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lunedì 30 giugno 2014

L’Isis crocifigge i nemici e proclama il “Califfato” nei territori conquistati di Siria e Iraq. Scomparse due suore da Mosul

Raqqa: veicoli militari, carri armati e missili Scud sono giunti dall'Iraq per gli islamisti

Asia News, 30 giugno '14

Sfruttare la croce, un simbolo cristiano, per terrorizzare membri interni e nemici; dichiarare la nascita del Califfato, per affermare il controllo sui territori di Siria e Iraq finora conquistati, legittimando le mire volte alla creazione di un nuovo "Stato islamico". Sono queste le ultime, terribili notizie che provengono dalle aree di guerra del Medio oriente e che confermano la strategia del terrore adottata dai miliziani. Nel fine settimana lo Stato islamico dell'Iraq e del Levante (Isis, formazione sunnita jihadista legata ad al Qaeda) ha proclamato la nascita del califfato nei territori occupati in Siria e in Iraq. Il leader del movimento islamista, Abu Bakr al-Baghdad, intende assumere la carica di "califfo" e "capo dei musulmani di tutto il mondo". L'annuncio è stato preceduto dalla crocifissione di nove persone nel centro di Deir Hafer, un villaggio ad est di Aleppo, nei territori siriani sotto il controllo dell'Isis. Tra le vittime otto ribelli "responsabili" di combattere con organizzazioni rivali e un ex militante, incriminato per estorsione ai danni dei civili. 

Il movimento jihadista internazionale persegue il progetto di dar vita a un "Califfato", in cui vige una applicazione rigida della Sharia. La nuova realtà territoriale stravolgerebbe i confini fissati da Gran Bretagna e Francia nel XXmo secolo, all'indomani della caduta dell'impero ottomano; essa si estenderebbe da Aleppo, nel nord della Siria, fino alla provincia di Diyala nell'Iraq orientale. Abu Bakr al-Baghdad assumerebbe la guida suprema del nuovo Stato, col soprannome di "Califfo Ibrahim", mettendo al bando "la democrazia e altre spazzature simili provenienti dall'Occidente". 


In risposta, l'esercito di Baghdad ha lanciato un'offensiva per riprendere il controllo di Tikrit, nel nord, dall'11 giugno nelle mani degli islamisti. La Russia ha inviato il primo lotto di aerei da caccia, che Mosca ha fornito al governo di Baghdad per contribuire alla lotta contro i miliziani. Nella crisi irakena è intervenuto anche il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu, il quale auspica la nascita di uno Stato curdo indipendente, in risposta all'avanzata degli estremisti nel resto del Paese. Un avallo diretto alle rivendicazioni del leader curdo Massoud Barzani che, la scorsa settimana, aveva dichiarato che "è tempo per il Kurdistan di determinare il proprio futuro". 

In un contesto di guerra, divisioni sempre più marcate e violenze sanguinarie, la Chiesa caldea irakena ha celebrato il Sinodo dal 24 al 28 giugno scorso a Erbil, nel nord; in un primo momento l'incontro dei vescovi avrebbe dovuto svolgersi a Baghdad, ma si è optato per una zona più sicura e al riparo - sinora - dai raid degli islamisti. Al termine i prelati hanno diffuso un comunicato ufficiale, in cui si appellano ai governanti perché in questo "tragico" contesto sappiano preservarne "l'unità nazionale" e "tutte le componenti". Essi indicano nel "dialogo" l'unico mezzo per portare il Paese fuori dal "lungo tunnel" e scongiurare guerra civile o divisioni interne.
Dai vescovi viene rivolto un pensiero alle migliaia di famiglie - cristiane e non - sfollate da città e villaggi, le cui condizioni "sono gravi". Da ultimo, la richiesta di dar vita a un governo di unità nazionale che persegua gli obiettivi di stabilità, sicurezza e sappia fornire i servizi di base in questo periodo sensibile, che coincide con il Ramadan, il mese sacro di digiuno e preghiera musulmano. 

Alla comunità internazionale viene rivolto l'invito ad aiutare l'Iraq a trovare una "soluzione politica" alla crisi per scongiurare il pericolo di distruzione della nazione; infine, l'appello a Dio perché "salvi l'Iraq e gli irakeni". 

http://www.asianews.it/notizie-it/L%E2%80%99Isis-crocifigge-i-nemici-e-proclama-il-%E2%80%9CCaliffato%E2%80%9D-nei-territori-conquistati-di-Siria-e-Iraq-31496.html


Due suore e tre giovani caldei fermati a Mosul dai jihadisti dell'ISIL

Agenzia Fides 30/6/2014

Dalla giornata di sabato 28 giugno si sono persi i contatti con suor Atur e suor Miskinta, due religiose caldee della Congregazione delle Figlie di Maria Immacolata, che erano rientrate in auto a Mosul dalla città di Dohuk in compagnia di due ragazze e di un ragazzo cristiani. I cinque componenti dell'equipaggio risultano irraggiungibili al cellulare. Secondo quanto riferito all'Agenzia Fides da fonti del Patriarcato caldeo, le due suore e i tre ragazzi sono stati fermati da miliziani dello Stato Islamico dell'Iraq e del Levante (ISIL) che per ora confermano le loro buone condizioni e affermano di tenerli in stato di fermo per garantire la loro “sicurezza”. Le autorità ecclesiastiche sono in contatto permanente con i capi religiosi della comunità sunnita di Mosul per tenere sotto controllo la situazione e fare in modo che i fermati tornino al più presto a godere della piena libertà di movimento.
Le due suore curano e gestiscono una casa-famiglia per orfane di Mosul, nei pressi dell'arcivescovato caldeo. Davanti all'offensiva islamista iniziata lo scorso 9 giugno, le suore e tutti gli ospiti della casa-famiglia avevano lasciato Mosul trovando rifugio nella città di Dohuk, nel Kurdistan iracheno. Da lì suor Atur aveva già effettuato rapide sortite a Mosul per verificare le condizioni della casa e recuperare oggetti e strumenti di lavoro e di studio per le ragazze, costrette ad abbandonare le proprie dimore. “In tutti questi anni tremendi per il nostro Paese” riferisce a Fides suor Luigina Sako, Superiora delle Suore Caldee, con voce rotta dal pianto “suor Atur e suor Miskinta hanno fatto un grande lavoro, senza mai abbandonare Mosul e consentendo alle ragazze di studiare. Siamo in angoscia per loro, soprattutto per le ragazze”.
Fonti locali contattate da Fides confermano che la situazione rimane critica soprattutto a Mosul, per buona parte controllata dagli insorti sunniti guidati dai miliziani dell'ISIL che hanno istallato una propria base anche nella sede dell'arcivescovato caldeo. 
I villaggi della Piana di Ninive, come Qaraqosh e Kramles, registrano il rientro di una parte della popolazione fuggita nei giorni scorsi. Tuttavia manca l'acqua e l'elettricità e sono saltati tutti i servizi gestiti dagli enti pubblici, come i trasporti e la raccolta di rifiuti.



Iraq. Per la prima volta, dopo 1.600 anni, nelle chiese di Mosul non è stata celebrata la Messa



TEMPI, 30 giugno '14

Per la prima volta dopo 1.600 anni nelle chiese di Mosul domenica 15 giugno, e le due successive, non è stata celebrata la Messa. La seconda città più grande dell’Iraq è stata conquistata dall’esercito dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isil), che ha imposto la sharia e costituito un califfato islamico.
POCHE DECINE DI FAMIGLIE. Come dichiarato dall’arcivescovo cattolico caldeo Bashar Warda, nella città non è stato possibile celebrare funzioni visto che la maggior parte della popolazione cristiana è fuggita. Se nel 2003 c’erano circa 35 mila cristiani a Mosul, negli anni il numero è diminuito drasticamente fino a tremila. Ora, dopo la conquista da parte dell’Isil, sono rimaste poche decine di famiglie, che non sono riuscite a scappare.

TRIBUTO UMILIANTE. Secondo quanto dichiarato dall’Alto commissario per i diritti umani in Iraq Sallama Al Khafaji, i cristiani sono costretti ora a pagare il tributo umiliante ai jihadisti per mantenere la loro fede. La somma varia a seconda della professione dei cristiani ma dovrebbe essere di almeno 250 dollari. L’Alto commissario ha anche citato un episodio: i terroristi sarebbero entrati nella casa di un cristiano, chiedendo il pagamento. Non avendo lui il denaro sufficiente, tre jihadisti avrebbe stuprato la moglie e la figlia. Per il trauma, l’uomo si sarebbe poi suicidato.
Inoltre, secondo quanto riportato da Ankawa.com, due suore, due donne e un uomo sarebbero stati rapiti dall’orfanotrofio Meskinta di Mosul sabato scorso nel quartiere di Khazrag, nei pressi dell’arcivescovado caldeo, ora diventato la sede locale dell’Isil. Per il momento non si sa dove queste persone siano state portate.

«ABBIAMO SOLO LE PREGHIERE». Molti cristiani intanto sono tornati a Qaraqosh, la città nella piana di Ninive a soli 45 chilometri da Mosul abitata da circa 50 mila cristiani. Almeno 40 mila di questi sono fuggiti settimana scorsa dopo che l’Isil ha bombardato la città. I soldati curdi hanno però respinto l’offensiva e ora molti cristiani sono tornati in città. «Non ce ne andremo da qui», dichiarano alcuni di loro alla Bbc. «È difficile essere cristiani oggi in Iraq ma questa è casa nostra».
All’emittente inglese l’arcivescovo di Erbil, Warda, ha dichiarato: «Non possiamo fare niente per farli restare. Non possiamo garantire la loro sicurezza, non abbiamo niente, solo le nostre preghiere. Se la volontà [di chi combatte] è dividere il paese in tre regioni, fatelo, ma senza tutta questa violenza».

http://www.tempi.it/iraq-per-la-prima-volta-dopo-1-600-anni-nelle-chiese-di-mosul-non-e-stata-celebrata-la-messa#.U7FZO0aKDwp




UN INVITO AD AGIRE 

"C'è una pulizia etnico-religiosa sistematica in atto in alcune parti del mondo islamico. Abbiamo informazioni e abbiamo fatti. Siamo in continuo contatto con le vittime di questa persecuzione. Siamo anche in contatto con gli autori, leader di gruppi come ISIS e di altri gruppi, che veramente credono che la sharia applicata è il futuro di questo mondo - inclusi i paesi europei."

venerdì 27 giugno 2014

Il genocidio dei Cristiani d'Oriente... che ci lascia indifferenti



Appello dell'Arcivescovo siro cattolico Moshe alla comunità internazionale: Salvateci!


Agenzia Fides 27/6/2014

Qaraqosh è quasi una città fantasma. Più del novanta per cento degli oltre 40mila abitanti, quasi tutti cristiani appartenenti alla Chiesa siro-cattolica, sono fuggiti negli ultimi due giorni davanti all'offensiva degli insorti sunniti guidati dai jihadisti dello Stato islamico dell'Iraq e del Levante (ISIL), che sottopongono l'area urbana al lancio di missili e granate. Tra i pochi rimasti in città ci sono l'Arcivescovo di Mosul dei Siri, Yohanna Petros Moshe, alcuni sacerdoti e alcuni giovani della sua Chiesa, che hanno deciso di non fuggire. Nel centro abitato, nelle ultime due giornate, sono arrivate armi e nuovi contingenti a rafforzare le milizie curde dei Peshmerga che oppongono resistenza all'avanzata degli insorti sunniti. L'impressione è che si stia preparando il terreno per lo scontro frontale. 

Nella giornata di ieri, l'Arcivescovo Moshe ha tentato una mediazione tra le forze contrapposte con l'intento di preservare la città di Qaraqosh dalla distruzione. Per il momento, il tentativo non ha avuto esito. Gli insorti sunniti chiedono alle milizie curde di ritirarsi. I Peshmerga curdi non hanno alcuna intenzione di consentire agli insorti di avvicinarsi ai confini del Kurdistan iracheno.
In questa situazione drammatica, da Qaraqosh l'Arcivescovo Moshe attraverso l'Agenzia Fides vuole lanciare un pressante appello umanitario a tutta la comunità internazionale:

“Davanti al dramma vissuto dal nostro popolo mi rivolgo alle coscienze dei leader politici di tutto il mondo, agli organismi internazionali e a tutti gli uomini di buona volontà: occorre intervenire subito per porre un argine al precipitare della situazione, operando non solo sul piano del soccorso umanitario, ma anche su quello politico e diplomatico. Ogni ora, ogni giorno perduto, rischia di rendere tutto irrecuperabile. Non si possono lasciar passare giorni e settimane intere nella passività. L'immobilismo diventa complicità con il crimine e la sopraffazione. Il mondo non può chiudere gli occhi davanti al dramma di un popolo intero fuggito dalle proprie case in poche ore, portando con sé solo i vestiti che aveva addosso”. 

L'Arcivescovo siro cattolico di Mosul delinea con poche vibranti parole la condizione particolare vissuta dai cristiani nel riesplodere dei conflitti settari che stanno mettendo a rischio la sopravvivenza stessa dell'Iraq: 

“ Qaraqosh e le altre città della Piana di Ninive sono state per lungo tempo luoghi di pace e di convivenza. Noi cristiani siamo disarmati, e in quanto cristiani non abbiamo alimentato nessun conflitto e nessun problema con i sunniti, gli sciiti, i curdi e con le altre realtà che formano la Nazione irachena. Vogliamo solo vivere in pace, collaborando con tutti e rispettando tutti”. 

Il sacerdote siro cattolico Nizar Semaan, collaboratore dell'Arcivescovo Moshe, spiega a Fides che

 “l'appello è rivolto anche a quei governi occidentali ed europei che spesso parlano dei diritti umani in maniera intermittente e interessata, sprofondando poi in un mutismo di comodo quando le loro operazioni e le loro analisi dei problemi del Medio Oriente si rivelano miopi e fallimentari. Per essere chiari, l'Arcivescovo non chiede di risolvere la situazione mandando altre armi in Medio Oriente. Sono stati anche gli interventi armati occidentali a scatenare il caos pieno di sangue e violenza che fa soffrire i nostri popoli stremati”.
http://www.fides.org/it/news/55489-ASIA_IRAQ_Appello_dell_Arcivescovo_siro_cattolico_Moshe_alla_comunita_internazionale_Salvateci#.U61kNkaKDwp

Salvare Qaraqosh


Asia News , 27/06/2014

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Ora, insieme con i rappresentanti di diverse Chiese d'Oriente, mons. Mouchi   lancia un appello al mondo intero per salvare la città e ciò che essa ha di più prezioso: la sua diversità religiosa, culturale ed etnica.
Si tratta di mettere il mondo libero di fronte alle sue responsabilità, impedendogli di chiudere gli occhi sulle violenze che attualmente squarciano l'Iraq e su ciò che, afferma Khalaf, accade o rischia di accadere, sotto la copertura di lotte per il potere.
Nell'ambito di tale mobilitazione, il Vaticano è chiamato in causa attraverso gli ambasciatori occidentali a Beirut. Tutti sono convinti che il gioco supera il destino di alcune migliaia di cristiani e che punta al futuro della regione. Come dice Khalaf, "Qaraqosh è un po' ognuno di noi. Lasciarla morire è firmare la condanna a morte di tutti noi".

http://www.asianews.it/notizie-it/Salvare-Qaraqosh,-città-cristiana-contesa-da-Isis-e-curdi-31473.html




L'appel du Cardinal Barbarin pour les chrétiens d'Irak

à lire sur: http://www.aed-france.org/actualite/cardinal-barbarin-les-mots-semblent-impuissants-devant-la-tragedie-des-chretiens-dorient/




Qaraqosh : Témoignage d’un jeune chrétien resté sur place

mercoledì 25 giugno 2014

Mi è stato chiesto di raccontare la nostra vita di preghiera quotidiana... nella miseria che i guerrafondai purtroppo non smettono di alimentare.


Cronaca da Mar Yakub 


 di Padre Daniel  

venerdì 13 giugno 2014




Una vita normale in una situazione a-normale

Come si trascorre una giornata, nella nostra piccola comunità in un paese in guerra? La giornata comincia ufficialmente con un’ora di preghiera silenziosa in chiesa, anche se qualcuno si è già svegliato prima. Dopo la preghiera silenziosa, ognuno comincia il suo lavoro: preparare il pasto, dipingere icone, mettere a posto le stanze, elaborare erbe o frutti, lavorare nell’orto, togliere le erbacce, dare acqua .ecc. Nella mattinata i frati si dedicano in principio allo studio, cominciando con un’ora e mezza di teologia, spiritualità, storia della chiesa, diritto ecclesiastico dell’oriente ed occidente, documenti della chiesa o qualche cosa di simile e poi c’è la lettura quotidiana della Bibbia ed anche lo studio della lingua araba, con la quale ci sono già stati dei progressi. Il sabato è dedicato alle pulizie generali quasi dappertutto. La mancanza di corrente elettrica disturba ogni ordine del giorno. Se dopo la preghiera del mattino c’è ancora energia elettrica, vengono svolti lavori che necessitano di corrente.
Alla dodici e mezza suona la grande campana per l’ Eucarestia secondo il rito latino in francese con canti in arabo. Un frate legge la prima lettera in arabo. Personalmente sono solo capace di comporre una frase riassuntiva del vangelo in arabo. A volte i bambini mi guardavano con un’espressione curiosa perché apparentemente non mi capivano. Attualmente invece i bambini alzano il pollice per indicare che il mio arabo è comprensibile . Dopo l’Eucarestia segue ancora una breve o lunga pausa di meditazione, dipendentemente dal fatto che il pasto sia pronto o no. A tavola si parla di tante cose: qualche volta delle letture della Messa, l’evoluzione del paese, l’aiuto ai bisognosi. Qualche volta si discute su un tema biblico. Attualmente abbiamo soprattutto discusso sul ritorno del Regno di Dio. Nel pomeriggio c’è un’ora di riposo, indicato dalle campane interne. Dopo di che ricomincia il lavoro. All’inizio si accoglievano i bambini bisognosi finché i genitori o le madri potessero riprendersene cura o tutta la famiglia si fosse ripresa. In ogni ora della giornata ci si prendeva cura di loro con la conseguenza che c’era sempre qualcuno di noi responsabile per loro. Adesso sono rimasti due bambini, ma gli altri bimbi, figli per lo più di rifugiati , vengono sempre a giocare qui. Sono un gruppo di due cristiani e tre mussulmani, quattro ragazze ed un ragazzo. Le suore lavorano spesso con loro in cucina o puliscono con loro la Chiesa. Nel pomeriggio i bimbi ricevono lezioni di inglese, francese o biologia, canto e ballo ed i frati danno loro lezioni di catechismo. Nel periodo pasquale si spiegavano gli atti degli Apostoli e la genesi della prima chiesa. E’ notevole che i bambini mussulmani siano più interessati al catechismo che i bambini cristiani. Qualche volta ci sono lavori per i quali tutti sono chiamati a partecipare come: pulire il rosmarino o la lavanda, cogliere e lavorare le rose di Damasco , con cui facciamo il tè o tisane. Il grande campo interno del monastero è ancora coltivato da altri che mietono una parte per loro una parte per noi. Noi osiamo venire solo nell’atrio o nella piazza vicino al monastero.
Alle diciotto e trenta facciamo le preghiere bizantine della sera e dopo facciamo di nuovo una lunga o breve meditazione personale. Durante la cena si parla di vari temi. Inoltre i bambini vengono sempre a recitare pezzi di teatro come la lapidazione di Stefano con pallottole di carta. Un ragazzo mussulmano recita con ardore la lapidazione di Stefano. Si rallegrano del travestimento e qualche volta il loro teatrino è realmente divertente. Le suore lavano i piatti dopo pranzo , i frati dopo cena. La ricreazione della sera dura fino al momento di andare a dormire. Qualche volta c’è una conferenza su qualsiasi tema. Noi leggiamo con piacere gli articoli della rivista “ Le Cep” . Leggiamo anche la liturgia bizantina o teologia o sulla situazione politica mondiale. Un rifugiato mussulmano ha tenuto una conferenza sulla presenza di Gesù e Maria nel Corano e nel Vangelo ed anche sulla Sacra Sindone. Ormai quest’uomo è diventato il nostro portiere e ci ha aiutato nella distribuzione dei prodotti di prima necessità , pervenutici dall’estero, ai bisognosi . Durante il tempo di ricreazione o durante le conferenze ognuno fa quello che vuole: lavorare alle pulizie delle mandorle ( 50/60 sacchi), preparare le verdure per il giorno successivo, lavorare al computer, ecc. E chi vuole può anche andare a dormire con il consenso della comunità. Noi viviamo un “idio-ritmo. Questa parola greca vuole dire letteralmente “ un ritmo proprio” . Infatti, nell’antichità, la parola “idios” voleva indicare una persona semplice in contrasto con una persona che governava o un filosofo. Oggi questa parola è degradata fino al significato di imbecille.

ricorre, il 23 giugno, un anno dal martirio 
di Padre Murad, monaco, 
che ha offerto la sua vita per la Siria: 
http://oraprosiria.blogspot.it/2013/07/
io-offro-la-mia-vita-di-tutto-cuore-per.html

Per gli antichi monaci del deserto la parola “ idio -ritmo” indicava una libertà che ogni monaco conservava di seguire il suo proprio ritmo e la benedizione del superiore,  nonostante vivessero in unità stretta con altri monaci.
La domenica è una giornata libera con nient’altro che l’Eucarestia solenne in stile bizantino e poi un buon pranzo. Durante la mattinata i bambini possono vedere un bel film e noi a mezzogiorno guardiamo il giornale. 
La sera si guarda un film morale o rilassante deciso dalla maggioranza. 
Questa settimana abbiamo avuto 3 giorni solenni: il giorno per festeggiare l’elezione del Presidente, poi domenica e lunedì di Pentecoste. Chi vuole può leggere un libro durante tutta la giornata di domenica o anche pregare o studiare o solo rilassarsi. In realtà, c’è sempre qualcosa di speciale la domenica. Nella serata di Pentecoste abbiamo organizzato un servizio di preghiera bizantino per la pace e l’unità in Medio Oriente in solidarietà con i capi di Israele e Palestina che si trovano a Roma con il Papa dove ognuno di loro separatamente pregava per la pace.
Abbiamo visto solo in parte questo evento storico svoltosi nei giardini del Vaticano a causa della mancanza di corrente elettrica.
Già il profeta Joele cap .3° ha predetto che anche le vecchiette avrebbero avuto sogni di pace.

I cani abbaiano, ma la carovana continua
La ri-elezione dell’attuale presidente Bashar- el Assad irrita in modo forte i sostenitori dei gruppi terroristi in Siria. I ministri degli Affari Esteri, specialmente degli Stati Uniti, Francia ed Inghilterra non hanno abbastanza parole per esprimere la loro avversione. In un comunicato ufficiale la signora commissario dell’ EU protestava contro le elezioni “ illegali” che minacciano gli impegni politici. La Siria ha risposto inequivocabilmente che una tale dichiarazione costituisce una violazione flagrante del diritto internazionale, cioè della sovranità del popolo ed anche della democrazia.
Dall’altra parte la festa per la ri-elezione di Assad continua tra tutti i siriani del paese ed anche all’estero. I veri paesi amici hanno inviato le loro felicitazioni. E così anche il Comitato del Popolo Palestinese ed anche l’Unione degli scrittori Arabi, il Shia Imani Ismaili. Le celebrazioni entusiaste delle comunità Siriane in tanti Paesi sono chiaramente la risposta più convincente. L’occidente ha sempre usato dei rifugiati per provare che la crudeltà del presidente Assad e del suo regime erano le cause della loro fuga dalla Siria. Adesso questi Siriani all’estero e anche l’unione di scrittori hanno votato in massa per Assad e  hanno ringraziato lui e anche l’esercito. Nel frattempo il presidente Assad continua determinato,  fa di tutto per conservare l’unità del popolo e anche per fortificarlo.

Questa settimana il Presidente Assad ha invitato gli altri due candidati presidenziali per discutere con loro. Su tutti livelli si impegnerà ancora, in maniera più forte per tirare fuori il suo paese dalla miseria e per ri-assicurare la sicurezza ed il benessere del popolo. Prima Assad visitava i ribelli nelle prigioni per parlare con loro e liberarli sotto la condizione che essi abiurassero tutti gli atti di violenza. Adesso Assad ha proclamato il 9 giugno come giorno memorabile di amnistia, di cui un centinaio di prigionieri possono approfittare. Mercoledì scorso un gruppo di 274 prigionieri ha lasciato la prigione centrale di Damasco. I capi dei nostri stati occidentali democratici sono in grado di dimostrare un tale coraggio e iniziativa?

I tentativi insistiti per riscaldare “ la Primavera Araba”
Le guerre moderne sono prima di tutto guerre dei media. L’immagine della Siria è stata premeditata/preparata in modo professionale per tanti anni all’opinione pubblica: cioè il presidente Assad è stato dipinto come un dittatore crudele, si mostrava la presenza di armi distruttrici di massa, si faceva vedere la tortura dei bambini , e si diceva che Assad affamava e sterminava il suo popolo. Tutto era illustrato da video appropriati. Chiunque avesse contrastato quell’immagine negativa della situazione in Siria era considerato come un “ idiota asociale pronto per la psichiatria” un titolo che ho ricevuto da un intellettuale fiammingo. In questo modo i politici, i giornalisti e i popoli hanno aiutato per anni gli assassini ed i distruttori della Siria. Al contrario di Afghanistan, Iraq e la Libia, la Siria resiste. L’attuale riscaldata “ primavera Araba” è una strategia della quarta generazione che non utilizza più un intervento diretto militare esterno, ma adesso lavora con gruppi secreti che organizzano un caos creativo nell’interno del paese per destabilizzarlo e per imporre nuove strutture di potere e nello stesso tempo  far prevalere gli interessi degli Stati Uniti e di Israele. Per la Siria tuttavia hanno fatto dei gravi errori di valutazione, cioè hanno sottovalutato la forza dell’unità del popolo, dell’esercito e del governo e poi hanno sottovalutato la forza di una resistenza unita. La “rivolta del popolo “ e la “guerra civile” esistono solo nella fantasia degli imperialisti occidentali. In seguito è stato molto chiaro che questa tanto stimata “ opposizione moderata” era solo una finzione e che nei fatti questa opposizione era la vera colpevole delle atrocità. Gli stessi “ amici della Siria” hanno sottostimato la solidarietà e la tenacia dei veri amici della Siria come la Russia, l’Iran e l’ Hezbollah...  Alla fine sembra che essi inciampano nel gioco oscuro dei  propri grandi amici come la Turchia e soprattutto il Qatar e la Saudi Arabia, che sono i grandi campioni del terrorismo mondiale.

Aleppo senza acqua
La Commissione dei diritti umani dell’ ONU ha tenuto la sua 26° sessione. La signora commissario nel suo rapporto  ha accusato la Siria per le violenze continue e per la continuazione della crisi che non termina. Il rappresentante siriano, Mohammad-al-Mohammad le ha spiegato chiaramente la situazione. Mohammad-al-Mohammad ringrazia la signora commissario perché ha parlato in modo casuale dei guerriglieri stranieri, anche se questa constatazione è un poco ritardata. Mohammad-al-Mohammad invece nomina tantissime violazioni gravi dei diritti umani, come gli attentati con centinaia di morti, i ripetuti sabotaggi agli impianti dell’acqua in Aleppo, tutto quello che ha dimenticato la signora commissario nel suo rapporto. Mohammad-al-Mohammad conclude che la signora commissario è chiaramente non-competente per accertare tutte le violazioni dei diritti umani in Siria e che il suo rapporto è perciò non-credibile e per questa ragione il signor Mohammad-al-Mohammad spera che il successivo commissario dell’ONU sarà più imparziale, onesto ed obiettivo.

Le EU e i “suoi” interessi
Come la EU aiuta in modo servile America-Israele nella guerra contro la Siria, così anche oggi le EU è prontissima a negare i propri interessi nell’ Europa stessa, solo per servire il tandem USA-Israele. Da anni si lavora al così detto progetto South Stream, che trasporterà dall’anno prossimo il gas Russo attraverso la Bulgaria, la Serbia, la Ungheria, la Slovenia con  destinazione Italia. Adesso, però, l’America ha scoperto grandi ”irregolarità” nella costruzione. Solo perché ci sono anche coinvolte ditte Russe e perciò adesso cadono sotto le sanzioni dell’EU. Dopo gli USA, ora anche José Manuel Barroso in persona ha  chiesto la chiusura immediata della costruzione. E così, il primo ministro Bulgaro, Plamen Oreshartski, è stato costretto ad arrestare i lavori, sotto grande pressione di America e anche dell’EU. E così è boicottato dall’ America e dalla EU stessa un progetto di grande importanza strategica per la EU stessa!

Gli ultimi cristiani in Iraq?
Questa settimana, i combattenti di una frazione di Al-Qaida, che combattono per lo Stato Islamico di Iraq e la (grande ) Siria (ISIS) di Daesh, hanno fatto una strage atroce in Nord-Iraq e hanno conquistato la seconda più grande città Mossul. Si stanno dirigendo verso Bagdad. Il loro scopo è di stabilire un califfato islamico in Medio-Oriente e nel mondo intero, perché essi lo considerano l’unico modo di convivenza nella pace e nella giustizia. Ma in realtà questo “paradiso” è un inferno con la più disumana dittatura per tutti. La Siria ha protestato contro queste azioni terroristiche e ha dimostrato la sua solidarietà con il governo Iracheno e con il suo popolo. Iraq e Siria combattono contro le stesse forze malvagie. La Siria si è dichiarata subito pronta di assistere l'Iraq in ogni modo in questa lotta. 

Non dimentichiamo che la Siria è l’unico paese che ha accolto e mantenuto migliaia di profughi Iracheni! Nella opinione pubblica si è divulgata l’idea che l’occidente è molto preoccupato per la popolazione dell’ Iraq e che l’occidente vuole a tutti costi proteggere i cristiani contro questi islamisti fanatici, ma la realtà è esattamente il contrario. 
Il comandante di questi combattenti fanatici è Abou Bakr al-Baghdadi che lavora per il principe Saudita Abdul Rahman al-Faical. Egli è il fratello del Ministro degli affari esteri di Saudi Arabia e dell' ambasciatore in Washington! Infatti, sono tutti legati: America-Israele, Saudi-Arabia e Francia sono i più grandi provocatori di guerra. Se Al-Qaida riesce a conquistare l’Iraq, è molto possibile che proverà di nuovo a invadere la Siria e a sterminare le radici cristiane fino in fondo.

Chi lo ricorda ancora se  sono stati i fanatici musulmani ad invadere l’ Iraq o se sono stati dei cristiani, Americani e Inglesi? E come l’Occidente era entusiasta! Alla fine, hanno raso al suolo la più antica civiltà di Mesopotamia e hanno sterminato un cristianesimo antico di 2000 anni insieme con la strage di migliaia di innocenti. E tutto questo con l’argomento della così detta presenza di armi  di distruzione di massa che non ci sono mai state. Queste menzogne sono tanto circolate nell’opinione pubblica, per la quale non c’era neanche bisogno del voto nella commissione di sicurezza dell'ONU. E adesso guardate il chiasso che ha creato la commissione della sicurezza il 28 maggio sull’Ucraina.  L’euforia delle elezioni presidenziali in Ucraina è indescrivibile, mentre non erano nè libere nè democratiche, ma sotto pressione della NATO. Il presidente eletto riceveva un po’ più che la metà dei voti di neanche la metà di quelli che avevano il diritto di votare. 
Mentre una vera pace in un paese si può ottenere solo quando tutta la popolazione contribuisce alle aspirazioni politiche e non quando stati stranieri impongono il loro interesse.

Il famoso storico Philip Jenkins ha scritto uno studio magistrale su “la cristianità dimenticata”, cioè “Mille Anni di fioritura della Chiesa nel Medio-Oriente, in Asia e in Africa” (“The Lost History of Christianity: The Thousand-Year Golden Age of the Church in the Middle East, Africa, and Asia”). Già tanti anni fa, Jenkings ha ammonito che tra poco ci sarà da festeggiare l’ultimo martire cristiano di Iraq. Siamo già arrivati a quest’epoca? Quale uomo di buona volontà vuole continuare a credere alle menzogne quotidiane dei media e continuare a fare finta come se niente fosse? I credenti possono iniziare una novena, come abbiamo fatto noi  (e come facciamo ancora oggi) nel momento in cui umanamente non c’era più nessuna possibilità di sfuggire alle migliaia di terroristi accampati intorno a noi.

Demo per tutti
Anche noi abbiamo tanto da fare : ognuno nel suo paese. In tutta la Francia è nata una forte rivolta popolare che difende in modo intrepido i valori umani e cristiani della vita, della famiglia e del matrimonio tradizionale (naturale). Il governo francese non riesce di tappare loro la bocca, nonostante il fatto che il governo ricorra talvolta alla violenza. La resistenza e la creatività di questo movimento “Manif pour Tous” continua a crescere. Questa iniziativa francese si è anche radicata in Italia, in Taiwan e adesso anche nel sud della Germania. Il motivo di questo movimento è la fermezza di genitori che hanno proibito ai loro bambini di partecipare all’educazione sessuale dove la teoria “gender” era imposta. Questa “gender-pazzia” è diventato oggi una epidemia mondiale obbligatoria: l’uomo è ridotto ad una cosa neutra, qualcosa di non-importante, dove l’uomo stesso decide se vuol diventare un maschio, femmina o un bi - o un trans o qualcos’altro. La felicità, la sicurezza e il benessere di una società invece è fondata sulla famiglia naturale come cellula di base. L’intenzione di questo movimento “manif pour Tous” è di formare un forte e larga coalizione con tutta la  gente di buon senso. Questo movimento deve formare un blocco contrastante che sa resistere a questo LGBT (lesbica-gay-bi-trans) che è omni-distruttivo e ufficialmente sostenuto nel mondo intero. Mi domando se in Belgio non ci sono uomini capaci ed ispirati che possono unire tutti i gruppi diversi esistenti in un solo “Manif pour Tous”. Se un giorno tutti gli uomini con barba e armi nere saranno partiti da qui, anch’io vorrei partecipare.

Ringraziamento
Vogliamo spiegare e ringraziare sinceramente tutti quelli che ci hanno aiutato e ci aiutano ancora con tutti i mezzi, cioè con vestiti , alimenti e soldi. Il giorno che ritornerà la pace e il giorno che madre Agnes-Mariam e suor Carmel ritorneranno – dopo 2 anni di allontanamento in Libano – spero di redigere un rapporto totale della situazione. Abbiamo già dato un rapporto provvisorio. Si lavora nel seguente modo:
 tutto viene organizzato dalla centrale in Libano da madre Agnes-Mariam e da sr. Carmel, che si sono impegnate in modo sovrumano per le emergenze, per far giungere qui ospedali mobili e anche per la liberazione degli ostaggi. In diversi luoghi della Siria ci sono persone collegate con la nostra comunità. C’è anche qui un gruppo di laici – io li chiamo i dodici apostoli , perché mi fanno pensare alle prime comunità cristiane. I nostri uomini in Damasco e in tutto il Qalamoun hanno formato gruppi  che collaborano con loro. Poichè lavorano in modo così efficace, ricevono molta stima e adesso vengono anche ufficialmente riconosciuti e richiesti. Loro hanno una grande visione dei bisogni di questa regione. Noi invece non usciamo ancora. Questo gruppo di laici è sempre fuori, ma hanno la loro base nel nostro monastero. In realtà, loro sono dei miracoli viventi e riescono a raccontare vicende impressionanti. Un esempio di queste storie: un giorno “i dodici apostoli” hanno incontrato un ribelle ferocemente armato, sono andati verso di lui stringendogli la mano per scambiare la pace e chiedergli gentilmente di andare via perché nei paraggi c’erano donne e bambini. Quel ribelle se ne andato! Come questi “apostoli” siano sopravvissuti durante i loro viaggi è umanamente incomprensibile. E’ vero che questi uomini hanno una fiducia incrollabile e una unità salda con tanta gente bisognosa, che tra tutti loro c’è un vero amore come tra fratelli e sorelle.
Ci sono arrivati molti containers con alimenti, vestiti, materiale medico e medicamenti nella regione di Tartous e Lattakia. C’era anche del materiale per noi, che non è ancora arrivato a causa del pericolo sulle strade. I beni di prima necessità comunque sono subito distribuiti al popolo bisognoso. Da noi sono arrivati un grande camion della Croce Rossa e della Mezza Luna Rossa. I soldi versati sul nostro conto bancario belga vanno in Libano, dove vengono utilizzati per specifiche missioni richieste dai nostri “dodici apostoli” per i bisognosi in tutta la regione di Qalamoun. Ci sono molte madri che si occupano da sole dalla famiglia perché i loro uomini sono stati rapiti o uccisi. Dappertutto ci sono malati che hanno bisogno di medicamenti o cure. Un uomo quasi cieco ha ricevuto occhiali adatti. Gli handicappati hanno ricevuto sedie a rotelle. A volte, con un po' di soldi si può comprare un’abitazione. Il responsabile di questo gruppo mi ha già dato l’anno scorso tutte le foto di quest’aiuto a queste famiglie. Ho aggiunto due foto provenienti da Damasco. Mi racconta adesso che quelle famiglie vivono ancora in quelle abitazioni, e cosi appartengono al gruppo dei fortunati, perché tante famiglie sfollate vivono ancora nei parchi. Una famiglia che prima era benestante, dispone oggi solo di una piccola camera, dove si fa tutto. Le altre tre famiglie vivono con 13 persone in una sala di fabbrica.  Anche loro appartengono al gruppo dei fortunati...

Di cuore,
P. Daniel

   ( traduzione A. Wilking

domenica 22 giugno 2014

Voci dalla Siria dopo le elezioni


Nell’ultima settimana prima delle elezioni c’è stata una recrudescenza di aggressioni e minacce intimidatorie da parte dei jihadisti, sostenuti da America ed Europa (ahimè, c’è proprio da vergognarsi : non solo hanno rinnovato l’appoggio in denaro, ecc, ma addirittura hanno vietato ai Siriani rifugiati all’estero di andare a votare per il loro paese).
Aleppo sta molto molto male, adesso la prendono di mira anche con missili, il quartiere Midan specialmente, perché c’è una grossa comunità armena. Ci dicono che erano entrati a migliaia dalle frontiere per bloccare e impedire le votazioni, attaccando specie dal fronte con la Turchia, cioè su Lattakia e Idlib. Martedì, giorno fatidico, qui non volava una mosca. Tutti i negozi chiusi, sospesa ogni attività lavorativa, tutti erano impegnati a svolgere il loro dovere civico, e solo quello. La gente era calma e concentrata, conscia della sua responsabilità verso tutti i Siriani, ma anche di fronte al mondo intero, specialmente quello che …conta (e che già ha dichiarato di voler invalidare queste votazioni). Si è sentita qualche raffica per aria ( qui si spara sempre: quando c’è un morto, per onorare il morto ; quando parla il presidente , per manifestare la propria soddisfazione; quando c’è  qualche evento civile, per dire la propria partecipazione…). A sera, ho sentito nel villaggio canti e danze con il  tipico tamburello, cosa diversa dalle altre sere in cui si sentivano canti patriottici, inneggianti alla Siria (sì, è stata la loro preparazione alle votazioni). Sono rimasta stupita, perché non c’era nessun matrimonio in programma…Ma l’indomani vedendo la faccia radiosa del nostro vicino, ho capito meglio. In questo evento finalmente i Siriani hanno potuto, anche i più deboli ed inermi, dire la loro, prendere in mano il loro destino, affermare la loro volontà, la loro esistenza stessa, in faccia a chi vorrebbe negare loro il diritto a vivere, ad essere un popolo sovrano, in grado di prendere il suo posto nella storia del Medio Oriente. 
Di fatto, di tutti quanti sono coinvolti in queste trattative di pace che finiscono sempre in fallimenti, quanti di loro agiscono negli interessi reali di questo popolo ?  Con evidente fierezza X ci ha comunicato che tutta la Siria ha votato, tranne la provincia di Raqqa, che è completamente in mano ai jihadisti; che tutti, persino ad Aleppo, hanno espresso il loro voto. E che anche per chi poteva essere bloccato da voleri avversi, si è trovato il modo di raggiungerlo per permettergli di esprimere il suo voto (per esempio sono stati creati seggi elettorali alla frontiera col Libano, dato che era stato detto che chi fosse rientrato in Siria per votare avrebbe perduto il permesso di residenza . Anche all’aeroporto di Damasco sono stati istituiti seggi, per quelli che arrivavano in volo e se ne andavano subito dopo aver votato, come è capitato con 4 aerei pieni di siriani provenienti dal Kwait , e varie altre piccole e grandi trovate, per dare il più possibile a tutti gli aventi diritto la possibilità di dire la loro) .
In quest’ultima notte è esplosa la gioia. Canti e danze dappertutto, le sparatorie augurali hanno ceduto il posto a mortaretti e fuochi d’artificio. Si vocifera di gente che cantando sparge riso sui camion dei militari, di altri camion (pieni di gente che suona), che si spostano da un paesino all’altro, si sta entrando quasi nella leggenda… La gente è felice, nonostante tutti i morti, tutte le devastazioni morali e materiali. Tutta l’incertezza per l’avvenire si arrende di fronte a questo fatto : la Siria è unita e vuole procedere unita, con il capo che si è liberamente scelta.
Dati pubblicati dall’Ansa : 73,42 % di affluenza alle urne, 88% hanno votato per il presidente. Ma ormai i dati sono a disposizione di tutti. Y commenta con gli occhi luccicanti : “Hanno votato per Assad 10 milioni e 700mila siriani !”. Ma sapeste quanto è bello vedersi intorno facce fiere e contente. 
Preghiamo che questa quasi unanimità faccia ritrovare ai siriani ciò che si temeva perduto, cioè la fiducia e la convivenza tra genti diverse che si riconoscono tutte in una stessa patria.   

S.M. da Tartous  



Sono passati più di tre anni dall'inizio della crisi siriana. Ora lo stato siriano ha vinto contro tante pressioni che derivavano dall’Occidente e dai paesi dei petro dollari, come l’intervento armato, la divisione settaria del paese. Ha potuto pure stabilire una certa sicurezza in varie zone del paese, e sta vincendo nelle sensibili battaglie contro i fanatici islamisti (ISIS – Fronte Al-nusra – Il fronte islamico…).

Ormai è tempo che il presidente Bashar Al-Assad, dopo la sua vittoria nelle elezioni presidenziali, debba pensare con il nuovo governo che formera’ tra poco ad un' altra battaglia. La battaglia contro la poverta’, contro la corruzione, contro lo sfruttamento del cittadino da parte dei  “coccodrilli commercianti”. La metà del popolo siriano e’ disoccupata ed il 50 % dell’altra metà non riesce ad arrivare alla fine del mese… siamo in questa situazione da anni…. I siriani temono di non potere più resistere davanti alla fame…c'e’ un detto siriano che dice: “nessuno muore dalla fame” forse perchè stavamo cosi bene prima della Guerra, ma ora credetemi c'è della gente che muore veramente dalla fame… 
I prezzi sono volati in aria, e migliaia di famiglie mangiano la carne una volta al mese, e tante altre non mangiano la frutta perche’ talmente cara… Il prezzo del latte e’ aumentato del 600% (da 20 s.p al kilo a 120 s.p)… allora immaginate quanto costa un kilo di formaggio normale (700 s.p). Attualmente lo stipendio medio di uno che lavora nello stato e’ 30.000 s.p (150 euro) e basterebbe per 20 giorni (a comperare solo cibo) sapendo che una famiglia media in Siria consiste di Padre, Madre, 3 figli … non voglio parlare delle bollette ... elettrica, dell’acqua, del telefono, e non parlo dei vestiti per i bambini, e neanche della retta per la scuola … Secondo me la vera battaglia ora e’ contro la malavita, contro il nemico nascosto nella società che si chiama POVERTA’… il grande Imam Ali dice : 'se la povertà fosse un uomo lo avrei ucciso'.
Io capisco tutte le difficolta’ che il governo attualmente affronta, ma quando la pancia ha tanta fame il cervello non ragiona più… soprattutto quando vedi che una certa classe di gente sta diventando troppo piena di soldi grazie a questa guerra. Se all’inizio del 2011 una piccola parte del popolo siriano e’ uscita contro il governo di Assad perchè economicamente era scontenta, ora più della metà del popolo siriano e’ scontenta… 
   La gente è andata a votare con la speranza che Assad porti non solo la sicurezza ma anche per migliorare la vita economica del cittadino siriano. Ora Assad ha la battaglia più dura in assoluto. Una battaglia che non richiede armi... Sì, vi sono le NGO che aiutano, ma questo tipo di aiuto sembra come una medicina per calmare il dolore... tutte le  NGO ti danno cibo, abiti... ma non offrono un lavoro che ti permette di vivere degnamente... 
Si ricomincerà veramente la vita del Paese quando si inizierà a creare dei posti di lavoro e quando il presidente inizierà a pulire il paese dalla corruzione... quando di comincerà a dare più libertà soprattutto ai media locali e meno controllo sul cittadino...
I fratellini Anton Hajjar e Michael, giocavano
sul balcone di casa nel quartiere Jaramana:
uccisi da un razzo dei ribelli

La situazione di Damasco ogni giorno è critica perchè i ribelli buttano colpi di mortaio su di noi. E la vita sta diventando sempre più difficile... la gente e' molto stanca..., c'è tristezza... 
Samaan da Damasco







    Le elezioni presidenziali in Siria vanno analizzate, non condannate a priori






    Appunti, 19-06-14
    di Mario Villani


    Si è votato in Afghanistan, elezioni presidenziali, primo turno il 14 aprile e secondo il 14 giugno......

    Si è votato in Ucraina, elezioni presidenziali. Anche in questo caso le elezioni, per i nostri media mainstream, sono state “democratiche ed un passo significativo verso la normalizzazione della situazione”......

     Si è votato in Siria, elezioni presidenziali. Il 3 giugno undici milioni seicentomila Siriani (su quindici milioni e mezzo che ne avevano diritto) si sono recati alle urne ed hanno riconfermato, dandogli l'88% dei suffragi, Bashar Assad come capo dello stato. Le condizioni in cui si è votato non sono state molto diverse da quelle dei due Paesi prima citati: parte del territorio occupato, violenze diffuse, scarsità di controlli. In questo caso però i media occidentali hanno assunto un atteggiamento ben diverso, bollando le elezioni con termini come “farsa”, “inganno”, “presa in giro della democrazia”. In questo modo, oltretutto, si sono risparmiati la necessità di svolgere un minimo di analisi sui risultati emersi dalle urne..... 

      LEGGI L'ARTICOLO QUI:  

    venerdì 20 giugno 2014

    IRAQ: «Le armi dei terroristi erano dirette ai ribelli siriani considerati moderati»

    2 interviste a Gianandrea Gaiani, direttore di Analisidifesa.it

    Le armi siriane alimentano la guerra in Iraq



    La Nuova Bussola Quotidiana, 19-06-2014


    Obama per ora non si immischia nel conflitto iracheno e nonostante le forze qaediste dello Stato Islamico della Siria e Levante (ISIS) siano ormai a poche decine di chilometri da Baghdad, ha accantonato per ora l’ipotesi di lanciare incursioni aeree contro i jihadisti per sostenere il traballante esercito iracheno. Washington si limiterà a fornire assistenza “politica e d’intelligence” anche se le esigenze di Baghdad sono molto più concrete come dimostra la richiesta ufficiale di raids aerei formulata ieri dal ministro degli Esteri Hoshyar Zebari.

    Sul campo di battaglia le cose vanno male per le truppe irachene. Nonostante qualche contrattacco nell’area di Baqubah e raids di elicotteri a Tikrit e Mosul che sembra puntare soprattutto a distruggere le armi pesanti che l’esercito iracheno in rotta ha lasciato nei giorni scorsi ai qaedisti, che in queste ore puntano ad assumere il controllo della raffineria di Baiji, 210 chilometri a nord di Baghdad. I miliziani sunniti hanno prima distrutto parte delle riserve di petrolio e poi si sono aperti la strada nell'enorme struttura. Secondo le tv panarabe, una parte delle uomini della sicurezza sono fuggiti e i miliziani avrebbero preso il controllo di tre quarti degli impianti. L'esercito iracheno sostiene però di aver respinto l'attacco e di aver ucciso 40 ribelli. Anche più a ovest, verso il confine siriano l’esercito iracheno è in difficoltà dopo aver perso il controllo di Tal Afar, città che il comando iracheno ha annunciato di voler liberare  “entro giovedì”.
    Sul fronte politico si fa più aspro il confronto tra il governo scita di Nouri al Maliki e le monarchie del Golfo. Riad e gli Emirati Arabi Uniti (che ieri hanno ritirato l’ambasciatore da Baghdad) accusano Maliki di aver condotto negli ultimi tre anni una politica settaria che ha emarginato i sunniti e pretendono un governo “inclusivo” di unità nazionale. La stessa richiesta formulata dalla Casa Bianca, che pure solo un mese or sono si era congratulata con Maliki per la vittoria elettorale che gli assicurava il terzo mandato consecutivo. Baghdad invece accusa senza mezzi termini sauditi ed emirati di sostenere i terroristi dell’ISIS. Un’accusa non nuova che si inserisce nell’ormai evidente confronto militare transnazionale tra sciiti e sunniti ma che in questo caso sembra suffragato anche da fatti concreti come la presenza tra i miliziani dell’ISIS di armi croate comprate l’anno scorso dai sauditi per armare i ribelli siriani, ufficialmente quelli “moderati” dell’Esercito Siriano Libero (ESL).

    Come spiega un articolo di Luca Susic sul webmagazine Analisi Difesa che cita fonti serbe e croate, alcune immagini diffuse in rete dall’ISIS non lasciano spazio a dubbi. Molti combattenti dell’ISIS sono armati di lanciagranate RBG-6, i lanciarazzi anti-carro M79 Osa  mentre alcuni veicoli montano  cannoni senza rinculo M60: tutte forniture croate che tra la fine del 2012 e l’anno scorso vennero fatte confluire con un ponte aereo in Giordania per essere distribuite agli insorti impegnati a combattere il regime di Bashar Assad.

    Secondo il quotidiano di Zagabria Jutarnji List, il materiale attualmente utilizzato dai qaedisti in Iraq è stato in gran parte inviato in Siria per mezzo di 75 voli civili partiti dall’aeroporto Internazionale di Zagabria. I cargo avrebbero portato circa 3 mila tonnellate di armi e munizioni per un valore di 50 milioni di dollari acquisite con il via libera degli Stati Uniti, interessati ad appoggiare le fazioni siriane “moderate”. Benché Washington non abbia mai ufficialmente fornito armi ai ribelli siriani il coinvolgimento della CIA al flusso clandestino di armamenti agli insorti è stato più volte segnalato da dettagliati reportage dei media statunitensi.

    Che ci fanno queste armi in mano all’ISIS? Quanto queste forniture sono servite a destabilizzare il nord Iraq invece che a sconfiggere le truppe di Assad i cui successi sul campo di battaglia si sono moltiplicati negli ultimi mesi? Le risposte plausibili non sono molte. I sauditi potrebbero aver fatto il doppio gioco annunciando aiuti ai militari all’ESL ma fornendoli in realtà alle milizie estremiste tra cui i salafiti di Ahrar al-Sham e l’ISIS. Già nel marzo scorso il blogger inglese Eliot Higgins aveva mostrato sul suo sito internet prove fotografiche secondo cui le armi croate destinate al fronte anti-Assad erano giunte in Iraq e venivano utilizzate dall’ISIS contro le forze governative irachene.

    L’Arabia Saudita, in prima linea contro il governo alawita (Sciita) siriano, potrebbe avere tutto l’interesse a mettere in scacco anche gli sciiti al potere a Baghdad. L’operazione potrebbe nascondere anche il doppio gioco di Washington, non a caso restia a farsi coinvolgere nel conflitto, da un lato critica verso Maliki ma pronta ad aprire all’Iran. Improbabile che la CIA non sapesse dove fossero finite le armi croate mentre il sostegno saudita ai ribelli sunniti iracheni non è certo un mistero per nessuno.

    http://www.lanuovabq.it/it/articoli-le-armi-siriane-alimentano-la-guerra-in-iraq-9515.htm



                    


    Le armi con cui i terroristi conquistano l’Iraq arrivano dalla Croazia. «Gliele hanno date i sauditi con il benestare degli Usa»



    TEMPI, 18 giugno 2014

    Dalle foto pubblicate su internet dall’Isil (Stato islamico dell’Iraq e del Levante), i giornali croati hanno riconosciuto la provenienza della armi che i terroristi islamici hanno usato per prendere Mosul e altre città irachene.

    Gaiani, come sono finite quelle armi nelle mani dei terroristi?  Queste armi leggere e portatili che provengono dalla Croazia sono state comprate dall’Arabia Saudita per circa 50 milioni di dollari un anno fa. Attraverso il confine giordano, controllato stabilmente dalla Cia, i sauditi hanno dato le armi ai movimenti che combattono in Siria considerati moderati e filo-occidentali. Il tutto con il benestare degli Stati Uniti.
    Ma qualcosa non ha funzionato.  Esattamente: o qualcosa è andato storto nella distribuzione delle armi o paesi come l’Arabia Saudita hanno giocato sporco, dichiarando che avrebbero armato i ribelli moderati mentre hanno fatto tutt’altro.

    Proprio l’altro giorno l’Iraq ha accusato i sauditi di aiutare i terroristi islamici.  Questa è una critica che il governo sciita di Al Maliki rivolge da sempre ai paesi del Golfo. Bisogna ricordare però che i terroristi dell’Isil hanno conquistato molte città irachene con l’aiuto di tribù sunnite stanche di essere emarginate da Al Maliki. È evidente che alcune tribù preferiscono i qaedisti agli sciiti. In questo modo l’Iraq sta rischiando di scivolare in una guerra civile a carattere confessionale, sunniti contro sciiti, e non dimentichiamo che questa spaccatura confessionale era uno degli obiettivi principali di Al Zarqawi, il capo di Al Qaeda in Mesopotamia, il “nonno” dell’Isil che combatteva gli americani e il governo iracheno nel 2004.

    Quanto la crisi irachena è imputabile ad errori americani?  La responsabilità della crisi è al 100 per cento americana ma non si tratta di un errore. Gli Usa hanno lasciato l’Iraq in mano agli sciiti, che con la corruzione hanno distrutto il paese e rovinato l’esercito, visto che le reclute sunnite sono scappate e quelle sciite hanno dimostrato di non avere alcuna intenzione di rischiare la vita per difendere città sunnite del nord. Perché Obama si è complimentato con Al Maliki per la rielezione al terzo mandato e ora gli chiede di realizzare cambiamenti politici in cambio di aiuti, mentre non ha fatto nessuna richiesta fino a un mese fa?

    Perché?  Perché l’obiettivo di Obama è quello di destabilizzare il Medio Oriente, così come tutte le aree di interesse energetico mondiale. Gli Usa hanno armato i ribelli siriani ma non abbastanza da farli vincere contro Assad, si complimentano con Al Maliki ma non lo aiutano a sconfiggere i terroristi, sono intervenuti in Libia in modo assurdo e hanno sostenuto la rivolta ucraina per destabilizzare anche quell’area. Gli ucraini, infatti, non riescono a sconfiggere i filorussi, che a loro volta senza Mosca non possono fare niente.

    E che cosa guadagnano gli americani?  Obama è venuto in Europa a dirci: comprate gas e petrolio da noi. Ecco cosa ci guadagnano. Grazie allo shale oil e allo shale gas gli Stati Uniti sono diventati già una potenza energetica autosufficiente e nel 2020 saranno il più grande esportatore di energia al mondo. È vero che il loro gas e petrolio costa di più ma sarà anche l’unico raggiungibile in maniera sicura. Secondo me è incredibile che l’Europa non si faccia delle domande e continui a pensare che l’America sia un suo alleato. Da quando c’è Obama, purtroppo, non è più così.

    http://www.tempi.it/armi-terroristi-iraq-croazia-sauditi-usa#.U6LfH0aKDwo

    mercoledì 18 giugno 2014

    La situazione dei cristiani siriani : cittadini in uno stato laico

    Fra Firas Lutfi, giovane francescano siriano, racconta di quale cambiamento abbia realmente bisogno il suo paese e la difficoltà di ricostruire l'anima ferita dei suoi connazionali





    Zenit
    seconda parte dell'intervista di Naman Tarcha a fra Firas Lufti



    Qual è la situazione dei siriani cristiani?
    I siriani cristiani hanno goduto da sempre di una libertà religiosa, potevano praticare ed esercitare le loro funzioni liberamente dentro e fuori delle chiese, perfino in affollate processioni nelle strade durante il mese mariano o nella settimana santa. Ovvio che in alcuni casi si chiedono i permessi, come in tutte le parti, avvisando le autorità per proteggere le funzioni, e questo è una cosa molto importante perché esprime la tua fede nel rispetto delle altre fedi. Questa libertà religiosa è garantita perché la Siria è uno stato laico e non uno stato teocratico, perché se lo fosse il siriano di fede cristiana sarebbe cittadino di serie B come in altri paesi arabi. E questo, in uno stato civile, è una questione inaccettabile in uno società che crede nella cittadinanza nel quale io e te siamo pari, e malgrado la nostra diversa appartenenza etnica o religiosa abbiamo gli stessi diritti e doveri. I cristiani in Siria e in tutto il Medio Oriente vorrebbero vivere in questo contesto sociale senza privilegi ma con parità e uguaglianza nella cittadinanza. Nonostante il numero dei siriani cristiani non sia altissimo, crediamo che il numero non è la misura,  non avevano mai subito persecuzioni e minacce quotidiane alla loro vita ed esistenza. Oggi le cose sono cambiate e l'esempio palese è la città di Al Raqaa dove ai cristiani viene richiesto il dazio per lasciarli in vita.

    Tanti accusano i siriani cristiani di avere una posizione ambigua. Cosa vogliono davvero?
    Prima della crisi siriana i cristiani siriani avevano diverse richieste, come ad esempio la questione dell'appartenenza completa al paese dentro la costituzione siriana, la quale indica che il Presidente della Repubblica deve essere esclusivamente di fede mussulmana. Ma se vogliamo uno stato con l'uguaglianza dei cittadini la fede non dovrebbe essere un problema, bensì conta l'appartenenza al paese. Da cristiano la mia storia e radici risalgono a migliaia di anni e ho il diritto di raggiungere la più alta carica dello stato.
    Oggi i cristiani vogliono invece almeno ritornare al passato. Soprattutto vedendo i conventi e le chiese profanate, saccheggiate, bruciate e distrutte, mentre il cristiano viene giustiziato con l'accusa di essere miscredente e infedele, o di essere lealista e vicino al governo. In questa situazione si trovano tanti giovani nell'esercito siriano, che prestano il servizio di leva: il giovane cristiano serve il suo paese convinto che é un suo dovere civile nel difendere la patria ma anche dovere religioso contro un pericolo di Jihadismo ed estremismo. Per questo motivo i cristiani difendono lo stato partendo dal principio della cittadinanza, e se non fosse la cittadinanza la misura della convivenza, qualsiasi misura sarebbe squilibrata. Se la misura é numerica siamo minoranza e si consacrerà il potere di una maggioranza sugli altri; se il criterio fosse settario, allora io mussulmano vengo prima poi gli altri sono di serie B; e allo stessi modo se la misura è su base etnica,  la società viene divisa e vengono esclusi curdi, armeni, cerchesi, turcmeni.
    Sono una persona e non un numero, nè una percentuale; sono nato su questa terra, e vorrei continuare a viverci e l'altro dovrebbe riconoscermi come partner, non come ospite, al quale concede alcuni diritti. La cosa principale è questa: chi si considera amico dei siriani, o che pensa di lavorare per il loro bene, ci lasci decidere noi stessi, e  non decida al nostro posto, senza trattarci come deficienti o incapaci di ragionare. Abbiamo tutto il diritto di decidere il nostro destino. La civiltà siriana ha lasciato le sue impronte su tutto, perciò i siriani sono maturi abbastanza per capire ciò che è il loro bene è il loro male.

    C'è in atto una persecuzione dei siriani cristiani?
    Sì, i cristiani sono presi di mira. All'inizio le cose non erano chiare, oggi invece i siriani conoscono bene l'identità dei combattenti e la loro provenienza e appartenenza, soprattutto dopo quel che é accaduto nelle città cristiane vicino a Idlib. Quelli che parlano oggi del cosiddetto Esercito Libero come forza d'opposizione moderata sanno di mentire, e sanno bene che i diversi gruppi armati sono in un conflitto interno su terreni e sui bottini di guerra. I casi sono infiniti, vorrei ricordare i due arcivescovi siriani di Aleppo, Ibrahim, Siro-ortodosso, e Yazji, greco-ortodosso, ancora nelle mani dei ribelli, insieme ai due giovani sacerdoti Michael Kayal armeno cattolico e Isaak Mahfuz greco ortodosso spariti nel nulla. L'ultimo martire é il padre gesuita Franz Van der Lught, di nazionalità olandese che ha scelto di restare a fianco dei suoi parrocchiani a Homs, e ucciso barbaramente dai gruppi armati dopo aver tentato di prenderlo in ostaggio.
    Quelli che prendono di mira i cristiani non sono siriani, perché un siriano mussulmano che ha vissuto accanto a suo fratello cristiano, non può farlo, sa come vive, a cosa crede e come si comporta, mentre chi viene da fuori, gli estremisti, indottrinati dal pensiero salafita e wahhabita, porta con sè un profondo odio dell'altro, del diverso, e non ha mai conosciuto un cristiano. Per lui la vita inizia e finisce nell'islam e tutti quelli che non appartengono alla sua presunta religione, sono miscredenti ed è lecito ucciderli.


    Ha vissuto un’esperienza molto dolorosa. Cosa è accaduto a Ghassaniye?
    il martire padre François Murad
    Ero in servizio nella provincia di Idlib, dove sono stati assaltati tre villaggi cristiani, e lì viveva padre François Murad, un monaco che ha costruito un piccolo monastero per far rivivere la spiritualità del monachesimo orientale, e quando sono arrivati i ribelli ha aperto le porte a loro, ospitandoli, dopo un breve periodo l'hanno cacciato via occupando casa sua, e abbiamo dovuto ospitarlo nel nostro convento francescano, dove c'erano tre suore che offrivano il servizio di ambulatorio ai civili rimasti.
    I ribelli hanno tentato diverse volte di assaltare il convento, e alla fine sono riusciti. Appena mi hanno avvisato sono corso, trovandomi davanti ad una scena agghiacciante. Avevano rubato e saccheggiato tutto, distruggendo croci e statue, e profanando la chiesa sgozzando il cane del convento sull'altare, e uccidendo padre Francois con sette colpi di pistola. Bastava una per ammazzare un uomo indifeso e disarmato, ma hanno preferito ucciderlo con sette colpi nel petto, e io l'ho sepolto.

    Aleppo, la città più antica al mondo, oggi si trova in una situazione disastrosa...
    Aleppo sta soffrendo in una condizione disumana e tragica, perché l'essere umano può anche supportare le difficoltà e i pericoli, ma quando viene privato dei bisogni primari restando senza acqua e cibo, perde tutta la dignità umana. La gente cerca di sopravvivere malgrado il costo della vita altissimo e la mancanza di introiti, senza benzina nè gas nè corrente e acqua. Anche se i quartieri cristiani della città sono relativamente sicuri, questa zona viene presa di mira dai gruppi armati con lanci continui di colpi di mortaio e missili artigianali, perfino la nostra cattedrale ha subito danni da questi missili. L'ultimo incidente é stato quando i ribelli hanno fatto saltare il palazzo della camera di commercio: è caduto il vetro della chiesa durante la messa, tanta era la forza dell'esplosione. I frati cercano di sostenere e aiutare la gente come possono, aprendo le porte ai bisognosi, e offrendo l'acqua potabile a tutti, mentre la scuola francescana ospita i bambini dell'orfanotrofio islamico. La sfida principale infatti é la sfida morale e spirituale, perché se l'uomo perde la speranza non riesce a superare e sopportare le difficoltà, senza la speranza la vita diventa senza senso nè futuro.

    Ultima parola?
    Durante le Crociate, San Francesco è riuscito ad ottenere il permesso di custodire la terra santa non con la forza delle spade e della violenza, ma con l'intelligenza, la semplicità e il dialogo. Questo conferma che l'unica strada per ottenere ciò che desidero dall'altro è nel riconoscimento e nel rispetto reciproco, senza ammazzare nè farmi ammazzare. Dobbiamo insistere sul dire tutta la verità con amore, e insistere nel dialogo con l'altro, senza questo dialogo saremo  distanti dalla nostra vita.

    http://www.zenit.org/it/articles/la-siria-ha-bisogno-di-evoluzione-non-di-rivoluzione-seconda-parte

    martedì 17 giugno 2014

    L'esercito governativo riprende il controllo di Kessab. Chiese armene profanate dai ribelli


    Agenzia Fides, 16/6/2014

    Tra sabato 14 e domenica 15 giugno, l'esercito governativo siriano ha ripreso integralmente il controllo di Kessab, la città nord-orientale siriana a maggioranza armena che era stata conquistata dalle milizie anti-Assad lo scorso marzo.
    "Alla riconquista di Kessab” riferisce all'Agenzia Fides il Patriarca armeno cattolico Nerses Bedros XIX Tarmouni, “hanno preso parte anche i gruppi di autodifesa formati da armeni siriani e le milizie sciite di Hezbollah. Il parroco della chiesa di San Michele ha già fatto un sopralluogo nella sua parrocchia, trovandola devastata: i ribelli hanno danneggiato le icone, divelto le croci, distrutto libri, reso inagibili i locali. Con l'unica intenzione di impedirne l'utilizzo, visto che non c'erano cose preziose da saccheggiare. La stessa sorte è toccata alla nostra scuola”.


     Secondo fonti consultate da Fides, le milizie islamiste hanno divelto le croci anche nella chiesa armena evangelica dedicata alla Santissima Trinità, mentre risulta devastato il Centro culturale armeno Misakyan. 
    Le incursioni delle milizie islamiste – comprese quelle della fazione jihadista Jabhat al-Nusra - erano iniziate lo scorso 21 marzo. 


    Quasi 700 famiglie, in maggioranza cristiane, erano fuggite per trovare riparo nell'area costiera di Latakia. I ribelli erano arrivati dalle montagne al confine con la Turchia, numerosi e ben armati. Le formazioni dell'esercito che presidiavano la città si erano ritirate, così come i giovani armeni che avevano organizzato gruppi di autodifesa armata intorno alle chiese. 
    “Mi ha sorpreso la velocità con cui Kessab è stata riconquistata” sottolinea il Patriarca Tarmouni, “e mi auguro che adesso, con pazienza, gli abitanti di Kessab tornino alle proprie case e ricostruiscano quello che è stato danneggiato. Sarebbe bello poter riaprire la scuola già ai primi di settembre. Occorreranno risorse economiche e l'aiuto di tutti”. 



     Nel contempo, il Patriarca teme che almeno il 30 per cento degli abitanti di Kessab non farà ritorno alle proprie case, avendo trovato sistemazioni più sicure nell'area di Latakia o in Libano. 
    Gli armeni di Kessab sono in gran parte agricoltori. L'area rurale, fino allo scorso marzo, non era stata toccata dal conflitto siriano. 



    La città occupa un posto simbolico nella memoria condivisa del popolo armeno: Nel 1915, quando gli armeni hanno abbandonato la Cilicia dopo il genocidio perpetrato dai turchi, proprio a Kessab era rimasta l'ultima comunità armena dell'area.



    http://www.fides.org/it/news/55416-ASIA_SIRIA_L_esercito_governativo_riprende_il_controllo_di_Kessab_Il_Patriarca_Tarmouni_chiese_armene_profanate_dai_ribelli#.U5_0lEaKDwo

    domenica 15 giugno 2014

    Papa Francesco: non dimenticare la Siria. Testimonianza di una suora

    Da Radio Vaticana
    14/06/2014

    C’è il rischio di dimenticare le sofferenze che non ci toccano da vicino. Reagiamo, e preghiamo per la pace in Siria”. 
    Con questo tweet il Papa torna oggi a richiamare l’attenzione del mondo su un Paese martoriato da più di 3 anni di guerra e che anche dopo le elezioni presidenziali d’inizio mese continua a vivere spaccature e scontri tra ribelli e lealisti. Almeno 30 i miliziani uccisi oggi a Mayaden al confine con l’Iraq. Sull’appello del Papa alla preghiera e a non dimenticare, Gabriella Ceraso ha raccolto il commento di una suora trappista, raggiunta telefonicamente in Siria:

    R. – Penso che il rischio di dimenticare ci sia, anche se ci sono tantissime persone che con molta generosità continuano ad aiutare. Il problema è che certe situazioni si stanno cronicizzando: la divisione del territorio con zone controllate dai fondamentalisti, altre dal governo, il continuo invio di armi… Il rischio che questa cosa diventi cronica e che ci si abitui, è molto forte.

    D. – Il Papa parla proprio di sofferenze: quanto sta ancora soffrendo e in che cosa la popolazione siriana?

    R. – Dipende da zona a zona, ma tutti stanno soffrendo. Nelle zone dove la situazione è un po’ migliore c’è comunque una sofferenza di instabilità, i giovani non hanno prospettive di studio. Poi, ci sono zone come Aleppo, senz’acqua da 15 giorni e senza elettricità, dove la sofferenza è davvero reale. I nostri amici che sono là ci raccontano che sono proprio alla fame, con questi proiettili che cadono continuamente alla cieca, si esce e non si sa se si ritorna, gente a cui manca il necessario per vivere e i salari che non sono sufficienti… Quindi, c’è una sofferenza materiale e una sofferenza morale, molto forti.

    D. – Il Papa dice: “Reagiamo”. La reazione in che termini dovrebbe essere?

    R. – Io direi che la reazione richieda darsi da fare. Non basta reagire con dei luoghi comuni, altrimenti si rischia di fare peggio. Bisogna veramente avere a cuore la situazione, cercare di capire le cose che sono in gioco e che sono complesse, solo così si possono trovare le soluzioni.

    D. – Una preghiera per la pace in Siria, sempre necessaria per il Papa, che ha pregato in una giornata memorabile per la pace in tutta l’area mediorientale con grande coraggio. Vi è arrivata quella testimonianza?

    R. – Direi che arriva, arriva anche a tutti, non solo a noi. Proprio ieri un musulmano mi diceva: “Io sono musulmano, ma penso che il Papa sta facendo tantissimo per noi e per la Siria con immensa gratitudine”. Quindi, direi che arriva proprio a tutti. E' necessario, perché credo che certe cose si risolvano veramente solo con uno sguardo di preghiera, perché la preghiera poi è anche un’azione e cambia il modo di vedere le cose: ti dà modo di capire cosa fare, come intervenire e come ascoltare questa gente.

    D. – Ed è un appello, quello del Papa, valido per tutti?

    R. – Certo, io penso di sì. Ci sembra che ci si ritrovi sempre più insieme davanti al Dio Creatore e davanti al bene che è nel cuore di ogni uomo. Penso che il Papa in questo abbia fatto fin dall’inizio un appello proprio all’uomo in quanto tale.

    D. – Nel vicino Iraq è in atto un’offensiva di tipo integralista islamica, che sta spaventando il mondo intero. Voi siete al confine e gli integralisti sono presenti in alcune località della Sira. Che effetto vi fa questa notizia? C’è timore, ci sono delle reazioni?

    R. – Certamente, la cosa ci ha molto preoccupato, proprio perché si sta creando una zona, una vasta fascia di territorio continuo che ormai è in mano ai fondamentalisti. Questo da una parte non sorprende tanto, soprattutto i siriani, perché già da tempo vedevano questo avanzare, questo modo di frammentare la nazione in zone sotto il controllo di diverse parti. Da una parte non è una sorpresa quindi. Dall’altro preoccupa e spaventa, perché adesso è veramente una presenza imponente e anche molto attiva, i combattimenti si stanno inasprendo. 
    A fronte di questo, c’è stata la grossa sorpresa di questo voto che non era affatto scontato. Poteva essere scontato il risultato, ma non certo il tipo di unanimità. Credo che la gente abbia voluto dire: “Vogliamo insieme ricostruire il nostro Paese! Vogliamo la pace, vogliamo la sicurezza!”.

    D. – Un califfato jihadista in un Paese come l’Iraq mette a repentaglio la vita dei cristiani. Da cristiana, se succedesse una cosa del genere sul suo territorio?

    R. – Quello che conosciamo anche dei sunniti, dei siriani e di tutti i cristiani, musulmani, la Siria non è mai stato un Paese dove il fondamentalismo ha preso piede. La gente ha un’altra anima. Chiaramente, la paura di fronte ad un integralismo c’è, perché è un integralismo reale, evidente ed armato. Però, preghiamo.