Traduci

sabato 10 gennaio 2015

Il regalo di Natale a Qara: qualche ora di elettricità ....



Qara, venerdì 2 gennaio 2015
Natale in Siria 2014

Per la quarta volta abbiamo celebrato il Natale in guerra. Quest'anno, ci ha offerto un cesto pieno di regali. La notizia che parrebbe più banale durante il periodo natalizio è stata una fonte di gioia: il 24 dicembre c'era l'elettricità da mezzogiorno fino alle 02:30  e il giorno di Natale da mezzogiorno fino alle 08:30 del giorno di Santo Stefano. Adesso, abbiamo  interruzioni elettriche solo durante la mattinata e nelle prime ore del pomeriggio. E così abbiamo potuto festeggiare il Natale in tutta la sua gloria e la venuta di Gesù Cristo come la Luce anche nel nostro mondo.

Abouna Georges, il sacerdote bizantino di Qara è venuto per la celebrazione della "paramonia" (veglia di Natale), cioè il lungo servizio delle "ore reali", così chiamato perché a quel tempo in Costantinopoli anche l’imperatore partecipava a questa veglia. Poi è seguita la prima Eucaristia di Natale con il nostro piccolo gruppo in grande solennità.
Quando siamo arrivati nel refettorio, c’era la grande sorpresa della presenza di Madre Agnes-Mariam e suor Carmel. Madre Agnes-Mariam però aveva un forte raffreddore. Si era prima fermata all'ospedale Der Attieh, perché riusciva a malapena a respirare
 Era stata invitata a Mosca da un movimento per la pace e ha avuto un incontro proficuo tra altri con Mikhail Bogdanov, l'inviato speciale per il Medio Oriente. A Mosca, sembra, ha preso questo brutto raffreddore. Nel frattempo, un pasto è stato preparato per tutto il gruppoinclusi alcuni rifugiati . Alle 23.00 ho celebrato la messa di mezzanotte e dopo abbiamo cantato con la comunità tutte le canzoni tradizionali di Natale in diverse lingue e da diversi paesi. Erano le 01:30 quando abbiamo iniziato il banchetto. E poi è arrivato anche "Baba Noel" con tutti i tipi di regali per tutti. Durante tutto l'anno, si osserva quello di cui ognuno ha bisogno per il suo lavoro o per se stessi e con il Natale arrivano le sorprese. E poi la elettricità se ne è andata e così siamo stati avvisati che era davvero il momento di andare a dormire.

Anche la comunità del villaggio era in festa. Per la prima volta un grande albero di Natale è stato posto e decorato in segno di solidarietà dei 20.000 musulmani con il piccolo gruppo di 200 cristiani. Anche Abouna George era stato invitato a tenere un breve discorso e ha paragonato l'albero di Natale con “l’albero della vita" al momento della creazione. Un altro evento unico: sono stati distribuiti biglietti con la bandiera siriana e nella zona bianca tra le due stelle c’era la Mezzaluna Rossa con dentro una croce. Uno dei nostri volontari ha detto di non aver mai visto prima questo collegamento con la Croce. Proprio in questi giorni sono stati effettivamente portati extra aiuti che sono stati imballati in seguito qui da uomini di Qara. I cristiani sono generalmente ben visti perché avevano fin dall'inizio della guerra la visione e l'atteggiamento giusto. I cristiani non si sono uniti alle azioni dei ribelli ed hanno anche rifiutato in modo radicale le notizie occidentali con la loro propaganda di guerra.
Madre Agnes Mariam è quasi guarita in un solo giorno. Il giorno di Natale c’era una messa bizantina guidata da Abouna Georges. Per tutto il pomeriggio e la sera abbiamo parlato, discusso, dibattuto, e abbiamo guardato sul cellulare immagini e filmati da Mosca, la città con le sue belle chiese e monasteri e la sua vita pubblica dove oggi si persegue sempre di più una linea di condotta etica. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, la Russia ha iniziato un ritorno alle sue radici e alla sua fede.

Nel frattempo, siamo stati occupati con due giornalisti italiani che volevano fare una lunga intervista con Madre Agnes-Mariam e anche realizzare una relazione dettagliata sulla vita nel monastero. Avevano anche seguito la madre nelle sue conferenze in USA. Sono giornalisti e registi indipendenti, che non riuscivano a trovare nessuno interessato verso la vera storia di ciò che sta accadendo in Siria. Apparentemente la verità interessa solo a poca gente. Alla fine hanno deciso di autofinanziarsi. Fin dall’inizio, i due giovani si sono sentiti qui a casa e hanno anche filmato quasi tutto.
E poi le relazioni sulla TV siriana! Due giorni prima era già stato trasmesso un (vecchio) bellissimo documentario sul nostro monastero. Con un po' di nostalgia, abbiamo guardato le vicende di Mar Yakub prima della guerra. Poi è arrivata qui una troupe televisiva siriana che ha fatto registrazioni per mostrare come il Natale è celebrato qui nel Qalamoun liberato. A Natale abbiamo visto questo film ed interpretato come un segno di speranza, vita, luce e gioia, in mezzo a tante difficoltà e sofferenze. Oggi chiese vengono riparate o ricostruite
Anche in Maaloula, un piccolo gruppo di cristiani è tornato e ha celebrato la festa di Natale. Nelle interviste suona spesso una parola di ringraziamento all'esercito. Tanti ragazzi normali e anche semplici miliziani hanno dato la loro vita per la protezione della popolazione.


Le trasmissioni ufficiali delle celebrazioni natalizie sono notevoli. Oriente e Occidente hanno una  loro propria ricchezza, ma la liturgia bizantina è particolarmente ricca. In Occidente hanno mantenuto l'unità della fede per mezzo di una lingua, cioè il latino. Ed è proprio impressionante quando in Piazza San Pietro a Roma, con i pellegrini provenienti da tutto il mondo, si prega tutti insieme il Padre Nostro in latino. Tuttavia, l'Oriente non si è mai aggrappato a una sola lingua, ma la sua liturgia, sempre e ovunque, è celebrata nella lingua del popolo. L'unità della fede è molto più profondo di quanto sia il segno esteriore della lingua...

padre Daniel 

(traduzione A. Wilking)

giovedì 8 gennaio 2015

Non la satira, ma la verità saranno argine alla violenza

Fra Ibrahim è un frate siriano. Ha lasciato la sua terra anni fa, per seguire la sua vocazione e formarsi in Italia.
Oggi, proprio per la sua vocazione, torna nella sua terra, per lottare per la pace. Per portare speranza.




Il nostro augurio è che ognuno di noi possa raggiungere e mantenere il medesimo stupendo rapporto che fra Ibrahim ha con Dio e vivere in pienezza la propria Vocazione, qualunque essa sia ....

BUON 2015 da Piccoli Passi Possibili 


Per sostenere Fra Ibrahim nella sua missione, è possibile contattarlo qui: francescovai@hotmail.com.
Se voleste contribuire economicamente, le coordinate bancarie sono le seguenti:
- istituto bancario: Banca Carige, Agenzia 11 (Roma);
- nome beneficiario: "Delegazione di Terra Santa (Custodia di Terra Santa);
- iban: IT48A0343105018000000155180;
- causale: pro parrocchia Aleppo.

http://www.piccolipassipossibili.it/


Pietà non è condivisione. 

Che cosa ci impedirà di bestemmiare?


Cultura Cattolica, mercoledì 7 gennaio 2015

Scrivo sconvolto dall’orrore della notizia di oggi: alcuni redattori del giornale satirico «Charlie Hébdo» sono stati assassinati da un commando terrorista islamico. Avevano «offeso» l’Islam, e Maometto. Come altre volte avevano offeso la fede cattolica, pubblicando vignette blasfeme sulla Santa Trinità. Ora lo sdegno è corale, e moltissimi si rendono conto della gravità della situazione.

Affido, personalmente, alla misericordia di Dio questi uomini. Ma mi chiedo con dolore se ci rendiamo conto dove stiamo andando.
Fino a quando terremo gli occhi chiusi, accetteremo imbelli che ciò che di più prezioso ha l’uomo, la sua fede, venga irriso impunemente? O dovremo aspettare che chi non ha la nostra cura per la libertà faccia, a modo suo, giustizia? Così che non un codice di autoregolamentazione e rispetto abbiano a suggerirci il rispetto delle convinzioni altrui, ma la minaccia, la violenza e l’assassinio. Non è eroismo dissacrare le convinzioni degli uomini! Non è eroismo pubblicare vignette blasfeme! Non è eroismo deridere e pubblicare immagini che violano la coscienza profonda degli uomini!
Così qui in occidente assistiamo alla gaia derisione dei valori più sacri, vediamo distruggere la coscienza dei piccoli, ospitiamo convinti di fare esercizio di cultura chi mina la sacralità della vita e della famiglia, esibendo l’immoralità come conquista di libertà.
E poi vediamo l’orrore della brutalità scatenarsi nelle nostre città. Forse è giunto il momento di aprire gli occhi e cercare di costruire spazi di ascolto, di riguardo, di confronto con tutti.
Ho guardato sul web: quanti esprimono la loro solidarietà e il loro disappunto. «Io sono Charlie» campeggia ovunque.

No, io non riesco ad esprimermi così. Ho orrore e disgusto e disprezzo per coloro che hanno ucciso a sangue freddo questi uomini. E questo rivela la loro cultura, disumana. Ma chiedo che la libertà invocata giustamente sia nutrita da un lavoro di creazione di modalità di accoglienza di tutti.
È vero, l’islam – e lo vediamo per quanto accade sotto i nostri occhi contro i cristiani – non è religione di pace. La spada non è solo metafora di un impegno a combattere il male con le armi spirituali. La libertà religiosa e di pensiero non sono valori apprezzati, anzi.
Ma è pur vero che noi siamo in un contesto in cui l’uomo sta morendo. Il pensiero degli altri non viene più rispettato. Si cerca di manipolare – attraverso tutti i mezzi a nostra disposizione – la verità. Chissà se invece che esprimere reazioni alla violenza cieca sappiamo trovare l’antidoto reale, quell’antidoto che nel mondo l’ha portato nostro Signore! In questo mondo dell’odio e della menzogna, non saranno le nostre urla di indignazione a cambiare la realtà, ma solo una presenza libera di bene, offerta a tutti gli uomini.
Sarà la cieca violenza che ci tratterrà dalla bestemmia? La nostra cultura dalle radici cristiane ha risorse più vere per creare la «civiltà dell’amore»!

http://www.culturacattolica.it/default.asp?id=17&id_n=36679

lunedì 5 gennaio 2015

Aleppo : si manifesti, Signore, la tua salvezza!


Dal Diario di viaggio ‘NoëlpourlaSyrie’ di SOS CHRETIENS D’ORIENT
Festa dell'Epifania

Partenza da Damasco alle 06.00 per raggiungere la città di Aleppo,  a nord-ovest della Siria.

 Il percorso è studiato bene prima della partenza: è impossibile collegare le due città attraverso l’ autostrada, alcuni tratti della quale  sono controllati  da gruppi armati.
 L’ingresso nella grande città di Aleppo (3 milioni di abitanti) si fa dalla piccola strada che è l'ultimo passaggio che collega la città al resto del Siria...
 La città è tagliata in due e la magnifica cittadella segna la linea del fronte: l’est della città è nelle mani dei "ribelli" ed è assolutamente impossibile raggiungere l'ovest senza fare tutto il giro della provincia...

Siamo accolti in Aleppo dal deputato Pierre Merjaneh che ci offre il ritratto di una città sfigurata dalla guerra: dal 23 dicembre, i residenti non ricevono né acqua né elettricità, le due essendo controllate dai gruppi armati di opposizione.
 Neppure si trova più carburante, a causa  in primo luogo delle sanzioni internazionali, che hanno significativamente ridotto il rifornimento nel Paese,  e per la difficoltà di raggiungere Aleppo, preda di combattimenti costanti  tra l'esercito siriano e i gruppi dell'opposizione .

Andiamo a incontrare le suore dell'ospedale Saint Louis, che opera da qualche tempo al rallentatore: il generatore che permette di bypassare la mancanza di elettricità è troppo potente e consuma un sacco di carburante. Non può continuare a lavorare permanentemente: ci vorrebbero 1000 litri di carburante al giorno, sapendo che esso costa  ormai 155 lire siriane per litro (era 20 lire siriane prima della guerra)... E non solo è costoso, ma soprattutto troppo raro a causa delle  sanzioni contro la Siria...


 Pierre Merjaneh commenta la situazione: "parlano di sanzioni economiche, ma sono in realtà sanzioni umanitarie "... 
In un ospedale pubblico della città, tre pazienti sotto assistenza respiratoria sono di fatto morti a causa dell'impossibilità di mettere il generatore in funzione a causa della scarsità di carburante...

 Questo è ciò che spossa e inquieta le suore dell'ospedale.
 Il laboratorio dell'ospedale è stato allo stesso modo chiuso. Il materiale c'è, ma gli specialisti hanno lasciato la città.
 "L’emigrazione è catastrofica per la città di Aleppo" commenta una suora, che precisa che i cristiani che hanno lasciato la città o anche il Paese sono molto numerosi . Se i gruppi armati riuscissero permanentemente a tagliare l'ultima strada che collega al resto della Siria Aleppo, i residenti non potrebbero più fuggire...  
Tutti sono preoccupati, i cristiani forse anche più degli altri.
 Una giovane aleppina, capo delle guide,  illustra drammaticamente questa preoccupazione: "Eravamo 150 guide prima della guerra, ora non ce ne sono più di 40...Tutti gli altri sono fuggiti da questa situazione.”

 Dall’altro lato dell'ospedale, è il blocco della chirurgia che è spento: le sorelle accendono solo in caso di emergenza a causa della mancanza di energia elettrica.

 Ma la situazione è ugualmente  difficile per i loro pazienti: alcuni che venivano  dai villaggi vicini, situati a pochi chilometri da Aleppo sono ora obbligati a fare tutto il giro della provincia per raggiungere l’ ovest della città.
 "Aleppo è la nuova Berlino e il mondo intero tace...", deplora una Sorella, che racconta una storia recente : "Dei pazienti ci hanno chiamati alle 3 del mattino e normalmente ci mettono una buona ora per arrivare all'ospedale... Sono arrivati alle 16, dopo aver fatto una deviazione enorme! Vi rendete conto? "

La cappella delle suore è divenuta impossibile da illuminare...   Essa pertanto è stata trasferita al centro dell'ospedale, più piccola e di più facile accesso, consente quindi alle suore a pregare.

 Sulle pareti: un Rosario e una croce fatta da una delle sorelle con le pallottole che hanno raggiunto  l’ ospedale...

 "Pregare e sperare! Non abbiamo di meglio da fare nè da proporre ", ci dice,  prima di incoraggiare  SOS Chrétiens d’Orient a fare lo stesso per la Siria...


 Aspettando impazienti la pace, come tutti i Siriani, le suore continuano a far funzionare pazientemente e nel modo più efficace possibile l'ospedale di cui si prendono cura...

(traduzione dal francese di FMG)

sabato 3 gennaio 2015

Samaan Daoud: le Festività in Siria tra paura e speranza


I cristiani in Siria si sentono abbandonati e rischiano la vita ogni giorno, tuttavia le loro poche chiese ancora attive sono piene di fedeli durante le messe

Lo ha raccontato a ZENIT Samaan Daoud, già guida turistica per italiani prima dello scoppio della guerra. Samaan è uno dei cattolici siriani che, coraggiosamente, ha scelto di rimanere nel suo paese.  

Zenit, 22 dicembre 2014

Ci può raccontare della sua attività di guida turistica in Siria?
Iniziai a fare la guida turistica con gruppi italiani nel 1994 ma purtroppo dal 12 maggio 2011 ho perso improvvisamente questo lavoro. Continuo a fare la guida ma non più turistica: nel 2012, dopo nove mesi di stop, ho cominciato a guidare i giornalisti nei campi di battaglia e nelle zone di conflitto. Ero a Maalula, quando nel settembre 2013 fu presa dai fondamentalisti Qaedisti del Fronte di Al-Nusra. Attualmente traduco anche libri dei Salesiani del Medio Oriente dall'italiano all'arabo: in totale ne ho tradotti sei.

Come è tradizione per i siriani trascorrere il Natale? Ci sono usanze particolari?
Il Natale è una festa nazionale a cui tutto il popolo partecipa: soltanto i cristiani fanno il presepe, tuttavia la maggior parte dei siriani allestisce l’albero del Natale in casa propria. Vi sono ancora cristiani che fanno il digiuno natalizio, che dura quaranta giorni e che rappresenta un’antica tradizione cristiana medio-orientale. In questo mese ci sono tanti concerti che si tengono sia nelle chiese che in grandi teatri. Le strade vengono abbellite con addobbi natalizi ma purtroppo nei ultimi tre anni, molti di questi addobbi non si vedono più, perché tante famiglie hanno perso dei loro cari e il paese è mezzo distrutto (in questi tre anni in Siria sono state distrutte 3 milioni di case).
Alla vigilia tutti i cristiani vanno in chiesa per la messa, poi nella tarda serata fanno la cena. Il giorno di Natale tutte le famiglie si incontrano dal capo famiglia ed ogni zona della Siria ha il suo piatto particolare; ad esempio, il piatto natalizio più noto a Damasco si chiama kibbeh (grano macinato fino con carne di montone): questa pasta viene riempita di carne fritta, pistacchi, cipolle e poi messa nello yogurt cotto. Nella tradizione damascena si serve un piatto bianco, sempre a base di yogurt.

Che tipo di Natale trascorreranno i cristiani in Siria? Hanno paura?
I cristiani in Siria hanno paura e vivono in uno stato di grande preoccupazione, siamo nel mirino del fanatismo e del radicalismo islamico. Siamo un obiettivo facile da colpire e abbiamo avuto molti martiri cristiani in questa assurda guerra. Quasi il 50% dei cristiani sono fuggiti dal paese, la maggior parte della comunità cristiana, che si trova ad Aleppo, è in grandissimo pericolo perche sia l’Isis che il fronte di Al-Nusra li minacciano in continuazione. I cristiani fuggono da Aleppo: ero lì un mese fa ed ho visto tanta sofferenza e tanta paura. Lo stesso discorso vale per i cristiani del Nord-Est della Siria, nella zona di Al-Qamishli, dove l’Isis circonda la zona e ha ucciso e rapito tanti cristiani, impossessandosi anche dei loro terreni.

In questa immane tragedia della guerra, si levano voci di speranza, come quella di papa Francesco che più di un anno fa, convocò una giornata di preghiera per fermare l'intervento militare internazionale che effettivamente non avvenne. Che speranze destano nei cristiani siriani la Chiesa Cattolica e il Papa?
I cristiani in Siria oltre a sentire la paura, soffrono della sindrome da abbandono. È difficile rimanere in Siria. Se non viene garantita pace, la sicurezza e la possibilità di lavorare, è impossibile chiedere ai cristiani di rimanere. Non bastano  parole ci vogliono degli atti più forti contro questo fanatismo che distrugge e minaccia la nostra esistenza… 
In Occidente taluni ci criticano perché siamo a favore del regime di Damasco, ma non hanno capito che l’opposizione al regime è più sanguinaria e disumana del regime stesso. 
Il miracolo è che, nonostante le enormi difficoltà gli sfollati e i rifugiati cristiani mantengono una forte fede in Gesù l’Emmanuele e le chiese sono piene di fedeli.

http://www.zenit.org/it/articles/il-natale-in-siria-tra-paura-e-speranza


"Il Natale sottoterra di noi cristiani. Il presepe unica gioia"

Padre, madre e due figli. A Damasco vivono con l'incubo delle bombe: "Quando esci di casa rischi la vita, il dono del Signore è un po' di sicurezza in più"

Il Giornale, 22/12/2014 , di Gian Micalessin -

«Stavamo facendo il presepe. Michael all'improvviso si è bloccato. Ci ha pensato un attimo... poi l'ha detto. “Papà perché non ci mettiamo le foto di chi non c'è più?”. Io e Riima siamo quasi scoppiati a piangere. Michael ha solo dodici anni, ma come tutti i bimbi è riuscito a ricordarci in quattro parole l'inferno a cui siamo sopravvissuti. L'inferno in cui ancora viviamo. In un attimo ci sono passati davanti questi quattro anni, con il loro carico di guerra, morte e tristezza. In un attimo abbiamo rivissuto lutti, paure e orrori».

L'amico Samaan è il solito fantasma squadrettato evocato da Skype. Riima, sua moglie, gli è accanto. Dietro nell'ombra digitale ed evanescente del piccolo appartamento giocano Philippe e Michael. Fuori, tredici gradini più su, ci sono piazza Khouri, il quartiere cristiano di Khassan, la Damasco in guerra. Quante volte abbiamo parcheggiato in fretta. Quante volte io e Samaan siamo corsi a testa bassa giù per quella scala mentre mortai e missili ribelli colpivano il quartiere cristiano di Damasco. Riima era sempre lì, oltre la porta socchiusa, oltre quei tredici gradini. A guardarci con quel misto di rimprovero e preoccupazione. A urlarci «veloci, veloci che vi fanno secchi». E nel piccolo soggiorno tra divano e televisione c'erano, come ora, gli occhioni di Philippe e Michael. Filippo ha 16 anni un piede in gesso. «No, mica per le bombe ... giocando a calcio dai salesiani», mi urla in fretta prima di tornare al presepe. «Vedi siamo ancora qui. Ancora vivi, ma ancora prigionieri di questa guerra, di questa casa. Pronti per un altro Natale in gabbia», sussurra Riima. Lei quell'appartamento nel seminterrato non l'ama proprio. Samaan l'ha affittato in fretta e furia quando le schegge spazzavano il balcone della loro grande casa di Jaramana, un quartiere diventato d'improvviso prima linea ribelle. «Non è spaziosa come quella, ma è sicura perché sta quasi sottoterra» - le ripete lui. «Ma quest'anno - s'arrabbia Riima - è pure gelida, faremo il Natale in frigorifero». Samaan scuote la testa. Sospira. «È vero abbiamo dovuto rinunciare alla stufa, ma che ci posso fare? Il diesel è scomparso. Se lo tiene tutto il Califfato. Da quando l'Isis ha conquistato gli ultimi pozzi nel nord est la situazione è drammatica. Il gasolio è introvabile. E quello venduto sottobanco ha un prezzo impossibile. Spero solo che non nevichi. Il problema dei prezzi è terribile. Chi come me faceva la guida turistica non lavora da tre anni.

A Damasco è pieno di cristiani nella mia situazione. Noi cristiani non lavoravamo per lo stato, preferivamo le attività individuali. E quindi la maggior parte di noi sopravvive con i risparmi di prima della guerra. L'altro giorno sono andato dal calzolaio. Una volta mi faceva i tacchi in dieci minuti, tra una chiacchiera e l'altra. Stavolta è scoppiato a ridere. "Butta le scarpe su quella montagna là dietro e se sei fortunato - m'ha detto - te le ridò tra dieci giorni". Mi son girato e ho capito. C'era una vera montagna di scarpe in attesa. Qui nessuno compra più niente. Tiriamo avanti tutti con quel che abbiamo. E più passa il tempo, più peggiora. I vestiti nuovi per i figli erano uno dei simboli del Natale. Quest'anno rinuncio anche a quelli. E Riima mi ha detto di scordarmi pure le castagne. L'odore delle caldarroste fatte saltare nella padella e servite prima del pranzo è il ricordo di tutti i miei Natali fin da quand'ero bimbo. Ora chi le trova più. Le poche che arrivano costano un occhio della testa. Sono un ricordo impossibile». Riima sorride. «Eppure una piccola speranza io quest'anno ce l'ho. Oggi il tuo amico Samaan mi ha portato a fare una passeggiata. Era una settimana che non mettevo il naso fuori. Ma è bastato. Per un attimo, per la prima volta dopo tre lunghi anni ho respirato l'atmosfera di Natale. No, non pensare, non quella di un tempo quando dalle cucine arrivava l'odore del kahak al minad del biscotto di Natale messo a cucinare con latte burro e cannella. Non il clima spensierato di un tempo quando le famiglie correvano da un negozio all'altro tirandosi dietro pacchi e pacchetti. No, scordatelo, tutto quello non c'era. Le famiglie camminavano e basta. Qualcuno neppure parlava. Ma era già qualcosa. Li ho guardati e, d'improvviso, ho capito. Anche Daoud e io, per la prima volta dopo tanti mesi, passeggiavamo tranquilli. Senza chiederci se saremmo tornati a casa vivi. Un mese fa non era così. Uscivi e ti facevi il segno della croce. Poteva succedere in qualsiasi momento. Una granata o un missile ti cadevano accanto, ti facevano a pezzi. Da un anno e mezzo i ribelli di Al Nousra, quelli di Al Qaida erano a due chilometri da qui. Ci tenevano sotto tiro. L'esercito adesso è riuscito a respingerli un po' più in là. E noi ora, grazie a Dio, respiriamo. L'ho letto negli occhi degli altri cristiani del quartiere. Ho capito che quel po' di sicurezza in più era il vero regalo del Signore per Natale. Per questo sono tornata a casa e ho urlato... dài facciamo il presepe».

Samaan sorride. «Dovessimo fare come dice Philippe dovremmo metterci almeno quindici foto, le foto di quelli che se ne sono andati in questi dodici mesi. Uccisi anche dalle malattie. Perché la guerra non ti uccide solo con le bombe e i proiettili. Il tumore s'è appena portato via Dahsan il fratello di Riima. Se non fosse per l'embargo, per la mancanza di medicine, per i cecchini ribelli che battono la zona di Harasta attorno all'ospedale di Berroumi sarebbe ancora qui. Berrouni è l'unico ospedale per i malati di cancro. Eppure tante volte abbiamo dovuto rinunciare alle terapie, girare l'auto, tornare a casa.... altrimenti rischiavi di morire in strada con una pallottola in testa». Riima scosta Saaman, occupa l'obbiettivo. «Abbiamo fatto il presepe, ma non l'albero. Quando sei in lutto qui in Siria non fai l'albero. L'albero è simbolo di gioia, ma se la tua vita è nera, l'albero non la può riaccendere. Qui nel quartiere ci sono tanti presepi, ma pochi alberi. George Kalash il figlio dei vicini, quelli dell'appartamento due piani sopra, è morto a marzo. Il colpo di mortaio è caduto all'entrata del palazzo. L'ha fatto a pezzi. Michael lo conosceva bene. Non è stato facile spiegarglielo. È difficile spiegare la morte a un bimbo di dodici anni. Per questo forse ha detto quella frase. Un Natale tranquillo non basterà a rimarginare tutte le ferite. Non ne possiamo più di stragi, autobombe, corpi mutilati. Non ne possiamo più del terrore che c'infliggono quei fanatici ribelli. Philippe e Michael cresceranno segnati da questi orrori. Noi già lo siamo».

Samaan annuisce. Lui nell'ultimo anno li ha vissuti tutti. «A febbraio un colpo di mortaio ha centrato lo scuola bus armeno qui alla porta orientale. Ho visto l'autista e quei quattro scolari dilaniati. Poi i colpi sono caduti davanti alla scuola di Michael. Quella mattina c'era sangue dappertutto. Ho riaccompagnato a casa Philippe e Michael e sono corso all'ospedale, cercavo la figlia di un mio amico. Al reparto lui non c'era... però sentivo le urla della figlia. Ho riconosciuto la sua voce. Gridava «papà, papà dove sono le mie gambe...». Se ci ripenso mi vengono i brividi. Ogni volta che Philippe e Michael sono in giro da soli risento quella voce. E fino a quando continuerò a sentirla non riassaporerò né la gioia della vita né quella del Natale».

http://www.ilgiornale.it/news/natale-sottoterra-noi-cristiani-presepe-unica-gioia-1077716.html

mercoledì 31 dicembre 2014

Buon anno, amata Siria! che questo 2015 porti speranza di Pace

Una candela accesa e una preghiera per la pace in Siria: 

Iniziativa di S.B. Gregorio III, Patriarca greco-melchita, che invita ogni cristiano ad accendere una candela per simboleggiare una "fiamma di luce e speranza"

Dio Misericordioso e Onnipotente, fa' in modo di diffondere la pace nei cuori in Siria, come un tempo sei stato in grado di convertire San Paolo sulla via di Damasco, 
e  fa sì che le persone che sono fuggite dal pericolo possano tornare a casa presto.
Benedici tutti i Tuoi figli che sono divenuti rifugiati e che non hanno più casa. Dimostra la Tua misericordia a tutti coloro che sono esiliati, senza tetto e affamati.
Benedici tutti coloro che offrono loro dell'aiuto; risveglia la generosità e la compassione nei nostri cuori, Te lo chiediamo per Gesù Cristo nostro Signore, Amen.

Pace in Siria!

Anche qui nel buio siriano attendiamo Lui e la sua luce

Che cosa vuole dire celebrare il Natale in Siria? Qualche anno fa, quando non c’era ancora questa guerra, in molte città si viveva una festa di luci e di simboli. Era un fiorire di stelle e presepi di luci sui palazzi, balconi che riversavano cascate di luminarie, strade addobbate di rosso e oro, le tende delle case scostate di lato per lasciar vedere gli abeti illuminati all’interno, le corali che ogni sera offrivano canti e meditazioni.
Era festa per tutti, non solo per i cristiani, in un Paese dove da secoli si viveva insieme, ci si faceva gli auguri reciprocamente, i cristiani ai musulmani per le loro feste, i musulmani ai cristiani per Natale e Pasqua. Un calore vero di gente che si sentiva libera e gioiosa di manifestare la sua fede.
 
Oggi c’è la guerra, ma viene ancora il Natale. E i cristiani lo aspettano, e si preparano. E, chissà, forse proprio a causa della guerra, della distruzione, della povertà, della morte che ha toccato ogni famiglia, lo attendono in modo più profondo. Lo aspettano perché comprendono che o non è vero niente, o Dio non è Dio, non c’è, e la nostra speranza è falsa, oppure Dio c’è, ed è un Dio di amore, Uno che solo può portare la luce dentro tanto dolore.
E come capiamo che Lui è presente? Perché c’è gente che ha una luce negli occhi, che ha la speranza nel cuore e te la fa sentire. Dio c’è, e la fede è come un esercizio di speranza. Anzi, è la messa in pratica della speranza. Ci sono speranze piccole, semplici, quotidiane: ad esempio, sperare che almeno per le feste ci sia un po’ più di corrente elettrica, il gas per cucinare e il gasolio per scaldarsi. E speranze più grandi: meno gente che muore, qualche possibilità che la guerra finisca… e cominci davvero il cammino verso la pace. E poi c’è la speranza delle speranze: che tutti possano conoscere l’amore di Dio, ed essere finalmente liberi per sempre nell’amore. Ah, sì, questa è LA speranza.
 
Siamo circondati dalla sofferenza, e sappiamo bene che non possiamo evitarla. Dio non ha mai promesso questo, dolore e morte fanno parte della vita. Quello che Dio promette, e mantiene, è insegnarci a vedere il senso di tutto, e quando vediamo il senso, allora siamo liberi. «La verità vi farà liberi», è questo il significato delle parole di Gesù. 

Il presepio è nato con San Francesco. Era di ritorno proprio dall’Oriente (dove aveva potuto predicare il Vangelo perché il Sultano, visto che Francesco era davvero un uomo di Dio, lo aveva lasciato libero di annunciare la Buona Novella). Tornato in Italia, ha voluto ricreare la povertà del luogo dove Gesù si era incarnato e ha deciso di far celebrare una Messa di notte, nel bosco di Greccio, davanti a una mangiatoia che è diventata altare, con un asino e un bue e le torce dei presenti che illuminavano la radura. Quello è stato il primo presepio. Ma il desiderio di Francesco era così grande, che durante la Messa gli è apparso il Signore, proprio come un Bambino nella mangiatoia. Ecco, questo è il nostro Natale (ma dovrebbe essere il Natale di tutti): se lo desideriamo davvero, Dio è lì, viene per noi. Ancora. In una mangiatoia. Non ha bisogno di granché, può venire anche nella Siria devastata dalla violenza.
Ha bisogno solo di noi, asini e buoi, pronti a riscaldarlo con la nostra fede. Ha bisogno solo del nostro desiderio, bruciante come le torce nella notte. Se nel nostro Natale non mettiamo il desiderio di Dio, allora è solo consumismo, è solo “la pausa invernale”, l’occasione per ottenere in regalo qualcosa che ci piace. O la lagna degli auguri, spesso convenzionali, di amici e parenti.
 
Ma se c’è il desiderio del nostro cuore, allora sì. Si accende una luce dolce e forte insieme.. Magari solo dentro, nessuno la vede. Ma ce l’abbiamo dentro, e illumina tutto. Perché, e questa è la buona notizia, DIO È. 
È lì, fatto uomo per noi. Buon Natale del Signore Gesù a tutti. Ai siriani e a tutti gli uomini di buona volontà.
Un gruppo di cristiani in Siria
Avvenire, 23 dicembre 2014

http://www.avvenire.it/Mondo/Pagine/Anche-qui-nel-buio-sirianobr-aspettiamo-Lui-e-la-sua-luce.aspx

domenica 28 dicembre 2014

"Ci hanno tolto tutto ma ci resta Gesù il nostro Salvatore". Aleppo ancora senza acqua e combustibile

NATALE AD ALEPPO

28 dicembre ... Un nuovo appello per sostenere gli abitanti di Aleppo. ..
" Da una settimana siamo completamente privati di acqua ed elettricità... Gas, olio combustibile e benzina sono razionati ... è freddo in Aleppo...

Sostieni il nostro desiderio di vivere in dignità e pace! "


SIR,  22 dicembre 2014
di Daniele Rocchi

 Padre Georges Abu Khazen, vicario apostolico latino: "I cristiani da 180mila che erano prima della guerra oggi sono meno della metà. Nella mia parrocchia, San Francesco, situata in centro, vengono non solo i cattolici ma anche fedeli di altre fedi cristiane". Tutta la comunità cristiana è in prima linea nell'aiutare la popolazione, "non importa se cristiana o musulmana, la fame non fa distinzioni"


“Sarà un Natale privo di tutto ma non di speranza e di fede. È tutto ciò che ci resta ed è molto: Gesù è il nostro Salvatore. Questa certezza ci dona anche quella gioia che ogni giorno la guerra e la violenza ci strappano via”. Da Aleppo, padre Georges Abu Khazen, vicario apostolico latino della città, la seconda della Siria, racconta il  Natale dei cristiani locali, almeno di quelli rimasti. Da oltre tre anni al centro di duri combattimenti tra esercito regolare fedele al presidente Bashar al Assad e ribelli la città vive un assedio che strozza la popolazione. La paura più grande si chiama però Stato Islamico (Is) che molti danno alle porte di questa città simbolo della guerra siriana. I cristiani da 180mila che erano prima della guerra oggi, dice il vicario, “sono meno della metà. Nella mia parrocchia, san Francesco, situata in centro, vengono non solo i cattolici ma anche fedeli di altre fedi cristiane”.

Ad Aleppo i quartieri continuano a svuotarsi.
I bombardamenti, i colpi di mortaio costringono la popolazione a vagabondare di zona in zona per cercare un alloggio più sicuro, lasciandosi dietro case danneggiate e proprietà indifese. Chi può lascia la città attraverso l’unica arteria stradale sicura aperta dall’esercito siriano qualche mese fa. L’elenco delle difficoltà materiali è lungo: “Mancano generi di prima necessità, l’energia elettrica viene erogata solo due ore al giorno, scarseggia il carburante, il gasolio per il riscaldamento – spiega padre George -. Grazie a Dio le medicine vengono assicurate dalla Mezzaluna Rossa e dalla Croce Rossa, che svolgono un lavoro eroico. Tutta la comunità cristiana di Aleppo è in prima linea nell’aiutare la popolazione, non importa se cristiana o musulmana, la fame non fa distinzioni”. Una “testimonianza di carità” che con il Natale acquista rilievo mostrando un occhio di riguardo ai più piccoli. “Stiamo cercando di preparare per i bambini dei regali, dolci, cioccolato e caramelle. È importante che sentano il clima della festa nonostante la violenza che li circonda”. A dare un po’ di speranza anche la notizia di un possibile “cessate-il-fuoco” concertato grazie alla mediazione dell’inviato Onu, Staffan de Mistura. “La gente è scettica - afferma il parroco - anche se al fondo nutre qualche speranza in un accordo”. Sarà difficile, però, mettere insieme tutti gli attori in Siria, uno è Assad, gli altri sono lo Stato Islamico, Al Nusra e gruppi minori, il Free Syrian Army. “Dobbiamo congelare la situazione ed evitare che degeneri ulteriormente” è l’auspicio del francescano.

Con la città in agonia i cristiani si apprestano a vivere il Natale.
“Stiamo celebrando la Novena per arrivare pronti alla nascita di Gesù - dice il vicario - ogni giorno le nostre chiese sono piene di fedeli. Ritrovarsi insieme a pregare ci conforta e ci dona coraggio per andare avanti. Domenica scorsa ho distribuito oltre mille comunioni”. “È commovente - racconta - vedere come questi cristiani, sfidando i pericoli rappresentati da colpi di arma da fuoco e dei mortai, vengono in parrocchia ogni pomeriggio alle cinque per la Novena. A quell’ora qui ad Aleppo è già buio ma alla luce fioca delle torce ricaricabili affrontano a piedi la strada che li separa dalla chiesa”. I riverberi delle torce testimoniano la loro presenza nelle strade, piccole luci splendenti nella notte di Aleppo. I cristiani ci sono ancora. Non li puoi solo vedere nella penombra ma anche ascoltare. “Abbiamo organizzato delle serate di canti natalizi in diverse chiese della città. Il canto trasmette serenità e speranza che non deve morire mai”.

Sempre presente il ricordo dei Vescovi di Aleppo rapiti 20 mesi fa

Problemi di sicurezza? Ride padre George quando sente la domanda. “Ad Aleppo non siamo sicuri da nessuna parte, in strada, in casa, nelle chiese, quindi cercheremo di vivere normalmente. Anche la ricerca di segni natalizi in casa ha questo scopo, vivere il senso della festa in mezzo a tanta violenza. Il presepe e un piccolo albero ricco di luci spente perché non potranno essere accese per mancanza di energia elettrica. Paradossale vero? Qui aspettiamo la Luce, l’unica che può rischiarare le tenebre del momento”. Resta il tempo di una benedizione. Il telefono è da mettere sotto carica prima che l’energia elettrica venga di nuovo staccata.
“In questo Natale, Signore, benedici questa terra e la sua gente. Ispira i governanti e i responsabili perché prendano le giuste decisioni di pace!”.

venerdì 26 dicembre 2014

Continua l'iniziativa 'Una pecora per Maalula'

Un'iniziativa del Coordinamento per la pace in Siria che può rendere più proficuo il nostro Natale


sono arrivate le prime pecorelle

C'è un villaggio arroccato sulle montagne siriane al confine con il Libano che sembra uscito da un Presepio. Un villaggio dove si potrebbe veramente pensare che ogni giorno dell'anno è Natale. Ne abbiamo già parlato in altre occasioni. Si tratta di Maalula, un pugno di casette, linde, pulite e quasi tutte colorate in azzurro, in mezzo alle quali spuntano i campanili delle sue tante chiese. Perchè Maalula è un villaggio abitato quasi esclusivamente da Cristiani che hanno una particolarità unica al mondo: solo qui infatti si parla utilizzando ancora l'aramaico orientale, vale dire la stessa lingua che ha utilizzato Nostro Signore Gesù.

Questo gioiello, che dovrebbe essere prezioso per ogni Cristiano del mondo, ha subito un anno fa un oltraggio estremo. Il 4 settembre del 2013 infatti è stato invaso da bande islamiste appartenenti al fronte Al Nusra ed a gruppi minori. L'attacco è stato probabilmente una risposta indiretta all'iniziativa del Santo Padre di promuove in tutte le chiese del mondo una giornata di preghiera per la pace in Siria. A seguito dell'attacco alcuni Cristiani sono stati martirizzati, dichiaratamente in odio alla loro fede, altri -tra i quali alcune suore- rapiti, molte case sono state saccheggiate e date alle fiamme mentre quasi tutte le chiese sono state completamente distrutte. Tutta la popolazione è allora fuggita per mettersi in salvo dalle violenze degli estremisti e si è rifugiata a Damasco che dista una cinquantina di chilometri.

Sette mesi dopo, nell'aprile di quest'anno, il villaggio è stato liberato grazie ad un'offensiva condotta dall'esercito regolare siriano, appoggiato da Hezbollah libanesi e da alcuni giovani del villaggio autocostituitisi in una milizia civica.

Lo spettacolo che si è presentato ai liberatori è stato però quello di un paese devastato. Ai danni provocati dai sette mesi di occupazione si sono infatti sommati quelli provocati dalla lunga battaglia, combattuta anche casa per casa, necessaria per la sua liberazione. In particolare sono venute a mancare anche le poche attività produttive che costituivano, insieme al turismo, la fonte di sussistenza per l'intera popolazione.

In queste condizioni il rientro delle famiglie di Maalula alle loro case è estremamente lento e difficoltoso e, ad oggi, solo un migliaio dei tremila abitanti che costituivano la popolazione del villaggio hanno fatto ritorno alle loro abitazioni.

Per questa ragione il Coordinamento per la Pace in Siria, dopo essersi consultato con l'associazione caritativa siriana “Mar Sarkis”, ha deciso di organizzare un intervento di sostegno alle famiglie di Maalula. L'iniziativa è stata battezzata “Una pecora per Maalula” e consiste nel raccogliere il denaro sufficiente ad acquistare un gregge di pecore che saranno ospitate nei terreni di uno dei conventi della cittadina ed accudite da alcune famiglia con esperienza di pastorizia. Altre persone si occuperanno di lavorare poi i prodotti ricavati dalle pecore (lana e latte) ed i guadagni saranno divisi tra tutte le famiglie di Maalula. Si tratta di un piccolo, ma significativo contributo a far rivivere questo autentico gioiello della Cristianità.

Chiunque volesse contribuire -anche con una piccolissima cifra- potrà farlo effettuando un bonifico su questo indirizzo bancario:

Coordinamento per la pace di Siria
Bonifico Bancario:  IT40 T010 1004 2101 0000 0002 256
Associazione Coordinamento Nazionale per la Pace in Siria Sede legale Viale bonaria 98, Cagliari C/C Banco di Napoli
specificare la causale "progetto Mar Sarkis". Se volete essere aggiornati sul progetto non dimenticate di riempire questo form : solo così noi avremo la possibilità di contattarvi.
In alternativa, potete effettuare una donazione tramite PayPal:
  http://www.siriapax.org/?p=2343 


Non credo siano necessarie molte parole per spiegare -in particolare ai nostri abituali lettori- l'importanza di questa iniziativa. Si tratta di aiutare la ripresa della vita sociale in un luogo simbolo della Cristianità non solo Orientale. Penso veramente valga la pena di vincere la pigrizia e recarsi quanto prima nella propria banca dove compiere quello che mi permetto di definire un nostro piccolo ma importante dovere.

L'iniziativa dovrebbe concludersi entro il mese di gennaio e già si sta programmando un viaggio sul posto per verificarne i risultati, ovviamente daremo sistematicamente conto degli sviluppi su questo sito.

Per concludere ovviamente Buon Natale a tutti.
Mario Villani

giovedì 25 dicembre 2014

LETTERA NATALIZIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO AI CRISTIANI DEL MEDIO ORIENTE



Cari fratelli e sorelle,
«Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione! Egli ci consola in ogni nostra tribolazione, perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui noi stessi siamo consolati da Dio» (2 Cor 1,3-4).
Mi sono venute alla mente queste parole dell’apostolo Paolo quando ho pensato di scrivere a voi, fratelli cristiani del Medio Oriente. Lo faccio nell’imminenza del Santo Natale, sapendo che per molti di voi alle note dei canti natalizi si mescoleranno le lacrime e i sospiri. E tuttavia la nascita del Figlio di Dio nella nostra carne umana è ineffabile mistero di consolazione: «E’ apparsa la grazia di Dio, che  porta salvezza a tutti gli uomini» (Tt 2,11).

L’afflizione e la tribolazione non sono mancate purtroppo nel passato anche prossimo del Medio Oriente. Esse si sono aggravate negli ultimi mesi a causa dei conflitti che tormentano la Regione, ma soprattutto per l’operato di una più recente e preoccupante organizzazione terrorista, di dimensioni prima inimmaginabili, che commette ogni sorta di abusi e pratiche indegne dell’uomo, colpendo in modo particolare alcuni di voi che sono stati cacciati via in maniera brutale dalle proprie terre, dove i cristiani sono presenti fin dall’epoca apostolica.

Nel rivolgermi a voi, non posso dimenticare anche altri gruppi religiosi ed etnici che pure subiscono la persecuzione e le conseguenze di tali conflitti. Seguo quotidianamente le notizie dell’enorme sofferenza di molte persone nel Medio Oriente. Penso specialmente ai bambini, alle mamme, agli anziani, agli sfollati e ai rifugiati, a quanti patiscono la fame, a chi deve affrontare la durezza dell’inverno senza un tetto sotto il quale proteggersi. Questa sofferenza grida verso Dio e fa appello all’impegno di tutti noi, nella preghiera e in ogni tipo di iniziativa. A tutti voglio esprimere la vicinanza e la solidarietà mia e della Chiesa, e offrire una parola di consolazione e di speranza.
Cari fratelli e sorelle, che con coraggio rendete testimonianza a Gesù nella vostra terra benedetta dal Signore, la nostra consolazione e la nostra speranza è Cristo stesso. Vi incoraggio perciò a rimanere attaccati a Lui, come tralci alla vite, certi che né la tribolazione, né l’angoscia, né la persecuzione possono separarvi da Lui (cfr Rm 8,35). Possa la prova che state attraversando fortificare la fede e la fedeltà di tutti voi!

Prego perché possiate vivere la comunione fraterna sull’esempio della prima comunità di Gerusalemme. L’unità voluta dal nostro Signore è più che mai necessaria in questi momenti difficili; è un dono di Dio che interpella la nostra libertà e attende la nostra risposta. La Parola di Dio, i Sacramenti, la preghiera, la fraternità alimentino e rinnovino continuamente le vostre comunità.
La situazione in cui vivete è un forte appello alla santità della vita, come hanno attestato santi e martiri di ogni appartenenza ecclesiale. Ricordo con affetto e venerazione i Pastori e i fedeli ai quali negli ultimi tempi è stato chiesto il sacrificio della vita, spesso per il solo fatto di essere cristiani. Penso anche alle persone sequestrate, tra cui alcuni Vescovi ortodossi e sacerdoti dei diversi Riti. Possano presto tornare sane e salve nelle loro case e comunità! Chiedo a Dio che tanta sofferenza unita alla croce del Signore dia frutti di bene per la Chiesa e per i popoli del Medio Oriente.

In mezzo alle inimicizie e ai conflitti, la comunione vissuta tra di voi in fraternità e semplicità è segno del Regno di Dio. Sono contento dei buoni rapporti e della collaborazione tra i Patriarchi delle Chiese Orientali cattoliche e quelli ortodossi; come pure tra i fedeli delle diverse Chiese. Le sofferenze patite dai cristiani portano un contributo inestimabile alla causa dell’unità. E’ l’ecumenismo del sangue, che richiede fiducioso abbandono all’azione dello Spirito Santo.

Che possiate sempre dare testimonianza di Gesù attraverso le difficoltà! La vostra stessa presenza è preziosa per il Medio Oriente. Siete un piccolo gregge, ma con una grande responsabilità nella terra dove è nato e si è diffuso il cristianesimo. Siete come il lievito nella massa. Prima ancora di tante opere della Chiesa nell’ambito scolastico, sanitario o assistenziale, da tutti apprezzate, la ricchezza maggiore per la Regione sono i cristiani, siete voi. Grazie della vostra perseveranza!

Il vostro sforzo di collaborare con persone di altre religioni, con gli ebrei e con i musulmani, è un altro segno del Regno di Dio. Il dialogo interreligioso è tanto più necessario quanto più difficile è la situazione. Non c’è un’altra strada. Il dialogo basato su un atteggiamento di apertura, nella verità e nell’amore, è anche il migliore antidoto alla tentazione del fondamentalismo religioso, che è una minaccia per i credenti di tutte le religioni. Il dialogo è al tempo stesso un servizio alla giustizia e una condizione necessaria per la pace tanto desiderata.
La maggior parte di voi vive in un ambiente a maggioranza musulmana. Potete aiutare i vostri concittadini musulmani a presentare con discernimento una più autentica immagine dell’Islam, come vogliono tanti di loro, i quali ripetono che l’Islam è una religione di pace e può accordarsi con il rispetto dei diritti umani e favorire la convivenza di tutti. Sarà un bene per loro e per l’intera società. La situazione drammatica che vivono i nostri fratelli cristiani in Iraq, ma anche gli yazidi e gli appartenenti ad altre comunità religiose ed etniche, esige una presa di posizione chiara e coraggiosa da parte di tutti i responsabili religiosi, per condannare in modo unanime e senza alcuna ambiguità tali crimini e denunciare la pratica di invocare la religione per giustificarli.

Carissimi, quasi tutti voi siete cittadini nativi dei vostri Paesi e avete perciò il dovere e il diritto di partecipare pienamente alla vita e alla crescita della vostra nazione. Nella Regione siete chiamati ad essere artefici di pace, di riconciliazione e di sviluppo, a promuovere il dialogo, a costruire ponti, secondo lo spirito delle Beatitudini (cfr Mt 5,3-12), a proclamare il vangelo della pace, aperti alla collaborazione con tutte le autorità nazionali e internazionali.
Desidero esprimere in modo particolare la mia stima e la mia gratitudine a voi, carissimi fratelli Patriarchi, Vescovi, Sacerdoti, Religiosi e sorelle Religiose, che accompagnate con sollecitudine il cammino delle vostre comunità. Quant’è preziosa la presenza e l’attività di chi si è consacrato totalmente al Signore e lo serve nei fratelli, soprattutto i più bisognosi, testimoniando la sua grandezza e il suo amore infinito! Com’è importante la presenza dei Pastori accanto al loro gregge, soprattutto nei momenti di difficoltà!

A voi, giovani, mando un abbraccio paterno. Prego per la vostra fede, per la vostra crescita umana e cristiana, e perché i vostri progetti migliori possano realizzarsi. E vi ripeto: «Non abbiate paura o vergogna di essere cristiani. La relazione con Gesù vi renderà disponibili a collaborare senza riserve con i vostri concittadini, qualunque sia la loro appartenenza religiosa» (Benedetto XVI, Esort. ap. Ecclesia in Medio Oriente, 63).

A voi, anziani, faccio giungere i miei sentimenti di stima. Voi siete la memoria dei vostri popoli; auspico che questa memoria sia seme di crescita per le nuove generazioni.
Vorrei incoraggiare quanti tra voi operano negli ambiti molto importanti della carità e dell’educazione. Ammiro il lavoro che state facendo, specialmente attraverso le Caritas e con l’aiuto delle organizzazioni caritative cattoliche di diversi Paesi, aiutando tutti senza preferenze. Attraverso la testimonianza della carità, voi offrite il più valido supporto alla vita sociale e contribuite anche alla pace di cui la Regione è affamata come del pane. Ma anche nell’ambito dell’educazione è in gioco il futuro della società. Quanto è importante l’educazione alla cultura dell’incontro, al rispetto della dignità della persona e del valore assoluto di ogni essere umano!

Carissimi, pur se pochi numericamente, siete protagonisti della vita della Chiesa e dei Paesi in cui vivete. Tutta la Chiesa vi è vicina e vi sostiene, con grande affetto e stima per le vostre comunità e la vostra missione. Continueremo ad aiutarvi con la preghiera e con gli altri mezzi a disposizione.

Nello stesso tempo continuo a esortare la Comunità internazionale a venire incontro ai vostri bisogni e a quelli delle altre minoranze che soffrono; in primo luogo, promuovendo la pace mediante il negoziato e il lavoro diplomatico, cercando di arginare e fermare quanto prima la violenza che ha causato già troppi danni. Ribadisco la più ferma deprecazione dei traffici di armi. Abbiamo piuttosto bisogno di progetti e iniziative di pace, per promuovere una soluzione globale ai problemi della Regione. Per quanto tempo dovrà soffrire ancora il Medio Oriente per la mancanza di pace? Non possiamo rassegnarci ai conflitti come se non fosse possibile un cambiamento! Sulla scia del mio pellegrinaggio in Terra Santa e del successivo incontro di preghiera in Vaticano con i Presidenti israeliano e palestinese, vi invito a continuare a pregare per la pace in Medio Oriente. Chi è stato costretto a lasciare le proprie terre, possa farvi ritorno e vivere in dignità e sicurezza. L’assistenza umanitaria possa incrementarsi, ponendo sempre al centro il bene della persona e di ogni Paese nel rispetto della sua identità propria, senza anteporre altri interessi. Che la Chiesa intera e la Comunità internazionale diventino sempre più consapevoli dell’importanza della vostra presenza nella Regione.

Care sorelle e cari fratelli cristiani del Medio Oriente, avete una grande responsabilità e non siete soli nell’affrontarla. Perciò ho voluto scrivervi per incoraggiarvi e per dirvi quanto sono preziose la vostra presenza e la vostra missione in codesta terra benedetta dal Signore. La vostra testimonianza mi fa tanto bene. Grazie! Ogni giorno prego per voi e per le vostre intenzioni. Vi ringrazio perché so che voi, nelle vostre sofferenze, pregate per me e per il mio servizio alla Chiesa. Spero tanto di avere la grazia di venire di persona a visitarvi e confortarvi. La Vergine Maria, la Tutta Santa Madre di Dio e Madre nostra, vi accompagni e vi protegga sempre con la sua tenerezza. A tutti voi e alle vostre famiglie invio la Benedizione Apostolica e auguro di vivere il Santo Natale nell’amore e nella pace di Cristo Salvatore.

Dal Vaticano, 21 dicembre, IV Domenica di Avvento
Francesco

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/letters/2014/documents/papa-francesco_20141221_lettera-cristiani-medio-oriente.html



...."Sì, fratelli, Gesù è la salvezza per ogni persona e per ogni popolo!A Lui, Salvatore del mondo, domando oggi che guardi i nostri fratelli e sorelle dell’Iraq e della Siria che da troppo tempo soffrono gli effetti del conflitto in corso e, insieme con gli appartenenti ad altri gruppi etnici e religiosi, patiscono una brutale persecuzione. Il Natale porti loro speranza, come ai numerosi sfollati, profughi e rifugiati, bambini, adulti e anziani, della Regione e del mondo intero; muti l’indifferenza in vicinanza e il rifiuto in accoglienza, perché quanti ora sono nella prova possano ricevere i necessari aiuti umanitari per sopravvivere alla rigidità dell’inverno, fare ritorno nei loro Paesi e vivere con dignità. Possa il Signore aprire alla fiducia i cuori e donare la sua pace a tutto il Medio Oriente, a partire dalla Terra benedetta dalla sua nascita, sostenendo gli sforzi di coloro che si impegnano fattivamente per il dialogo fra Israeliani e Palestinesi."...
Natale 2014, Benedizione Urbi et Orbi 

martedì 23 dicembre 2014

E' Natale, in Siria, ma è anche strage di innocenti


«Nei prossimi giorni sentiremo il Vangelo della strage degli innocenti e veramente qua si ha sotto gli occhi questa pagina del Vangelo: ecco la strage degli innocenti e direi di tantissimi civili e soprattutto di questi bambini innocenti. Mi sembra ancora sia attuale quel lamento di cui riferisce il Vangelo di Matteo, citando il profeta Geremia: questo lamento grande di Rachele che piange i suoi figli e che non vuole essere consolata… Ecco, potremmo mettere al posto di Rachele la Siria, che piange i suoi figli, che non sono più quelli che sono morti, soprattutto i bambini, e quelli che non sono più perché quei milioni, 3-4 milioni, hanno dovuto prendere la via dei Paesi vicini… Questa strade degli innocenti è una pagina del Vangelo che la Siria sta vivendo». Sono parole che monsignor Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria, ha consegnato a Radio vaticana  in un’intervista realizzata in questi ultimi giorni di Avvento.

Nelle parole del monsignore tutto il dolore di un popolo: «C’è una bomba che sta scoppiando e che colpisce tutta la popolazione e questa bomba è la conseguenza della guerra, è la bomba della povertà. Una povertà crescente e una povertà che si fa sentire soprattutto in questi giorni, in cui è cominciato l’inverno. Una insidia quest’anno, non solo la fame e altre privazioni, ma direi anche il freddo che sta colpendo tantissima gente. Un freddo da cui non ci si può difendere, perché manca il combustibile o se lo si riesce a trovare, lo si trova a prezzi esorbitanti che la gente non può permettersi. Tante case sono distrutte, le porte e le finestre non si chiudono e quindi tantissima gente in questi mesi, oltre alle privazioni del cibo e dei medicinali, ha anche questa bomba del freddo che colpisce tutti quanti. C’è della gente che è ancora sotto la pioggia di bombe, di mortaio o di cannonate, quelli stanno ancora peggio… Però, tutti sono sotto questa esplosione di questa bomba».

Parole piene di dolore quelle del monsignore, che fotografano una realtà lontana, così  prossima a quanti hanno a cuore il destino di questo povero Paese martoriato da una  guerra che non accenna a finire.
I giornali ne scrivono sempre meno: le cronache si limitano a narrare le nefandezze dell’Is, i proclami del Califfo, gli interventi di dura riprovazione dei potenti di questo mondo - in realtà alquanto episodici - contro l’orrore che tale mostro sparge a piene mani. Ma la tragedia siriana è anche altro e più terribile, come evidenziano le parole del nunzio.

Un popolo intero sta pagando un prezzo altissimo ai progetti geopolitici di nazioni interessate a mutare gli equilibri del Medio oriente attraverso un cambiamento di regime in Siria. Progetti che prevedevano l’arruolamento in massa di una legione straniera fatta di tagliagole e assassini vari inviati in Siria allo scopo. Una legione appunto, termine che riecheggia un’altra legione evangelica.

Quella legione, che oggi si fa chiamare Is - semplice cambiamento di nome  -  non avrebbe alcun potere se quei progetti geopolitici non fossero ancora accarezzati da tanti. Non avrebbe forza se non godesse ancora di antichi e accettati sostegni.

Si è visto come anche la coalizione internazionale messa in piedi in fretta e furia da Obama per contrastarla stenti, proceda per passi ondivaghi quanto ambigui, segno evidente di una scarsa volontà politica di fondo, di una mancanza di chiarezza sui veri scopi dell’intervento, che vorrebbe contenere l’Isis ma non sembra aver cancellato del tutto la segreta speranza di una caduta di Assad o quantomeno di un logoramento ulteriore del suo governo. Per questo non si cercano convergenze, se non tacite e limitate  e solo se costretti dalla situazione, con l’esercito siriano, ad oggi l’unico baluardo tra la popolazione civile e il Califfo del terrore.

Non solo, ad aggravare la situazione le sanzioni comminate contro la Siria. Si voleva colpire Assad e i suoi, si infierisce su un intero popolo. Quell’accenno di Zenari alla mancanza di medicine, benché fievole e remoto, risuona come atto d’accusa alto e forte verso chi ne impedisce l’accesso.

Che questo Natale porti conforto ai nostri fratelli siriani. Che questo Natale porti una nuova speranza di pace. E’ il nostro augurio, la nostra preghiera.

http://www.siriapax.org/?p=2412

lunedì 22 dicembre 2014

"Cristiani del mondo, tutti quanti: vi chiedo umilmente di pregare per noi, cristiani della Siria."

Lettera di un giovane cristiano di Aleppo


AsiaNews - 22/12/2014
di Giorgio Istifan
Mi chiamo Giorgio Istifan, sono nato ad Aleppo nel 1975 e sono sposato con una giovane donna di nome Miriam, laureata in Scienze dell'educazione, con indirizzo psicologico. Abbiamo una bambina che ha un anno e cinque mesi di età, chiamata Benìta. Appartengo alla parrocchia latina di San Francesco di Assisi, ad Aleppo. Il 5 novembre 2011 io e mia moglie ci siamo sposati. La nostra vita è iniziata con tanta gioia e serenità; avevamo un lavoro e una vita familiare tranquilla. Il 22 luglio 2012 inizia la crisi ad Aleppo. Comincia nelle periferie e nei villaggi dei dintorni per arrivare, in un secondo momento, alla città. All'inizio, nella prima fase, ho visto con i miei occhi l'arrivo di tante famiglie immigrate dai villaggi verso Aleppo. Subito dopo, la crisi ha toccato la città ed è scoppiato così il dramma. Come prima conseguenza ho perso il lavoro e la speranza di una vita normale sembrava essere finita lì. Da quel momento la condizione economica ha iniziato a farsi molto pesante; tuttavia, in famiglia eravamo sicuri che si sarebbe trattato di una crisi passeggera e che sarebbe finita subito. 
La guerra invece si è allargata ed è arrivata fino a noi, fino alle soglie di casa mia: un giorno ci siamo svegliati e abbiamo visto i miliziani arrivati a distanza di 100 metri dal nostro edificio. Subito dopo, l'esercito ha ripreso l'attacco e così si sono allontanati di nuovo. In risposta, hanno cominciato a lanciare bombe sulla nostra zona abitata, sugli edifici e sulle case. La nostra casa ha ricevuto tanti colpi di proiettile e, una volta, solo per miracolo siamo stati risparmiati. 
Le cose non sono però finite lì, il nostro edificio è stato colpito anche da due cannonate e la nostra vicina di casa è stata colpita da una scheggia metallica alla testa. Impauriti, abbiamo abbandonato la casa in tutta fretta e ci siamo rifugiati dai nostri genitori; mia figlia all'epoca non era ancora nata.Al tempo della nascita di Benìta, non c'era né acqua, né elettricità ad Aleppo, né mezzi per riscaldarsi, né gas. Dopo il parto e la sua presentazione al Signore nella chiesa, abbiamo subìto altri missili e bombe; siamo di nuovo scampati tante volte dalla morte. 
La cosa che più mi ha amareggiato il cuore era che, per tanti motivi, soprattutto per la ristrettezza delle case dei nostri genitori e la situazione economica precaria, siamo finiti - mia moglie ed io - ognuno a casa dei rispettivi genitori. Mia figlia è rimasta con la madre e ci siamo ritrovati a vivere lontani l'uno dall'altra. Dove né un litigio, né incomprensione ha potuto separarci, una guerra ha potuto farlo. Purtroppo, da quel momento continuiamo a vivere in questa situazione, che perdura ancora oggi. 

In questo periodo, il Signore mi concesso la grazia di trovare un lavoro nella chiesa, come sagrestano nella mia parrocchia. I nostri problemi come famiglia non si sono risolti, e neanche come comunità cristiana; anzi, sono diventati sempre più grandi: tante famiglie cristiane si sono disperse; abbiamo dato i baci d'addio a tanti amici e tanti familiari che sono andati verso l'ignoto; alcuni sono finiti in un Paese europeo alla ricerca della pace o in una nazione vicina ai confini siriani, in cerca di lavoro. Anche mio fratello è partito per il Libano con la sua famiglia, ma dopo un po' di tempo è ripartito di nuovo verso un altro Paese in cerca di pane da mangiare, e di pace. Tutto questo è dovuto al fatto che, nel nostro amato Paese, la Siria, manca la pace, manca la sicurezza. 
Questo periodo è molto difficile: si esce di casa, ma non si sa mai se si ritorna. Per strada tutto può succedere; ma il pericolo può arrivare anche mentre siamo a casa o in chiesa. Quello che mi è successo, nell'ultimo periodo, vale come esempio. 
Poco più di un mese fa, sabato 8 novembre, alle 19,15, mentre tornavo dal mio lavoro nella chiesa, sono andato a casa dei miei suoceri, per vedere Miriam e Benìta, che non vedo se non due o tre ore al giorno. Mentre andavo per la strada, un colpo di mortaio è caduto vicino a me, a distanza di circa tre metri. A causa dell'esplosione, una parte metallica di piccole dimensioni è penetrata nel lato sinistro e si è infilata fra le costole; ancora pochi centimetri e avrebbe colpito il cuore. Avrei potuto morire in un istante. Il risultato invece è stato "solo" una ferita, che ha continuato a farmi male per un po' di tempo. Il giorno dopo, la domenica, sono tornato, alla chiesa per ringraziare il mio Signore del miracolo e del dono della vita mi aveva donato, ancora una volta, il giorno precedente. Non ho altro che l'inno di ringraziamento tramite la preghiera, che risulta per me l'unica fonte di speranza e di pazienza per sopportare le prove e la sofferenza. 
La vita durante questa guerra in Siria ha insegnato a noi cristiani che la fede è essenziale e, quale frutto di questa fede, vi è la fiducia in Dio. Nonostante tutta la durata e la drammaticità di questa guerra, la nostra fede è aumentata e così anche la nostra fiducia nel Signore. Con gli occhi della fede, vediamo ogni giorno la mano di Dio curare ognuno di noi, occuparsi quotidianamente dei nostri bisogni. Sembra che in questa grande tempesta della guerra, siamo sotto grandi ali potenti, che ci proteggono, anche se sentiamo e subiamo il soffio del vento; siamo sotto le Sue ali, per questo non anneghiamo sotto la pioggia forte, ma sentiamo su di noi solo alcune gocce.  
Siamo negli ultimi giorni di Avvento, la mia preghiera sale a Dio giorno e notte affinché restituisca al mio Paese e alla mia città la pace e la sicurezza. Io spero veramente che, con la preghiera di tutti i cristiani nel mondo, in modo speciale nella santa notte di Natale, la guerra sia seppellita per sempre, che l'odio sia cancellato e che la pace regni sulla terra. Ho però anche un altro desiderio da chiedere a un Dio, innamorato di me, da diventare un piccolo figlio a Betlemme: spero che il Bimbo nato per noi in una famiglia, riporti alla mia famiglia e a tante famiglie che sono state costrette a "separarsi" il caldo di vivere insieme, la gioia di stare uniti come un'unica famiglia. 
Cristiani del mondo, tutti quanti: vi chiedo umilmente di pregare per noi, cristiani della Siria.  Buon Natale dalla mia città di Aleppo.
(Ha collaborato p. Ibrahim Alsabagh, parrocchia latina di Aleppo)

http://www.asianews.it/notizie-it/Aleppo:-Natale-tra-famiglie-cristiane-spezzate-dalla-guerra,-che-pregano-per-la-pace-33022.html

venerdì 19 dicembre 2014

Natale in Siria: solo una piccola culla, per deporre il Re della pace


NEL VILLAGGIO DI KNAYEH
Il Natale in Siria sotto il tallone brutale dei miliziani islamisti


Padre Hanna Jallouf  ( sequestrato con altre persone lo scorso ottobre dai miliziani della fazione jihadista Jabhat al-Nusra, braccio siriano di al Qaeda, e dopo qualche giorno rilasciato)  racconta: "Possiamo celebrare Messe e funzioni ma non possiamo uscire fuori dalla nostra chiesa. A Natale non possiamo abbellire l'esterno della chiesa, fare il presepe, allestire l'albero. Ma questo non ci impedirà di riunirci il 24 dicembre... In chiesa avremo un piccolo presepe, fatto solo di una piccola culla per deporre il Re della pace"
“Sopravviviamo perché vogliamo dire ai fondamentalisti che siamo cristiani e lo resteremo fino alla morte. I nostri avi sono nati e morti qui. Così faremo anche noi”

SIR 17 dicembre 2014 , di Daniele Rocchi


Ci sarà solo una piccola culla sotto l’altare della chiesa parrocchiale di san Giuseppe, nel villaggio di Knayeh, nella valle dell’Oronte, vicino al confine con la Turchia (Siria settentrionale), dove i frati minori della Custodia di Terra Santa sono presenti da oltre 125 anni. Da tempo sotto il controllo della fazione jihadista Jabhat al-Nusra, braccio siriano di al Qaeda, impegnato nella lotta al regime del presidente Assad, il villaggio, e i suoi dintorni, abitato da circa 800 fedeli, si appresta a vivere il Natale tra paura e speranza. Uno stato d’animo che il parroco, il francescano Hanna Jallouf, siriano, 62 anni, racconta con una certa emozione: “La guerra e la violenza hanno spinto molte persone, tra cui tanti nostri cristiani, a partire, a cercare rifugio altrove, anche per permettere ai propri figli di continuare a studiare. Nelle scuole del villaggio, ormai, si insegna solo il Corano”. 
Da quando la zona è in mano alle brigate islamiste vessazioni e soprusi ai danni della popolazione locale sono all’ordine del giorno. A farne le spese lo stesso parroco, sequestrato dai miliziani armati, lo scorso mese di ottobre, insieme ad altri parrocchiani, e dopo qualche giorno rilasciato.
 Nonostante la gravità della situazione la parrocchia è rimasta attiva anche se deve rinunciare a suonare le campane ed è tenuta a rispettare l’obbligo di coprire le statue e le immagini sacre esposte all’aperto. E il Natale imminente acuisce questa sofferenza senza impedire alla piccola comunità cristiana di vivere la nascita di Cristo. “Da giorni - rivela il parroco - i nostri fedeli hanno cominciato a pulire le case, a preparare qualche dolce, per quel che si può, e rendere dignitosa la festa”.

Libertà di culto. “Con tutte le difficoltà che abbiamo, manteniamo una certa libertà di culto - spiega padre Hanna - possiamo celebrare Messe e funzioni ma non possiamo uscire fuori dalla nostra chiesa. A Natale non possiamo abbellire l’esterno della chiesa, fare il presepe, allestire l’albero. Ma questo non ci impedirà di riunirci innanzitutto il 24 dicembre. La nostra Messa di mezzanotte la celebreremo il pomeriggio per motivi di sicurezza. Mancheranno le luminarie, ma non fa nulla. In chiesa avremo un piccolo presepe, fatto solo di una piccola culla per deporre il Re della pace”. 
Pace: una parola che sembra non avere alcun significato in un paese dilaniato da oltre tre anni di guerra, con centinaia di migliaia di morti e milioni tra sfollati e rifugiati. E il futuro non sembra portare nulla di buono. “La situazione è grave. Nel villaggio ci hanno portato via le nostre terre, le nostre case, abbiamo subito espropri. Io sono stato imprigionato - ricorda il parroco - insieme ad altre sedici persone del mio villaggio. Abbiamo passato un periodo davvero triste ma il Signore era con noi e abbiamo sentito la sua mano potente sul nostro capo e sui nostri villaggi. Dio è nostro Salvatore e protettore. Non sappiamo come andrà a finire e, per questo, viviamo alla giornata. Abbiamo paura del futuro ma la speranza è che il Signore ci protegge”. 
Sperare contro ogni speranza. Soprattutto quando si ha a che fare con “tanti ladri in giro”. “Non ci hanno lasciato nulla, hanno portato via tutto - spiega il francescano parlando dei miliziani islamisti - ora stanno cominciando a tagliare gli alberi per fare legna da ardere che rivendono al popolo a prezzi alti. Tagliano anche gli olivi che sono fonte di sostentamento per molti. Ci hanno preso il raccolto di olive, della terra, hanno rubato i nostri attrezzi, trattori, macchine, non hanno lasciato niente. Una cosa orribile”.

Fino alla morte. “Sopravviviamo perché vogliamo dire ai fondamentalisti che siamo cristiani e lo resteremo fino alla morte. I nostri avi sono nati e morti qui. Così faremo anche noi”, ribadisce padre Jallouf. “Con la popolazione locale non abbiamo problemi, viviamo in pace, ci rispettiamo e ci aiutiamo da sempre. Abbiamo paura di questi fondamentalisti venuti da fuori che non conoscono la nostra terra e la nostra tradizione di convivenza. Hanno provato a convertirci ma senza successo. Quando ero in prigione volevano che diventassimo musulmani. Abbiamo detto loro che siamo cristiani e che lo rimarremo fino all’ultima goccia di sangue. In quei giorni di detenzione abbiamo sentito la preghiera della nostra comunità e della chiesa intera. Nel villaggio le case dei cristiani erano diventate tante cappelle di adorazione eucaristica”.

Natale diventa, allora, un’ulteriore prova di testimonianza. “Alla comunità di Knayeh dirò che Cristo è la pace e solo da lui viene questo dono. Da Lui il coraggio e la forza per sostenere tanta sofferenze. Alla mia gente dirò, ancora una volta, di testimoniare pace, gioia e unità. Perché ne siamo certi: la Siria vedrà ancora il sole sorgere. La notte sta passando e una nuova alba è vicina”. 
Parole che assumono un valore particolare. Non una semplice speranza, ma un passaggio di testimone. Una staffetta di fede che corre sulla stessa strada percorsa, duemila anni fa, da san Paolo per andare da Gerusalemme a Antiochia e che dista solo poche centinaia di metri dalla parrocchia di padre Hanna. “In questa strada - conclude - l’apostolo dava forza ai fedeli per perseverare nella fede. Ed è quello che stiamo facendo. La tribolazione di oggi ci permette di dare al Natale il suo vero valore: testimoniare la fede in Cristo fino alla morte. 
Lo diciamo anche ai nostri fratelli in Occidente. È anche per loro che offriamo le nostre tribolazioni. Buon Natale!”.