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lunedì 11 agosto 2014

Dinanzi alla violenza in nome di Allah: la grande domanda che l’Islam ha dinanzi a sé alla quale solo gli islamici possono rispondere



Centro culturale Gli scritti (10/8/2014)
 di Giovanni Amico

Il ripetersi di fatti inauditi di violenza in nome di Allah mostra a chiunque sia in buonafede che il problema è costitutivo per l’Islam odierno. Non è sufficiente affermare che sono solo minoranze islamiche che compiono atti efferati: si ammetta pure che solo il 35% dei musulmani sia d’accordo con azioni violente[1], ne consegue che per il restante 65% non sarà sufficiente affermare che ciò non è conforme alla fede islamica, ma si tratterà piuttosto di generare un movimento di opinione che contrasti efficacemente la minoranza violenta [2].

Non spetta a chi non è musulmano risolvere questo problema: dall’esterno si può dare una mano, ma non risolvere i dilemmi interni dell’Islam. Farsi carico della risposta sarebbe dare corpo a quel senso di vittimismo che impedisce ad ognuno, ed in questo caso agli islamici, di prendere su di sé la responsabilità del proprio destino [3].

Il problema, a nostro avviso, è semplice e si può porre in questi termini, per aiutare i musulmani ad affrontarlo. Maometto ha combattuto ben 27 campagne militari ed ha ucciso, Maometto ha decretato lo sterminio di intere tribù nella penisola arabica, la guerra santa è stata fin dall’inizio una guerra di conquista militare per l’espansione dell’Islam che ha portato in pochissimi decenni gli arabi alla conquista del medio oriente, del Nord africa, di parte dell’Europa (Andalusia, Sicilia, Puglia, Garigliano, Saint-Tropez, ecc. ecc.), della penisola anatolica fino alle porte di Costantinopoli (per non parlare dell’avanzata delle armate turche che si sostituirono a quelle arabe a partire dal 1077): l’enunciazione di questi fatti non è un offesa all’Islam, anzi qualsiasi musulmano sarà d’accordo con queste evidenze storiche.

Il problema è piuttosto che i musulmani violenti si richiamano a queste origini dell’Islam. Chiedendo ai loro confratelli di convertirsi al vero Islam hanno gioco facile nel ricordare loro che questa è la storia primitiva  della diffusione islamica.

Agli altri musulmani spetta, allora, di mostrare che questi fatti originari erano dovuti ad eventi contingenti e non solo essenziali al vero Islam. Spetta loro mostrare che si può essere islamici e chiedere scusa, come hanno fatto altre religioni come il cristianesimo, degli eventi violenti della propria storia passata.
Se tali fatti originari non hanno più valore per l’oggi, allora sarà possibile rifiutare gli atti violenti odierni dell’Islam. Per proporre un Islam che oggi rinneghi la violenza contro le minoranze, permetta la conversione di un islamico al cristianesimo, si schieri a favore di una vera libertà religiosa, è necessaria una lettura critica della storia islamica.

Altrimenti i violenti avranno vita facile, poiché accuseranno gli islamici moderati di aver abbandonato la fede e di essersi lasciati corrompere dai costumi occidentali. In termini tecnici è in questione un’ermeneutica delle origini, una capacità di lettura critica della nascita e dei primi secoli dell’Islam, che mostri che alcuni eventi violenti originari non siano avvenuti per volontà divina, bensì siano dipesi da scelte contingenti ed opinabili dei primi musulmani.

A noi che non siamo musulmani non è possibile rispondere se può darsi un Islam che rinneghi la violenza delle sue origini, contestualizzandola e ritenendola inessenziale. Non possiamo noi rispondere come si caratterizzerebbe un Islam che accettasse che le scelte di fede sono pienamente libere, che accettasse cioè che come un cristiano può divenire musulmano, così un musulmano può divenire cristiano senza che nessuno eserciti violenza se la sua coscienza lo spinge a questo passo. Non possiamo noi rispondere alla domanda se può esistere un Islam che in uno Stato a maggioranza musulmana conceda ad altre religioni o allo stesso ateismo di predicare liberamente le proprie opinioni.

Però è non solo un nostro diritto, ma anche un nostro dovere porre ai musulmani queste domande, proprio perché vogliamo essere loro amici e non amici di facciata, bensì amici leali e sinceri, liberi come è libero ogni vero amico.
Dalle risposte a queste domande dipende molto della storia futura del mondo e dell’Islam stesso.

Ci piace sottolineare che queste riflessioni non sono suscitate dalla paura di una possibile affermazione planetaria dell’Islam, anzi. La nostra presa di posizione è dettata dalla paura opposta: se la maggioranza silenziosa dell’Islam non si affretterà ad affrontare queste questioni  è pensabile piuttosto una scomparsa dell’Islam a livello mondiale. O l’Islam, infatti, sarà capace di mostrare a se stesso che è in grado di maturare una visione serena della modernità, altrimenti crollerà d’improvviso. E crollerà tragicamente dopo aver ingoiato nella sua violenza un numero enorme di musulmani – è evidente agli occhi di chiunque che le vittime musulmane dell’odierna crisi che l’Islam sta attraversando sono in numero infinitamente maggiore delle morti che le minoranze violente islamiche infliggono ai non musulmani.

Fra l’altro numerosi paesi islamici sono possessori di enormi ricchezze: ma per convertire questi beni in scelte educative che si preoccupino della formazione di ragazzi e ragazze islamiche che sappiano guardare in maniera critica alle origini dell’Islam, in vista di una visione dell’Islam adeguata al XXI secolo, serve che per primi i governanti scelgano una visione chiara dell’Islam che intendono proporre.


[1] È inutile nascondersi dietro ad un dito: le minoranze islamiche favorevoli alla violenza non sono l’1% o il 5% della popolazione, ma siamo in presenza di percentuali molto più alte, sebbene alcune statistiche dell’anno in corso comincino a registrare un calo, sebbene ancora contenuto, di tali percentuali.
[2] La totale assenza di manifestazioni contro gli atti efferati compiuti in nome dell’Islam in molti paesi a maggioranza islamica e l’insignificanza di manifestazioni negli altri parla con evidenza dello stato di empasse in cui si trovano i musulmani. Ma ciò che è, a nostra avviso, ben più significativo è la mancanza di una chiara scelta educativa nei confronti delle nuove generazioni – di questo si parlerà oltre.
[3] A nostro avviso, grave è la responsabilità dei media occidentali che sposano e incoraggiano il vittimismo di alcune correnti di opinione musulmane e non le invitano ad una seria assunzione di responsabilità, a partire dalle potenzialità enormi che esse hanno ad esempio a livello economico.

http://www.gliscritti.it/blog/entry/2632

Cristiani in fuga, il futuro dei cristiani in Iraq

RaiNews24, 10 agosto 2014

vedi video: 


Sinjar, nord Iraq: la croce della chiesa viene sostituita con la bandiera nera ISIS

Nel campo dei cristiani stremati

I racconti, la paura e l’ira: una giornata con le migliaia di persone sfuggite all’offensiva dei guerriglieri islamici nella piana di Ninive. «È un massacro, dateci le armi»



Il Corriere , 10 agosto 2014
di Lorenzo Cremonesi

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«L’emergenza riguarda oltre 100.000 cristiani scappati di fronte all’avanzata dei radicali sunniti da Mosul verso l’enclave curda. Ma il dramma non è solo delle persone. E’ l’antica cultura della nostra convivenza con i musulmani che viene cancellata. Il meccanismo della coesistenza pacifica si è inceppato. Siamo di fronte a un Medio Oriente diverso da quello che avevamo sempre conosciuto», esclama allarmato Warda. Le sue parole sono un campanello di allarme. Occorre ascoltare bene i racconti della sua gente per comprenderlo. Da lontano, è difficile distinguere la valenza dei crimini che si stanno consumando nella piana di Mosul. Qui ora c’è una Chiesa molto diversa da quella che ai tempi di Saddam Hussein porgeva «l’altra guancia». C’è un disperato grido di guerra. Una richiesta di aiuto alla cristianità perché si mobiliti in difesa della fede. Tutti plaudono ai raid aerei Usa. «Per fortuna sono arrivati loro. Devono sterminare i criminali del Califfato. Speriamo che li ricaccino verso la Siria, a morire nel deserto», dicono i responsabili della Chiesa e i loro fedeli con parole sempre eguali. «Ma perché le bombe americane non sono arrivate prima? E voi europei cosa aspettate?».
«Le nostre sofferenze di oggi sono il preludio di quelle che subirete anche voi europei e cristiani occidentali nel prossimo futuro», dice il 47enne Amel Nona, l’arcivescovo caldeo di Mosul fuggito ad Erbil. Il messaggio è inequivocabile: l’unico modo per fermare l’esodo cristiano dai luoghi che ne videro le origini in epoca pre-islamica è rispondere alla violenza con la violenza, alla forza con la forza. Nona è un uomo ferito, addolorato, ma non rassegnato. «Ho perso la mia diocesi. Il luogo fisico del mio apostolato è stato occupato dai radicali islamici che ci vogliono convertiti o morti. Ma la mia comunità è ancora viva». E’ ben contento di incontrare la stampa occidentale. 
«Per favore, cercate di capirci - esclama -. I vostri principi liberali e democratici qui non valgono nulla. Occorre che ripensiate alla nostra realtà in Medio Oriente perché state accogliendo nei vostri Paesi un numero sempre crescente di musulmani. Anche voi siete a rischio. Dovete prendere decisioni forti e coraggiose, a costo di contraddire i vostri principi. Voi pensate che gli uomini sono tutti uguali - continua l’arcivescovo Amel Nona - Ma non è vero. L’Islam non dice che gli uomini sono tutti uguali. I vostri valori non sono i loro valori. Se non lo capite in tempo, diventerete vittime del nemico che avete accolto in casa vostra».  

   leggi qui l'articolo completo:
http://www.corriere.it/esteri/14_agosto_10/nel-campo-cristiani-stremati-990dca94-2058-11e4-b059-d16041d23e13.shtml

Lettera d'addio : a voi, che pensavamo ci avreste protetti... 

dello scrittore iracheno cristiano Majed Aziza alla sua città, Mosul


Espulsi lasciamo la nostra città Mossul, umiliati dai detentori del nuovo islam. La lasciamo per la prima volta nella storia. E, partendo, ringraziamo i nostri vicini, vicini che pensavamo ci avrebbero protetto come lo facevano un tempo e che si sarebbero ribellati contro la furia di questi criminali del XXI° secolo dicendo loro che noi siamo gli autentici figli di questa città e che ne siamo i fondatori. Ci facciamo coraggio dicendoci che possiamo contare su di loro, fratelli valorosi che mostreranno di che pasta sono fatti (lett. “di che legno si scaldano”).
Ma ci hanno abbandonato, lasciandoci trascinare fuori dalla città, verso l’ignoto. Hanno chiuso gli occhi, mentre lasciavamo dietro di noi la nostra storia, le tombe dei nostri antenati, le nostre case, il nostro patrimonio e tutto ciò che è caro al nostro cuore. Ci hanno abbandonato, mentre dicevamo addio ai nostri quartieri, alla moschea di Giona (che conteneva anche la tomba di questo profeta e che, per questo motivo, è stata distrutta dagli jihadisti dello stato islamico in Iraq e nel Levante (ISIS). Addio anche all’arcivescovado, alla chiesa di Maskinta e a quella d’Ain Kibrit… Addio a tutti voi! Non ci saremo più per le vostre feste e cerimonie, matrimoni e funerali. 

La fine dei millenni passati insieme
Addio ai nostri parenti seppelliti a Mossul. Li lasciamo, cacciati dalla nostra città. Ci perdonino se non possiamo andare sulle loro tombe in occasione delle feste religiose. Addio ai resti mortali di mio nonno Elias, del mio zio paterno – padre Mikhail –, ai miei zii materni Ibrahim et Mikhail Haddad che mi hanno trasmesso la passione del giornalismo, addio al mio zio paterno Estefan Aziza, il primo martire della famiglia, addio al convento di San Giorgio, addio ai ponti della mia città, alle sue mura e ai suoi terreni di gioco, alla sua università e al suo centro culturale. 

Perdonateci, vecchi amici, fratelli e nobili figli della nostra città. Perdonate le nostre mancanze. Se possiamo aver mancato ai nostri doveri nei vostri confronti ciò non toglie che abbiamo vissuto insieme centinaia, anzi migliaia di anni, costruendo Mossul con il sudore della nostra fronte. 

E oggi, ci guardate da lontano, mentre siamo scacciati, umiliati agli occhi di tutti. Gli assassini del Daech (acronimo arabo di ISIS) ci hanno cacciato dalle nostre case e dalle nostre città. Addio a tutti voi. E grazie. Lasciamo, sotto costrizione, una terra che abbiamo nutrito con il nostro sangue.

Traduzione di Don Pierre Laurent Cabantous



http://www.culturacattolica.it/default.asp?id=17&id_n=35829

venerdì 8 agosto 2014

Rapimento di due ragazze italiane in Siria: alcuni interrogativi


“Agli eroi del Battaglione dei Martiri. Grazie dell’ospitalità e se Dio vuole vedremo la città di Idlib libera quando torneremo” è questa la traduzione del cartello tenuto in mano di Vanessa Marzullo e Greta Ramelli . 
  • Liwa Shuhada al-Islam è un gruppo ribelle islamista il cui nome significa “La Brigata dell’Islam”.
    La Brigata inneggiata dalle due ragazze lombarde è considerata dagli esperti di terrorismo internazionale una sigla vicina al Fronte al Nusra, braccio di al Qaeda in Siria, di chiara matrice jihadista.

Rapite due ragazze in Siria, nel villaggio di  Abzemo, nei pressi di Aleppo. 

Sono Vanessa Marzullo e Greta Ramelli. Si tratta di due volontarie dell’organizzazione assistenziale sanitaria Horryaty, da tempo vicina ai cosiddetti ribelli siriani. Le giovani sono state prelevate da un gruppo armato ancora non identificato, come accade spesso in questi casi, dove gli ostaggi passano di mano in mano per evitarne la localizzazione. Sfugge al sequestro il giornalista del Foglio Daniele Raineri, che si trovava con loro.

Il Coordinamento nazionale per la pace in Siria ha redatto un comunicato nel quale esprime la sua vicinanza alle famiglie delle due ragazze rapite e ne auspica il rilascio a breve.
E ripercorre la vicenda ponendo alcuni interrogativi:
«Le due ragazze sono entrate in Siria dalla Turchia senza un regolare visto, attraverso un confine presidiato da gruppi armati e da bande criminali. Entrate nel Paese, si sono recate in una delle zone più pericolose della Siria, in un’area controllata da gruppi jihadisti, responsabili di numerose atrocità e crimini contro l’umanità. Si apprende, inoltre, che le due ragazze fossero “protette” da uomini del Fronte islamico, fazione radicale attiva nell’area.
Perché le due ragazze si accompagnavano a questo gruppo armato? Come sono entrate in Siria e da chi sono state accompagnate dai combattenti?»

Particolare alquanto inquietante è che le ragazze sembra siano state rapite «nella casa del “capo del Consiglio rivoluzionario” locale», come riporta il quotidiano giordano Assabeel.

Insomma la vicenda è poco chiara: un progetto umanitario che si sviluppa sotto l’ala protettrice di una fazione terroristica affiliata ad Al Qaeda, le cui azioni verso la popolazione civile siriana sono tutt’altro che umanitarie. Forse le due ragazze sono entrate in un gioco più grande di loro.

Ma al di là, dei contorni del sequestro, si spera che le ragazze possano presto essere riconsegnate agli affetti della famiglia.
Resta il dubbio che questo potrà avvenire solo dietro pagamento di un riscatto, come in casi analoghi del passato. Un ulteriore finanziamento al terrorismo che costerà altro sangue innocente, stavolta siriano che non vale meno di quello italiano.
Anche per questo sarebbe opportuno che le missioni umanitarie siano svolte da organismi affidabili e soprattutto si evitino commistioni pericolose che, tra l’altro, le rendono strumentalizzabili a vari livelli.

A Vanessa e a Greta, per quanto valgono i nostri voti, un felice ritorno a casa.

http://www.piccolenote.it/19995/rapite-due-ragazze-italiane-in-siria

Rapite due ragazze in Siria, nel villaggio di Abzemo, nei pressi di Aleppo. Sono Vanessa Marzullo e Greta Ramelli. Si tratta di due volontarie dell’organizzazione assistenziale sanitaria Horriatry, da tempo vicina ai cosiddetti ribelli siriani. Le giovani sono state prelevate da un gruppo armato ancora non identificato, come accade spesso in questi casi, dove gli ostaggi passano di mano in mano per evitarne la localizzazione. Sfugge al sequestro il giornalista del Foglio Daniele Raineri, che si trovava con loro.
Il Coordinamento nazionale per la pace in Siria ha redatto un comunicato nel quale esprime la sua vicinanza alle famiglie delle due ragazze rapite e ne auspica il rilascio a breve.
E ripercorre la vicenda ponendo alcuni interrogativi: «Le due ragazze sono entrate in Siria dalla Turchia senza un regolare visto, attraverso un confine presidiato da gruppi armati e da bande criminali. Entrate nel Paese, si sono recate in una delle zone più pericolose della Siria, in un’aria controllata da gruppi jihadisti, responsabili di numerose atrocità e crimini contro l’umanità. Si apprende, inoltre, che le due ragazze fossero “protette” da uomini del Fronte islamico, fazione radicale attiva nell’area.
Perché le due ragazze si accompagnavano a questo gruppo armato? Come sono entrate in Siria e da chi sono state accompagnate dai combattenti?»
Particolare alquanto inquietante è che le ragazze sembra siano state rapite «nella casa del “capo del Consiglio rivoluzionario” locale», come riporta il quotidiano giordano Assabeel.
Insomma la vicenda è poco chiara: un progetto umanitario che si sviluppa sotto l’ala protettrice di una fazione terroristica affiliata ad Al Qaeda, le cui azioni verso la popolazione civile siriana sono tutt’altro che umanitarie. Forse le due ragazze sono entrate in un gioco più grande di loro.
Ma al di là, dei contorni del sequestro, si spera che le ragazze possano presto essere riconsegnate agli affetti della famiglia.
Resta il dubbio che questo potrà avvenire solo dietro pagamento di un riscatto, come in casi analoghi del passato. Un ulteriore finanziamento al terrorismo che costerà altro sangue innocente, stavolta siriano che non vale meno di quello italiano.
Anche per questo sarebbe opportuno che le missioni umanitarie siano svolte da organismi affidabili e soprattutto si evitino commistioni pericolose che, tra l’altro, le rendono strumentalizzabili a vari livelli.
A Vanessa e a Greta, per quanto valgono i nostri voti, un felice ritorno a casa.

mercoledì 6 agosto 2014

Lo scopo è l'odio, una cosa diabolica da combattere con la preghiera e con tutti gli strumenti politici



PREGHIERA PER LA PACE IN IRAQ
6 AGOSTO 2014

Signore,
la piaga della nostra nazione
è profonda e la sofferenza dei cristiani
è grande e ci spaventa.

Dunque Ti chiediamo Signore
di proteggere le nostre vite, di concederci il coraggio e la pazienza
di continuare a testimoniare i nostri valori cristiani con fiducia e speranza
Signore, la pace è fondamento di ogni vita.

Donaci pace e stabilità
per vivere insieme l’uno con l’altro senza paura, angoscia, ma con dignità
e gioia.
A Te la lode e la gloria per sempre.

† Louis Raphael I Sako
Patriarca di Babilonia dei Caldei



 La paura dei cristiani libanesi di fronte alla minaccia islamista 


Intervista  di Radio Vaticana a Mons. Hobeika, vescovo maronita


Hobeika - Noi cristiani del Libano, ma anche le altre confessioni presenti, sentiamo il pericolo di questo gruppo chiamato "Dash" che diventa fattore di guerra. Si è visto cosa sta accadendo per i cristiani in Medio Oriente. Il Libano rischia lo stesso.

D. – In Iraq, i cristiani sono stati cacciati da Mosul, in Siria tutti combattono contro tutti. C’è paura che questo accada anche in Libano?

Hobeika – Si. Oggi e ieri, ci sono stati conflitti tra l’armata libanese e gli estremisti. Questa realtà potrebbe svilupparsi in altre regioni del Libano, dove ci sono campi di profughi siriani che potrebbero essere armati da Dash, o al-Nusra. Questi estremisti sono “cugini” e dipendono entrambi da Al-Qaeda.

D. - C’è dunque un pericolo concreto di una estensione delle violenze?

Hobeika - Sì, è già cominciata. Adesso, la cosa positiva è che la maggioranza dei musulmani non accetta questo. E' chiaro che gli sciiti non lo accettano, ma neanche i sunniti lo accettano, salvo gli estremisti.

D. - Non lo accettano per paura di una guerra?

Hobeika - Sì, non vogliono distruggere il Libano, ma non è facile mantenere calmi gli estremisti sunniti libanesi.

D. - La politica come sta affrontando questa situazione?

Hobeika - I politici sono d’accordo nel fare tutto il possibile per difendere il Paese. Non sembrano divisi su questo punto.

D. - Come Chiesa cosa state facendo?

Hobeika – Con la nostra comunità e con l’opinione pubblica libanese stiamo facendo un discorso di pacificazione, preghiere, omelie, incontri: tutto quello che possiamo fare adesso.

D. – Oltre nove milioni gli sfollati in Libano per la guerra in Siria, molti continuano ad arrivare in Libano. Qual è la loro condizione?

Hobeika - Sono quasi un milione e 500 mila e la maggior parte di loro vivono nella miseria totale. Gli aiuti ci sono, ma non bastano mai.

D. – Il Libano vede da una parte la guerra in Siria, dall’altra il conflitto tra israeliani e palestinesi…

Hobeika - E’ una cosa diabolica che cerca di aumentare l’odio nel popolo, tra le diverse etnie, tra le diverse religioni e professioni religiose. Intendo dire che se in Iraq, Dash voleva fare un Paese sunnita non era necessario cacciare tutte le altre minoranze dal Paese. Cristiani e non cristiani tutte le minoranze sono cacciate. Lo scopo è l’odio. Se questo stesso odio viene in Libano, in questo piccolo Paese - dove ci sono 16 confessioni - tutti saranno contro tutti. E’ una cosa diabolica che serve solo a distruggere. Abbiamo paura.

D. - Quindi, qual è il suo auspicio in questa situazione così difficile?

Hobeika - Vorrei che il Libano rimanesse in pace, nell’accoglienza di tutte le minoranze. Se il Libano non riuscirà a mantenere la pace e i cristiani non ci rimarranno, tutto cambierà! E’ un problema grande che merita che tutte le persone di buona volontà, ma soprattutto la Chiesa universale, se ne preoccupino. Non dobbiamo essere lasciati soli! 

lunedì 4 agosto 2014

Samaan dalla Siria: qui i cristiani continuano a morire, ma l'occidente pensa solo a Israele


l'altare cristiano più antico al mondo distrutto dai 'ribelli moderati' a Maaloula

























"La Siria è finita nello scaffale del dimenticatoio": così dice al  sussidiario.net  Samaan Daoud, siriano cristiano di Damasco. Da quando è  scoppiato il conflitto di Gaza, aggiunge, "come sempre quando c'è di mezzo  Israele tutto il mondo comincia a preoccuparsi del figlio coccolato dell'Europa  e dell'America, ma intanto in Siria i cristiani continuano a essere uccisi e obbligati ad abbandonare le loro case. Il nostro paese è vittima di un genocidio che si avvicina ai 200mila morti, ma l'Europa fa i propri interessi sulle morti altrui". Un altro fenomeno interessante, dice sempre Samaan, è il fatto che gli  imam dei paesi arabi che da anni invitano i musulmani ad andare a combattere in Siria adesso non spendono una parola per Gaza: "E' evidente come anche questi  imam siano legati ai petrodollari, siano interessati all'America: hanno mandato  migliaia di arabi a combattere in Siria ma non hanno speso una parola per le 
tante vittime civili di Gaza".

 IL SUSSIDIARIO, 4 agosto 2014

Alcuni commentatori non si spiegano come mai sia così centrale sulla stampa internazionale il conflitto di Gaza anche se la situazione in Siria e in Iraq è 
sempre peggiore. Come è vissuto il conflitto tra Hamas e Israele in Siria? Il vostro paese un tempo era uno dei grandi nemici di Israele.
Il conflitto di Gaza ha preso tutta l'attenzione internazionale. Quando la situazione riguarda Israele tutto il mondo comincia a preoccuparsi per il figlio coccolato dell'Europa e dell'America, guai a chi lo tocca. Si parla solamente di  missili che partono da Gaza verso Israele e si dimenticano i civili morti e  anche le chiese e le case distrutte da Israele. 


Che idea vi siete fatti della guerra a Gaza?
La mia analisi personale è che Hamas negli ultimi tre anni aveva perso quasi ogni sostegno, dopo che era stato considerato il gruppo che avrebbe portato la libertà in Palestina con l'aiuto forte di Siria, Egitto e Iran. Ma con la primavera araba Hamas ha perso l'appoggio di quasi tutti i paesi arabi, perché Hamas ha la stessa ideologia dei fratelli musulmani e degli jihadisti.  Adesso  però l'attacco di Israele ha fatto rinascere la simpatia internazionale nei loro confronti. Stanno guadagnando i punti che fino a un mese fa avevano perso. Noi siriani poi guardiamo con grande preoccupazione a quello che succede a Gaza  anche perché la situazione siriana è scesa al terzo posto dell'interesse 
internazionale.


In che senso?
Al primo posto c'è solo e sempre Gaza, al secondo si parla dei cristiani  dell'Iraq e la Siria è finita dentro uno scaffale del dimenticatoio.


Perché questo, secondo lei?
C'è qualcosa di voluto. Se ci pensiamo, non è tanto strano che appena questo Stato Islamico ha annunciato la nascita e ha preso la città di Mosul sia poi cominciata la guerra contro Gaza. Intanto questi fanatici stanno uccidendo un sacco di cristiani nel nord della Siria e nessuno ne parla. Se contiamo quanti  cristiani sono morti in Siria e quanti hanno dovuto abbandonare il paese, il  numero supera quelli scappati da Mosul,  ma nessuno vuole mai approfondire la  situazione dei cristiani in Siria.


Che infatti è gravissima da tempo.

Non dimentichiamo ad esempio i cristiani martirizzati perché non hanno rinnegato la loro fedeltà a Gesù, non dimentichiamo i villaggi cristiani distrutti intorno  a Damasco e nessuno parla dei cristiani di Aleppo e di quante chiese distrutte ci siano state. Quello che succede intorno a noi ci lascia angosciati perché si sono dimenticati dei cristiani della Siria anche i nostri fratelli nella fede in Europa.


La nascita dello Stato Islamico poi sembra quasi che sia vista dall'occidente come il meno peggio, come dire: almeno questo porterà fine alle guerre locali.
L'Europa non ha vittime proprie e perciò gioca sulle vittime degli altri e tutto va bene. Personalmente penso che questo califfato non avrà vita lunga, non ha le caratteristiche di un vero stato. Uno stato a base solamente religiosa e di sharia non può stare in piedi per molto: per costruire uno stato ci vuole ben altro. Inoltre più diventa grande e più diventa difficile da gestire e alla fine cadrà da solo, anche se di soldi ne hanno rubati tanti, ad esempio due miliardi di dollari dalle banche di Mosul e vendono il petrolio all'America. Quando cadrà però e quante vittime ci saranno ancora non lo sappiamo. Se l'Europa si fosse  interessata al conflitto siriano oggi non saremmo arrivati a questo punto. 
unità armate di islamisti appartenenti all'opposizione siriana circondano
la cittadina di Mhardeh, città natale del patriarca Ignazio IV Hazim
 e la città di Suqailabiyeh, entrambe situate nella campagna di Hama.
 
Mhardeh e Suqailabiyeh costituiscono uno dei più grandi agglomerati
di greci ortodossi in Siria

L'America poi non apre bocca mentre ancora oggi ci sono 15mila cristiani ortodossi circondati da questi fanatici assassini nelle zone a nord e nessuno ne parla.



Dal punto di vista militare com'è la situazione? L'esercito governativo ottiene dei successi?
Sì, intorno a Damasco e alla periferia di Homs, ma questo esercito combatte da oltre tre anni e si sta stancando. 
Non è una guerra tra eserciti, questa è una guerra sporca di strada e gli jihadisti hanno sempre rifornimento di uomini. 
Basta andare in Arabia e negli altri paesi del Golfo e in tutte le moschee vedi  gli annunci per invitare ad andare a combattere in Siria. Gli imam però non aprono bocca per dire di andare a combattere a Gaza con i palestinesi. 
Questi capi islamici sono interessati al petrodollaro, in fondo sono filo israeliani e filo americani. Dal 2011 hanno mandato decine di migliaia di persone a combattere in Siria ma oggi non aprono bocca su quanto succede a Gaza.

domenica 3 agosto 2014

Libano: entro il 2014, un terzo della popolazione saranno profughi siriani


AsiaNews 

 Decine di migliaia di profughi in fuga dalla guerra fra Damasco e i gruppi ribelli continuano a riversarsi in Libano, aumentando la pressione sul Paese dei Cedri che, entro la fine dell'anno, potrebbe ospitare fino a 1,5 milioni di rifugiati siriani. È quanto denunciano fonti ufficiali delle Nazioni Unite, che lanciano l'allarme per una possibile escalation della tensione in una nazione piccola e già sovraccaricata da un imponente numero di sfollati.
Il dato fornito dall'ONU rappresenta un terzo dell'intera popolazione libanese, stimato sui 4,5 milioni di individui; a differenza di Turchia e Giordania, Beirut non dispone di campi profughi per accogliere gli esuli siriani in fuga dalle violenze. Essi sono radunati in accampamenti informali, vengono ospitati da parenti o prendono in affitto appartamenti.
La portavoce delle Nazioni Unite Stephane Dujarric conferma che oltre un milione di rifugiati siriani sono stati registrati da agenzie Onu in Libano e, ogni mese, vi sono almeno 50mila nuovi arrivi. Un flusso costante che non tiene conto del milione di siriani che erano già presenti nel Paese dei Cedri prima della guerra e che non hanno mai chiesto aiuto alle agenzie internazionali.
Analisti ed esperti di politica locale riferiscono che l'alto numero di rifugiati comporta un innalzamento della pressione sui servizi pubblici e sui costi in generale della spesa. 
Inoltre, si possono verificare tensioni e scontri fra le due comunità: "Sono già visibili focolai di tensione - conferma Ross Mountain, capo della missione Onu in Libano - tra i siriani in arrivo e le comunità libanesi" nelle zone in cui vengono stanziati i profughi. 
Libano: militanti di al-Qaeda rientrati dalla Siria
oggi hanno ucciso dieci soldati libanesi

Ma il timore maggiore, aggiunge, è che si possano unire "altri elementi" che potrebbero sfociare in un conflitto sociale.

La maggioranza dei profughi siriani si riversano nelle aree più povere del Libano, come la Valle della Beqāʿ e Akkar. Vi sono 225 località che contengono l'86% dei rifugiati e il 68% della fascia più povera della popolazione libanese. L'allerta lanciato dalle Nazioni Unite segue il bilancio aggiornato delle vittime del conflitto siriano, fornito dagli attivisti dell'Osservatorio siriano per i diritti umani (Gran Bretagna): in tre anni sono morte più di 160mila persone.
Da tempo il conflitto siriano si è allargato all'intera regione Mediorientale, facendo registrare una situazione allarmante proprio in Libano, che attraversa nell'ultimo periodo un momento di crisi economica, acuito dai riflessi della guerra nel Paese vicino. Gli indicatori mostrano un deciso calo nei settori del commercio, del turismo e degli investimenti esteri, assieme a una crescita consistente della spesa pubblica per il governo di Beirut. Stime della Banca mondiale indicano che nel 2013 la crisi a Damasco è costata almeno 2,5 miliardi di dollari al Libano in perdita di attività economiche; si teme che, entro la fine dell'anno, almeno 170mila libanesi possano cadere nella povertà. "Sostenere il Libano - affermano fonti Onu - non è solo un imperativo morale, ma è un passo necessario per fermare un degrado continuo della pace e della sicurezza in questa società fragile, e in tutta la regione".

http://www.asianews.it/notizie-it/Libano:-entro-il-2014,-un-terzo-della-popolazione-saranno-profughi-siriani-31136.html

mercoledì 30 luglio 2014

"Andarcene dalla nostra terra, la terra di Gesù dove siamo nati, 600 anni prima di Maometto?? No, grazie!"



Quello che l’Occidente continua a non capire della tragedia dei cristiani perseguitati in tutto il Medio Oriente

Il patriarca Sako: «Non dovete incoraggiare i cristiani a lasciare la regione, ma aiutarli a restare qui»


Tempi, 30 luglio 2014

La Francia è pronta ad aiutare i cristiani iracheni, vittime di «persecuzioni» da parte dei jihadisti, che li hanno cacciati dalle loro case di Mosul. In un comunicato congiunto, i ministri Laurent Fabius e Bernard Cazeneuve hanno scritto: «Veniamo in aiuto degli sfollati che fuggono dalle minacce dello Stato islamico e che si sono rifugiati nel Kurdistan. Noi siamo pronti, se vogliono, a favorire la loro accoglienza sul nostro territorio a titolo d’asilo».

I BISOGNI DEI CRISTIANI. La proposta del governo francese è lodevole, avanzata con tutte le migliori intenzioni, ma dimostra come l’Occidente non riesca proprio a comprendere le esigenze dei cristiani del Medio Oriente. Dei loro bisogni si è da sempre fatto interprete il patriarca caldeo Louis Raphaël I Sako, che da anni ormai ripete: «L’Occidente non dovrebbe incoraggiare i cristiani a lasciare la regione. I governi e le Chiese occidentali dovrebbero piuttosto aiutarci finanziando progetti che facilitino i cristiani a restare qui. Ho visitato 40 villaggi nel nord dell’Iraq. La gente non ha chissà quali bisogni, se non medicine, asili, sementi e più posti di lavoro».

EDUCAZIONE, NON INVASIONE ARMATA. Davanti a queste richieste l’Occidente ha sempre fatto orecchie da mercante, di fatto ignorandole. E ora che i terroristi hanno invaso parte del paese, i cristiani chiedono aiuto anche e soprattutto perché venga trovata una soluzione alla crisi e sia garantita la stabilità politica del paese. Non però come in passato, con un’invasione armata: «Gli Usa sono già stati qui – ha detto il patriarca a inizio mese – e hanno commesso molti errori. E ora regna il caos, la confusione, l’anarchia. Non si può importare semplicemente il modello democratico occidentale». Quello che si richiede ora all’Occidente è di fare pressione su «Iran, Qatar, Turchia ed Arabia Saudita» perché smettano di finanziare i terroristi. E non fornire armi a una delle fazioni (i ribelli) che combattono in Iraq e Siria, come proposto più volte dal presidente della Repubblica francese François Hollande.

«CHI SCAPPA PERDE TUTTO». Se dunque la proposta di offrire asilo ai cristiani iracheni in Francia è un segnale di vicinanza e interessamento, non è però quello che desiderano i cristiani: vivere al sicuro non fuori dall’Iraq, ma dentro l’Iraq. Perché, come dichiarato ancora da Sako a tempi.it, «chi scappa perde la sua storia e una volta che si inserisce nella società occidentale smarrisce la lingua, la morale, le tradizioni, la liturgia, tutto: questi cristiani perdono tutto. E poi se qui abbiamo tante difficoltà, il Paradiso non è certo da voi».

CI RIMETTERÀ ANCHE L’OCCIDENTE. E non saranno certo solo i cristiani a rimetterci: «Una storia di cristianesimo che dura da duemila anni in queste terre sarà interrotta – spiega Sako –, finirà e ci rimetterà tutto il Medio Oriente, tutto l’Iraq e anche i musulmani. Loro infatti perderanno la componente della società più aperta, che si occupa della formazione, dell’educazione e aiuta lo sviluppo di un paese riconoscendo dignità alle donne». La prospettiva di un Medio Oriente sempre più radicalizzato e intollerante non fa certo gola all’Occidente, che non può permettersi la scomparsa dei cristiani. Ecco perché deve aiutarli: a restare però, non a fuggire.

http://www.tempi.it/occidente-tragedia-cristiani-perseguitati-iraq-medio-oriente#.U9jh2EYcQ5s


IL PATRIARCA GREGORIOS REPLICA A PARIGI: "I CRISTIANI  NON VOGLIONO LASCIARE L'IRAQ"



I cristiani iracheni "vogliono rimanere nella loro terra". 
Così Gregorio III Laham, patriarca della Chiesa cattolico-melchita, ha risposto al governo francese, che nei giorni si è detto pronto ad accogliere i cristiani messi in fuga dai jihadisti dello Stato islamico dell'Iraq e del Levante.
"Certo abbiamo bisogno di qualcuno che ci riceva - ha detto il patriarca da Damasco, in un'intervista all'emittente Tele Lumiere - ma soprattutto abbiamo bisogno di qualcuno che ci aiuti a rimanere nella nostra terra". 
"Aiutateci a combattere il terrorismo e i gruppi takfiristi - ha proseguito il prelato - a mettere fine a questa corsa alle armi che porta beneficio solo a questi gruppi".
"Questo - ha detto - sarebbe un sforzo importante, meglio che trasformarci in rifugiati o dirci che ci siete vicini e ci aiutate". 
"Vogliamo rimanere nella nostra terra - ha ribadito il patriarca siriano - e vivere al fianco dei nostri fratelli musulmani, nonostante tutti i problemi".
"Tutto quello che l'Europa ha fatto per 50 anni - ha poi denunciato Gregorio III Laham - è stato dividere musulmani e cristiani. Dovreste invece lavorare per l'unità inter-araba, inter-musulmana e anche tra cristiani e musulmani".
Poi, con un messaggio rivolto ai fedeli dell'Iraq, ha affermato: "Non siamo i primi a essere oppressi o a soffrire per questi fatti. Migliaia di martiri sono stati uccisi e il loro sangue ha aiutato a mantenere la presenza dei cristiani e il loro messaggio su questa terra".


Eid al-Fitr:  Gregorio III: "Cristiani e musulmani, noi siamo i migliori garanti gli uni degli altri"

Nel suo messaggio per la fine del Ramadan il patriarca greco-melchita cattolico di Antiochia ricorda che cristiani e musulmani hanno costruito insieme la civiltà araba e "scongiura" i "nostri fratelli arabi a unirsi per salvare l'islam" dalle correnti estremiste che lo stanno invadendo. "Dobbiamo, possiamo e vogliamo restare insieme, musulmani e cristiani per costruire insieme un mondo migliore per le nostre generazioni future e il nostro avvenire comune".


Damasco (AsiaNews)

"Cristiani e musulmani, noi siamo i migliori garanti gli uni degli altri".
Lo scrive Gregorio III Laham, patriarca greco-melchita cattolico di Antiochia e di tutto l'Oriente in un messaggio "ai nostri amati fratelli musulmani dei Paesi arabi e del mondo" in occasione della festa di Eid al-Fitr, che conclude il Ramadan.


"Questa festa - si legge nel documento - giunge in circostanze particolarmente difficili e drammatiche nel mondo e in modo particolare nei nostri Paesi arabi, mentre l'amata Siria e l'Iraq soffrono, la Palestina e Gaza ferite, senza parlare di Marocco, Egitto, Yemen e i Paesi del Golfo. Ovunque cola sangue, la desolazione cresce; i luoghi di culto, le moschee come le chiese, sono distrutti; i sacri diritti dell'uomo sono violati e la sua dignità, la sua libertà, il suo onore sono calpestati, minacciando tutte le conquiste umane, artistiche e tecniche, morali e religiose della nostra cultura".

"Questa civiltà araba, cristiani e musulmani l'abbiamo forgiata insieme e abbiamo vissuto nel reciproco rispetto. Superando anche "le nuvole di crisi" che a volte ci sono state, "abbiamo continuato insieme il cammino della vita; vivendo insieme, costruendo insieme e crescendo insieme". "E' in piena amicizia e lealtà che presentiamo i nostri auguri ai nostri fratelli musulmani. Piangendo le vittime innocenti, cristiani e musulmani, donne e uomini, vecchi e giovani che muoiono ogni giorno, bagnando col loro sangue strade, case e luoghi di culto della nostre città e dei nostri villaggi. Mescolano il loro sangue, abbracciati nella morte comune, come lo sono stati nella loro storia, la loro civiltà, la loro cultura".

Gregorio III, quindi "scongiura" i "nostri fratelli arabi a unirsi per salvare l'islam e i musulmani dai nemici, interni ed esterni, che incombono nel mondo arabo, nel mondo musulmano e altrove".
"Noi, cristiani arabi, siamo i più sinceri difensori dell'islam, perché sappiamo che nella buona come nella cattiva sorte, siamo insieme, conservando insieme la nostra eredità e la nostra storia comuni. Perché cristiani e musulmani noi siamo i migliori garanti gli uni degli altri. Facciamo appello alla coscienza del mondo arabo ed europeo e alla comunità internazionale perché ci leviamo insieme, come un sol uomo, di fronte alle correnti takfiriste che invadono i nostri Paesi arabi, sfigurando l'islam spingono i cristiani all'esodo, minacciandoli di morte, umiliandoli, massacrandoli, privando così il mondo arabo dei cuoi cristiani e impoverendo il mondo musulmano".
Il patriarca conclude ripetendo i termini di una promessa comune islamo-cristiana :

"Noi dobbiamo restare insieme, musulmani e cristiani per costruire insieme un mondo migliore per le nostre generazioni future e il nostro avvenire comune.
Noi possiamo restare insieme, musulmani e cristiani per costruire insieme un mondo migliore per le nostre generazioni future e il nostro avvenire comune.
Noi vogliamo restare insieme, musulmani e cristiani per costruire insieme un mondo migliore per le nostre generazioni future e il nostro avvenire comune".

http://www.asianews.it/notizie-it/Gregorio-III:-Cristiani-e-musulmani,-noi-siamo-i-migliori-garanti-gli-uni-degli-altri-31765.html

Attivista assiro denuncia: "I cristiani siriani sono in fuga per paura di un'avanzata dell'Isil"

I cristiani di al-Hasakeh, nel nord-est della Siria, "sono in fuga poiché temono la minaccia degli estremisti islamici". E' questa la testimonianza di Jamil Diarbakerli, presidente dell'Organizzazione assira democratica in Siria, che ha sede a Istanbul, in Turchia. 
In un'intervista ad Aki-Adnkronos International, Diarbakerli spiega che "l'incubo di quanto accaduto a Mosul", dove i miliziani dello Stato islamico in Iraq e nel Levante (Isil) hanno annunciato il 'califfato', "incombe sulla popolazione cristiana di al-Hasakeh".
"I cristiani se ne sono andati in massa lasciando le loro case e le loro terre, che furono il nucleo centrale da cui si sviluppò la città di al-Hasakeh", denuncia l'attivista, che critica "il silenzio internazionale e arabo" rispetto al proliferare dei gruppi estremisti nella regione.
Diarbakerli ricorda i recenti "tentativi da parte dell'Isil di prendere il controllo della città, che è un modello di convivenza tra le sue varie componenti" e condanna "i crimini commessi a Mosul" dai suoi miliziani. 
Domenica l'Isil ha preso il controllo di una posizione dell'esercito regolare siriano nella città di al-Hasakeh.
L'attivista ha quindi lanciato un appello "alla comunità internazionale e a tutti i Paesi del mondo, chiedendo che si assumano le loro responsabilità umane, giuridiche, storiche e morali in questo difficile momento per i popoli della regione e per quello cristiano in particolare, che fa fronte agli atti criminali dell'Isil e degli altri gruppi estremisti". 
"Chi tace o distoglie lo sguardo da questi crimini - conclude - ne è complice e responsabile".

http://www.adnkronos.com/aki-it/sicurezza/2014/07/30/attivista-assiro-denuncia-cristiani-siriani-sono-fuga-per-paura-avanzata-dell-isil_ArUSGyYzH77liDNGygUhnM.html

Irak : l’Orient a besoin de ses chrétiens !

domenica 27 luglio 2014

Cristiani d'Oriente: l'Occidente ha sangue sulle mani , di Padre Henri Boulad sj


Intervento a Capitol Hill, Washington, il 26 giu 2014, 
di Padre Henri Boulad, SJ, 
Direttore del Jesuit Centre Culturel Alexandria (Egitto) 











Sì, l'Occidente ha sangue sulle sue mani, il sangue di milioni di esseri umani, perché ha tradito i suoi valori e calpestato i suoi principi, per grossolani  interessi materiali, politici, economici ...

 20 anni fa, scrissi un articolo intitolato: "Europa, attenzione a non perdere la tua  anima".  Oggi, è quasi fatta. L'Occidente ha perso la sua anima, quella che gli ha permesso di essere il veicolo di cultura, di civiltà, di umanesimo, di valori spirituali.

Ciò che ha reso l'Occidente il faro del mondo, che ha prodotto l'Umanesimo rinascimentale e la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani sta lentamente morendo sotto i nostri occhi. Ciò che ha generato i Michelangelo, Pascal, Einstein, Beethoven, George Washington, Abraham Lincoln e molti altri geni dell'arte, della cultura, della civiltà si sta estinguendo.

L'Occidente ha tradito, si è venduto per denaro sporco, petrolio, gas, dollari, euro ...

Il mio maestro, Gesù, disse una volta: "Che giova all'uomo guadagnare il mondo intero se perde la sua anima!"

L'Occidente ha perso la sua anima. L’ha venduta  al diavolo, sacrificata a questi Mammona chiamati: il denaro, il potere, la potenza, l'avidità ...

Quando una civiltà perde la sua anima, le rimane solamente da sparire, da spegnersi, da sgretolarsi. E questo è ciò che sta accadendo sotto i nostri occhi. Recentemente un francese mi disse tristemente: "La Francia è moribonda, la Francia è morta."

Se l'Occidente non riprende se stesso, se non ritrova i suoi valori fondanti, umanistici, morali, spirituali ... è spacciato.

L'Occidente crollerà come sono crollati i grandi imperi del passato. Tradendo i suoi valori, l'Occidente si condanna a morte. Ciò non è ancora evidente, ma il verme è nel frutto. L'interno è in uno stato di lenta decomposizione.

Un giorno, questo magnifico edificio della civiltà occidentale crollerà da sé ...

Quando l’ESSERE UMANO  non è più al centro di una civiltà, questa civiltà, per quanto prospera sembri, è destinata a scomparire a più o meno breve scadenza.

Oggi, l'essere umano non ha più alcun valore. Cento morti, un migliaio di morti, diecimila morti ... poco importa. L’essenziale è la conquista di un territorio, l'accesso ad un giacimento di gas o di petrolio.


Centomila morti, come la Siria di oggi; un milione di morti, come in Iraq ieri; due milioni di morti, come nel Sudan prima di ieri ... Tutto questo non conta.

L'Occidente ha il sangue sulle  mani ... e, invece di riprendersi, di tornare alla ragione, esaminare la sua coscienza,  persegue la sua politica omicida e suicida .

Gli occorre ad ogni costo il Medio Oriente, questa regione maledetta, dove scorre l'oro nero. Contano solo i suoi interessi geo-politici e strategici.

Ma dov'è L’UOMO in tutto ciò? Conta così poco, così poco!

Il compito più urgente oggi è quello di riscoprire il significato dell’UOMO, per ricollocarlo   al suo posto al centro della nostra visione del mondo, del ripensare le nostre politiche, le nostre economie, le nostre strategie in funzione dell’ essere umano .

All'indomani della Seconda Guerra Mondiale, contando i suoi 80 milioni di morti, l'Europa era stordita. Allora si è chiesta che cosa era successo, quale demone l’ aveva posseduta, quale follia omicida si era impadronita di lei. La Germania ha quindi  intrapreso il consociarsi del Riarmo morale per sradicare il male alla sua base. Piuttosto che piangere  lacrime di coccodrillo su questo macello, su questa tragedia, la Germania si rese conto che era nella guarigione morale, in un soprassalto spirituale, in un supplemento d'anima, la soluzione.

Questo è esattamente quello di cui abbiamo bisogno oggi. L'Occidente saprà ritrovare le sue radici umaniste e spirituali? Riuscirà a rimettersi in discussione? Saprà fare la sua rivoluzione, come quella dell'Egitto, che ha aperto una strada?

Quando un popolo si sente ingannato dai suoi dirigenti, truffato da coloro che ha eletto "democraticamente", questi eletti perdono ogni legittimità e meritano di essere destituiti  e condannati per tradimento.

E’ tempo di uscire dalla nostra apatia, di mobilitare l'opposizione, di scendere in piazza a migliaia e milioni, di urlare la nostra rabbia, che la nostra indignazione scoppi.

E' tempo di smascherare l'ipocrisia dei media e di coloro che li manipolano - mafie, giganti finanziari e politici corrotti – per fare luce, gridare la verità, stabilire il diritto e la giustizia.

Il nostro mondo va male, il nostro mondo è malato, morente! Cerchiamo di svegliarci. Siamo agli sgoccioli!

Henri Boulad, sj
  
Direttore del Centro Culturale gesuita di Alessandria, Egitto

( traduzione FMG)

http://www.lalibre.be/debats/opinions/chretiens-d-orient-l-occident-a-du-sang-sur-les-mains-53d24e0c3570667a638da463#comments


Chi è il mostro? 

 

 Syriac Patriarch Ignace Joseph III Younan:

read:    http://www.catholicnews.com/data/stories/cns/1403099.htm

venerdì 25 luglio 2014

Davanti a così tante atrocità non si può restare passivi


BAGHDAD, 25 luglio

 Dal 28 luglio all’1 agosto una delegazione in rappresentanza della Chiesa cattolica in Francia composta dal cardinale Philippe Barbarin, arcivescovo di Lione, da monsignor Michel Dubost vescovo di Evry-Corbeil-Essonnes e da monsignor Pascal Gollnisch si recherà in Iraq ospiti del patriarca di Babilonia dei Caldei, monsignor Louis Raphaël Sako I, per constatare di persona la drammatica situazione delle minoranze cristiane ed esprimere loro solidarietà e vicinanza. I cristiani di Mosul — si legge in un comunicato della Conferenza episcopale francese a firma del portavoce, monsignor Bernard Podvin — sono «nella loro terra, nella culla del cristianesimo. 

Sono i nostri fratelli maggiori nella fede. Come si può sottometterli al terrore e al ricatto al solo scopo di farli fuggire? “Eccoli spogliati di tutto”, ha detto indignato il Papa. 

I cattolici in Francia non possono rimanere passivi. La comunità internazionale deve preservare con urgenza la pace e la sicurezza di queste popolazioni che le autorità locali non sono in grado di proteggere. Non dimentichiamoci i cristiani dell’Iraq! 
Come ha detto l’arcivescovo di Marsiglia, monsignor Georges Pontier, “loro sono lì da sempre, nei luoghi molto importanti della storia biblica e della cristianità. La loro emigrazione è drammatica. Abbiamo nei loro confronti un dovere di preghiera e solidarietà”».
 La delegazione, che si recherà in Iraq, ha come obiettivo quello di spiegare all’opinione pubblica che la lotta contro l’indifferenza deve essere permanente. Per questo pregherà a fianco delle comunità minacciate. I presuli saranno accompagnati da alcuni giornalisti per far sì che l’opinione pubblica prenda coscienza di quello che sta avvenendo. 
«Preghiamo — prosegue il comunicato — affinché questa delegazione porti un po’ di conforto e luce ai nostri fratelli in Oriente». In Francia, nei prossimi giorni, incoraggiati dai vescovi locali, si svolgeranno in tutte le diocesi incontri di preghiera e giornate di digiuno. Saranno inoltre promosse raccolte di fondi da destinare alle popolazioni irachene. 
Intanto, monsignor Basile Georges Casmoussa, arcivescovo emerito di Mossul dei Siri, nel definire il comportamento dello Stato islamico (Is) una «una persecuzione diretta ed esplicita» ha invocato l’aiuto della comunità internazionale, dell’Onu, degli Stati arabo-musulmani, del Congresso islamico mondiale, «affinché agiscano per evitare una vera minaccia per la civiltà umana e perché assumano le loro responsabilità riguardo alle minoranze religiose ed etniche in Iraq, con riferimento in modo particolare ai cristiani che sono minacciati di sterminio o destinati ad andarsene». 
Secondo il presule questa operazione brutale e violenta dei jihadisti islamici è fonte di inquietudini crescenti, ma stenta a essere condannata e sanzionata dalla comunità internazionale o dai movimenti musulmani moderati.
© Osservatore Romano - 26 luglio 2014

http://www.orientecristiano.it/notizie/medio-oriente/davanti-a-cosi-tante-atrocita-non-si-puo-restare-passivi.html



Patriarca di Baghdad: Il cuore "sanguina" per gli innocenti in lraq, Siria e Gaza. Ed è "triste" per la timidezza del mondo civilizzato

Mar Louis Sako invia un messaggio al card. Barbarin, in occasione della marcia di solidarietà con i cristiani dell'Iraq, che si tiene oggi a Lione. "Non ci dimenticate!".


A Sua Eminenza il card. Philippe Barbarin Arcivescovo di Lione  
Eminenza, caro Padre, 
pensando oggi alla situazione in Iraq, Siria e Gaza-Palestina, il mio cuore sanguina per gli innocenti che muoiono o che sono scacciati dalle loro case; e sono triste per la timidezza del mondo civilizzato verso di noi. 
Caro Padre, il vostro coraggio, la preghiera e la prossimità di coloro che sono attorno a voi in questa marcia di solidarietà, mantiene in noi la fiducia e la forza di sperare. 
Il cristianesimo d'Oriente non deve scomparire. La sua sparizione è un peccato mortale e una grande perdita per la Chiesa e l'umanità intera. Esso deve sopravvivere o meglio vivere in libertà e dignità. 
In questa tormenta, vogliate accettare voi e coloro che sono con voi l'espressione di tutta la mia gratitudine. 
Non ci dimenticate!  
Louis Raphael Sako Patriarca di Babilonia dei Caldei 
Baghdad, 24 luglio 2014

http://www.asianews.it/notizie-it/Patriarca-di-Baghdad:-Il-cuore-sanguina-per-gli-innocenti-in-lraq,-Siria-e-Gaza.-Ed-%C3%A8-triste-per-la-timidezza-del-mondo-civilizzato-31732.html

La voce della ragione sommersa dal fragore delle armi



Traduzione italiana dell’intervento pronunciato il 23 luglio dall’arcivescovo Silvano M. Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio delle Nazioni Unite e Istituzioni specializzate a Ginevra, durante la 21ª sessione speciale del Consiglio per i Diritti umani dedicata alla situazione dei diritti umani nel territori occupati palestinesi, compresa Gerusalemme est.

Signor Presidente,
mentre continua a crescere il numero di persone uccise, ferite, sradicate dalle proprie case nel conflitto tra Israele e alcuni gruppi palestinesi, particolarmente nella Striscia di Gaza, la voce della ragione sembra venire sommersa dal fragore delle armi.
La violenza non porterà a nulla, né ora né in futuro. Le ingiustizie perpetrate e la violazione dei diritti umani, in special modo il diritto alla vita e a vivere in pace e sicurezza, gettano nuovi semi di odio e risentimento. Si sta consolidando una cultura della violenza, i cui frutti sono la distruzione e la morte. A lungo andare, non potranno esserci vincitori nell’attuale tragedia, soltanto ulteriori sofferenze. La maggior parte delle vittime è costituita da civili che, per la legge umanitaria internazionale, dovrebbero essere protetti. 
Le Nazioni Unite stimano che circa il settanta per cento dei palestinesi uccisi è costituito da civili innocenti. Ciò è intollerabile quanto i missili lanciati indiscriminatamente contro bersagli civili in Israele. Le coscienze sono paralizzate da un clima di prolungata violenza che cerca di imporre una soluzione attraverso l’annientamento dell’altro. 
Demonizzare gli altri, però, non elimina i loro diritti. Al contrario, la via verso il futuro risiede nel riconoscere la nostra umanità comune. 
Durante il suo pellegrinaggio in Terra Santa, Papa Francesco ha chiesto che si ponga fine alla presente, inaccettabile, situazione del conflitto israelo-palestinese (Discorso di Papa Francesco a Betlemme, 25 maggio 2014). «Per il bene di tutti», ha affermato, «si raddoppino dunque gli sforzi e le iniziative volte a creare le condizioni di una pace stabile, basata sulla giustizia, sul riconoscimento dei diritti di ciascuno e sulla reciproca sicurezza. È giunto il momento per tutti di avere il coraggio della generosità e della creatività al servizio del bene, il coraggio della pace, che poggia sul riconoscimento da parte di tutti del diritto di due Stati a esistere e a godere di pace e sicurezza entro confini internazionalmente riconosciuti» (Ibid).
 La legittima aspirazione alla sicurezza, da una parte, e a condizioni di vita decenti, dall’altra, con libero accesso a mezzi di sussistenza quali medicinali, acqua e lavoro, per esempio, riflette un diritto umano fondamentale, senza il quale è molto difficile conservare la pace.
 Il peggioramento della situazione a Gaza ci ricorda di continuo quanto sia necessario arrivare a un cessate il fuoco immediato e dare inizio a negoziati per una pace duratura. «La pace porterà con sé innumerevoli benefici per i popoli di questa regione e per il mondo intero», ha aggiunto Papa Francesco. «Occorre dunque incamminarsi risolutamente verso di essa, anche rinunciando ognuno a qualche cosa».
 Spetta alla comunità internazionale intraprendere con zelo la ricerca della pace e aiutare le parti di questo orribile conflitto a raggiungere un accordo al fine di porre fine alla violenza e di guardare al futuro con reciproca fiducia. 

Signor Presidente, la Delegazione della Santa Sede reitera il suo punto di vista che la violenza non paga mai. La violenza porterà soltanto altre sofferenze, devastazione e morte, e impedirà che la pace divenga realtà. La strategia di violenza può essere contagiosa e diventare incontrollabile. 
Per combattere la violenza e le sue conseguenze dannose dobbiamo evitare di abituarci alle uccisioni. In un momento in cui la brutalità è pratica comune e le violazioni dei diritti umani sono onnipresenti, non dobbiamo diventare indifferenti ma reagire in modo concreto per ridurre il conflitto che riguarda tutti noi. I media dovrebbero riportare in maniera giusta e priva di pregiudizi la tragedia di tutti coloro che soffrono a causa del conflitto, al fine di facilitare lo sviluppo di un dialogo imparziale che riconosca i diritti di tutti, rispetti le giuste preoccupazioni della comunità internazionale e tragga beneficio dalla solidarietà della comunità internazionale nel sostenere uno sforzo serio per ottenere la pace. 
Con un occhio al futuro, il circolo vizioso di ritorsioni e rappresaglie deve cessare. Con la violenza, uomini e donne continueranno a vivere da avversari o da nemici, ma con la pace potranno vivere da fratelli e sorelle (Papa Francesco, Giardini Vaticani, 8 giugno 2014).

© Osservatore Romano - 25 luglio 2014