare per Siria nel settembre 2103 uccidendo tre giovani cristiani che si sono rifiutati di convertirsi all’islam.
Poi un asilo ha preparato dei disegnini da portare ai bimbi di un asilo di Damasco. Mi piacerebbe allacciare dei gemellaggi tra oratori.

Ad Aleppo, la città martire cristiana, frequentano l’oratorio 600 ragazzi. A Damasco dai salesiani ci sono 400 giovani. L’ideale è garantire almeno una volta al mese un contatto via Skype: per dirsi ciao, guardarsi in faccia, vedere che non siamo tanto diversi. Anche questo spezza la solitudine. 

A mio figlio dico: “il nostro esempio è Gesù”


I radicali seminano diffidenza. È come un bicchiere rotto: per rimetterlo insieme ci vuole il balsamo della riconciliazione

“Mio figlio maggiore è nell’età che comincia a farmi domande ‘politiche’, a parlare di giusto e non giusto. Ha visto morire i suoi amici per i colpi di mortaio, ne ha visti altri lasciare la Siria. Di fronte a questi fatti sempre gli dico: il nostro esempio è Gesù Cristo”.
foto Carla Boulos
Si è incrinato qualcosa, nella società siriana che dagli anni Cinquanta ha visto convivere in modo pacifico cristiani e musulmani. “Quando metti a bagno qualcosa, viene a galla lo sporco. Così nelle guerre: cosa emerge? Il male, chi vuol arricchirsi in fretta. Stiamo vedendo questi radicali che indossano l’abito dell’islam e portano certi versetti scritti nell’interpretazione del Corano, ma un’interpretazione che poteva andare mille anni fa. Bisogna che si scriva un’interpretazione del Corano adatta alla mente dell’uomo che vive nel 2015. Non basta dire: questi non rappresentano l’islam. Non basta piangere. C’è un detto siriaco che dice: mio servo aiutati così da poter aiutarti. Se non inizi ad aiutare te stesso, non posso far nulla.

Bisogna che gli intellettuali musulmani si impegnino fortemente a dire: l’islam non è questo, ti faccio vedere il vero insegnamento, bisogna rispettare tutti nella legge sociale, ciascuno nel suo ambito religioso. Io rispetto un musulmano credente che prega e chi prega per il Signore rispetta gli altri perché Dio dice: non uccidete”.
Per Samaan e per il milione di cristiani rimasti in Siria – prima della guerra erano il 10% della popolazione, ora nemmeno il 5% – oltre che con la difficoltà quotidiana dovuta alla miseria e alla mancanza di prospettive, c’è da combattere con il veleno della diffidenza instillato dal fondamentalismo. “Quando rompi un bicchiere – usa questa metafora – puoi provare a metterlo a posto, ma i segni restano. Allora devi rimetterlo a cuocere nel forno e applicare il balsamo per farlo tornare nuovo. Questo balsamo si chiama «riconciliazione ». 
Mio figlio mi ha chiesto: ma è possibile? Cristo sulla croce ha detto: padre perdonali perché non sanno quel che fanno. Gesù pure a noi ha detto: un giorno sarete perseguitati e diranno bene quando vi ammazzano. Questo giorno lo stiamo vedendo. Però o rimani nell’odio che vuol dire nel male – o perdoni”. 

Samaan crede nell’educazione, “a partire dai genitori”. Porta l’esempio di un progetto del governo rivolto a studenti delle Elementari di varie confessioni religiose. “È andato molto bene, alla conclusione del percorso è nata un’amicizia tra un bimbo cristiano e musulmano.
Quel musulmano che non sapeva niente di cristianesimo ha visto al collo dell’amico una catena con la croce e gli chiesto cos’era. Il bimbo cristiano gliel’ha voluta regalare. Tutto contento, torna a casa e la fa vedere alla mamma. Sono bastate due parole per farlo tornare indietro e buttarla in faccia al bimbo cristiano. Per questo dico che bisogna lavorare con gli adulti. Se tu calpesti qualcosa, tuo figlio farà altrettanto”.

mercoledì 28 gennaio 2015

I Patriarchi: "Per fermare i conflitti occorre bloccare il flusso di armi e denaro verso fazioni armate e gruppi terroristici"


Agenzia Fides 28/1/2015

Bkerkè 
 Le guerre che devastano il Medio Oriente, a partire dalla Siria e dall'Iraq, avranno termine solo quando verrà interrotto il flusso di armi e denaro indirizzato verso fazioni armate e gruppi terroristici da parte di alleati e sponsor regionali e internazionali. 
Così i Patriarchi e i Capi delle Chiese cristiane d'Oriente, riunitisi martedì 27 gennaio a Bkerkè, presso la Sede del Patriarcato maronita, sono tornati ancora una volta a individuare il traffico d'armi e la corrente di risorse finanziarie messe a disposizione dei gruppi jihadisti come fattori-chiave nei conflitti che sconvolgono la vita di popoli interi, destabilizzando il quadro geopolitico mediorientale.
Alla riunione, ospitata dal Patriarca maronita Bechara Boutros Rai – appena dimesso dall'ospedale dopo aver subito un intervento chirurgico alla testa – hanno preso parte anche tutti gli altri Vescovi che portano il titolo patriarcale di Antiochia: il Patriarca greco-ortodosso Yohanna X, il Patriarca greco-melkita Grégoire III, il Patriarca siro-ortodosso Aphrem II e quello siro-cattolico Youssef III.
Nell'incontro - a cui hanno preso parte anche il Vescovo armeno cattolico di Damasco Joseph Arnaouti e l'Arcivescovo Gabriele Caccia, Nunzio apostolico in Libano - è emerso il giudizio comune e la condivisa sollecitudine pastorale che unisce i Capi delle Chiese d'Oriente davanti alle emergenze che travagliano i popoli dell'area e, in alcuni casi, mettono a repentaglio la stessa sopravvivenza delle comunità cristiane autoctone. 


“Anche in Libano - riferisce all'Agenzia Fides padre Paul Karam, Presidente di Caritas Lebanon, presente all'incontro - l'impoverimento generale, la paralisi politica e il crescente pericolo di un'offensiva da parte delle milizie jihadiste stanno destabilizzando la società e spingono alla fuga i giovani, soprattutto i giovani cristiani, che vanno all'estero a cercare lavoro. Gli sforzi delle Chiese e delle istituzioni ecclesiali, pur raddoppiati, non possono certo supplire alla latitanza delle istituzioni civili. E registriamo un calo anche negli aiuti internazionali a vantaggio dei profughi, mentre le emergenze umanitarie e il numero dei rifugiati continuano ad aumentare”. 


Nel documento di sintesi, pubblicato al termine dell'incontro, i Patriarchi e i Capi delle Chiese cristiane insistono sulla necessità di porre fine ai conflitti con “mezzi pacifici” e “attraverso negoziati politici” che coinvolgano tutte le parti contendenti. Tra le altre cose, nel testo si riaffermano sostegno e solidarietà alle forze armate libanesi, che da venerdì scorso, 23 gennaio, nella zona di Ras Baalbek, sono impegnate in operazioni contro milizie jihadiste provenienti dalla Siria, “per sventare un piano eversivo di enorme gravità, con l'aiuto di Dio”.


http://www.fides.org/it/news/56889-ASIA_LIBANO_I_Patriarchi_antiocheni_per_fermare_i_conflitti_occorre_bloccare_il_traffico_di_armi#.VMjVSGB0wqQ


"I disegni politici ed economici non giustificano aggressioni terribili contro l'umanità".


...
Il patriarca Bechara Rai ha detto che l'obbiettivo del raduno era di conoscere più fa vicino la situazione dei rifugiati cristiani e quella dei fedeli che hanno deciso di rimanere nel loro Paese, nonostante la guerra e le difficoltà. Per essi, ha aggiunto, è urgente aiutarli a garantire un lavoro, scuole, alloggi perché "possano restare nei loro rispettivi Paesi e preservare così la loro tradizione e missione cristiane".

L'altro obbiettivo è un appello "alle due comunità araba e internazionale" perché vengano in aiuto ai rifugiati, aiutando il loro rimpatrio e aiutandoli a costruire le abitazioni. Questo può essere fatto "mettendo fine alla guerra in Siria e in Iraq con mezzi pacifici, mediante negoziati politici e un dialogo serio fra i belligeranti, neutralizzando le organizzazioni terroriste". Ciò può essere ottenuto se le comunità araba e internazionale "cessano di sostenere [i terroristi] dal punto di vista finanziario e militare, chiudendo le frontiere dove è necessario per impedire la circolazione dei mercenari".
"I disegni politici ed economici - ha aggiunto - non giustificano tali aggressioni terribili contro l'umanità".

Per i patriarchi e i leader cristiani, è necessario anche lavorare per risolvere la crisi israelo-palestinese, sulla base della formula "due popoli, due Stati", permettendo il ritorno dei rifugiati alle loro case. "E' evidente - ha affermato il patriarca Rai - che i due conflitti israelo palestinese e israelo-arabo sono all'origine delle disgrazie che noi viviamo oggi in Medio Oriente".

28 gennaio: scontro Israele -Hezbollah alla frontiera del Libano

I leader cristiani domandano uno sforzo maggiore dei governi e delle organizzazioni non governative a favore dei rifugiati e chiedono un impegno maggiore per ottenere la liberazione di tutte le persone rapite, o detenute, siano esse civili, militari o personalità religiose. Fra queste vi sono i due vescovi, il greco-ortodosso di Aleppo, Boulos Yazigi, e il siriaco ortodosso, Youhanna Ibrahim, nelle mani di gruppi fondamentalisti in Siria da quasi due anni.

Un pensiero è stato rivolto alla situazione del Libano, dal maggio scorso senza presidente e con i gruppi politici cristiani e musulmani che ne boicottano l'elezione.

      http://www.asianews.it/notizie-it/Patriarchi-dell'Oriente:-Per-la-pace-occorre-fermare-il-terrorismo,-aiutare-i-profughi,-risolvere-il-problema-israelo-palestinese-33307.html

lunedì 26 gennaio 2015

L’arcivescovo di Aleppo: «In Siria la cosiddetta Primavera araba ha fatto danni enormi»

Monreale, “SIA LA PACE” il discorso dell’Arcivescovo Jeanbart


Mons. Jeanbart si è rivolto all’assemblea raccontando con evidente commozione la situazione politica, economica e religiosa dell’intera regione, rispondendo alla fine alle domande dei giornalisti.

Partinicolive.it , 25 gennaio 2015

«Ho accettato volentieri l’invito del vostro vescovo di venire in Sicilia, così vicina a me per via della sue tradizioni bizantine e arabe. Certo essa è tristemente nota per la mafia, almeno come l’hanno veicolata i tanti film famosi che l’hanno fatta conoscere in tutto il mondo. Mi piace la Sicilia, così al cuore del Mediterraneo, così impregnata di cultura greca, romana, bizantina e araba, proprio come la Siria e Aleppo in particolare.»

«Chi sono i cristiani siriani? Sono proprio quelli di cui ci raccontano gli Atti degli Apostoli nel giorno di Pentecoste. Quindi in Siria è presente la Chiesa sin dalle origini, li è nata la Chiesa.»
«Questa è la ragione principale per cui noi cristiani (300.000 su una popolazione di 2 milioni) non vogliamo in nessun caso lasciare la Siria, e a questo aggiungo con fermezza, io in quanto pastore di questa Chiesa non lascerò mai questo popolo, morirò ma non lascerò i miei fedeli. Sono infatti convinto che il Signore mi chiederà conto del mio impegno, del mio coraggio e della mia speranza per questa porzione del suo popolo che mi è stato affidato.»
«Devo ammettere che c’è stato un momento, all’inizio della guerra in cui ho pensato di andare via, ma il Signore mi è stato vicino e oggi a 71 anni mi sento più giovane di almeno 15 anni, non temo la delusione e lo scoraggiamento, so che il Signore si prende cura di me e dei suoi fedeli.»

«Aleppo, la più antica città, era il vanto di bellezza cultura e storia di tutta la Siria e per quanto io ne possa parlare con orgoglio non sarà mai abbastanza per quanto essa realmente meriti. La Siria era un mosaico di religioni e riti, più di 15 gruppi di appartenenza religiosa ed etnica che vi hanno convissuto per secoli, e il governo riusciva a garantire a tutti una certa libertà di espressione e condizioni economiche accettabili. Tutte le scuole pubbliche erano gratuite e tutti potevano permettersi una casa. Certo i poveri c’erano ma non c’era la miseria.»
«Ad Aleppo c’è l’università statale che contava circa un milione e mezzo di allievi, con più di 150 mila studenti che erano accolti gratuitamente e ben 15 mila alloggiati nella città universitaria al costo di un euro al mese.»

«L’arrivo di quella che i media occidentali hanno insegnato a chiamare la primavera araba, ha distrutto questo equilibrio. E per noi non è stata una primavera che voleva portare la democrazia. Certo anche noi speravamo, visto che vivevamo in un regime semi dittatoriale, in cui il potere era centrato nelle mani del presidente. Ma egli stesso è rimasto travolto nel desiderio di allargare gli spazi di democrazia, ma che i moti rivoluzionari hanno distrutto.»

«La rivoluzione è contro chi? Contro se stessi! Quali sono i costi di questa democrazia?»

«Aleppo era una città abituata a vivere nella convivialità fra tutte le culture. Non c’era il Canale di Suez ma era il porto di Aleppo l’incrocio di tutti gli scambi. C’erano colonie di italiani francesi tedeschi austriaci olandesi e inglesi, e il dialogo e il rispetto reciproco erano alla base delle leggi di convivenza. Adesso è tutto distrutto.»






















«Cos’è cambiato: In Siria si sono concentrati molti, tanti interessi, sia delle potenze economiche occidentali: Francia, Inghilterra, America, ecc., che orientali: quelle legate all’Islam o almeno ad un modo particolare di concepire l’Islam. Vi sono poi gli interessi di Israele e della Turchia che vagheggia un ritorno all’impero ottomano seppur in chiave moderna, degli Emirati Arabi per via del gasdotto che la potrebbe attraversare, ecc. »

«I cristiani soffrono perché hanno perso le case, hanno perso i loro congiunti, hanno perso anche le loro chiese. Quella che era la classe media non ha più di che vivere. Tutto è stato corrotto, principalmente la stampa che non racconta la verità e mi pare che abbiano fatto a gara a costruire le torri di Babele, una vera azione di disinformazione.»

«Ma se alla fine saremo liberi di pensare, se saremo liberi di esistere in una pluralità, in una convivialità di differenze, allora penso che il prezzo che abbiamo pagato fino ad oggi, ne sarà valsa la pena, perché potremmo di nuovo ritornare a pensare insieme, per stare insieme.»

«Quando le potenze d’occidente volevano inizialmente mettere mano alle armi per affrontare la questione siriana è stato il Papa Francesco a riaprire il tavolo del dialogo svelando il sottile complotto di sgombrare i cristiani dal Medioriente. Una situazione complessa in cui i cristiani rappresentano una sorta di spina nel fianco. Perché i cristiani sono gli unici che hanno un certo tipo di rapporto con l’Occidente e sono in grado di svelare il grande imbroglio che sta sotto questa guerra e i tanti interessi che si vogliono tutelare. E non si pensi solo al petrolio dell’Arabia Saudita, ma anche a tutti i luoghi santi, in cui l’industria del turismo religioso ha interessi economici molto elevati, e a cui nessuno intende rinunciare, anzi, preferisce accaparrarseli.»
«La religione centra solo perché alcuni hanno tentato di coprire gli interessi economici con quelli presunti religiosi, ma questo non corrisponde alla realtà. Io ho rapporti con tantissimi esponenti religiosi anche autorevoli e di essi, nessuno è convinto che in nome di Dio si possa uccidere. È la violenza di pochi che prevale sulla volontà alla pace di molti.»

«Ecco ciò che rimane: una Chiesa rinnovata e giovane che rinasca dalla speranza cristiana che mai sarà delusa, perché il suo sacrifico è anche il prezzo del suo riscatto. Ripeto mi sono messo nelle mani del Signore, sento chiaramente in ciò un forte richiamo missionario, apostolico per mantenere la presenza della Chiesa lì dove è nata nel giorno di Pentecoste.»

«Abbiamo messo in campo alcune iniziative umanitarie per sostenere la popolazione nei bisogni primari quali il costo dell’energia, dei generi alimentari e dell’educazione. In particolare abbiamo fatto di tutto per non far chiudere le scuole cattoliche che esistevano e abbiamo istituito specifiche borse di studio.»
«450 padri di famiglia ricevono dalla diocesi l’equivalente di mezzo salario che avevano prima dell’inizio della guerra e questo già da tre anni; ogni mese sono distribuiti 1600 cesti con beni alimentari di prima necessità; Il freddo invernale mette a dura prova la popolazione, la diocesi ha instaurato 1000 contratti di sovvenzioni per fornire il gasolio pagando metà del prezzo necessario; abbiamo assicurato a 4 scuole e 3 istituti cattolici lo stipendio per gli insegnanti per continuare a ricevere gli alunni; abbiamo istituito 600 borse di studio per assicurare la retta di iscrizione visto che solo le scuole statali hanno delle agevolazioni mentre quelle cattoliche devono reggersi da sole.»

«Attendiamo con speranza che finisca la guerra e ci stiamo preparando a questo momento creando le risorse umane necessarie per la futura ricostruzione. Abbiamo per questo iniziato un movimento ecclesiale che si intitola “Costruire per restare” cioè per non abbandonare il paese. È un movimento che raduna tutti i cristiani da ogni situazione e ha come scopo quello di creare scuole professionali legate all’edilizia, perché sarà certamente il settore economico che ripartirà per primo.»

E rivolgendosi ai sacerdoti presenti:
«Oggi visitando la vostra cattedrale ho capito che voi con il vostro vescovo vedete già il cielo mentre siete ancora sulla terra e mi è venuta voglia di portare qui i miei sacerdoti per un corso di esercizi spirituali e magari potremmo organizzare un gemellaggio fra i presbiteri.
Perché proprio la guerra ci ha resi sempre più uniti, solidali e capaci di conciliare le differenti visioni sociali affinché possiamo essere veramente un elemento di speranza vera per i fedeli che guardano a noi come punto di riferimento per ridare speranza e coraggio.»

Alla fine mons. Pennisi ha comunicato che quest’anno, la Quaresima in Diocesi sarà l’occasione per una raccolta fondi per la Chiesa di Aleppo, poiché «siamo chiamati come Chiesa a vivere una solidarietà che passa attraverso il volto familiare del fratello in quanto figli dell’unico Padre.»

http://www.partinicolive.it/2015/01/monreale-sia-la-pace-il-discorso-dellarcivescovo-di-aleppo/


 25 gennaio: a Damasco  9 morti 70 feriti di cui 23 bambini, vittime di 90 razzi sparati dai
 'ribelli moderati' di  
Zahran Alloush  leader dell' Esercito dell'Islam;
pioggia di razzi su Aleppo;  anche Latakia e Homs colpite da attacchi dei miliziani

L'arcivescovo di Aleppo: «Vogliono svuotare il MedioOriente dai cristiani»

GIORNALE DI SICILIA, 25 Gennaio 2015

PALERMO. «C’è un complotto per svuotare il Medio Oriente dai cristiani, perché l’unica voce che sale e arriva all’Occidente sono i lamenti dei cristiani. Senza la presenza dei cristiani i piani di ristrutturazione del Medio Oriente saranno difficili»

............... leggi qui:

sabato 24 gennaio 2015

Attentato a Homs: "i giovani sono stati deliberatamente presi di mira", si affligge padre Hilal

Dopo un sanguinoso attacco terroristico  avvenuto mercoledì 21 gennaio 2015 a Homs, il padre gesuita Ziad Hilal deplora l’assenza di reazione  internazionale e chiama alla preghiera per la Siria.



Dopo il sanguinoso attentato terroristico a Homs del 21 gennaio 2015, il padre gesuita siriano Ziad Hilal si rammarica che le vittime dell'attentato siano stati soprattutto dei giovani.

"La maggior parte delle vittime erano studenti universitari, i giovani che non avevano ancora lasciato Homs.  Che messaggio manda ora questo attentato? Penso che essi siano stati presi di mira in modo deliberato", ha detto questo giovedì 22 gennaio Padre Ziad al ACS. 

Un'autobomba è esplosa mercoledì a mezzogiorno in una strada affollata nel centro della città. Secondo le informazioni a disposizione del Padre Ziad, 15 persone sono state uccise. E più di 50 sono rimaste ferite, alcune gravemente. 
C'erano anche ragazzi cristiani, sia tra i morti che tra i feriti:






Homs: 17 morti e 60 feriti, che l'Occidente non ha nemmeno menzionato, come l'attentato di "ribelli" che il 1 ottobre scorso uccise 48 bambini della scuola elementare

"L'attentato è avvenuto vicino alla nostra chiesa e al nostro centro di assistenza. Non sappiamo chi c'è dietro tutto questo. Ma è una tragedia. Le immagini dell'attacco sono terribili. Visitiamo le famiglie delle vittime e cerchiamo di confortarle. Ma cosa possiamo dire in questa situazione? Tutti noi, noi stessi, siamo profondamente rattristati e preoccupati. »


Padre Ziad ha domandato di pregare per questo paese devastato dalla guerra. "Chiedo a tutti, in particolare ai benefattori di Aiuto alla Chiesa che Soffre di pregare per la Siria, in particolare per le vittime di questo tragico attentato e le loro famiglie."
Padre Ziad si è mostrato ferito dalla mancanza di risposta da parte della comunità internazionale. "Dove è la reazione del mondo? Dopo gli attentati di Parigi, ognuno ha lo sguardo diretto verso la Francia. E qui? Non mi sembra che nessuno si sia espresso. Nessuno si muove. Il silenzio completo. La Siria e la sofferenza quotidiana della sua gente sono dimenticate. »



Homs è la terza più grande città  della Siria. Questa città di importanza strategica è stata contesa per molti anni tra il governo e l'opposizione. Dallo scorso anno, Homs è di nuovo sotto il controllo del governo siriano, ma continua ad essere percossa da attentati. Recentemente, nel mese di ottobre 2014, più di 50 persone sono morte in un doppio attentato con autobombe. A causa dei combattimenti, negli ultimi anni, una gran parte della popolazione della città, tra cui più di 80.000 cristiani sono stati costretti a lasciare le loro case. Si stima che più di 200.000 persone sono state uccise dall'inizio della guerra siriana.




L'ACS offre supporto alla Siria da anni, in particolare al lavoro umanitario di Padre Ziad per le persone in difficoltà a Homs e dintorni.
Sotto la supervisione di Padre Ziad diverse strutture  distribuiscono cibo, prodotti per l'igiene e l'abbigliamento a migliaia di persone, indipendentemente dalla loro religione o impegno politico.

Dall'inizio della guerra, nel marzo 2011,  l'ACS ha inviato aiuti per un totale di 4,15 milioni di euro al popolo della Siria e ai rifugiati siriani nei Paesi confinanti.

 (traduzione dal francese di  FMG)
http://www.aed-france.org/actualite/syrie-attentat-a-homs-des-jeunes-ont-ete-deliberement-vises/

giovedì 22 gennaio 2015

«Ad Aleppo i ribelli ci tagliano acqua, elettricità, tutto. Ma la cosa peggiore è il freddo»



Tempi, 22 gennaio 2015
intervista a Nabil Antaki, di Leone Grotti

 Nel dramma della guerra siriana che va avanti da quasi quattro anni, in una città divisa in due, proprio come Berlino prima della caduta del Muro, più delle bombe e i colpi di mortaio «che cadono ogni giorno», più che per la mancanza di acqua ed elettricità «che i ribelli [e i terroristi islamici] ci tagliano quando vogliono», gli aleppini soffrono per il freddo. «Ci mancava solo la neve», dichiara sconsolato a tempi.it  Nabil Antaki , medico e direttore di uno degli ultimi due ospedali funzionanti ad Aleppo. Antaki appartiene alla congregazione dei Maristi blu, che conta tra i suoi membri sia laici che religiosi, e quando la guerra ha investito Aleppo nel maggio 2012 lui ha deciso di rimanere con la moglie. «La Siria è il nostro Paese, le nostre radici sono qui. È qui che possiamo fare il nostro dovere e rendere il nostro servizio».


Fino a pochi anni fa Aleppo era la seconda città più importante della Siria, la capitale economica del Paese, un grande centro commerciale. Che cos’è oggi?
Aleppo è divisa da luglio 2012 in due cerchi concentrici: il cerchio esterno, dove vivono circa 300 mila persone, è nelle mani dei gruppi armati (ribelli, al Qaeda, eccetera, ndr), mentre il cerchio interno è sotto il controllo dell’esercito governativo. Noi, come tutti i cristiani di Aleppo, viviamo nella parte interna che conta due milioni di persone, di cui 500 mila sono cittadini scappati dalla parte esterna. Ogni singolo giorno, da due anni e mezzo, ci sono scambi a fuoco, lanci di bombe e colpi di mortaio tra le due zone, con i conseguenti morti e feriti. Viviamo in condizioni estreme.

Ci spieghi meglio.
Tutte le centrali sono nelle mani dei ribelli. Ci forniscono acqua solo un giorno a settimana, l’elettricità solo un’ora ogni 48. Manca la benzina, il combustibile domestico, il gas, eccetera. La cosa peggiore però è il freddo. Quest’anno l’inverno è particolarmente duro, con temperature che variano da 0 ai 5 gradi e la gente non può scaldarsi perché mancano combustibile ed elettricità.



Ha anche cominciato a nevicare. 
Sì, la neve ha peggiorato ancora di più le cose. Io e mia moglie, come tutti gli altri abitanti, soffriamo terribilmente il freddo.

Non è la prima volta che i ribelli vi privano dell’acqua, giusto? 
Dal 23 dicembre, per una settimana, i ribelli hanno tagliato completamente acqua ed elettricità. Poi hanno ristabilito le forniture col contagocce, come ho già detto. Nel maggio 2014 hanno tagliato del tutto l’acqua per 70 giorni, spesso l’elettricità manca totalmente per diversi giorni. A fine 2013 hanno bloccato completamente gli accessi alla nostra parte di città: per tre mesi nessuno è potuto entrare o uscire da Aleppo, né le persone né le derrate alimentari.

Le sanzioni che anche l’Unione Europea applica alla Siria da anni influiscono sulla vostra vita di tutti i giorni?
Sì, le sanzioni hanno peggiorato di gran lunga la situazione. E non solo ad Aleppo, ma in tutta la Siria. Ci mancano molti prodotti, tra cui le medicine, per colpa delle sanzioni. Inoltre, i prodotti disponibili entrano spesso di contrabbando e questo ha fatto aumentare il costo della vita. In quattro anni di guerra, il prezzo dei prodotti essenziali è quadruplicato e questo ha impoverito la popolazione. Circa il 70 per cento dei siriani oggi vive sotto la soglia della povertà.

Quanti cristiani vivono ancora ad Aleppo? 
Prima dello scoppio della guerra c’erano circa 140 mila cristiani. Oggi non siamo più di 70 mila, molti si sono rifugiati in Libano o in Occidente.



La Chiesa come si muove per aiutare la popolazione?
Le chiese locali orientali e soprattutto alcune Ong come la nostra, “I maristi blu di Aleppo”, aiutano i cristiani a sopravvivere fornendo loro sacchetti di cibo, vestiti, cure mediche e un riparo per le famiglie sfollate. La Chiesa universale chiede ai cristiani siriani, e di tutto l’Oriente, di non lasciare il Paese, culla del cristianesimo. Ma le associazioni caritative internazionali che dipendono dalla Chiesa non fanno abbastanza, o il loro aiuto non è ben distribuito o non è organizzato nel modo giusto.

Chi ha bisogno di aiuto?
Tutti. Noi aiutiamo sia cristiani che musulmani e le ong islamiche fanno lo stesso. Non chiediamo a nessuno se è cristiano o musulmano prima di aiutarlo. In questo modo preparo anche il futuro: la nostra azione infatti mostra la vera faccia dei cristiani, che non è quella propagandata dai gruppi estremisti.

Come avete passato il Natale?
Il Natale è stato un periodo di grande sofferenza per tutti gli aleppini, da una parte per il freddo e le privazioni, dall’altra perché l’abbiamo passato senza famiglie, parenti e amici, visto che la maggior parte di loro se n’è andata. Fortunatamente, ci sono stati molti concerti di Natale nelle chiese e questo ha reso le festività meno penose.
Photo by Hagop Vanesian
Dopo quattro anni di guerra, sperate ancora in una soluzione?
Il motto dei Maristi nel mondo e della nostra Ong di Aleppo è: “Semina la speranza”. Noi crediamo molto nella speranza cristiana e pensiamo che la Luce scaturirà dalle tenebre. Ma, in realtà, non c’è niente dal punto di vista militare, diplomatico o politico che ci spinga ad essere ottimisti.

PER INVIARE AIUTI AI MARISTI DI ALEPPO POTETE CONTATTARE IL DOTTOR NABIL ANTAKI A QUESTO INDIRIZZO: nabilantaki@hotmail.com




Syrie : quatre jours dans Alep assiégée di franceinter

mercoledì 21 gennaio 2015

Il pericolo degli jihadisti tornati dalla Siria



La rete del terrore nel cuore d'Europa



di Riccardo Redaelli

 L’effetto mimetico, di imitazione, è da sempre una delle conseguenze più temute da chi combatte il terrorismo: perché il terrore genera terrore. Da un lato, acuisce le paure – e talora le ossessioni – di chi subisce le violenze, con il dilagare fra la popolazione della paura di finire vittima della cieca violenza terroristica. Dall’altro lato, gli attentati – e tanto più quelli clamorosi, che riescono a imporsi sui media di tutto il mondo – scatenano la corsa all’emulazione, alla ripetizione. Proprio nel giorno in cui venivano seppelliti i vignettisti e i collaboratori di Charlie Hebdo, in Belgio ieri sera le forze dell’ordine, nell’ambito di una vasta operazione, hanno neutralizzato un commando di altri reduci dalla Siria che, a quanto risulta, erano in procinto di compiere un grande attentato, forse a Bruxelles. 

Ancora una volta, la guerra civile siriana si rivela un germinaio che contamina l’intero scenario mediorientale, con migliaia di jihadisti che si muovono agevolmente fra Europa, Levante e le altre regioni del Medio Oriente. Verrà il momento in cui si potrà riflettere con maggior pacatezza sugli errori compiuti da troppi Stati, fra cui molti europei, all’indomani dello scoppio delle rivolte contro 'il regime del crudele Bashar al-Assad': nella foga di sostenere i suoi oppositori, in pochi hanno prestato attenzione ai demoni che si andavano annidando in quel territorio. E oggi paghiamo il prezzo di questo errore di valutazione: abbiamo in qualche modo permesso la crescita di gruppi salafiti-jihadisti e, ora che stiamo bombardando (qualcuno dice un po’ svagatamente) il califfato di al-Baghdadi, subiamo la vendetta jihadista.

Il conto è particolarmente salato per l’Europa, che si ritrova a gestire ormai numeri consistenti dei cosiddetti returnees mujaheddin, ossia di jihadisti che si sono addestrati e hanno acquisito quelle capacità dei professionisti del terrore viste sanguinosamente all’opera a Parigi in questi giorni. La cancrena nel Levante ha fatto così da moltiplicatore sia quantitativo sia qualitativo del terrore: ha attratto grandi numeri di combattenti, li ha ulteriormente radicalizzati e ne ha migliorato le capacità operative. Soprattutto è preoccupante la capacità di network informale – ma non per questo meno efficace – dei nuovi gruppi jihadisti.
 E il Belgio è un caso da manuale: grandi comunità musulmane, predicatori radicali attivi da anni, strutture di 'hub del terrore' come Sharia4 belga, ossia una struttura jihadista estremamente flessibile e mutevole. Una struttura nata in Gran Bretagna, poi sviluppatasi in tutta Europa e in particolare in Belgio, che opera lungo due direttrici: da una parte il proselitismo, che serve a raccogliere sempre nuove reclute per i diversi teatri in cui si combatte il jihad, dall’altra parte l’azione di sostegno alle attività terroristiche. Le varie branche di Sharia4 forniscono armi agli aspiranti terroristi, li riforniscono di soldi, pagano loro il viaggio di andata (o di ritorno) verso le zone di combattimento.

E infatti, le armi con cui Amedy Coulibaly ha trucidato le sue vittime sembrano venire proprio dal Belgio. Dobbiamo aspettarci altri possibili attentati o tentativi di cellule terroristiche? Probabilmente sì: il clamore suscitato da un attentato di successo spinge all’imitazione gruppi organizzati e cani sciolti, spesso 'invisibili' alle forze di sicurezza perché mai legatisi strutturalmente alle organizzazioni jihadiste. Dobbiamo per questo cedere alla paura? Assolutamente no: il primo alleato del terrore è il nostro terrore. La paura che ci ossessiona e che ci spinge a reazioni esasperate, come l’idea ventilata di sospendere Schengen o ricorrere «a mezzi eccezionali».
Washington inizia a capire oggi come l’idea di ricorrere alla tortura per combattere il terrorismo jihadista sia stato un frutto avvelenato che ha danneggiato gli Stati Uniti molto più di quanto abbia fatto con i loro nemici. L’Europa non è un’isola felice, lontana da ogni guerra e violenza, ma non è neppure nelle mani di milioni di fanatici. Non perdere la testa, non etichettare ogni musulmano come un possibile assassino, non rinunciare alle nostre leggi e ai nostri valori. Al terrore rispondiamo con la nostra determinazione a non essere (troppo) spaventati.