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lunedì 27 ottobre 2014

Le voci dei pastori della Chiesa di Aleppo : perchè non fate niente per evitare lo sterminio di queste comunità cristiane?

 "Questa guerra ci sta dissanguando. Ma senza cristiani il Medio Oriente non sarà più come prima"


Il Giornale 21/10/2014 
di Gian Micalessin 

Aleppo (Siria)
«Guai a un Medio Oriente senza i cristiani. Senza di noi qui nulla sarà più come prima. Diventerà come l'Afghanistan, la Somalia o qualche altro Paese di quelli. E non sarà una perdita solo per il Medio Oriente o per i cristiani sarà una perdita soprattutto per l'Europa e per il resto del mondo». Il vescovo cattolico George Abu Khazen è arrivato ad Aleppo da meno di 12 mesi, ma quest'anno vissuto pericolosamente gli è bastato per capire le insidie e i pericoli che minacciano la sua comunità. 
«Tempo fa abbiamo perso una suora a due passi dall'arcivescovado. Stava attraversando la strada e un missile l'ha centrata in pieno. Di lei non abbiamo trovato più nulla. È letteralmente scomparsa. Quel che è successo a quella suora  succede ogni giorno a tanti cristiani della nostra comunità. I loro appartamenti qui nel centro di Aleppo vengono colpiti dai colpi di mortaio e dai missili dei ribelli».

Vi sentite perseguitati?
«Ad Aleppo soffriamo le conseguenze della guerra. Oltre all'insicurezza fisica dobbiamo fare i conti con le difficoltà economiche. Qui industrie e attività commerciali sono andate tutte distrutte. Gli unici che possono contare su un'entrata fissa sono i funzionari del governo e i pensionati. Per questo almeno il 60% dei 200mila cristiani di Aleppo ha abbandonato la città.
 Questa guerra ci sta dissanguando».

Altrove è anche peggio...
«Certo nelle zone controllate dallo Stato Islamico come Raqqa o Deir Ez Zor i cristiani sono scappati tutti. Lì un cristiano rischia di venir scannato o di venir venduto schiavo al mercato come è capitato alle minoranze Yazidi in Iraq. Quando l'Isis ha occupato le nostre tre parrocchie lungo il fiume Oronte, nella provincia di Idlib, i nostri fedeli sono stati costretti a togliere la croce da tutti gli edifici, a pregare solo dentro le chiese e a nascondere le statue e i simboli sacri. Praticamente sono tornati al tempo delle catacombe».

L'Occidente e l'Europa comprendono il vostro dramma?
«Incominciano ora. Fino ad oggi i nostri fedeli sono rimasti molto delusi dal vostro atteggiamento. Avete dimenticato comunità cristiane antiche migliaia di anni come gli Assiri e i Caldei. In Italia vi preoccupate molto per gli orsi e le specie in via di estinzione, ma non fate niente per evitare lo sterminio di queste comunità costrette a scavarsi la fossa».

Siete stati accusati di eccessiva simpatia per il regime di Bashar Assad
«Noi non stiamo con il regime in quanto regime, ma con l'ordine.
 Se il regime viene rimosso chi prende il potere al suo posto? Cos'è successo in Iraq? Cos'è successo in Libia? E cosa sarebbe successo in Egitto se non fosse intervenuto l'esercito? Questo regime non è come lo immaginano fuori dalla Siria. Con questo presidente la Siria ha fatto tanti passi avanti sia nel campo della liberalizzazione, sia della modernizzazione. Noi vogliamo soltanto che questo continui».

In Europa speravano che la rivolta portasse libertà e democrazia...
«La democrazia non arriva in una notte. E non arriva da chi cerca d'imporla con la forza e le armi. La democrazia è una questione d'educazione e l'Europa in questo poteva giocare un ruolo importante. Molti Paesi del Mediterraneo aspiravano ad associarsi all'Unione Europea e per farlo erano pronti ad accettare le sue condizioni. Anche in Siria qualcosa incominciava a muoversi. Con un po' di pazienza si poteva costruire una sorta di democrazia adattata alla mentalità e alla cultura mediorientale».

http://www.ilgiornale.it/news/politica/vescovo-litalia-pi-preoccupata-orsi-che-i-perseguitati-1061289.html

"L'Isis è una multinazionale con uffici di accoglienza per mercenari. L'Europa ha una responsabilità grandissima di non averne capito l'emergenza due anni fa": lo dice Monsignor Jean Jeanbart, vescovo melchita cattolico di Aleppo. 
  video qui: 



Padre Adel Daher Parroco della Chiesa Melchita Cattolica “Nostra Signora dell’Assunzione” di Aleppo ci mostra le bombe cadute sulla sua chiesa. Oltre a danneggiare il luogo di culto, le bombe sono costate a Padre Daher la perdita di un occhio e placche metalliche nel braccio
  video qui: 

Tra le macerie di Aleppo che il mondo non vuol vedere. 

Ecco le immagini dei suoi monumenti più celebri, prima  e dopo la distruzione della guerra. Il governatore: "È irriconoscibile"

venerdì 24 ottobre 2014

“RICOSTRUIAMO LA SIRIA IMPARANDO DA PADRE FRANS”

Padre Frans era rimasto ad Homs per custodire il monastero ed il suo gregge, (ma il suo servizio era soprattutto all'uomo, ospitava nel monastero sia musulmani che cristiani).
E’ quello che lui stesso ha detto in più occasioni “Il popolo di Siria mi ha dato così tanto, tanta gentilezza“. Tanta mitezza era ripagata con l’affetto, la gente semplice lo stimava ed è dalla stima e non dalla paura che viene la vera autorevolezza.
 
In sua memoria riproponiamo un estratto di un'intervista a padre Ziad Hilal apparsa sulla rivista TRACCE  "RICOSTRUIAMO LA SIRIA IMPARANDO DA PADRE FRANS"
di Luca Fiore  ( servizio a pag 13 ''Guerra e Pace'' del numero di ottobre)


Il gesuita Ziad Hilal racconta la vita a Homs: "I bombardamenti cambiano molte cose, ma non toccano l'essenziale della fede".



"All'inizio non capiva perché noi aiutassimo anche musulmani. Era pieno d'odio perché era stato costretto a fuggire da casa sua. Poi dopo due settimane che lavorava con noi, è cambiato. Ora neanche lui fa più distinzioni tra cristiani e musulmani".
Padre Ziad Hilal, direttore del Jesuit Refugee Service (Jrs) a Homs, Siria, racconta uno dei tanti segni di speranza che vede dentro il dramma della guerra. Perché la pace non si costruisce solo al palazzo di vetro o al G20, ma anche e soprattutto dove le bombe cadono davvero. "Qui la guerra ha portato una tensione settaria che prima non c'era", spiega il gesuita: " ma é proprio per questo che raccogliamo i bambini per far giocare insieme: così anche gli adulti possono tornare a incontrarsi".
Oggi la città vecchia di Homs non è più controllata dai ribelli, ma in alcuni quartieri si combatte ancora. Mancano cibo, medicine, vestiti caldi per l'inverno. Padre Hilal ne ha di lavoro, eccome. Basti pensare agli 11 centri di supporto psicologico dove giocano centinaia di ragazzini. Le tre case di accoglienza che ospitano 65 bambini portatori di handicap mentale.

Almukales Center Homs
 Il punto di distribuzione di aiuti umanitari che serve 3000 famiglie della città e altrettante della regione. Un'opera imponente, che padre Hilal ha raccontato al meeting di Rimini e che, racconta, negli ultimi mesi ha avuto una svolta. Un cambiamento di metodo. Ispirato da padre Frans van der Lugt, il suo confratello ucciso il 7 aprile.

Che cosa l'ha più segnata in questi anni di guerra?
Innanzitutto vedere che il mio paese viene distrutto. Non mi sarei mai potuto immaginare la violenza che vedo oggi. E poi l'essere stato tanti mesi ad attendere di rivedere padre Frans. Lui abitava nel centro storico, io a meno di un km di distanza. Ma era impossibile incontrarsi. Eravamo vicinissimi, ma per due anni siamo stati divisi dalla guerra. Poi quella mattina ho ricevuto una chiamata…

Se l'aspettava?
Ogni tanto qualcuno ci chiamava dicendo che era morto. Ma le notizie erano sempre state smentite. Quella mattina, però, qualcuno mi ha fatto pensare che fosse vero. Ho chiamato per verificare: "Dov'è padre Frans"? La voce dell'altra parte ha risposto: "È tra le mie braccia, è morto assassinato".

Da quel giorno è cambiato il suo modo di stare a Homs?
Per me c'è un prima e un dopo la morte di Frans. Prima il nostro obiettivo era entrare nella città vecchia per poterlo vedere e aiutare. Oggi cerchiamo di seguire la sua lezione: lui ha sempre lavorato più sull'ascolto che sulla urgenza umanitaria.

Cosa fate di diverso?
Abbiamo una casa di ritiri in una zona di montagna. Abbiamo iniziato a usarla per invitare i giovani, la gente comune e nostri collaboratori. Abbiamo pensato che occorresse prendersi delle pause dal lavoro umanitario. Io stesso l'ho proposto alla mia équipe. Siamo tornati a guardare il fatto che la vita è una cosa bella, non è soltanto un continuo lavorare. Occorre prendersi un po' di riposo, trovare il tempo per pregare. Era quello che faceva, lì nella città vecchia padre Frans: passava il suo tempo a pregare per la Siria e per noi. Oggi la sua tomba è diventata meta di pellegrinaggio: 20 o 30 persone ogni giorno. Cristiani e musulmani..

È strano che un gesto di violenza come questa uccisione produca, anziché odio, desiderio di pace e riconciliazione.
Padre Frans ha pagato con la vita la fine della tragedia nella città vecchia. Ha donato se stesso e questo ha permesso che la gente potesse tornare a vivere in quella parte di Homs. Qualche giorno prima che morisse gli abbiamo di nuovo chiesto se volesse spostarsi in un luogo più sicuro. Lui ha risposto di no: "Io qui sono l'unico sacerdote del quartiere, sono l'ultimo custode dello Spirito Santo". Ha testimoniato che l'odio non può vincere.

È' cambiato il suo modo di vivere la fede in questi anni?
La guerra cambia molte cose della vita, ma non può toccare l'essenziale della fede. Continuiamo a celebrare messa, a pregare e radunarci anche sotto i bombardamenti. Una volta sono cadute delle bombe a pochi metri dalla nostra Chiesa mentre dicevo l'omelia. Ci siamo fermati per un momento, poi ho continuato con la messa.

Quando dice "l'essenziale della fede" che cosa pensa?
Il nostro credere in Dio, a Gesù Cristo e alla nostra Chiesa. Nessuno può toccare questo. Perché, come dice Papa Francesco, la vita dell'uomo è un legame con il Destino.
L'uomo è sempre sotto la protezione di Dio e né la guerra, nè l'odio, nè la violenza possono cambiare il nostro modo di credere in Lui. I credenti a Homs sono rimasti credenti. Certo, possono esserci momenti di dubbio. Ci si può chiedere dove sia Dio dentro la violenza. Ma la gente vede che la guerra non è prodotta da Lui, ma dagli uomini.

Ha avuto paura? Ha paura oggi ad Homs?
Sì, c'è la paura di tutti giorni, è per tutti così: la paura di essere cacciati, di essere uccisi da una pallottola o da una bomba. Ma alla fine abbiamo la certezza che Dio ci protegge.

mercoledì 22 ottobre 2014

Ad Aleppo resiste una fiammella di vita cristiana

VOCI DA UNA CITTÀ ASSEDIATA



S.I.R. , 18 Ottobre 2014

Monsignor Georges Abou Khazen, vicario apostolico per i latini di Aleppo, vive nella città simbolo del conflitto siriano, dove le forze dello Stato islamico (Is) sono ormai alle porte. "Oltre il 60% dei nostri fedeli - precisa - ha lasciato la città. Noi viviamo qui con quei pochi rimasti e preghiamo che almeno un gruppo rimanga per non privare Aleppo della sua tradizione cristiana"

“Padre Hanna sta bene ed è deciso a restare al suo posto. Giovedì scorso alcuni leader legati a Jahbat Al-Nusra, gruppo radicalista che lo aveva prelevato nella notte del 5 ottobre nella sua parrocchia di Knayeh, in Siria, sono andati a trovarlo ed hanno parlato con lui. Dal colloquio sembrerebbe che il suo arresto sia stato frutto di un malinteso. Padre Hanna mi ha espresso il suo ottimismo per una chiusura positiva del caso. Tutto dovrebbe finire presto e bene”. Per monsignor Georges Abou Khazen, vicario apostolico per i latini di Aleppo, questa forse è l’unica buona notizia che arriva dalla Siria, paese segnato da tre anni di guerra che ha mietuto centinaia di migliaia di vittime e milioni di sfollati. 
Padre Abou Khazen vive ad Aleppo, città simbolo di questo conflitto. Detta anche “la grigia”, considerata “la capitale del Nord”, un tempo centro economico e sociale del Paese, oggi è una città divisa, contesa tra le forze ribelli e quelle leali al Governo del presidente Bashar al Assad.

Situazione critica. “Qui ad Aleppo la situazione è davvero critica. I colpi dei mortai sono continui. Non abbiamo avuto luce per qualche giorno e adesso l’energia elettrica viene erogata solo per due o tre ore quotidianamente”, racconta il vicario, che non nasconde una paura più grande, quella dell’avanzata dello Stato Islamico (Is) ormai alle porte della città. “Speriamo bene - spiega con voce preoccupata - perché l’Is non è molto lontano dal centro della città. La paura cresce ogni giorno di più. La città è divisa, ci sono quartieri controllati dai radicalisti e altri dalle forze armate siriane. Non bastano le tante difficoltà oggettive legate alla mancanza di cibo, gasolio e acqua, ora anche l’Is”. La popolazione è allo stremo e davanti ha un nuovo inverno da affrontare ma come? Padre George non risponde ma il suo pensiero corre a quelli rimasti in città dove sono ormai pochi i cristiani. “Oltre il 60% dei nostri fedeli ha lasciato la città. Noi viviamo qui con quei pochi rimasti e preghiamo che almeno un gruppo rimanga per non privare Aleppo della sua tradizione cristiana. Chi può, non solo tra i cristiani, sta cercando di fuggire. Esiste una strada piuttosto lunga, aperta dall’esercito siriano qualche mese fa e ancora sicura, che permette alla popolazione di entrare e uscire da Aleppo, ma consente anche l’ingresso di acqua, cibo e materiali vari necessari alla sopravvivenza. Questa è l’unica via di salvezza per chi vuole andarsene”.

Non bastano le notizie della resistenza curda a Kobane dove l’Is è stato costretto ad indietreggiare a tranquillizzare la popolazione. “Qui sappiamo bene - racconta mons. Abou Khazen - che questi gruppi islamisti ribelli hanno varie denominazioni ma un’unica origine, quella del radicalismo. Sappiamo che non lottano per garantire la libertà e i diritti civili delle persone, anzi il contrario”. Poi l’affondo: “La comunità internazionale deve saper discernere tra chi lotta per garantire libertà e diritti per tutto il popolo e chi no. Purtroppo coloro che combattono all’interno dei gruppi ribelli sono legati al radicalismo islamico. Le forze di opposizione siriane si sono sciolte davanti alla potenza finanziaria e militare dell’Is e di altre fazioni militari ribelli che sono formate per almeno il 70%, se non più, da gente straniera, e non da siriani”. In campo sono rimasti solo i propugnatori di un Islam intransigente, quello wahabita dell’Arabia Saudita. Il vicario a più riprese lo aveva detto in passato: “I miliziani che portano morte e distruzione sono formati da muftì e imam di questo ramo islamico. Anche in Siria, quando arrivano, cacciano le autorità religiose locali e mettono le loro. E istituiscono i loro tribunali”. È paradossale, allora, che l’Arabia Saudita sia uno dei Paesi che ora sostengono la coalizione contro l’Isis.

Per il vicario resta solo una strada che non è quella della guerra e delle armi: “La comunità internazionale deve costringere Governo siriano e fronte degli oppositori a dialogare e deve smetterla di armare i contendenti. Se esiste la volontà politica, un accordo si trova”. Intanto mentre in Siria si continua a morire, nel silenzio dei Grandi della Terra, i piccoli, come gli abitanti di Aleppo, cristiani e musulmani, praticano gesti di pace quotidiani, come sostenere mense allestite nei rispettivi quartieri cristiani e aperte a tutti, portare assistenza ai più bisognosi come anziani, malati e bambini. Una carità contagiosa che aiuta a resistere anche sotto assedio e che perpetua una tradizione di tolleranza e convivenza tutta siriana.

http://www.agensir.it/sir/documenti/2014/10/00297056_ad_aleppo_resiste_una_fiammella_di_vita_c.html


A Knayeh revocate le restrizioni alla libertà di fra Hanna Jallouf


Terrasanta.net  | 21 ottobre 2014
di Carlo Giorgi 

È ora finalmente libero, fra Hanna Jallouf, parroco del villaggio siriano di Knayeh prelevato dal convento di San Giuseppe nella notte tra il 5 e il 6 ottobre e successivamente posto agli arresti domiciliari dalle autorità islamiste della valle dell’Oronte.
Lo ha confermato monsignor Giuseppe Nazzaro, vicario apostolico emerito di Aleppo, che abbiamo raggiunto telefonicamente: «Ho parlato con monsignor Abu Khazen, l’attuale vicario apostolico di Aleppo – racconta monsignor Nazzaro – il quale mi ha confermato che fra Hanna non è più agli arresti nel suo convento; i miliziani che lo avevano arrestato, gli hanno assicurato che ora può decidere liberamente se partire o rimanere nel villaggio e come muoversi».
Secondo la spiegazione fornita dai miliziani a fra Hanna, il suo arresto sarebbe avvenuto di seguito a una denuncia che lo accusava di nascondere delle armi in convento. Per questo, alcuni uomini armati dopo aver perquisito senza risultato il convento, lo avrebbero preso e portato al tribunale islamico del vicino paese di Darkush.

 Fra Hanna era stato portato via con venti giovani cristiani della parrocchia, ragazzi e ragazze: il motivo di questo sequestro «di gruppo» appare finalmente chiaro dalla spiegazione di monsignor Nazzaro: «Quando sono arrivati al convento i miliziani, accusando fra Hanna di nascondere delle armi, il parroco ha preteso che la perquisizione avvenisse di fronte a dei testimoni – ha spiegato Nazzaro –. Per questo il parroco ha chiesto ai venti ragazzi di rimanere. Alla fine della perquisizione, quando comunque i miliziani islamici avevano messo a soqquadro la parrocchia, pur non trovando nulla, li hanno arrestati tutti...». Gli ultimi cinque membri del gruppo fermato insieme al frate sono stati rilasciati il 12 ottobre.
L'idea di arrestarli sarebbe stata però non della massima autorità della locale milizia islamica, ma di un luogotenente, successivamente ripreso e allontanato proprio per questo fatto. 
«Una volta libero fra Hanna ha riunito tutti i cristiani per parlare loro - ha continuato mons. Nazzaro -; gli ha detto: potete restare o andare, io rimarrò fino a quando anche uno solo di voi vorrà rimanere. E i cristiani, protestando, gli hanno detto che non nessuno di loro se ne sarebbe andato!»

Sono ancora a Knayeh anche le due suore francescane del Cuore immacolato di Maria che svolgono il loro servizio nella parrocchia, nonostante per loro la possibilità di un rientro in Italia diventi giorno dopo giorno sempre più concreta. Sono infatti entrambe ultraottantenni e nelle ultime settimane, a causa del rapimento di fra Hanna, hanno subito un affaticamento che le ha molto provate.

martedì 21 ottobre 2014

ISIS/ Micalessin da Aleppo: "c’è la Turchia dietro il massacro dei cristiani"

Dietro lo sterminio dei cristiani e il nuovo genocidio degli armeni in Siria per  mano dell’Isis c’è la mente della Turchia che vuole ricostruire l’impero  ottomano. Il califfato sevizia, uccide e abbatte chiese millenarie con il  supporto logistico del regime di Erdogan, il più potente Stato membro della Nato  in Medio oriente. Un progetto cui con grandi dosi di ingenuità hanno contribuito  gli stessi Stati Uniti, che si sono fidati ciecamente dell’alleato turco e hanno  lavorato per abbattere Assad, l’unico argine all’estremismo in Siria. L’inviato  di guerra Gian Micalessin si trova ad Aleppo, città nel Nord della Siria dove si  combatte strada per strada, e ci documenta una versione dei fatti profondamente  diversa da quella raccontata dai “media ufficiali”.



 Il Sussidiario,  20 ottobre 2014
intervista di Pietro Vernizzi a Gian Micalessin  

Lei ha assistito di persona agli scontri tra Isis ed esercito di Assad. Com’è la  situazione sul terreno? 
Aleppo è una città sotto assedio dal 2012. La situazione qui è stata estremamente difficile fino al febbraio di quest’anno, quando i governativi sono  riusciti a riaprire la strada che da Damasco porta ad Aleppo. Dalla primavera  scorsa l’assedio è stato rotto, consentendo ai rifornimenti di arrivare in città  e migliorando la vita della popolazione civile. Aleppo resta però una città in  guerra, dove governativi e ribelli si alternano a macchia di leopardo arrivando  fino all’antica cittadella, attorno alla quale si combatte senza sosta.

Quali incontri l’hanno colpita di più durante la sua visita nei quartieri  cristiani di Aleppo?
Ho incontrato i vescovi cristiani di Aleppo, tra cui il vescovo latino Georges  Abou Khazen, il quale mi ha detto: “Se noi cristiani ce ne andiamo, questo Paese  diventerà come l’Afghanistan dei talebani”. La paura dei cristiani rimasti è  quella di essere costretti ad abbandonare il Paese, dopo che il 70 per cento di  loro se n’è già andato. Chi resta nelle zone controllate dall’Isis è soggetto a  vere e proprie persecuzioni.

Come vivono i cristiani nelle aree rimaste sotto il regime di Assad?
Anche in grandi città come Aleppo e Damasco, per i cristiani diventa sempre più  difficile sostentarsi economicamente perché non c’è più lavoro. Aleppo era fino  a poco tempo fa la Milano della Siria, in quanto rappresentava il motore  economico del Paese. Oggi invece tutta la sua zona industriale è completamente  distrutta. Mi hanno colpito molto anche gli anziani cristiani della comunità  armena di Midan, uno dei quartieri di Aleppo. Uno di loro, di 82 anni, mi ha  detto: “Quanto sta avvenendo adesso è esattamente quello che è successo cento  anni fa: è un nuovo genocidio e dietro c’è ancora una volta la Turchia”.

immagini tratte dal video-reportage de ilGiornale.it
"Dentro quello che rimane della chiesa di Kivork, il simbolo di quello che gli armeni cristiani di Midan considerano il loro nuovo martirio - Servizio di Gian Micalessin"

http://www.ilgiornale.it/video/mondo/aleppo-chiesa-simbolo-nuovo-martirio-1060711.html

Perché la Turchia, un alleato della Nato, sta tenendo questa posizione?
L’obiettivo della Turchia è fare rinascere l’impero ottomano, e quindi  riprendere il controllo di tutti i territori a partire dalla Siria, che la  Turchia considera parte integrante del suo Stato. Ankara vuole riprendersi  Aleppo, l’area curda e le altre regioni che fino alla fine della prima guerra  mondiale e a Lawrence d’Arabia erano territori turchi.

Quale ideologia c’è dietro a questo tentativo?
Il presidente Erdogan interpreta alla perfezione il concetto di  neo-ottomanesimo, ispiratogli dal suo primo ministro, Ahmet Davutoglu, vero  ideologo del regime. Non è un caso che la Turchia sia diventata il retroterra di  tutti i gruppi ribelli che hanno condotto la guerra contro Bashar Assad, nonché  il principale sostenitore dell’Isis che aveva libertà di passaggio sui territori  turchi.

Negli ultimi giorni ci sono stati 15 raid Usa in Siria. Quanto sono stati  efficaci?
Dopo settimane di indecisione e di atteggiamento passivo, gli Usa hanno capito  di essere costretti a fare qualcosa per evitare che Kobane cadesse. Quanto sta  avvenendo dimostra che quando c’è la volontà di farlo, l’Isis può essere  fermato. Anche se il tempo perso nei mesi scorsi ha prodotto le conseguenze che  sono sotto gli occhi di tutti.




Gli alleati stanno spingendo Obama a non limitarsi ai raid aerei. Che cosa  bisogna fare?
Le guerre non si vincono con l’aviazione né solo con l’esercito, bensì con un  insieme di fattori che non possono prescindere da un chiaro disegno politico.
Finché in Iraq i sunniti non saranno reintegrati nella vita pubblica, pensare di  sconfiggere l’Isis sarà un’utopia perché gran parte delle tribù sunnite  continueranno a combattere dalla parte del califfato. Gli Stati Uniti presto o  tardi dovranno capire che pur con tutti i suoi difetti, il regime di Assad è  assolutamente migliore dell’Isis e del fanatismo. Meglio quindi l’alleanza “di  comodo” con il regime piuttosto che condurre una guerra su due fronti.

Qual è il ruolo dell’Iran in Siria e Iraq?
L’Iran è coinvolto nel conflitto in corso sia in Siria sia in Iraq. Il regime di  Damasco è il ponte naturale dell’asse sciita che da Teheran arriva in Libano con  Hezbollah. Per l’Iran perdere Assad significherebbe rinunciare alla sua  posizione dominante in Medio Oriente. D’altra parte in Iraq il 60 per cento  della popolazione è sciita, e per l’Iran è naturale appoggiare il regime di  Baghdad che considera suo alleato. Tehran è inoltre convinto di essere la grande  potenza regionale, e quindi di dover contendere agli Stati Uniti il ruolo  egemone in Medio Oriente.

 http://www.ilsussidiario.net/News/Esteri/2014/10/20/ISIS-Micalessin-c-e-la-Turchia-dietro-il-massacro-dei-cristiani/544671/

lunedì 20 ottobre 2014

Concistoro Medio Oriente, compito delle NU e situazione del Libano

Nel Concistoro i membri del Collegio Cardinalizio si confronteranno circa l’attuale situazione dei cristiani in Medio Oriente e l’impegno della Chiesa per la pace in quella regione con la presenza dei Patriarchi mediorientali.


Intervista al cardinale Béchara Boutros Raï, patriarca di Antiochia dei maroniti:

Radio Vaticana , 19 Ottobre 2014

 R. – Siamo molto grati al Santo Padre per questa seconda iniziativa, dopo quella dell’incontro con i nunzi, per conoscere la realtà del Medio Oriente e, adesso, per il Concistoro. Vuol dire che il Papa ha una grande preoccupazione, e a giusto titolo, sia per il Medio Oriente come tale, e la pace, sia anche per la presenza cristiana, la quale vive momenti molto cruciali. E poi siamo anche grati che lui abbia invitato i Patriarchi a partecipare. Noi stiamo preparando un foglio, a nome dei Patriarchi, partendo da dove sono arrivati con l’incontro dei nunzi. Quindi faremo la nostra lettura sulle attese della Chiesa e della comunità internazionale. Io penso che rappresenti un grande conforto morale per i cristiani del Medio Oriente, ma anche per il Paese del Medio Oriente, che il Papa abbia questo interesse e questa preoccupazione, perché tutti hanno bisogno di un sostegno morale. E’ un vero sostegno morale, ma è anche un vero sostegno diplomatico, perché la Santa Sede ha anche un suo ruolo, una sua influenza importante a livello internazionale. Noi faremo quindi sentire la nostra voce e poi mostreremo che tutte queste Chiese del Medio Oriente, sia cattoliche sia ortodosse, formano una sola unità, una sola voce. Abbiamo anche sempre dei vertici con i capi musulmani, per parlare tutti insieme la stessa lingua. Questo lo diremo domani.

D. – Preoccupa sempre più l’avanzata del sedicente Stato islamico. Questo sicuramente sarà un tema cui sarà dedicata particolare attenzione...

R. – Quello che noi diciamo, abbiamo detto e diremo ai governi locali e alle comunità internazionali è di fermare l’azione dell’aggressore. Non è possibile che nel XXI secolo si torni alla legge preistorica, dove un’organizzazione arriva, ti sradica dalla tua casa e dalla tua terra, dice “tu sei fuori”, e la comunità internazionale guarda inerte e neutrale. Non è possibile. Noi denunciamo tutto questo e sollecitiamo il contributo, più che il contributo l’azione, della comunità internazionale. Bisogna fermare l’aggressore. Quello che ci duole, che ci dispiace, che notiamo, in questo periodo di guerra in Medio Oriente, è che molti Paesi di Oriente ed Occidente sostengono le organizzazioni fondamentaliste, terroriste per interessi propri - politici, economici - e sostengono queste organizzazioni terroriste con denaro, con armi e politicamente. Questo ci duole veramente molto. E noi lo denunciamo e lo abbiamo denunciato. Chiediamo quindi alla comunità internazionale di assumersi le sue responsabilità. E quando parliamo di comunità internazionale, non intendiamo qualcosa di anonimo, ma le Nazioni Unite, il Consiglio di Sicurezza, il Tribunale internazionale penale. Questi devono agire, altrimenti dove andiamo? Le Nazioni Unite perdono la loro ragione di essere. Questa assemblea delle nazioni è stata creata per proteggere la pace nel mondo e la giustizia, no? Adesso, però, diventa uno strumento in mano alle grandi potenze. Non è possibile accettarlo.

D. – In Libano, com’è vissuta l’avanzata dello Stato islamico?

R. – C’è ora una parte, dove si sono infiltrati, nella Beka'a, e quindi l’esercito è in agguato. Ci dispiace, però, di alcune voci a favore. In questo periodo di guerra in Siria, infatti, i confini tra Siria e Libano sono aperti e tutte queste organizzazioni si trovano sui confini. Quindi, né il Libano né la Siria possono proteggersi. Riusciamo comunque ancora a resistere.

© www.radiovaticana.org


IL  PATRIARCA BECHARA RAI SU SINODO, MEDIO ORIENTE E LIBANO  – di GIUSEPPE RUSCONI –
www.rossoporpora.org – 20 ottobre 2014



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   E’ legittimo pensare che gli Stati Uniti e i loro alleati abbiano commesso ripetuti e gravi errori di strategia sia nei confronti dell’Iraq che della Siria? Se sì, gli Stati Uniti secondo Lei stanno cercando di porre riparo per quanto possibile a tali errori?
Penso di sì. Spero che vogliano rivedere la loro strategia, rendendola una strategia per la pace in tutto il Medio Oriente. Ciò significa tentare di risolvere in primo luogo il conflitto israelo-palestinese, impegnarsi in uno sforzo serio per porre fine alla guerra in Siria e in Iraq e bloccare le aggressioni delle organizzazioni terroristiche. Dovrebbero in ogni caso utilizzare la loro influenza per spingere i Paesi sunniti e sciiti a un dialogo costruttivo, così da eliminare i conflitti nella regione evitando altri disastri umanitari.
  Non sarebbe più efficace se alcuni Stati cessassero di fornire armi e acquistare petrolio dall’ Isis e bloccassero i passaggi degli estremisti islamici attraverso le proprie frontiere ?
 Certo: è questa la richiesta essenziale. Tutto il problema nasce dal fatto  che ci sono Stati d’Oriente e d’Occidente che purtroppo - per interessi politici ed economici propri -sostengono le diverse organizzazioni fondamentaliste. Alcuni con armi e denaro, altri con l’acquisto illegittimo del petrolio, altri ancora offrendo ai terroristi e ai mercenari il libero passaggio delle frontiere. Non solo: c’è anche chi sostiene i terroristi politicamente. Bisogna assolutamente che le Nazioni Unite e il Consiglio di Sicurezza facciano cessare questo tipo di “delitto”.
  Come definirebbe il conflitto in Siria?
 E' una guerra civile, ma anche una guerra tra Stati sunniti e Stati sciiti per interessi propri. Perciò è ormai una guerra senza senso. Si tratta solo di distruggere di più, di assassinare di più, di accrescere gli odi e l’esodo di popolazioni intere. Dieci milioni di siriani sono ormai rifugiati in altri Paesi e regioni, sradicati dalle loro case distrutte o gravemente danneggiate.
 Emergono in Libano divisioni tra i musulmani nel valutare quanto accade in Siria?
 I musulmani libanesi sono adesso piuttosto divisi: i sunniti sostengono l’opposizione sunnita siriana e gli sciiti sostengono il regime alleato dell’Iran e dell’ Hezbollah libanese. E’ noto però che prima dell’assassinio nel 2005 del primo ministro sunnita Hariri, sunniti e sciiti sostenevano ambedue Assad.
  Secondo Lei, dopo il prolungato attacco islamista di qualche settimana fa ad Arsal (quasi al confine con la Siria) e dopo gli scontri tra islamisti e Hezbollah, è concreto il pericolo che anche il Libano divenga terra di combattimento, con i cristiani a farne le spese maggiori? Peggio ancora: c’è il rischio che il Libano si dissolva?
Il pericolo per il Libano è reale, ma l’esercito libanese è ben preparato. Speriamo di non dover tornare a qualche anno fa, al conflitto interno: nessuna fazione vuole la guerra, pur essendo precaria, critica, la situazione della sicurezza. Tutti i libanesi aspirano e vogliono la stabilità. Il pericolo di dissoluzione è apparente: le buone volontà sono ancora più forti.

leggi tutta l'intervista qui:  http://www.rossoporpora.org/rubriche/interviste-a-cardinali/428-il-patriarca-bechara-rai-su-sinodo-medio-oriente-e-libano.html



Caritas Libano: L'ondata di profughi mette a dura prova il nostro popolo

di Carlo Giorgi
Terrasanta.net  4 ottobre 2014

«Noi libanesi non siamo un gregge che vaga in una terra di nessuno: siamo i proprietari della nostra terra, siamo arrivati qui prima di tutti gli altri, anche prima dei musulmani…; siamo esseri umani che hanno il diritto di vivere dignitosamente e la comunità internazionale deve assumersi le sue responsabilità nel garantire la nostra dignità. Un fatto è certo: non possiamo essere noi a venire cacciati via e a pagare così il prezzo di altri!». Padre Paul Karam, presidente di Caritas Libano, tuona durante l’incontro che ha riservato a Terrasanta.net. Le sue parole sono lo specchio dell’esasperazione di tutti i libanesi, costretti a fronteggiare praticamente da soli, una crisi senza precedenti.
A causa della guerra in Siria, infatti, negli ultimi quattro anni la pressione demografica esercitata in Libano dai profughi è cresciuta progressivamente: i profughi siriani registrati dall’Onu in Libano oggi sono un milione e 130 mila (cifra esplosiva se si pensa che è raddoppiata nel giro di un solo anno), riversandosi su uno Stato, il Libano, privo di spazio e risorse. I siriani che oggi affollano l’area metropolitana di Beirut sono oltre 310 mila. Mentre nella regione di confine della Bekaa – dove vivono 750 mila abitanti autoctoni – si sono affollati in campi profughi e rifugi di fortuna altri 420 mila siriani. Per provvedere ad una tale massa sconfinata di persone, secondo le Nazioni Unite sarebbero necessari almeno un miliardo e mezzo di dollari mentre oggi gli organismi internazionali possono contare solo su 600 mila dollari: meno della metà dei fondi necessari.
«Il Libano, che è un piccolo Paese, ha accolto molti più rifugiati di Paesi più grandi, come Giordania e Turchia – spiega padre Karam –. Sistemare queste persone, aiutarle per il cibo e i vestiti è un’impresa al di sopra delle nostre possibilità. Basti pensare al problema delle scuole: ci sono circa 600 mila studenti siriani che dovrebbero iniziare l’anno scolastico. Le nostre scuole non ne possono accogliere più di 350 mila, non c’è posto per tutti… E degli altri che cosa facciamo? Saranno educati ad essere jihadisti ? Moltissimi ragazzi rimangono fuori, ci sarebbe bisogno di insegnanti, educatori…».
Le risorse del Paese non bastano per tutti …E questo provoca tensione sociale; quando, ad esempio, la Caritas aiuta i profughi a livello sanitario, con le medicine e le cure psicologiche; e poi dice al libanese in difficoltà: con te non posso fare la stessa cosa che sto facendo gratuitamente con il siriano… la gente si arrabbia e l’odio cresce. A causa dell’aumento enorme di stranieri sul nostro territorio sono aumentati i furti, le occupazioni di appartamenti… Per non parlare di quello che è successo negli ultimi mesi ad Arsal, nella valle della Bekaa…
Si riferisce agli scontri tra l’esercito libanese e le milizie fondamentaliste?Due soldati dell’esercito libanese, uno sunnita ed uno sciita, sono stati decapitati dalle milizie dello Stato islamico; altri sono stati presi in ostaggio. Mi ha colpito il fatto che i media internazionali abbiano parlato dei tre giornalisti, due americani e uno inglese, che sono stati decapitati… mentre dei due soldati dell’esercito libanese nessuno ne ha parlato. Ho ancora negli occhi l’immagine dei loro corpi decapitati… Questo fatto ha toccato molto la popolazione libanese.
Che appello lancia alla comunità internazionale?
Il nostro popolo è stanco: ci sentiamo come il formaggio dentro un panino, morsicato da una parte e dall’altra. Abbiamo diritto di vivere in pace, vogliamo la pace. Ma che sia una pace con dignità e giustizia. Per questo dalla comunità internazionale attendiamo una pace giusta, non una pace tagliata a pezzi… Oggi siamo minacciati nella libertà e la tentazione, per molte famiglie cristiane, è quella di scappare. Ma d’altra parte, quando uno è minacciato nella sua libertà, soprattutto quella religiosa, che cosa dovrebbe fare?

http://www.terrasanta.net/tsx/articolo.jsp?wi_number=6905&wi_codseq= &language=it

mercoledì 15 ottobre 2014

Contro la sopraffazione Isis risvegliare la coscienza dell'Europa (e dell'Italia) cristiana


All'interno della Cattedrale di Bayeux, è allestita una mostra fotografica di Laurent Van der Stockt sulla guerra siriana: « Je veux montrer que ces morts sont des gens comme nous ».   http://blogs.mediapart.fr/blog/michel-puech/091014/les-syriens-du-photographe-laurent-van-der-stockt-en-la-cathedrale-de-bayeux

Intervista a Samaan Daoud, partendo da una affermazione decisamente forte del prelato caldeo Amel Nona, arcivescovo di Mosul. Una affermazione che induce alla riflessione.

di Giuseppe Marasti
da  ECONOMIA ITALIANA

«Le nostre sofferenze di oggi sono il preludio di quelle che subirete anche voi europei e cristiani occidentali nel prossimo futuro. I vostri princìpi liberali e democratici qui non valgono nulla... L'Islam non dice che gli uomini sono tutti uguali. I vostri valori non sono i loro valori. Se non lo capite in tempo, diventerete vittime del nemico che avete accolto in casa vostra». Cosa ne pensa al riguardo?
«Io non condivido pienamente quello che ha detto il vescovo. Direi che è necessario spiegare che c'è un Islam che crede nelle libertà e nel rispetto e un Islam damasceno (siriano) che ha sempre rispettato gli altri. Senza trascurare che c'è un Islam fanatico, quello che io chiamo "Islam Politico"».

L'Italia con Mare Nostrum ha "salvato" quest'anno oltre 130.000 persone. Ma cosa significa ha "salvato"?
«Purtroppo nelle guerre galleggiano la povertà e la malavita. Per cui tanti siriani e non siriani cercano di scappare verso l'Europa, sperando di trovare la salvezza».

Non c'è alcun controllo su chi entra. Potrebbero esserci anche "tagliagole" dell'Isis...
«Certo. La prova è chiara, così come sappiamo che non pochi europei musulmani di seconda generazione sono partiti per combattere con l’Isis. Allora chi ci dice che tra i nuovi arrivi non ci possano essere dei fanatici wahabiti?».

Non le pare che si stia assistendo incredibilmente a una invasione programmata, che l'Italia tra l'altro non è più in grado di sopportare?
«Certo. In primis sappiamo che l'Islam si espande grazie al ventre delle loro donne. Inoltre i musulmani sfruttano il fatto che in Europa c'è libertà di culto, mantenendo le loro strette osservanze religiose grazie alle leggi europee, come il niqab (versione araba del velo integrale)».

Non ritiene che siamo gestiti da politici e burocrati del tutto incapaci, che non riescono a pensare prima di agire?
«Secondo me i politici italiani stanno dimostrando scarsa sensibilità e una scarsa coscienza, avendo perso buona parte dei valori cristiani. Non a caso tanti politici attaccano la Chiesa e la sua moralità».

Come vede il futuro, anche sotto il profilo economico e religioso, dell'Italia e dell'Europa più in generale?
«Non sono esperto di economia, ma parlo di fatti. Prima che la Libia venisse attaccata, l'Italia comprava il 25% del petrolio libico, ora ne acquista circa il 14%. Prima che iniziasse la guerra civile in Siria, l'Italia era il primo partner europeo. Ora invece i rapporti si sono azzerati. Ed è quanto sta succedendo con la Russia. Secondo me l'Italia da un po' di tempo non ha più una politica chiara o indipendente».

Della situazione siriana se ne parla sicuramente meno del dovuto. Fonti bene informate raccontano di non poche stragi di cristiani e di numerose chiese distrutte. Come giustifica l'assenza dell'Occidente?
«1) Perché l'Occidente rincorre i propri interessi, che identifica nell'  "Islam Politico". Idem per la Turchia, dove comandano di fatto i fratelli musulmani, il Qatar e l'Arabia Saudita. Si vede molto bene questa grande alleanza economica e politica.
2) L'Europa ha perso la sua identità Cristiana. Per questo poco importa se i cristiani in Oriente vengono massacrati. Per il Vecchio Continente c'è ora solo il "Dio Denaro"».

La nascita del fantomatico Stato Islamico gestito da terroristi spietati da chi è finanziato? E in quale misura?
«L'Isis è stato creato nel 2004 da Abu Musab al-Zarqawi, di ideologia qaedista, quando gli Stati Uniti hanno invaso l'Iraq. Nel 2012, dopo che gli Stati Uniti si erano ritirati dall'Iraq lasciando un grande vuoto, l'Isis lo ha subito riempito. E così sono entrati in Siria dal confine iracheno, con l'aiuto dei turchi e di altri gruppi islamisti che combattevano sul terreno siriano (Fronte di al-Nusra, Fronte Islamico, Free Syrian Army). In questo modo sono riusciti a prendere la provincia di Raqqa, ma subito dopo questa "organizzazione" ha cacciato via tutti gli altri gruppi ed è rimasta sola nella zona nord-est. Osservando tale scenario, ci si rende conto che l'Isis è stato aiutato anche dagli europei (in modo diretto o indiretto), con il beneplacito dell'America. D'altra parte l'Isis serviva agli occidentali nella guerra contro il governo di Damasco, in quanto dotata di "soldati" disposti a morire per una ideologia. Organizzazione che ha attratto peraltro sunniti da diverse parti del mondo. Non a caso in Siria ci sono jihadisti che provengono da 80 Paesi. Senza trascurare un altro tassello importante: sia l'Isis che altri gruppi islamisti sono finanziati da tutti (Europa, America, Qatar, Arabia Saudita...)».

Chi è che fornisce le armi a questi terroristi?
«La risposta è stata data dagli stessi politici europei, quando Francia, Londra e Stati Uniti hanno detto che bisognava aiutare i ribelli moderati dando loro armi non letali. C'è da ritenere che buona parte del danaro dato a questi moderati sia finito tra le mani dei jihadisti fanatici! Ma di moderati, sin dall'inizio, ce n'erano davvero?».

Mosul ed Arbil sono due cittadine irachene. Com'è la situazione ora?
«La situazione è sempre critica, si vive con la paura. I colpi di mortaio colpiscono i luoghi cristiani perché sono considerati a favore del governo di Assad. Noi cristiani viviamo in pace e stiamo bene con questo governo, possiamo esercitare la nostra fede senza problemi e viviamo in piena libertà religiosa. Ritengo che l'Islam non creda nella democrazia, così come l'Occidente non sembra intenzionato a supportare la democrazia in Siria. In buona sostanza, si vuole dominare il nostro Paese con sistemi musulmani, facendogli indossare un abito che si chiama libertà e democrazia. Per cui al primo vento, come abbiamo visto, l'abito è caduto e ci siamo dovuti confrontare con fanatici che tagliano teste e mangiano cuori».

La Chiesa cosa dovrebbe o potrebbe fare per aiutare i cristiani così ferocemente perseguitati, solo perché tali?
«Purtroppo la Chiesa si sente incapace di raffrontarsi con l'insensibilità politica in atto. Sarebbe quindi opportuno spiegare al popolo cristiano che questa guerra non è contro il "cattivo" Assad e il suo popolo, ma è una guerra contro il "diavolo" che vuole distruggere la Chiesa sia in Medio Oriente che in Europa. "Diavolo" che sta indossando l'abito dell'Islam. Mentre voi europei state subendo la perdita dei valori, soprattutto quelli inerenti la famiglia».

C'è già chi pensa anche alla legge del "contrappasso". Lei in casi estremi sarebbe d'accordo nell'applicarla?
«Io sono contro la possibilità di armare i cristiani in Medio Oriente. In Siria siamo pieni di armi. Armare i cristiani vuol dire farli uccidere tutti, in quanto sarebbe una grossa provocazione contro i musulmani e quindi si favorirebbe altro sangue».

Come si potrebbe fermare questo genocidio, che non ha proprio alcuna ragione?
«1) Prosciugare i fondi a questi gruppi di fanatici. Poi la Turchia deve chiudere il suo confine dal quale arrivano gran parte degli aiuti.
2) Obbligare i Paesi fanatici, come Arabia Saudita e Qatar, a non mandare uomini e quattrini in Siria.
 3) Fare una grossa operazione militare guidata dall'esercito arabo siriano a fronte di una collaborazione mondiale.
4) Muoversi su una politica del perdono e della riconciliazione tra tutti siriani.
5) Puntare su una nuova educazione sociale nella quale tutti i siriani siano uguali e rispettosi della legge.
6) È infine necessario studiare una nuova normativa che permetta al cristiano di essere un cittadino alla pari di un musulmano».

http://m.economiaitaliana.it/it/articolo.php/Samaan-Daoud-la-mia-ricetta-su-un-Islam-piu-liberale-e-contro-la-sopraffazione-Isis?LT=PRIMA&ID=13760

lunedì 13 ottobre 2014

Arcivescovi e sacerdoti rapiti in Siria: 540 giorni nell'oblio del mondo

Nessun indizio, nessun riscatto, nessuna informazione mai trapelata dal 22 aprile 2013. Intanto i rapitori si sono trasformati in un Califfato ricco e organizzato



di Naman Tarcha

Sono spariti nel nulla i due arcivescovi Johanna Ibrahim, vescovo Siro ortodosso, e Bulos Yazjil, vescovo greco ortodosso. Sono trascorsi esattamente 540 giorni da quel 22 aprile 2013, quando i due presuli sono stati rapiti durante una missione umanitaria di mediazione per liberare due preti siriani: p. Michel Kaial, giovane sacerdote armeno cattolico, e Isaac Mahfouz, greco ortodosso, sequestrati dai gruppi armati nel nord della Siria. 

I due arcivescovi sono stati prelevati sull'autostrada che collega la città Aleppo al confine turco siriano, mentre rientravano dalla Turchia. Rabbia e angoscia hanno segnato sin dai primi giorni, la comunità cristiana siriana per il destino dei due presuli molto amati e stimati dai fedeli.
Ibrahim, vescovo di Aleppo della chiesa Siro ortodossa, è infatti uno dei principali esponenti delle Chiese Orientali in tutto il Medio Oriente; Yazji è invece il fratello dell'attuale Patriarca Greco Ortodosso in tutto il mondo e Capo della più numerosa comunità cristiana in Siria.
Era chiaro sin dall'inizio che i rapitori erano a conoscenza della importanza di cui godevano le loro vittime; anzi, con il senno di poi, appare chiaro che tutto fosse stato progettato nei minimi dettagli. Di fatto, in tutto questo tempo non è trapelata alcuna informazione sull'identità dei rapinatori, né sul luogo e sul destino delle vittime, tantomeno sono state avanzate richieste di risarcimento o riscatto.
L'obiettivo è dunque politico. Ovvero traumatizzare le comunità cristiane in Siria, spaventarle e costringerle ad abbandonare il paese. Una tattica che rientra nel tentativo degli estremisti di svuotare il Medio Oriente dai cristiani, cittadini autoctoni e proprietari di quelle terre.
Diverse volte si era accesa la speranza per le trattative in corso, grazie alla mediazione del Qatar che, in diretto contatto con i gruppi armati, era già stato protagonista del rilascio delle monache di Maloula rapite dai terroristi di Al Nusra, gruppo affiliato ad Al Qaeda.
Malgrado i forti rapporti della Turchia con diversi gruppi armati, i negoziati tuttavia non hanno portato a nulla. Dei due arcivescovi fino ad oggi non c'è nessuna traccia e quelli che erano gruppi armati e combattenti d'opposizione nel frattempo si sono trasformati in uno Stato Islamico, con un Califfato, organizzato, attrezzato, super armato, considerato uno dei più ricchi gruppi terroristici al mondo.
Il silenzio assordante dell'Occidente su questi crimini in Siria, oggi sotto una grave minaccia di terrorismo, scuote le coscienze dei cittadini europei e accende forte dibattito sulle politiche adottate dai propri governi sull'altra sponda del Mediterraneo.
Allo stesso tempo, spinge tanti siriani a non credere alle superficiali e apparenti preoccupazioni di Usa e Europa sul destino delle minoranze etnico religiose e dei cristiani d'Oriente soprattutto, attualmente le vere vittime del terrorismo. 

venerdì 10 ottobre 2014

Padre Haddad: "Non si può pretendere di combattere l'Isis, continuando ad inviare aiuti ed armi ai cosiddetti 'ribelli' siriani"

    Dopo  l'arresto eseguito dalla polizia jihadista, padre Hanna è potuto tornare nel suo convento spogliato delle croci. 
    Pare che il tribunale islamico ora lo voglia sottoporre a processo, con l'accusa assurda di collaborazionismo con il regime di Assad. 


Raid inutili se continua flusso soldi e armi a 'ribelli' Siria

ANSAmed) - ROMA, 10 OTTOBRE
di Elisa Pinna

Non si può pretendere di combattere l'Isis, continuando ad inviare aiuti ed armi ai cosidetti 'ribelli' siriani. E' una "follia" che vanifica tutti i bombardamenti della coalizione internazionale "già per altro rivelatisi abbastanza inutili", afferma in un'intervista ad ANSAmed padre Mtanious Hadad, rappresentante a Roma della Chiesa Melchita e cittadino siriano, che in veste di cristiano orientale si sente di parlare anche a nome delle comunità cristiane orientali della Siria e dell'Iraq, "paesi ora purtroppo accomunati dallo stesso boia". 
"L'Isis è un mostro creato dagli Stati Uniti, da Israele, da alcuni paesi arabi, con l'obiettivo di colpire il governo di Baghdad in un primo momento e poi quello del presidente Assad", spiega il religioso.

La missione dei jihadisti, "i quali non hanno nulla a che spartire con il vero Islam", è quello di "frantumare Stati, di colpire la laicità e la convivenza tra le fedi".
 "In Siria - dice padre Hadad - non esiste alcuna guerra civile. La guerra è tra i siriani e i terroristi. Non ci sono ribelli buoni o democratici: tutti hanno le armi e le usano per distruggere uno Stato laico, con un Presidente eletto dal suo popolo".

"Stati Uniti, Israele, paesi del Golfo, tra cui in prima fila Qatar e Arabia Saudita hanno contribuito con soldi, armi, addestramento a creare - secondo Hadad - i gruppi di combattenti anti-Assad che compongono l'Isis. Si tratta di mercenari assetati di sangue che provengono da 80 paesi.
 A pagare il prezzo più alto del terrorismo fomentato soprattutto dall'estero sono stati i cristiani, sottolinea Hadad,che è anche archimandrita e Rettore della Basilica di Santa Maria in Cosmedin a Roma. "In Iraq, i cristiani erano un milione e 500 mila ed ora sono rimasti in 300 mila. Anche in Siria, i cristiani più ricchi sono già emigrati negli Stati Uniti o in Australia. Prima della guerra, la comunità cristiana rappresentava il 10% della popolazione, ora si calcola che sia scesa all'8%". Molti cristiani siriani si trovano nei paesi circostanti, con la speranza di tornare. Altri sono rimasti in patria perche' hanno figli o parenti nell'esercito nazionale.

"Tuttavia - commenta ancora l'apocrisario melchita - se questa situazione si protrarrà ancora a lungo, vi è un pericolo concreto che i cristiani siano costretti a lasciare la loro terra per sempre, la terra in cui vivono da duemila anni". 
Padre Hadad si chiede come sia possibile che Obama parli di "tre anni" per estirpare l'Isis. "una coalizione internazionale contro un gruppo di 30 mila persone. E' uno scherzo?" 
A suo avviso, per sconfiggere il terrorismo in Medioriente, serve piuttosto "una presa di coscienza generale e l'umiltà di riconoscere i propri errori". 
"Le condizioni per mettere fine ad una guerra sporca che va avanti ormai da più di tre anni non sono difficili da individuare: interrompere il flusso di armi e denaro ai jihadisti, fermare il passaggio di terroristi dalla Turchia, non comprare il petrolio messo in vendita dall'Isis sul mercato nero, sempre attraverso la Turchia".
"La Siria in un mese tornerebbe alla pace, se riuscisse a liberarsi dal terrorismo straniero". Ed anche per i cristiani della regione - conclude padre Hadad - ci sarebbe una speranza in più di rimanere nella loro terra. 

http://www.ansamed.info/ansamed/it/notizie/stati/italia/2014/10/10/isis-cristiani-doriente-mostro-creato-da-politica-usa_4efcf097-9cb5-4dec-9912-68008cd04ecd.html



La presenza dei cristiani in Medio Oriente è "una garanzia per tutti"

La testimonianza di mons. Mtanious Haddad, Procuratore del Patriarca Greco-Melkita-Cattolica e Rettore della Basilica di Santa Maria in Cosmedin a Roma


giovedì 9 ottobre 2014

Liberato Padre Hanna Jallouf



La Custodia di Terra Santa conferma la notizia giunta pochi minuti fa dalla Siria. Dopo la liberazione di alcune donne che facevano parte del gruppo di parrocchiani di Knayeh (villaggio cristiano nella Valle dell'Oronte) prelevati da miliziani jihadisti vicini al movimento Al Nusra nella notte tra il 5 e 6 ottobre, anche il parroco fra Hanna Jallouf ha potuto tornare a casa. Al telefono il frate minore ha confermato di essere rientrato al convento di San Giuseppe dove è stato posto, per così dire, «agli arresti domiciliari». Il frate può muoversi liberamente nel villaggio, ma non allontanarsi da Knayeh.

http://www.terrasanta.net/tsx/articolo.jsp?wi_number=6919&wi_codseq=SI001 &language=it

Liberate quattro donne rapite insieme a padre Hanna; nessun messaggio dai rapitori

Agenzia Fides.  9/10/2014

Nella giornata di ieri sono state liberate le 4 donne che facevano parte del gruppo di circa venti ostaggi sequestrati da una banda armata insieme a padre Hanna Jallouf, parroco del villaggio siriano di Knayeh, nella notte tra domenica 5 e lunedì 6 ottobre (vedi Fides 7/10/2014). Lo riferisce all’Agenzia Fides il Vescovo Georges Abou Khazen OFM, Vicario apostolico di Aleppo per i cattolici di rito latino. “Alle donne liberate - spiega il Vescovo Abou Khazen - i rapitori non hanno detto niente. Non sono state nemmeno interrogate”. Fonti locali confermano che i sequestratori erano armati. Finora gli autori del sequestro non hanno fatto pervenire alcun messaggio ai parenti e agli amici dei sequestrati, non si sono qualificati e non hanno fatto rivendicazioni. Ma il numero così cospicuo dei rapiti lascia intuire che non si tratti di banditi comuni. La Custodia Francescana di Terra Santa ha attribuito il sequestro collettivo ad una brigata di Jabhat al-Nusra, la fazione jihadista che controlla l'area. Il luogo di detenzione dei sequestrati dista pochi chilometri dal villaggio di Knayeh.
Il Vescovo Georges Abou Khazen riferisce a Fides le espressioni di affetto che giungono da tutta la Siria alla comunità cattolica di Knayeh, dove opera anche suor Patrizia Guarino, delle Suore Francescane del Cuore Immacolato di Maria. “Suor Patrizia - racconta il Vescovo Abou Khazen - è venerata da tutti. Lei è l'infermiera del villaggio, e tutti la vedono anche come una guida spirituale, che aiuta a guarire non solo le malattie e i dolori del corpo, ma anche le sofferenze dell'anima”.

http://www.fides.org/it/news/56114-ASIA_SIRIA_Liberate_quattro_donne_rapite_insieme_a_padre_Hanna_nessun_messaggio_dai_rapitori#.VDaRymAcT84

martedì 7 ottobre 2014

Rapimento di padre Hanna Jallouf OFM: chiediamo la preghiera di tutti i cristiani!


A Maria, regina della vittoria di Lepanto, nostra Signora del Rosario , chiediamo la liberazione del Parroco e dei tanti cristiani del villaggio di Knayeh  rapiti dagli islamisti  e la protezione per i frati e delle suore che vivono nelle zone controllate dalle brigate di Al Nusra

Il Vescovo Khazen conferma: rapiti il parroco e una ventina di cristiani del villaggio di Knayeh

Agenzia Fides 7/10/2014

“Purtroppo devo confermare la notizia del rapimento di padre Hanna Jallouf OFM, parroco siriano nel villaggio di Knayeh, che è stato sequestrato insieme a una ventina di cristiani”. Così riferisce all'Agenzia Fides il Vescovo Georges Abou Khazen O.F.M., Vicario Apostolico di Aleppo per i cattolici di rito latino. 
“Il sequestro collettivo - aggiunge il Vescovo Khazen - è avvenuto nella notte tra domenica 5 e lunedì 6 ottobre. Al momento non sappiamo chi li abbia sequestrati, se sono stati gruppi di jihadisti o altri. Non riusciamo a contattare nessuno, e non siamo stati contattati da nessuno. Sappiamo soltanto che anche ieri il convento è stato saccheggiato, e altre persone del villaggio si sono nascoste. Tra i rapiti ci sono giovani, sia ragazzi che ragazze”.
Knayeh è un villaggio cristiano nella valle dell'Oronte, nella Siria settentrionale, vicino al confine con la Turchia. I frati minori della Custodia di Terra Santa sono presenti nella valle dell'Oronte da oltre 125 anni. Prima che iniziasse il conflitto, il convento, il centro giovanile, l'asilo e l'ambulatorio, gestito dalle suore francescane, erano, come lo sono anche oggi, il centro della vita del villaggio. Padre Jallouf animava con entusiasmo le attività parrocchiali, l'oratorio, le iniziative estive, le giornate di ritiro e di spiritualità.




In Siria un frate della Custodia rapito con una ventina di parrocchiani

Terrasanta.net | 7 ottobre 2014

Da Gerusalemme, dove ha sede la curia della Custodia di Terra Santa, giunge la conferma del rapimento in Siria di un frate della comunità: il siriano fra Hanna Jallouf (52 anni). 
Il religioso è parroco del villaggio cristiano di Knayeh, nella vallata del fiume Oronte vicino al confine con la Turchia, ed è stato prelevato nella notte tra il 5 e 6 ottobre con una ventina di altri ostaggi. Gli autori del sequestro sarebbero uomini armati vicini al movimento jihadista Jahbat Al-Nusra. Alcune suore francescane sono riuscite a scampare al sequestro trovando rifugio in alcune case private.

Nel 2008 quando la Siria non era ancora stata stravolta dal conflitto in atto, un servizio al lavoro di fra Hanna era stato pubblicato su Eco di Terra Santa. I frati minori della Custodia – riferivamo - sono presenti nella valle dell’Oronte da oltre 125 anni. Il convento, il centro giovanile, l’asilo e l’ambulatorio di Knayeh, gestito dalle suore francescane, sono anche oggi il centro della vita del villaggio, che conserva con orgoglio una forte identità cristiana e ha fornito alla Chiesa siriana molte vocazioni sacerdotali e religiose, sia maschili sia femminili. 
«Secondo la tradizione – spiegava fra Hanna al nostro direttore Giuseppe Caffulli - san Paolo dopo aver avuto la notizia e la gioia di poter convertire gli elleni al cristianesimo, si recò da Gerusalemme verso Antiochia. Allora c’erano tre strade che collegavano Apamea ad Antiochia. Una era la strada militare verso Aleppo, un’altra passava vicino al corso dell’Oronte, per sei mesi impraticabile a causa delle piene; una terza passava proprio dietro questa collina. Senz’altro san Paolo è passato di qua, evangelizzando queste terre. Insomma, siamo certamente i discendenti dei primi cristiani convertiti dall’apostolo missionario».
Abuna Hanna ad Amman (in Giordania) è stato direttore del prestigioso Collegio di Terra Santa, ma poi è tornato tra le montagne dell’Oronte. «La mia famiglia – spiegava ai lettori di Eco - proviene da queste valli e per me è stato un gradito ritorno a casa. Ma anche una nuova sfida, perché i villaggi dell’Oronte, un tempo il fiore all’occhiello del cattolicesimo di Siria, stanno conoscendo oggi una pesante diaspora… I giovani se ne vanno in cerca di lavoro e di fortuna. E questo indebolisce le comunità cristiane, mette in pericolo l’esistenza stessa delle nostre chiese. Di fronte a questa situazione, serve nuovamente scommettere sul futuro».

http://www.terrasanta.net/tsx/articolo.jsp?wi_number=6911&wi_codseq= &language=it

Syria: Statement of the Custody: 

http://fr.custodia.org/default.asp?id=1019&id_n=27828



Da due anni lui e i suoi fedeli vivevano sul filo del rasoio. Tollerati e sopportati, ma minacciati e controllati.

Il Giornale Mar, 07/10/2014 
Gian Micalessin

 Ora anche quell'incerto limbo è tramontato. Da domenica notte il padre francescano Hanna Jallouf e venti suoi parrocchiani sono prigionieri, ostaggi dei militanti Al Qaidisti di Al Nusra. E per duemila cristiani, stretti tra la frontiera turca e la turbolenta regione di Idlib roccaforte dei ribelli jihadisti di Al Nusra rischiano di aprirsi le porte dell'inferno.
Loro sono i cristiani di Knayem, Yacoubieh e Jdeideh, tre parrocchie del fiume Oronte dove la cristianità è di casa da duemila anni. Il primo ultimatum era arrivato un anno fa quando i capi jihadisti della zona avevano sancito le condizioni alle quali erano disposti a sopportar ela presenza cristiana sui propri territori. "Tutte le croci debbono sparire. È proibito suonare le campane. Le donne non debbono uscire di casa senza coprirsi la faccia e i capelli. Le statue devono sparire. In caso d'inadempienza, si applicherà la legge islamica". Come dire chi non si adegua o se ne va o verrà fatto fuori. Quell’ultimo terribile “aut aut” riassumeva le condizioni imposte non solo ai Cristiani dell’Oronte, ma a quelli di tutta la Siria. Padre Hanna Jallouf, il parroco di Knaye conosciuto dai fedeli come Abu Hanna, l’aveva capito da tempo. 
..........
continua la lettura qui: http://www.ilgiornale.it/news/mondo/siria-padre-francescano-rapito-dai-jihadisti-nusra-1057812.html

lunedì 6 ottobre 2014

Appunti di viaggio, di Samaan Daoud



Grazie all' invito del mio caro amico Gianantonio Micalessin, ho potuto partecipare in Italia all’evento del Meeting di Rimini per presentare insieme a lui il suo documentario “Maalula l’ultima trincea”.
Mi ha colpito molto l’organizzazione del Meeting che era cosi elegante e così bella, è stata una nuova esperienza; mi ha molto impressionato la gente attenta che c’era durante la presentazione del documentario (quasi 3000 persone). E grazie al Meeting e a Cl (comunione e liberazione) e a Ora pro Siria ho avuto altri incontri.

Il 30 agosto ho iniziato il mio giro nelle varie zone d’Italia, nelle parrocchie, nei centri culturali e nei monasteri, dicendo a tutti gli italiani che incontravo che la Siria, la culla del cristianesimo e Damasco dove San Paolo ha riconosciuto Gesù Cristo, ora la Siria e soprattutto i cristiani della Siria rischiano la vita, vengono perseguitati ed uccisi come è successo ai tre giovani Martiri di Maalula. Noi in Siria siamo dei Martiri Viventi. 
Noi non stiamo cercando la morte ma il Diavolo sta operando e sta usando il fanatismo e l’estremismo religioso che trova una terra fertile nel pensiero Wahabita (Saudita) e nella politica dei Fratelli Musulmani (Qatar, Turchia, Tunisia). Questo progetto diabolico ha trovato insensibile la coscienza dei politici: vi hanno fatto capire che quello che sta succedendo in Siria è dovuto a un regime che sta ammazzando il popolo civile. Ma la verità è tutta un' altra. La verita’ è che in Siria ci sono ora molti gruppi jihadisti che arrivano da tutto il mondo e ci sono 3000 europei che combattono in Siria a fianco di ISIS. E che tanti ancora sono pronti ad operare pure in Europa nelle vostre case.
Ho parlato della sofferenza quotidiana della chiesa siriana (Maalula, Sadad, Aleppo, Raqqa, Maharde) e di come i cristiani stanno dando un grande esempio della fede in Cristo.

Mi ha colpito molto nei miei incontri il grande numero di persone che viene ad ascoltarmi, ad ascoltare un semplice siriano cristiano, ma che ama molto la sua terra ed è innamorato di Gesu’ Cristo e di Don Bosco. Mi rimarrà impresso in mente l’incontro di Bergamo in cui la sala dei frati cappuccini era piena e non poteva più contenere le persone ma la gente e’ stata lo stesso in piedi per più di due ore. Lo stesso e’ successo nella zona di Reggio Emilia: la gente e’ stata in piedi ed alcuni erano fuori ad ascoltare dalle finestre.
Quello che ho notato è che tanti italiani non sanno quasi niente di tutto quello che sta succedendo in Siria o in medio oriente, c'è una vera mancanza d’informazione, ed altri sanno poco ma non tanto chiaro.
Mi ha commosso molto il dialogo con le suore che ho incontrato in alcuni monasteri, perchè ho visto nei loro occhi una forte e costante preghiera sincera per noi.

Quando ero ancora in Italia mi ha sorpreso molto la decisione dell’America di colpire ISIS. Che ridicolo questo. L'America ed i suoi alleati occidentali ed Arabi decidono di colpire ISIS mentre questi stessi da 3 anni stanno armando i cosiddetti ribelli moderati. La domanda che ho fatto negli incontri era : chi sono quei moderati dei quali parla l’America e l’Occidente?
Non esiste moderazione nelle guerre. Anzi quelli che prima si chiamavano FSA (free Syrian army) sono diventati o Fronte aL-Nusra, o Fronte Islamico, o ISIS.
La prova è questa: chi ha realizzato l’attentato qualche giorno fa contro una scuola elementare a Homs causando la morte di 46 bambini? tenendo conto che ISIS non c'è nella zona di Homs... anzi ci sono solamente i cosiddetti moderati nella zona di AL-Wa’ar. 
Come il fatto che non vien mai menzionato, su di noi a Damasco piovono ogni giorno bombe che provengono da Jobar e dai quartieri in mano ai 'ribelli moderati', che colpiscono i civili anche nelle zone cristiane come Kassa e Bab Touma... Lo sapevate? : su Damasco  ci sono stati 1.887 attacchi con colpi di mortaio  solo durante i mesi di agosto e settembre, uccidendo 296 civili e ferendone  altri 1487!

Secondo me l’Occidente sta giocando col fuoco e questo fuoco prima e poi arriverà a casa vostra.
Italiani state ATTENTI.

A molte persone che mi chiedevano come aiutare i cristiani siriani suggerisco di sostenere i progetti di tanti che qui cercano di resistere, costruendo nella dignità e nello sforzo di salvare la propria umanità  opere di riconciliazione e piccole attività lavorative ed educative.

Spero di rivedervi tutti nel prossimo viaggio che, a Dio piacendo, farò in aprile in Italia 
( se volete potrete contattarmi tramite Ora pro Siria ).

Non dimenticateci: pregate per la Siria e i suoi cristiani!

  Samaan Daoud