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mercoledì 29 ottobre 2014

Cronaca della guerra contro la Siria: quello che avevamo, quali sono le tendenze e le nostre prospettive

Lettera di Padre Daniel

Mar Yakub, 
24 Ottobre , 2014

Una maratona con una solennità.
Per rendere sopportabile la miseria di questa ingiusta guerra contro il popolo siriano, vari eventi sono costantemente organizzati. Così, sabato, abbiamo sperimentatola prima maratona Qalamoun” a Deir Atieh, ad una ventina di km di Qara in direzione di Damasco. Questo è stato un giorno molto speciale nella vita della comunità di Mar Yakub. L’animatore dei nostri volontari, che insieme con la sua famiglia appartiene alla nostra comunità, ora è presidente della Mezzaluna Rossa e doveva essere "ufficialmente" presente. Ci è stato chiesto con grande insistenza che tutta la comunità potesse esserci, e abbiamo accettato volentieri. La sicurezza è stata assicurata in modo più che sufficiente. Abbiamo iniziato la giornata del sabato come al solito con un'ora di silenzio, l’adorazione e quindi l'Eucaristia e dopo siamo partiti. Per strada tutto sembrava abbastanza normale, edifici sparsi dipinti o decorati con la bandiera siriana e il ritratto dell'attuale presidente o suo padre. Abbiamo anche visto dalla strada principale in lontananza il grande ospedale di Deir Atieh. Tuttavia, ci è stato detto che i ribelli hanno commesso all'interno molte distruzioni e anche omicidi di medici e personale infermieristico. Fortunatamente questi eventi sono passati .

Tutta la città di Deir Atieh era in festa. Ovunque ragazzi e ragazze in maglia bianca sventolando la bandiera della Siria come benvenuto a tutte le persone che arrivavano con auto e pullman. Eravamo diretti verso la tribuna, dove eravamo seduti dietro il governatore e - lasciatemelo dire - "gli organismi importanti"; seduti in prima fila
Prima eravamo stati loro presentati. Tutte le sedie erano ornate in modo artistico con un telo bianco sotto forma di un fiocco. Abbiamo ricevuto un caffè e cioccolatini. Nel frattempo, c’era un via-vai di conoscenze che sono venute a salutarci. Eravamo seduti di fronte alfinish”, un luogo ornato da tantissimi palloncini di color rosso, bianco e verde. Un gruppo di ragazze in abiti lunghi e colorati faceva tutti i tipi di danze folkloristiche con la musica appropriata. Hanno ballato la famosa danza antica Siriana "dabke" che Gesù stesso potrebbe aver ballato. Era veramente un’atmosfera di una grande festa di famigliaIl nostro frate David, che una volta partecipava a gare di nuoto olimpiche in Colorado si era pure iscritto alla maratona, e anche un ragazzo e una ragazza dei nostri rifugiati. Tutti i partecipanti hanno ricevuto un maglione bianco con un numero. L'altoparlante ha annunciato un minuto di silenzio per tutti i defunti di questa guerra. E' un'abitudine fissa di ricordare ed onorare “i martiri” ad ogni cerimonia. Poi seguì l'inno nazionale per ringraziare il presidente e l'esercito, seguito da un applauso spontaneo.  E infine è cominciata la gara. C’erano 250 partecipanti alla gara atletica, provenienti dai villaggi circostanti, ordinatamente divisi in adulti, bambini e giovani, ragazze e ragazzi. No, non erano quarantadue chilometri. E' stato solo un paio di chilometri, o piuttosto un lungo sprint. Comunque, all'arrivo, i partecipanti si sono lungamente distesi sull'asfalto, godendo del sole e senza fiato. Davide era risultato . C'è sempre un birichino che chiede perché non è stato il primo, ma David non ha problemi di lodare i primi otto vincitori. Per aiutare un ragazzo che era inciampato lui aveva rallentato, ma no, non era quello il motivo. David trovava alcuni giovani molto forti. Tuttavia, David è stato immediatamente richiesto al microfono e ha dato il suo commento grato che risuonava in tutto il posto. Poi i primi hanno ricevuto complimenti e una medaglia dalle mani del governatore. E la sera tutti erano sul telegiornale e anche noi.
E' seguita una grande festa popolare, solamente con facce felici e incontri cordiali di tutti con tutti! E ci congratulavamo con tutti quelli che indossavano un maglione bianco. E d'un tratto si sparge la voce: Madre Agnes-Mariam è qui! Non posso crederci. Infatti, c’erano la nostra Madre Agnes-Mariam con suor Carmel e una religiosa dall' Italia, una sorella di una delle nostre suore, che è riuscita di arrivare fino a noi per restare un po’ di tempo con noi. Ci siamo abbracciati, abbiamo pianto, riso e parlato di mille cose. Da due anni e quattro mesi, non ci siamo visti l'un l'altro. Immaginate un'abbazia dove l'abate o la badessa ed economa sono assenti per anni! E per loro e per noi non è ancora abbastanza sicuro per poter tornare definitivamente. Ma ora abbiamo approfittato della extra-sicurezza  per raggiungere il nostro monastero dopo la fine della gara. Senza appuntamento, tanta gente si è presentata al nostro monastero. Appena ritornati a Mar Yakub è arrivato il vescovo. Poco dopo è venuto il parroco di Qara. Poi è arrivato il sindaco. Arrivavano persone che avevano sentito parlare della presenza della Madre in un modo o nell'altro, mentre il telefono squillava non-stop. Prima abbiamo fatto un giro del terreno e anche nel piccolo atrio. Dall'esterno, i diversi grandi buchi negli edifici e i danni sono evidenti. Suor Carmel ha affermato fin dall'inizio della guerra: ” tutti gli edifici possono crollare per quel che mi riguarda, se solo uno di noi non è toccato”. Complessivamente, madre Agnes-Mariam e suor Carmel sono state abbastanza soddisfatte che i danni non fossero peggiori. Con il suo solito senso pratico, la madre ha dato immediatamente le istruzioni necessarie. Dopo tutto, lei non è solo l'architetto, ma è anche il costruttore di tutto il complesso di Mar Yakub
Nella chiesa abbiamo organizzato una preghiera improvvisata di ringraziamento insieme con il vescovo e con il parroco di Qara. Il vescovo ha chiesto se volevo presiedere la messa e ho chiesto al vescovo se voleva dare la benedizione finale e così abbiamo fatto. Ormai era già pomeriggio. La comunità, i nostri rifugiati, il nucleo di volontari, tutti ci siamo riuniti nel refettorio. Alcuni avevano una gran quantità di cibi semplici presi nel villaggio: falafel farciti con piatti di verdure. Tutti abbiamo mangiato mentre da tutte le parti diverse storie venivano raccontate e ci siamo rivolti tanti saluti a vicenda. Sì, sono rimaste ancora dodici porzioni Bibliche, che sono state raccolte con cura.  
Nel pomeriggio, sono stati organizzati ancora alcuni incontri con gente di fuori. Per la prima volta ho visto come una società è messa in moto. C'erano due imprenditori e una signora e ci parlava di una fabbrica di tappeti. Prima della guerra, era attiva una tale iniziativa, ma a causa della guerra tutto è stato abbandonato. Avevano l’'intenzione di ri-creare ed espandere questa impresa. Madre Agnès-Mariam ha posto qualche domanda e poi ha dato un po’ di consigli. I compiti sono stati assegnati
Fino ad oggi, molta attenzione è stata dedicata all’assistenza, fornendo cibo, vestiti e denaro, se necessario. Ora vogliamo aiutare piuttosto le persone attraverso la creazione di opportunità per il proprio lavoro. Cosi si promuovono la creatività e la dignità e cosi che la gente possa provvedere al proprio mantenimento. Abbiamo quindi contribuito con un po’ di denaro per avviare gli investimenti necessari (grazie ai benefattori che continuano a sostenerci). E una volta che l’impresa funzionerà bene, offrirà qualità, tappeti fatti a mano, equivalenti a quelli dell’Iran
La sera ci siamo di nuovo riuniti con i rifugiati e altri nel refettorio. Alcune suore si sono esibite nei loro costumi nazionali con canzoni e danze. Spontaneamente la serata si è prolungata in una lunga notte di canto, recitazione e teatro. Alla fine, tutti erano stanchi morti, ma nessuno voleva finire. Anche le canzoni carismatiche arabe sono infinite. Alla fine la madre Agnes-Mariam ha preso la Bibbia e ha letto Isaia 6: la visione vocazionale del profeta con il giudizio di Dio sul popolo, la punizione e la previsione  che solo un ceppo, un resto santo rimarrà.

Domenica mattina abbiamo celebrato tutti insieme l'Eucaristia con un cuore molto grato. Anche quella famosa domenica  17 novembre 2013, quando eravamo veramente in pericolo di vita, abbiamo  celebrato l'eucaristia, scambiandoci un segno di pace come se fosse l'ultima volta che ci saremmo incontrati ancora sulla terra. Ora abbiamo avuto piuttosto una sensazione piena di gratitudine e fiducia, anche se lo stato del mondo è tutt'altro che roseo
Madre Agnes-Mariam ha preso ancora un lungo tempo ad ascoltare ognuno e infine con una preghiera comune ci siamo salutati. Speriamo che ci rivediamo presto

Piccola cronaca di una grande guerra 
Ecco come noi giudichiamo la guerra contro la Siria, dalle nostre proprie esperienze e dalle opinioni  di persone che dovrebbero conoscere la realtà. E' possibile che ci sbagliamo qua e là. Questi errori saranno in ogni caso molto meno che l'inganno e la propaganda di guerra che vi sono stati presentati tramite reportages molto costosi durante questi tre anni di guerra, e tutto questo pagato con i vostri soldi dalle tasse.

Il percorso della guerra
Hillary Clinton dichiarò all'inizio del 2011: Abbiamo bisogno di un Nuovo Medio Oriente! Gli Stati Uniti rovesceranno il governo Siriano sotto la guida del suo segretario di stato, David Petraeus, il direttore della CIA, l'Inghilterra, la Francia, con l'aiuto di Israele, della Turchia, i paesi del Golfo e, ovviamente, la NATO
Questa decisione è stata effettivamente presa nel 2001, dopo gli attentati alle torri del WTC (guerra  rispettivamente contro l'Afghanistan, l'Iraq, la Libia, il Libano, la Siria, il Sudan, la Somalia e l'Iran). La leadership militare approva un piano "Medio Oriente allargato" e il segretariato di Stato sviluppa un piano di "primavera araba". I media 'Atlantici'  sono incaricati di notizie su una "rivolta popolare" contro un terribile dittatore che tortura i bambini e chi si bagna nel sangue del suo popolo. Questa versione è incessantemente alimentata dai media degli Stati del Golfo, in particolare da Al Jazeera. "Special forces" organizzano rivolte in quattro città di confine (Dara, Homs, Idlib, al-Kamal) e la nostra stampa parla di una repressione sanguinosa da un regime brutale. Le rivolte crescono con il massacro della popolazione e la distruzione del paese. Ci sono Siriani malcontenti che si uniscono ai ribelli, anche soldati malcontenti aderiscono ai ribelli, alcuni Siriani lasciano il paese e si mettono in sicurezza. Questa è l'unica volta in tutta la guerra, in cui la "comunità internazionale" lotta in modo unitario per fare cadere il governo Siriano
Il risultato sarà un groviglio di cooperazione e di opposizione, dove ognuno persegue i propri interessi.

Nel 2012 il popolo Siriano capiva dagli omicidi brutali dei ribelli che si trattava di un complotto per stabilire in Siria un emirato islamico. Il popolo Siriano non vuole rovesciare  il  governo e comincia a protestare contro le menzogne ​​dell'occidente. Un gruppo di ufficiali francesi che stava lavorando sulla formazione dell’IS nella regione di Homs, è arrestato. La Francia deve negoziare per la loro liberazione. I gruppi ribelli sono sempre più numerosi e crudeli. I media intensificano la loro propaganda contro  questo "crudele tiranno Siriano" e sostengono pienamente "la rivoluzione democratica" e nascondendo accuratamente le atrocità reali del paese.  Essi accusano i cristiani di collaborare con il dittatore


lunedì 27 ottobre 2014

Le voci dei pastori della Chiesa di Aleppo : perchè non fate niente per evitare lo sterminio di queste comunità cristiane?

 "Questa guerra ci sta dissanguando. Ma senza cristiani il Medio Oriente non sarà più come prima"


Il Giornale 21/10/2014 
di Gian Micalessin 

Aleppo (Siria)
«Guai a un Medio Oriente senza i cristiani. Senza di noi qui nulla sarà più come prima. Diventerà come l'Afghanistan, la Somalia o qualche altro Paese di quelli. E non sarà una perdita solo per il Medio Oriente o per i cristiani sarà una perdita soprattutto per l'Europa e per il resto del mondo». Il vescovo cattolico George Abu Khazen è arrivato ad Aleppo da meno di 12 mesi, ma quest'anno vissuto pericolosamente gli è bastato per capire le insidie e i pericoli che minacciano la sua comunità. 
«Tempo fa abbiamo perso una suora a due passi dall'arcivescovado. Stava attraversando la strada e un missile l'ha centrata in pieno. Di lei non abbiamo trovato più nulla. È letteralmente scomparsa. Quel che è successo a quella suora  succede ogni giorno a tanti cristiani della nostra comunità. I loro appartamenti qui nel centro di Aleppo vengono colpiti dai colpi di mortaio e dai missili dei ribelli».

Vi sentite perseguitati?
«Ad Aleppo soffriamo le conseguenze della guerra. Oltre all'insicurezza fisica dobbiamo fare i conti con le difficoltà economiche. Qui industrie e attività commerciali sono andate tutte distrutte. Gli unici che possono contare su un'entrata fissa sono i funzionari del governo e i pensionati. Per questo almeno il 60% dei 200mila cristiani di Aleppo ha abbandonato la città.
 Questa guerra ci sta dissanguando».

Altrove è anche peggio...
«Certo nelle zone controllate dallo Stato Islamico come Raqqa o Deir Ez Zor i cristiani sono scappati tutti. Lì un cristiano rischia di venir scannato o di venir venduto schiavo al mercato come è capitato alle minoranze Yazidi in Iraq. Quando l'Isis ha occupato le nostre tre parrocchie lungo il fiume Oronte, nella provincia di Idlib, i nostri fedeli sono stati costretti a togliere la croce da tutti gli edifici, a pregare solo dentro le chiese e a nascondere le statue e i simboli sacri. Praticamente sono tornati al tempo delle catacombe».

L'Occidente e l'Europa comprendono il vostro dramma?
«Incominciano ora. Fino ad oggi i nostri fedeli sono rimasti molto delusi dal vostro atteggiamento. Avete dimenticato comunità cristiane antiche migliaia di anni come gli Assiri e i Caldei. In Italia vi preoccupate molto per gli orsi e le specie in via di estinzione, ma non fate niente per evitare lo sterminio di queste comunità costrette a scavarsi la fossa».

Siete stati accusati di eccessiva simpatia per il regime di Bashar Assad
«Noi non stiamo con il regime in quanto regime, ma con l'ordine.
 Se il regime viene rimosso chi prende il potere al suo posto? Cos'è successo in Iraq? Cos'è successo in Libia? E cosa sarebbe successo in Egitto se non fosse intervenuto l'esercito? Questo regime non è come lo immaginano fuori dalla Siria. Con questo presidente la Siria ha fatto tanti passi avanti sia nel campo della liberalizzazione, sia della modernizzazione. Noi vogliamo soltanto che questo continui».

In Europa speravano che la rivolta portasse libertà e democrazia...
«La democrazia non arriva in una notte. E non arriva da chi cerca d'imporla con la forza e le armi. La democrazia è una questione d'educazione e l'Europa in questo poteva giocare un ruolo importante. Molti Paesi del Mediterraneo aspiravano ad associarsi all'Unione Europea e per farlo erano pronti ad accettare le sue condizioni. Anche in Siria qualcosa incominciava a muoversi. Con un po' di pazienza si poteva costruire una sorta di democrazia adattata alla mentalità e alla cultura mediorientale».

http://www.ilgiornale.it/news/politica/vescovo-litalia-pi-preoccupata-orsi-che-i-perseguitati-1061289.html

"L'Isis è una multinazionale con uffici di accoglienza per mercenari. L'Europa ha una responsabilità grandissima di non averne capito l'emergenza due anni fa": lo dice Monsignor Jean Jeanbart, vescovo melchita cattolico di Aleppo. 
  video qui: 



Padre Adel Daher Parroco della Chiesa Melchita Cattolica “Nostra Signora dell’Assunzione” di Aleppo ci mostra le bombe cadute sulla sua chiesa. Oltre a danneggiare il luogo di culto, le bombe sono costate a Padre Daher la perdita di un occhio e placche metalliche nel braccio
  video qui: 

Tra le macerie di Aleppo che il mondo non vuol vedere. 

Ecco le immagini dei suoi monumenti più celebri, prima  e dopo la distruzione della guerra. Il governatore: "È irriconoscibile"

venerdì 24 ottobre 2014

“RICOSTRUIAMO LA SIRIA IMPARANDO DA PADRE FRANS”

Padre Frans era rimasto ad Homs per custodire il monastero ed il suo gregge, (ma il suo servizio era soprattutto all'uomo, ospitava nel monastero sia musulmani che cristiani).
E’ quello che lui stesso ha detto in più occasioni “Il popolo di Siria mi ha dato così tanto, tanta gentilezza“. Tanta mitezza era ripagata con l’affetto, la gente semplice lo stimava ed è dalla stima e non dalla paura che viene la vera autorevolezza.
 
In sua memoria riproponiamo un estratto di un'intervista a padre Ziad Hilal apparsa sulla rivista TRACCE  "RICOSTRUIAMO LA SIRIA IMPARANDO DA PADRE FRANS"
di Luca Fiore  ( servizio a pag 13 ''Guerra e Pace'' del numero di ottobre)


Il gesuita Ziad Hilal racconta la vita a Homs: "I bombardamenti cambiano molte cose, ma non toccano l'essenziale della fede".



"All'inizio non capiva perché noi aiutassimo anche musulmani. Era pieno d'odio perché era stato costretto a fuggire da casa sua. Poi dopo due settimane che lavorava con noi, è cambiato. Ora neanche lui fa più distinzioni tra cristiani e musulmani".
Padre Ziad Hilal, direttore del Jesuit Refugee Service (Jrs) a Homs, Siria, racconta uno dei tanti segni di speranza che vede dentro il dramma della guerra. Perché la pace non si costruisce solo al palazzo di vetro o al G20, ma anche e soprattutto dove le bombe cadono davvero. "Qui la guerra ha portato una tensione settaria che prima non c'era", spiega il gesuita: " ma é proprio per questo che raccogliamo i bambini per far giocare insieme: così anche gli adulti possono tornare a incontrarsi".
Oggi la città vecchia di Homs non è più controllata dai ribelli, ma in alcuni quartieri si combatte ancora. Mancano cibo, medicine, vestiti caldi per l'inverno. Padre Hilal ne ha di lavoro, eccome. Basti pensare agli 11 centri di supporto psicologico dove giocano centinaia di ragazzini. Le tre case di accoglienza che ospitano 65 bambini portatori di handicap mentale.

Almukales Center Homs
 Il punto di distribuzione di aiuti umanitari che serve 3000 famiglie della città e altrettante della regione. Un'opera imponente, che padre Hilal ha raccontato al meeting di Rimini e che, racconta, negli ultimi mesi ha avuto una svolta. Un cambiamento di metodo. Ispirato da padre Frans van der Lugt, il suo confratello ucciso il 7 aprile.

Che cosa l'ha più segnata in questi anni di guerra?
Innanzitutto vedere che il mio paese viene distrutto. Non mi sarei mai potuto immaginare la violenza che vedo oggi. E poi l'essere stato tanti mesi ad attendere di rivedere padre Frans. Lui abitava nel centro storico, io a meno di un km di distanza. Ma era impossibile incontrarsi. Eravamo vicinissimi, ma per due anni siamo stati divisi dalla guerra. Poi quella mattina ho ricevuto una chiamata…

Se l'aspettava?
Ogni tanto qualcuno ci chiamava dicendo che era morto. Ma le notizie erano sempre state smentite. Quella mattina, però, qualcuno mi ha fatto pensare che fosse vero. Ho chiamato per verificare: "Dov'è padre Frans"? La voce dell'altra parte ha risposto: "È tra le mie braccia, è morto assassinato".

Da quel giorno è cambiato il suo modo di stare a Homs?
Per me c'è un prima e un dopo la morte di Frans. Prima il nostro obiettivo era entrare nella città vecchia per poterlo vedere e aiutare. Oggi cerchiamo di seguire la sua lezione: lui ha sempre lavorato più sull'ascolto che sulla urgenza umanitaria.

Cosa fate di diverso?
Abbiamo una casa di ritiri in una zona di montagna. Abbiamo iniziato a usarla per invitare i giovani, la gente comune e nostri collaboratori. Abbiamo pensato che occorresse prendersi delle pause dal lavoro umanitario. Io stesso l'ho proposto alla mia équipe. Siamo tornati a guardare il fatto che la vita è una cosa bella, non è soltanto un continuo lavorare. Occorre prendersi un po' di riposo, trovare il tempo per pregare. Era quello che faceva, lì nella città vecchia padre Frans: passava il suo tempo a pregare per la Siria e per noi. Oggi la sua tomba è diventata meta di pellegrinaggio: 20 o 30 persone ogni giorno. Cristiani e musulmani..

È strano che un gesto di violenza come questa uccisione produca, anziché odio, desiderio di pace e riconciliazione.
Padre Frans ha pagato con la vita la fine della tragedia nella città vecchia. Ha donato se stesso e questo ha permesso che la gente potesse tornare a vivere in quella parte di Homs. Qualche giorno prima che morisse gli abbiamo di nuovo chiesto se volesse spostarsi in un luogo più sicuro. Lui ha risposto di no: "Io qui sono l'unico sacerdote del quartiere, sono l'ultimo custode dello Spirito Santo". Ha testimoniato che l'odio non può vincere.

È' cambiato il suo modo di vivere la fede in questi anni?
La guerra cambia molte cose della vita, ma non può toccare l'essenziale della fede. Continuiamo a celebrare messa, a pregare e radunarci anche sotto i bombardamenti. Una volta sono cadute delle bombe a pochi metri dalla nostra Chiesa mentre dicevo l'omelia. Ci siamo fermati per un momento, poi ho continuato con la messa.

Quando dice "l'essenziale della fede" che cosa pensa?
Il nostro credere in Dio, a Gesù Cristo e alla nostra Chiesa. Nessuno può toccare questo. Perché, come dice Papa Francesco, la vita dell'uomo è un legame con il Destino.
L'uomo è sempre sotto la protezione di Dio e né la guerra, nè l'odio, nè la violenza possono cambiare il nostro modo di credere in Lui. I credenti a Homs sono rimasti credenti. Certo, possono esserci momenti di dubbio. Ci si può chiedere dove sia Dio dentro la violenza. Ma la gente vede che la guerra non è prodotta da Lui, ma dagli uomini.

Ha avuto paura? Ha paura oggi ad Homs?
Sì, c'è la paura di tutti giorni, è per tutti così: la paura di essere cacciati, di essere uccisi da una pallottola o da una bomba. Ma alla fine abbiamo la certezza che Dio ci protegge.

mercoledì 22 ottobre 2014

Ad Aleppo resiste una fiammella di vita cristiana

VOCI DA UNA CITTÀ ASSEDIATA



S.I.R. , 18 Ottobre 2014

Monsignor Georges Abou Khazen, vicario apostolico per i latini di Aleppo, vive nella città simbolo del conflitto siriano, dove le forze dello Stato islamico (Is) sono ormai alle porte. "Oltre il 60% dei nostri fedeli - precisa - ha lasciato la città. Noi viviamo qui con quei pochi rimasti e preghiamo che almeno un gruppo rimanga per non privare Aleppo della sua tradizione cristiana"

“Padre Hanna sta bene ed è deciso a restare al suo posto. Giovedì scorso alcuni leader legati a Jahbat Al-Nusra, gruppo radicalista che lo aveva prelevato nella notte del 5 ottobre nella sua parrocchia di Knayeh, in Siria, sono andati a trovarlo ed hanno parlato con lui. Dal colloquio sembrerebbe che il suo arresto sia stato frutto di un malinteso. Padre Hanna mi ha espresso il suo ottimismo per una chiusura positiva del caso. Tutto dovrebbe finire presto e bene”. Per monsignor Georges Abou Khazen, vicario apostolico per i latini di Aleppo, questa forse è l’unica buona notizia che arriva dalla Siria, paese segnato da tre anni di guerra che ha mietuto centinaia di migliaia di vittime e milioni di sfollati. 
Padre Abou Khazen vive ad Aleppo, città simbolo di questo conflitto. Detta anche “la grigia”, considerata “la capitale del Nord”, un tempo centro economico e sociale del Paese, oggi è una città divisa, contesa tra le forze ribelli e quelle leali al Governo del presidente Bashar al Assad.

Situazione critica. “Qui ad Aleppo la situazione è davvero critica. I colpi dei mortai sono continui. Non abbiamo avuto luce per qualche giorno e adesso l’energia elettrica viene erogata solo per due o tre ore quotidianamente”, racconta il vicario, che non nasconde una paura più grande, quella dell’avanzata dello Stato Islamico (Is) ormai alle porte della città. “Speriamo bene - spiega con voce preoccupata - perché l’Is non è molto lontano dal centro della città. La paura cresce ogni giorno di più. La città è divisa, ci sono quartieri controllati dai radicalisti e altri dalle forze armate siriane. Non bastano le tante difficoltà oggettive legate alla mancanza di cibo, gasolio e acqua, ora anche l’Is”. La popolazione è allo stremo e davanti ha un nuovo inverno da affrontare ma come? Padre George non risponde ma il suo pensiero corre a quelli rimasti in città dove sono ormai pochi i cristiani. “Oltre il 60% dei nostri fedeli ha lasciato la città. Noi viviamo qui con quei pochi rimasti e preghiamo che almeno un gruppo rimanga per non privare Aleppo della sua tradizione cristiana. Chi può, non solo tra i cristiani, sta cercando di fuggire. Esiste una strada piuttosto lunga, aperta dall’esercito siriano qualche mese fa e ancora sicura, che permette alla popolazione di entrare e uscire da Aleppo, ma consente anche l’ingresso di acqua, cibo e materiali vari necessari alla sopravvivenza. Questa è l’unica via di salvezza per chi vuole andarsene”.

Non bastano le notizie della resistenza curda a Kobane dove l’Is è stato costretto ad indietreggiare a tranquillizzare la popolazione. “Qui sappiamo bene - racconta mons. Abou Khazen - che questi gruppi islamisti ribelli hanno varie denominazioni ma un’unica origine, quella del radicalismo. Sappiamo che non lottano per garantire la libertà e i diritti civili delle persone, anzi il contrario”. Poi l’affondo: “La comunità internazionale deve saper discernere tra chi lotta per garantire libertà e diritti per tutto il popolo e chi no. Purtroppo coloro che combattono all’interno dei gruppi ribelli sono legati al radicalismo islamico. Le forze di opposizione siriane si sono sciolte davanti alla potenza finanziaria e militare dell’Is e di altre fazioni militari ribelli che sono formate per almeno il 70%, se non più, da gente straniera, e non da siriani”. In campo sono rimasti solo i propugnatori di un Islam intransigente, quello wahabita dell’Arabia Saudita. Il vicario a più riprese lo aveva detto in passato: “I miliziani che portano morte e distruzione sono formati da muftì e imam di questo ramo islamico. Anche in Siria, quando arrivano, cacciano le autorità religiose locali e mettono le loro. E istituiscono i loro tribunali”. È paradossale, allora, che l’Arabia Saudita sia uno dei Paesi che ora sostengono la coalizione contro l’Isis.

Per il vicario resta solo una strada che non è quella della guerra e delle armi: “La comunità internazionale deve costringere Governo siriano e fronte degli oppositori a dialogare e deve smetterla di armare i contendenti. Se esiste la volontà politica, un accordo si trova”. Intanto mentre in Siria si continua a morire, nel silenzio dei Grandi della Terra, i piccoli, come gli abitanti di Aleppo, cristiani e musulmani, praticano gesti di pace quotidiani, come sostenere mense allestite nei rispettivi quartieri cristiani e aperte a tutti, portare assistenza ai più bisognosi come anziani, malati e bambini. Una carità contagiosa che aiuta a resistere anche sotto assedio e che perpetua una tradizione di tolleranza e convivenza tutta siriana.

http://www.agensir.it/sir/documenti/2014/10/00297056_ad_aleppo_resiste_una_fiammella_di_vita_c.html


A Knayeh revocate le restrizioni alla libertà di fra Hanna Jallouf


Terrasanta.net  | 21 ottobre 2014
di Carlo Giorgi 

È ora finalmente libero, fra Hanna Jallouf, parroco del villaggio siriano di Knayeh prelevato dal convento di San Giuseppe nella notte tra il 5 e il 6 ottobre e successivamente posto agli arresti domiciliari dalle autorità islamiste della valle dell’Oronte.
Lo ha confermato monsignor Giuseppe Nazzaro, vicario apostolico emerito di Aleppo, che abbiamo raggiunto telefonicamente: «Ho parlato con monsignor Abu Khazen, l’attuale vicario apostolico di Aleppo – racconta monsignor Nazzaro – il quale mi ha confermato che fra Hanna non è più agli arresti nel suo convento; i miliziani che lo avevano arrestato, gli hanno assicurato che ora può decidere liberamente se partire o rimanere nel villaggio e come muoversi».
Secondo la spiegazione fornita dai miliziani a fra Hanna, il suo arresto sarebbe avvenuto di seguito a una denuncia che lo accusava di nascondere delle armi in convento. Per questo, alcuni uomini armati dopo aver perquisito senza risultato il convento, lo avrebbero preso e portato al tribunale islamico del vicino paese di Darkush.

 Fra Hanna era stato portato via con venti giovani cristiani della parrocchia, ragazzi e ragazze: il motivo di questo sequestro «di gruppo» appare finalmente chiaro dalla spiegazione di monsignor Nazzaro: «Quando sono arrivati al convento i miliziani, accusando fra Hanna di nascondere delle armi, il parroco ha preteso che la perquisizione avvenisse di fronte a dei testimoni – ha spiegato Nazzaro –. Per questo il parroco ha chiesto ai venti ragazzi di rimanere. Alla fine della perquisizione, quando comunque i miliziani islamici avevano messo a soqquadro la parrocchia, pur non trovando nulla, li hanno arrestati tutti...». Gli ultimi cinque membri del gruppo fermato insieme al frate sono stati rilasciati il 12 ottobre.
L'idea di arrestarli sarebbe stata però non della massima autorità della locale milizia islamica, ma di un luogotenente, successivamente ripreso e allontanato proprio per questo fatto. 
«Una volta libero fra Hanna ha riunito tutti i cristiani per parlare loro - ha continuato mons. Nazzaro -; gli ha detto: potete restare o andare, io rimarrò fino a quando anche uno solo di voi vorrà rimanere. E i cristiani, protestando, gli hanno detto che non nessuno di loro se ne sarebbe andato!»

Sono ancora a Knayeh anche le due suore francescane del Cuore immacolato di Maria che svolgono il loro servizio nella parrocchia, nonostante per loro la possibilità di un rientro in Italia diventi giorno dopo giorno sempre più concreta. Sono infatti entrambe ultraottantenni e nelle ultime settimane, a causa del rapimento di fra Hanna, hanno subito un affaticamento che le ha molto provate.