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sabato 10 gennaio 2015

Il regalo di Natale a Qara: qualche ora di elettricità ....



Qara, venerdì 2 gennaio 2015
Natale in Siria 2014

Per la quarta volta abbiamo celebrato il Natale in guerra. Quest'anno, ci ha offerto un cesto pieno di regali. La notizia che parrebbe più banale durante il periodo natalizio è stata una fonte di gioia: il 24 dicembre c'era l'elettricità da mezzogiorno fino alle 02:30  e il giorno di Natale da mezzogiorno fino alle 08:30 del giorno di Santo Stefano. Adesso, abbiamo  interruzioni elettriche solo durante la mattinata e nelle prime ore del pomeriggio. E così abbiamo potuto festeggiare il Natale in tutta la sua gloria e la venuta di Gesù Cristo come la Luce anche nel nostro mondo.

Abouna Georges, il sacerdote bizantino di Qara è venuto per la celebrazione della "paramonia" (veglia di Natale), cioè il lungo servizio delle "ore reali", così chiamato perché a quel tempo in Costantinopoli anche l’imperatore partecipava a questa veglia. Poi è seguita la prima Eucaristia di Natale con il nostro piccolo gruppo in grande solennità.
Quando siamo arrivati nel refettorio, c’era la grande sorpresa della presenza di Madre Agnes-Mariam e suor Carmel. Madre Agnes-Mariam però aveva un forte raffreddore. Si era prima fermata all'ospedale Der Attieh, perché riusciva a malapena a respirare
 Era stata invitata a Mosca da un movimento per la pace e ha avuto un incontro proficuo tra altri con Mikhail Bogdanov, l'inviato speciale per il Medio Oriente. A Mosca, sembra, ha preso questo brutto raffreddore. Nel frattempo, un pasto è stato preparato per tutto il gruppoinclusi alcuni rifugiati . Alle 23.00 ho celebrato la messa di mezzanotte e dopo abbiamo cantato con la comunità tutte le canzoni tradizionali di Natale in diverse lingue e da diversi paesi. Erano le 01:30 quando abbiamo iniziato il banchetto. E poi è arrivato anche "Baba Noel" con tutti i tipi di regali per tutti. Durante tutto l'anno, si osserva quello di cui ognuno ha bisogno per il suo lavoro o per se stessi e con il Natale arrivano le sorprese. E poi la elettricità se ne è andata e così siamo stati avvisati che era davvero il momento di andare a dormire.

Anche la comunità del villaggio era in festa. Per la prima volta un grande albero di Natale è stato posto e decorato in segno di solidarietà dei 20.000 musulmani con il piccolo gruppo di 200 cristiani. Anche Abouna George era stato invitato a tenere un breve discorso e ha paragonato l'albero di Natale con “l’albero della vita" al momento della creazione. Un altro evento unico: sono stati distribuiti biglietti con la bandiera siriana e nella zona bianca tra le due stelle c’era la Mezzaluna Rossa con dentro una croce. Uno dei nostri volontari ha detto di non aver mai visto prima questo collegamento con la Croce. Proprio in questi giorni sono stati effettivamente portati extra aiuti che sono stati imballati in seguito qui da uomini di Qara. I cristiani sono generalmente ben visti perché avevano fin dall'inizio della guerra la visione e l'atteggiamento giusto. I cristiani non si sono uniti alle azioni dei ribelli ed hanno anche rifiutato in modo radicale le notizie occidentali con la loro propaganda di guerra.
Madre Agnes Mariam è quasi guarita in un solo giorno. Il giorno di Natale c’era una messa bizantina guidata da Abouna Georges. Per tutto il pomeriggio e la sera abbiamo parlato, discusso, dibattuto, e abbiamo guardato sul cellulare immagini e filmati da Mosca, la città con le sue belle chiese e monasteri e la sua vita pubblica dove oggi si persegue sempre di più una linea di condotta etica. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, la Russia ha iniziato un ritorno alle sue radici e alla sua fede.

Nel frattempo, siamo stati occupati con due giornalisti italiani che volevano fare una lunga intervista con Madre Agnes-Mariam e anche realizzare una relazione dettagliata sulla vita nel monastero. Avevano anche seguito la madre nelle sue conferenze in USA. Sono giornalisti e registi indipendenti, che non riuscivano a trovare nessuno interessato verso la vera storia di ciò che sta accadendo in Siria. Apparentemente la verità interessa solo a poca gente. Alla fine hanno deciso di autofinanziarsi. Fin dall’inizio, i due giovani si sono sentiti qui a casa e hanno anche filmato quasi tutto.
E poi le relazioni sulla TV siriana! Due giorni prima era già stato trasmesso un (vecchio) bellissimo documentario sul nostro monastero. Con un po' di nostalgia, abbiamo guardato le vicende di Mar Yakub prima della guerra. Poi è arrivata qui una troupe televisiva siriana che ha fatto registrazioni per mostrare come il Natale è celebrato qui nel Qalamoun liberato. A Natale abbiamo visto questo film ed interpretato come un segno di speranza, vita, luce e gioia, in mezzo a tante difficoltà e sofferenze. Oggi chiese vengono riparate o ricostruite
Anche in Maaloula, un piccolo gruppo di cristiani è tornato e ha celebrato la festa di Natale. Nelle interviste suona spesso una parola di ringraziamento all'esercito. Tanti ragazzi normali e anche semplici miliziani hanno dato la loro vita per la protezione della popolazione.


Le trasmissioni ufficiali delle celebrazioni natalizie sono notevoli. Oriente e Occidente hanno una  loro propria ricchezza, ma la liturgia bizantina è particolarmente ricca. In Occidente hanno mantenuto l'unità della fede per mezzo di una lingua, cioè il latino. Ed è proprio impressionante quando in Piazza San Pietro a Roma, con i pellegrini provenienti da tutto il mondo, si prega tutti insieme il Padre Nostro in latino. Tuttavia, l'Oriente non si è mai aggrappato a una sola lingua, ma la sua liturgia, sempre e ovunque, è celebrata nella lingua del popolo. L'unità della fede è molto più profondo di quanto sia il segno esteriore della lingua...

padre Daniel 

(traduzione A. Wilking)

giovedì 8 gennaio 2015

Non la satira, ma la verità saranno argine alla violenza

Fra Ibrahim è un frate siriano. Ha lasciato la sua terra anni fa, per seguire la sua vocazione e formarsi in Italia.
Oggi, proprio per la sua vocazione, torna nella sua terra, per lottare per la pace. Per portare speranza.




Il nostro augurio è che ognuno di noi possa raggiungere e mantenere il medesimo stupendo rapporto che fra Ibrahim ha con Dio e vivere in pienezza la propria Vocazione, qualunque essa sia ....

BUON 2015 da Piccoli Passi Possibili 


Per sostenere Fra Ibrahim nella sua missione, è possibile contattarlo qui: francescovai@hotmail.com.
Se voleste contribuire economicamente, le coordinate bancarie sono le seguenti:
- istituto bancario: Banca Carige, Agenzia 11 (Roma);
- nome beneficiario: "Delegazione di Terra Santa (Custodia di Terra Santa);
- iban: IT48A0343105018000000155180;
- causale: pro parrocchia Aleppo.

http://www.piccolipassipossibili.it/


Pietà non è condivisione. 

Che cosa ci impedirà di bestemmiare?


Cultura Cattolica, mercoledì 7 gennaio 2015

Scrivo sconvolto dall’orrore della notizia di oggi: alcuni redattori del giornale satirico «Charlie Hébdo» sono stati assassinati da un commando terrorista islamico. Avevano «offeso» l’Islam, e Maometto. Come altre volte avevano offeso la fede cattolica, pubblicando vignette blasfeme sulla Santa Trinità. Ora lo sdegno è corale, e moltissimi si rendono conto della gravità della situazione.

Affido, personalmente, alla misericordia di Dio questi uomini. Ma mi chiedo con dolore se ci rendiamo conto dove stiamo andando.
Fino a quando terremo gli occhi chiusi, accetteremo imbelli che ciò che di più prezioso ha l’uomo, la sua fede, venga irriso impunemente? O dovremo aspettare che chi non ha la nostra cura per la libertà faccia, a modo suo, giustizia? Così che non un codice di autoregolamentazione e rispetto abbiano a suggerirci il rispetto delle convinzioni altrui, ma la minaccia, la violenza e l’assassinio. Non è eroismo dissacrare le convinzioni degli uomini! Non è eroismo pubblicare vignette blasfeme! Non è eroismo deridere e pubblicare immagini che violano la coscienza profonda degli uomini!
Così qui in occidente assistiamo alla gaia derisione dei valori più sacri, vediamo distruggere la coscienza dei piccoli, ospitiamo convinti di fare esercizio di cultura chi mina la sacralità della vita e della famiglia, esibendo l’immoralità come conquista di libertà.
E poi vediamo l’orrore della brutalità scatenarsi nelle nostre città. Forse è giunto il momento di aprire gli occhi e cercare di costruire spazi di ascolto, di riguardo, di confronto con tutti.
Ho guardato sul web: quanti esprimono la loro solidarietà e il loro disappunto. «Io sono Charlie» campeggia ovunque.

No, io non riesco ad esprimermi così. Ho orrore e disgusto e disprezzo per coloro che hanno ucciso a sangue freddo questi uomini. E questo rivela la loro cultura, disumana. Ma chiedo che la libertà invocata giustamente sia nutrita da un lavoro di creazione di modalità di accoglienza di tutti.
È vero, l’islam – e lo vediamo per quanto accade sotto i nostri occhi contro i cristiani – non è religione di pace. La spada non è solo metafora di un impegno a combattere il male con le armi spirituali. La libertà religiosa e di pensiero non sono valori apprezzati, anzi.
Ma è pur vero che noi siamo in un contesto in cui l’uomo sta morendo. Il pensiero degli altri non viene più rispettato. Si cerca di manipolare – attraverso tutti i mezzi a nostra disposizione – la verità. Chissà se invece che esprimere reazioni alla violenza cieca sappiamo trovare l’antidoto reale, quell’antidoto che nel mondo l’ha portato nostro Signore! In questo mondo dell’odio e della menzogna, non saranno le nostre urla di indignazione a cambiare la realtà, ma solo una presenza libera di bene, offerta a tutti gli uomini.
Sarà la cieca violenza che ci tratterrà dalla bestemmia? La nostra cultura dalle radici cristiane ha risorse più vere per creare la «civiltà dell’amore»!

http://www.culturacattolica.it/default.asp?id=17&id_n=36679

lunedì 5 gennaio 2015

Aleppo : si manifesti, Signore, la tua salvezza!


Dal Diario di viaggio ‘NoëlpourlaSyrie’ di SOS CHRETIENS D’ORIENT
Festa dell'Epifania

Partenza da Damasco alle 06.00 per raggiungere la città di Aleppo,  a nord-ovest della Siria.

 Il percorso è studiato bene prima della partenza: è impossibile collegare le due città attraverso l’ autostrada, alcuni tratti della quale  sono controllati  da gruppi armati.
 L’ingresso nella grande città di Aleppo (3 milioni di abitanti) si fa dalla piccola strada che è l'ultimo passaggio che collega la città al resto del Siria...
 La città è tagliata in due e la magnifica cittadella segna la linea del fronte: l’est della città è nelle mani dei "ribelli" ed è assolutamente impossibile raggiungere l'ovest senza fare tutto il giro della provincia...

Siamo accolti in Aleppo dal deputato Pierre Merjaneh che ci offre il ritratto di una città sfigurata dalla guerra: dal 23 dicembre, i residenti non ricevono né acqua né elettricità, le due essendo controllate dai gruppi armati di opposizione.
 Neppure si trova più carburante, a causa  in primo luogo delle sanzioni internazionali, che hanno significativamente ridotto il rifornimento nel Paese,  e per la difficoltà di raggiungere Aleppo, preda di combattimenti costanti  tra l'esercito siriano e i gruppi dell'opposizione .

Andiamo a incontrare le suore dell'ospedale Saint Louis, che opera da qualche tempo al rallentatore: il generatore che permette di bypassare la mancanza di elettricità è troppo potente e consuma un sacco di carburante. Non può continuare a lavorare permanentemente: ci vorrebbero 1000 litri di carburante al giorno, sapendo che esso costa  ormai 155 lire siriane per litro (era 20 lire siriane prima della guerra)... E non solo è costoso, ma soprattutto troppo raro a causa delle  sanzioni contro la Siria...


 Pierre Merjaneh commenta la situazione: "parlano di sanzioni economiche, ma sono in realtà sanzioni umanitarie "... 
In un ospedale pubblico della città, tre pazienti sotto assistenza respiratoria sono di fatto morti a causa dell'impossibilità di mettere il generatore in funzione a causa della scarsità di carburante...

 Questo è ciò che spossa e inquieta le suore dell'ospedale.
 Il laboratorio dell'ospedale è stato allo stesso modo chiuso. Il materiale c'è, ma gli specialisti hanno lasciato la città.
 "L’emigrazione è catastrofica per la città di Aleppo" commenta una suora, che precisa che i cristiani che hanno lasciato la città o anche il Paese sono molto numerosi . Se i gruppi armati riuscissero permanentemente a tagliare l'ultima strada che collega al resto della Siria Aleppo, i residenti non potrebbero più fuggire...  
Tutti sono preoccupati, i cristiani forse anche più degli altri.
 Una giovane aleppina, capo delle guide,  illustra drammaticamente questa preoccupazione: "Eravamo 150 guide prima della guerra, ora non ce ne sono più di 40...Tutti gli altri sono fuggiti da questa situazione.”

 Dall’altro lato dell'ospedale, è il blocco della chirurgia che è spento: le sorelle accendono solo in caso di emergenza a causa della mancanza di energia elettrica.

 Ma la situazione è ugualmente  difficile per i loro pazienti: alcuni che venivano  dai villaggi vicini, situati a pochi chilometri da Aleppo sono ora obbligati a fare tutto il giro della provincia per raggiungere l’ ovest della città.
 "Aleppo è la nuova Berlino e il mondo intero tace...", deplora una Sorella, che racconta una storia recente : "Dei pazienti ci hanno chiamati alle 3 del mattino e normalmente ci mettono una buona ora per arrivare all'ospedale... Sono arrivati alle 16, dopo aver fatto una deviazione enorme! Vi rendete conto? "

La cappella delle suore è divenuta impossibile da illuminare...   Essa pertanto è stata trasferita al centro dell'ospedale, più piccola e di più facile accesso, consente quindi alle suore a pregare.

 Sulle pareti: un Rosario e una croce fatta da una delle sorelle con le pallottole che hanno raggiunto  l’ ospedale...

 "Pregare e sperare! Non abbiamo di meglio da fare nè da proporre ", ci dice,  prima di incoraggiare  SOS Chrétiens d’Orient a fare lo stesso per la Siria...


 Aspettando impazienti la pace, come tutti i Siriani, le suore continuano a far funzionare pazientemente e nel modo più efficace possibile l'ospedale di cui si prendono cura...

(traduzione dal francese di FMG)

sabato 3 gennaio 2015

Samaan Daoud: le Festività in Siria tra paura e speranza


I cristiani in Siria si sentono abbandonati e rischiano la vita ogni giorno, tuttavia le loro poche chiese ancora attive sono piene di fedeli durante le messe

Lo ha raccontato a ZENIT Samaan Daoud, già guida turistica per italiani prima dello scoppio della guerra. Samaan è uno dei cattolici siriani che, coraggiosamente, ha scelto di rimanere nel suo paese.  

Zenit, 22 dicembre 2014

Ci può raccontare della sua attività di guida turistica in Siria?
Iniziai a fare la guida turistica con gruppi italiani nel 1994 ma purtroppo dal 12 maggio 2011 ho perso improvvisamente questo lavoro. Continuo a fare la guida ma non più turistica: nel 2012, dopo nove mesi di stop, ho cominciato a guidare i giornalisti nei campi di battaglia e nelle zone di conflitto. Ero a Maalula, quando nel settembre 2013 fu presa dai fondamentalisti Qaedisti del Fronte di Al-Nusra. Attualmente traduco anche libri dei Salesiani del Medio Oriente dall'italiano all'arabo: in totale ne ho tradotti sei.

Come è tradizione per i siriani trascorrere il Natale? Ci sono usanze particolari?
Il Natale è una festa nazionale a cui tutto il popolo partecipa: soltanto i cristiani fanno il presepe, tuttavia la maggior parte dei siriani allestisce l’albero del Natale in casa propria. Vi sono ancora cristiani che fanno il digiuno natalizio, che dura quaranta giorni e che rappresenta un’antica tradizione cristiana medio-orientale. In questo mese ci sono tanti concerti che si tengono sia nelle chiese che in grandi teatri. Le strade vengono abbellite con addobbi natalizi ma purtroppo nei ultimi tre anni, molti di questi addobbi non si vedono più, perché tante famiglie hanno perso dei loro cari e il paese è mezzo distrutto (in questi tre anni in Siria sono state distrutte 3 milioni di case).
Alla vigilia tutti i cristiani vanno in chiesa per la messa, poi nella tarda serata fanno la cena. Il giorno di Natale tutte le famiglie si incontrano dal capo famiglia ed ogni zona della Siria ha il suo piatto particolare; ad esempio, il piatto natalizio più noto a Damasco si chiama kibbeh (grano macinato fino con carne di montone): questa pasta viene riempita di carne fritta, pistacchi, cipolle e poi messa nello yogurt cotto. Nella tradizione damascena si serve un piatto bianco, sempre a base di yogurt.

Che tipo di Natale trascorreranno i cristiani in Siria? Hanno paura?
I cristiani in Siria hanno paura e vivono in uno stato di grande preoccupazione, siamo nel mirino del fanatismo e del radicalismo islamico. Siamo un obiettivo facile da colpire e abbiamo avuto molti martiri cristiani in questa assurda guerra. Quasi il 50% dei cristiani sono fuggiti dal paese, la maggior parte della comunità cristiana, che si trova ad Aleppo, è in grandissimo pericolo perche sia l’Isis che il fronte di Al-Nusra li minacciano in continuazione. I cristiani fuggono da Aleppo: ero lì un mese fa ed ho visto tanta sofferenza e tanta paura. Lo stesso discorso vale per i cristiani del Nord-Est della Siria, nella zona di Al-Qamishli, dove l’Isis circonda la zona e ha ucciso e rapito tanti cristiani, impossessandosi anche dei loro terreni.

In questa immane tragedia della guerra, si levano voci di speranza, come quella di papa Francesco che più di un anno fa, convocò una giornata di preghiera per fermare l'intervento militare internazionale che effettivamente non avvenne. Che speranze destano nei cristiani siriani la Chiesa Cattolica e il Papa?
I cristiani in Siria oltre a sentire la paura, soffrono della sindrome da abbandono. È difficile rimanere in Siria. Se non viene garantita pace, la sicurezza e la possibilità di lavorare, è impossibile chiedere ai cristiani di rimanere. Non bastano  parole ci vogliono degli atti più forti contro questo fanatismo che distrugge e minaccia la nostra esistenza… 
In Occidente taluni ci criticano perché siamo a favore del regime di Damasco, ma non hanno capito che l’opposizione al regime è più sanguinaria e disumana del regime stesso. 
Il miracolo è che, nonostante le enormi difficoltà gli sfollati e i rifugiati cristiani mantengono una forte fede in Gesù l’Emmanuele e le chiese sono piene di fedeli.

http://www.zenit.org/it/articles/il-natale-in-siria-tra-paura-e-speranza


"Il Natale sottoterra di noi cristiani. Il presepe unica gioia"

Padre, madre e due figli. A Damasco vivono con l'incubo delle bombe: "Quando esci di casa rischi la vita, il dono del Signore è un po' di sicurezza in più"

Il Giornale, 22/12/2014 , di Gian Micalessin -

«Stavamo facendo il presepe. Michael all'improvviso si è bloccato. Ci ha pensato un attimo... poi l'ha detto. “Papà perché non ci mettiamo le foto di chi non c'è più?”. Io e Riima siamo quasi scoppiati a piangere. Michael ha solo dodici anni, ma come tutti i bimbi è riuscito a ricordarci in quattro parole l'inferno a cui siamo sopravvissuti. L'inferno in cui ancora viviamo. In un attimo ci sono passati davanti questi quattro anni, con il loro carico di guerra, morte e tristezza. In un attimo abbiamo rivissuto lutti, paure e orrori».

L'amico Samaan è il solito fantasma squadrettato evocato da Skype. Riima, sua moglie, gli è accanto. Dietro nell'ombra digitale ed evanescente del piccolo appartamento giocano Philippe e Michael. Fuori, tredici gradini più su, ci sono piazza Khouri, il quartiere cristiano di Khassan, la Damasco in guerra. Quante volte abbiamo parcheggiato in fretta. Quante volte io e Samaan siamo corsi a testa bassa giù per quella scala mentre mortai e missili ribelli colpivano il quartiere cristiano di Damasco. Riima era sempre lì, oltre la porta socchiusa, oltre quei tredici gradini. A guardarci con quel misto di rimprovero e preoccupazione. A urlarci «veloci, veloci che vi fanno secchi». E nel piccolo soggiorno tra divano e televisione c'erano, come ora, gli occhioni di Philippe e Michael. Filippo ha 16 anni un piede in gesso. «No, mica per le bombe ... giocando a calcio dai salesiani», mi urla in fretta prima di tornare al presepe. «Vedi siamo ancora qui. Ancora vivi, ma ancora prigionieri di questa guerra, di questa casa. Pronti per un altro Natale in gabbia», sussurra Riima. Lei quell'appartamento nel seminterrato non l'ama proprio. Samaan l'ha affittato in fretta e furia quando le schegge spazzavano il balcone della loro grande casa di Jaramana, un quartiere diventato d'improvviso prima linea ribelle. «Non è spaziosa come quella, ma è sicura perché sta quasi sottoterra» - le ripete lui. «Ma quest'anno - s'arrabbia Riima - è pure gelida, faremo il Natale in frigorifero». Samaan scuote la testa. Sospira. «È vero abbiamo dovuto rinunciare alla stufa, ma che ci posso fare? Il diesel è scomparso. Se lo tiene tutto il Califfato. Da quando l'Isis ha conquistato gli ultimi pozzi nel nord est la situazione è drammatica. Il gasolio è introvabile. E quello venduto sottobanco ha un prezzo impossibile. Spero solo che non nevichi. Il problema dei prezzi è terribile. Chi come me faceva la guida turistica non lavora da tre anni.

A Damasco è pieno di cristiani nella mia situazione. Noi cristiani non lavoravamo per lo stato, preferivamo le attività individuali. E quindi la maggior parte di noi sopravvive con i risparmi di prima della guerra. L'altro giorno sono andato dal calzolaio. Una volta mi faceva i tacchi in dieci minuti, tra una chiacchiera e l'altra. Stavolta è scoppiato a ridere. "Butta le scarpe su quella montagna là dietro e se sei fortunato - m'ha detto - te le ridò tra dieci giorni". Mi son girato e ho capito. C'era una vera montagna di scarpe in attesa. Qui nessuno compra più niente. Tiriamo avanti tutti con quel che abbiamo. E più passa il tempo, più peggiora. I vestiti nuovi per i figli erano uno dei simboli del Natale. Quest'anno rinuncio anche a quelli. E Riima mi ha detto di scordarmi pure le castagne. L'odore delle caldarroste fatte saltare nella padella e servite prima del pranzo è il ricordo di tutti i miei Natali fin da quand'ero bimbo. Ora chi le trova più. Le poche che arrivano costano un occhio della testa. Sono un ricordo impossibile». Riima sorride. «Eppure una piccola speranza io quest'anno ce l'ho. Oggi il tuo amico Samaan mi ha portato a fare una passeggiata. Era una settimana che non mettevo il naso fuori. Ma è bastato. Per un attimo, per la prima volta dopo tre lunghi anni ho respirato l'atmosfera di Natale. No, non pensare, non quella di un tempo quando dalle cucine arrivava l'odore del kahak al minad del biscotto di Natale messo a cucinare con latte burro e cannella. Non il clima spensierato di un tempo quando le famiglie correvano da un negozio all'altro tirandosi dietro pacchi e pacchetti. No, scordatelo, tutto quello non c'era. Le famiglie camminavano e basta. Qualcuno neppure parlava. Ma era già qualcosa. Li ho guardati e, d'improvviso, ho capito. Anche Daoud e io, per la prima volta dopo tanti mesi, passeggiavamo tranquilli. Senza chiederci se saremmo tornati a casa vivi. Un mese fa non era così. Uscivi e ti facevi il segno della croce. Poteva succedere in qualsiasi momento. Una granata o un missile ti cadevano accanto, ti facevano a pezzi. Da un anno e mezzo i ribelli di Al Nousra, quelli di Al Qaida erano a due chilometri da qui. Ci tenevano sotto tiro. L'esercito adesso è riuscito a respingerli un po' più in là. E noi ora, grazie a Dio, respiriamo. L'ho letto negli occhi degli altri cristiani del quartiere. Ho capito che quel po' di sicurezza in più era il vero regalo del Signore per Natale. Per questo sono tornata a casa e ho urlato... dài facciamo il presepe».

Samaan sorride. «Dovessimo fare come dice Philippe dovremmo metterci almeno quindici foto, le foto di quelli che se ne sono andati in questi dodici mesi. Uccisi anche dalle malattie. Perché la guerra non ti uccide solo con le bombe e i proiettili. Il tumore s'è appena portato via Dahsan il fratello di Riima. Se non fosse per l'embargo, per la mancanza di medicine, per i cecchini ribelli che battono la zona di Harasta attorno all'ospedale di Berroumi sarebbe ancora qui. Berrouni è l'unico ospedale per i malati di cancro. Eppure tante volte abbiamo dovuto rinunciare alle terapie, girare l'auto, tornare a casa.... altrimenti rischiavi di morire in strada con una pallottola in testa». Riima scosta Saaman, occupa l'obbiettivo. «Abbiamo fatto il presepe, ma non l'albero. Quando sei in lutto qui in Siria non fai l'albero. L'albero è simbolo di gioia, ma se la tua vita è nera, l'albero non la può riaccendere. Qui nel quartiere ci sono tanti presepi, ma pochi alberi. George Kalash il figlio dei vicini, quelli dell'appartamento due piani sopra, è morto a marzo. Il colpo di mortaio è caduto all'entrata del palazzo. L'ha fatto a pezzi. Michael lo conosceva bene. Non è stato facile spiegarglielo. È difficile spiegare la morte a un bimbo di dodici anni. Per questo forse ha detto quella frase. Un Natale tranquillo non basterà a rimarginare tutte le ferite. Non ne possiamo più di stragi, autobombe, corpi mutilati. Non ne possiamo più del terrore che c'infliggono quei fanatici ribelli. Philippe e Michael cresceranno segnati da questi orrori. Noi già lo siamo».

Samaan annuisce. Lui nell'ultimo anno li ha vissuti tutti. «A febbraio un colpo di mortaio ha centrato lo scuola bus armeno qui alla porta orientale. Ho visto l'autista e quei quattro scolari dilaniati. Poi i colpi sono caduti davanti alla scuola di Michael. Quella mattina c'era sangue dappertutto. Ho riaccompagnato a casa Philippe e Michael e sono corso all'ospedale, cercavo la figlia di un mio amico. Al reparto lui non c'era... però sentivo le urla della figlia. Ho riconosciuto la sua voce. Gridava «papà, papà dove sono le mie gambe...». Se ci ripenso mi vengono i brividi. Ogni volta che Philippe e Michael sono in giro da soli risento quella voce. E fino a quando continuerò a sentirla non riassaporerò né la gioia della vita né quella del Natale».

http://www.ilgiornale.it/news/natale-sottoterra-noi-cristiani-presepe-unica-gioia-1077716.html