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giovedì 13 febbraio 2014

Vescovi , sacerdoti e monache : scudi umani e merce di scambio

Vescovi rapiti in Siria: trattative in corso per il rilascio

L'Assistente dell'invitato speciale Onu in Siria ha confermato che uno dei due presuli è nelle mani di un nuovo gruppo armato, pronto a rilasciarlo solo dopo accordo con il governo siriano


Zenit.org, di: Naman Tarcha 


La guerra in atto in Siria tra le varie brigate estremiste e i gruppi terroristi che continuano ad annientarsi a vicenda, e ormai sono completamente fuori controllo, ha posto in luce nuove rivelazioni sul destino dei due vescovi ortodossi rapiti circa un anno fa.

La buona notizia arriva da Mukhtar Lamani, assistente dell'invitato speciale dell’Onu in Siria Al Akhdar Al Ibrahimi, che attualmente guida il nuovo round dei negoziati di Ginevra: "Abbiamo le prove che uno dei due vescovi è nelle mani di un nuovo gruppo armato". Lamani, però, non ha voluto rivelare però di quale dei due si tratti - e ha precisato che "i contatti con i rapitori con sede ad Istanbul in Turchia continuano, ma si temono pressioni e ingerenze dal governo turco".
Le fonti parlano di trattative in stato avanzato, e di un rilascio imminente, dopo l'assalto di un gruppo armato alla sede di una brigata rivale, dove hanno ritrovato solo uno dei due presuli rapiti.
Il gruppo armato si dichiara pronto a rilasciare il vescovo all'interno di un'accordo, tuttavia non vuole negoziare attraverso il generale Abbass Ibrahim, Capo della Sicurezza Nazionale libanese, bensì direttamente con il governo siriano, e chiede un corridoio sicuro per consegnare il vescovo alle forze siriane.

Il 23 aprile 2013 era giunta la notizia del rapimento in Siria di due Vescovi della città di Aleppo: Yohanna Ibrahim, vescovo Siro Ortodosso e Bulos Yazigi, metropolita Greco Ortodosso, e fratello dell’attuale Patriarca della Chiesa Greco ortodossa. Secondo le informazioni raccolte al momento, a rapire i due vescovi era un gruppo armato di nazionalità cecena, che aveva ucciso il diacono che li accompagnava e portato i due prelati in un luogo sconosciuto.
Il rapimento è accaduto a circa 30km dal confine turco, mentre i due vescovi, erano diretti ad Aleppo, dopo una missione umanitaria in Turchia volta a liberare altri ostaggi. Ovvero i due sacerdoti padre Michel Kayyal, armeno cattolico, e padre Maher Mahfuz, greco ortodosso.
I due erano stati rapiti da un gruppo armato jihadista, nel corso del sequestro del minibus che li portava a Damasco. Da allora dei due sacerdoti si sono perse le tracce. Sgomento, preoccupazione, voci contrastanti sono state diffuse in questi mesi sulla sorte dei due vescovi: alcuni li davano per morti, altri affermavano che erano vivi e in buona salute.

Il problema è che non c’è mai stata una vera rivendicazione e non sono state avanzate richieste dai rapitori. L'assenza di uno dei vescovi, insieme alle voci di un ostaggio ferito, fanno temere il peggio. Forse uno dei due non c'è più. Le trattative insistenti e silenziose per il rilascio dei vescovi non si sono mai fermate, così come le preghiere dei siriani cristiani, che oggi acquisiscono un nuovo barlume di speranza.

http://www.zenit.org/it/articles/vescovi-rapiti-in-siria-trattative-in-corso-per-il-rilascio

Difficoltà per far liberare le suore rapite a Maalula

Il gruppo di Jabhat Al Nusra ha bloccato le trattative per liberare le 12 religiose

Roma,  (Zenit.org) - Naman Tarcha 

Sono passati due mesi al clamoroso assalto dei ribelli alla cittadina di Maalula.
Dopo la condanna unanime della barbarie perpetuata, sono iniziati i negoziati e si sono intensificate le trattative con i ribelli, per il rilascio delle monache. A mediare le trattative il Generale Abbass Ibrahim, Capo della Sicurezza Nazionale libanese, e una delegazione del governo del Qatar, in contatto diretto con i ribelli.
Al Jazeera, la tv di stato del Qatar, ha mandato in onda immagini delle suore mentre si trovavano in un luogo non identificato, sedute in un salotto, apparentemente tranquille, ma prive delle proprie croci al collo. In questo filmato le religiose affermavano di stare bene e chiedevano di accettare le condizioni dei loro rapitori.

Secondo alcune fonti le monache di Maalula sono ancora nelle mani del gruppo Jabhat Al Nusra. Si troverebbero nella città cristiana di Yabroud nella zona di Al Qalamun, sotto il controllo di un jihadista di nazionalità kuwaitiana che conduce negoziati.
George Hasswani, uomo d’affari cristiano della zona, coinvolto direttamente nelle trattative, aveva già offerto la propria abitazione ai terroristi, per ospitare le suore sequestrate. I negoziati sono andati avanti, e proprio quando sembrava aver raggiunto un accordo, tutto si è bloccato.

Le trattative sono state bloccate da un’esponente saudita del gruppo di Jabhat Al Nusra, che si dice molto vicino ai servizi segreti dell’Arabia Saudita. Le condizioni poste dal gruppo estremista sono le seguenti: interrompere nell'immediato le trattative attraverso il Qatar, rilasciare al più presto i 500 jihadisti di Jabhat Al Nusra detenuti nelle prigioni siriane e libanesi, e soprattutto ottenere la garanzia da parte del governo siriano di non attaccare la città di Yabroud, occupata dai ribelli di Al Nusra, attualmente assediata dall’esercito siriano.

http://www.zenit.org/it/articles/difficolta-per-far-liberare-le-suore-rapite-a-maalula


La strategia dell'islam per colpire tutti i luoghi sacri cristiani 





IlSussidiario -  12 febbraio 2014
Intervista a  Samaan Daoud

“Dietro il rapimento delle suore di Maaloula si nasconde uno sporco gioco: rafforzare il potere dei gruppi qaedisti e salafiti in tre Stati chiave quali Siria, Iraq e Libano”. 
Lo spiega Samaan Daoud, siriano cattolico di Damasco, dopo che Al-Jazeera ha diffuso un video nel quale si mostrano le 12 suore rapite lo scorso dicembre dal convento di Mar Takla a Maalula. Per l’intera durata del filmato le suore rimangono in silenzio, mentre un commentatore afferma che “sono in buona salute, non sono state maltrattate e attendono la loro liberazione per fare ritorno al convento”. Una voce fuori campo annuncia inoltre che le suore “ringraziano tutti coloro che hanno cercato di ottenere il loro rilascio e chiedono la scarcerazione di tutti i prigionieri”.

Che cosa ne pensa del video delle suore di Maaloula trasmesso da Al-Jazeera?
Il montaggio del filmato è studiato apposta per coprire la falsità dei rapitori delle suore. Questi salafiti vogliono mostrarsi come degli agnelli, ma nella realtà sono dei lupi. I volti delle suore lasciano trasparire chiaramente che loro non sono per nulla tranquille, e il fatto stesso che nel video appaiano senza croci la dice lunga.

In che senso?
Questo particolare evidenzia che le suore in prigionia non sono libere di esercitare la loro fede. La croce è il simbolo che caratterizza un religioso in quanto tale, e se le suore in prigionia non possono indossarla significa che non sono affatto trattate bene. Tutto il contrario rispetto a quanto è stato affermato nel video trasmesso da Al-Jazeera. L’obiettivo di chi ha girato il filmato è soltanto quello di toccare i sentimenti di chi lo guarda in tutto il mondo, facendo credere che le brigate islamiste in Siria stiano trattando bene i cristiani. La verità al contrario è che questi gruppi stanno compiendo delle stragi di cristiani, e che non si fanno scrupoli a mettere in mezzo dei religiosi come le suore per raggiungere i loro obiettivi.

Quali sono i veri loro obiettivi?
Innanzitutto fare pressioni sul governo siriano e sull’opinione pubblica internazionale. Membri di questi gruppi salafiti sono prigionieri in Siria, in Iraq e in Libano, e il fanatismo cui stiamo assistendo in Siria non è presente soltanto all’interno del nostro Paese. 
Jabhat al-Nusra (il gruppo ribelle legato ad Al Qaeda, Ndr) ha un suo braccio operativo anche in Libano, dove ha annunciato l’intenzione di condurre una guerra contro tutti gli sciiti. Un altro gruppo attivo in Siria, lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, è nato appunto in Iraq. Il progetto dei gruppi salafiti è quindi ramificato in tutti e tre gli Stati, e non è un caso che le suore rapite a Maaloula siano di nazionalità siriana, libanese e irakena. E’ questo lo sporco gioco che si nasconde dietro la cattura delle religiose.

A questo obiettivo si aggiunge anche quello di colpire i cristiani nel mondo arabo?
I salafiti stanno già attaccando tutti i luoghi sacri dei cristiani che considerano come infedeli. La fatwa emessa dagli imam più fanatici ha permesso alla brigata islamista di compiere questo rapimento. In realtà però, al di là delle motivazioni religiose, dietro il loro comportamento c’è soprattutto un grande opportunismo. La cattura delle suore è cioè un mezzo per colpire l’opinione pubblica internazionale, e ottenere lo scambio con i jihadisti in carcere.

http://www.ilsussidiario.net/News/Esteri/2014/2/12/SUORE-RAPITE-Douad-la-strategia-dell-islam-per-colpire-tutti-i-luoghi-sacri-cristiani/466125/

mercoledì 12 febbraio 2014

Ad Aleppo , cristiani e musulmani , arabi , curdi e armeni stanno lavorando insieme


Incontro con il padre gesuita Mourad Abou - Seif , responsabile del Centro San Vartan di Aleppo


agenzia APIC , febbraio 2014



"La gente è davvero stanca della violenza. Vuole a tutti i costi che finisca, il paese è arretrato di almeno due generazioni! "

Direttore del Centro S. Vartan  in questa città di 2,5 milioni di abitanti , il giovane gesuita descrive il lavoro del Jesuit Refugee Service ( JRS ) ad Aleppo , di cui è responsabile . "Più di 200 giovani volontari provenienti da tutte le fedi e di tutte le etnie - arabi, curdi e armeni - collaborano senza difficoltà nel nostro centro per aiutare la Siria a superare questa crisi , in collaborazione con diverse altre organizzazioni umanitarie ," sottolinea padre Mourad fin dall'inizio.

Accoglienza degli sfollati
Mentre i combattimenti stavano sviluppandosi altrove in Siria , Aleppo era ancora abbastanza tranquilla fino all'inizio del 2012 , ma i ribelli si erano già stabiliti nei villaggi circostanti . Sfollati interni arrivavano ​​da Homs , Hama , Idleb e dai villaggi vicini . La situazione è peggiorata in città a metà luglio 2012. Il Centro St. Vartan -  fondato circa 100 anni fa per aiutare i profughi armeni - è situato nel quartiere popolare di " Midan " in Aleppo , attualmente sulla linea del fronte tra  truppe governative e ribelli . Colpito dai bombardamenti nel settembre 2012, il centro  San Vartan è stato evacuato ed è ora in rovina . Le sue attività sono state spostate nel Circolo cattolico del quartiere di al - Aziziyeh , noto per la sua famosa chiesa armena dei Quaranta Martiri e quelle delle comunità  maronita , cattolica romana e greco ortodossa.
I ribelli occupano una grande porzione di Aleppo , e c'è solo un punto di transito per gli scambi tra la zona del  governo e l'area della zona ribelle, per Bustan al- Qasr . Quando questo passaggio , che è molto frequentato , è bloccato , la città viene privata di ogni rifornimento. " Siamo stati circondati per un mese e mezzo , non passava niente . Il passaggio è molto pericoloso , molte persone sono state uccise , altre rapite . Ma la strada è ora stata resa sicura dall'esercito governativo " .

Contrario alla partizione del paese e alla divisione etnica e religiosa
In questo conflitto , fin dall'inizio , dice il religioso siriano , la posizione gesuiti è stata chiara : contro la violenza , contro la divisione del paese , contro la divisione etnica e settaria , contro la corruzione, per la democratizzazione , le riforme , la legittima richiesta di libertà ... Quando la crisi è iniziata nel 2012 ad Aleppo , i gesuiti hanno iniziato a lavorare con la popolazione locale . Sul terreno , la società civile si organizza.
All'inizio della crisi in Aleppo nel luglio 2012 , il JRS si occupava di 11 scuole pubbliche che ospitano sfollati interni . Si trattava di garantire ogni tipo di servizio , cibo, vestiti , medicine, ecc . , E le attività psicosociali soprattutto per donne e bambini . Queste scuole sono state svuotate all'inizio di quest'anno scolastico 2013-2014 per ospitare gli studenti .


La maggior parte delle persone che ricevono aiuto sono musulmane
" In un primo momento , abbiamo impiantato una cucina primitiva in una delle nostre scuole . Ci siamo subito resi conto che la cucina avrebbe avuto un ruolo importante in quanto tutto mostrava che gli eventi sarebbero durati . Così , nel settembre 2012, le Francescane Missionarie di Maria in Aleppo ci hanno accolto nel giardino del loro convento per installare la nostra cucina . Dopo altri tre mesi,  fornivamo 18.000 pasti giornalieri , 5.8 tonnellate di cibo ogni giorno , per le scuole e le moschee . Attualmente distribuiamo più di 4 tonnellate di cibo per i detenuti in cinque carceri e centri di detenzione del governo , per le case di riposo come la Saint-Vincent - de - Paul , che si prende cura degli anziani , così come per le case di riposo delle suore di Madre Teresa e Al Mabara al - Islamiya , un'organizzazione musulmana che aiuta anziani e disabili . "
Quest'ultima si occupa di 86 anziani e disabili che sono stati costretti ad abbandonare il loro centro a causa dei combattimenti , e sono stati accolti nel Centro Gesù Lavoratore , appartenente alla diocesi latina di Aleppo .
Le distribuzioni vanno anche ad associazioni ecclesiali che aiutano gli sfollati: la Chiesa greco-ortodossa Al Nabi Elias , la Chiesa armena ortodossa dello Spirito Santo e i Fratelli Maristi di Aleppo .

Assistenza medica e sociale
Il progetto  del JRS ha installato un Centro Medico a Faysal Street. Questo centro riceve i civili malati , tra 120 e 140 visite al giorno . Nella loro casa dello Studente , le Suore di S. Giuseppe dell'Apparizione hanno accolto anche il JRS per installare il loro centro psicosociale che si rivolge a quasi 750 bambini , per un programma di tre mesi .
Il JRS ha istituito corsi di alfabetizzazione o di ri - alfabetizzazione per i giovani che hanno abbandonato precocemente la scuola e alcuni adulti . Organizza anche attività per le donne, tra cui artigianato e ricami , che permettono loro di guadagnare un po' di soldi . Un programma di tutoraggio aiuta i bambini nei loro studi , fino al brevetto e diploma. Tutte queste azioni hanno il sostegno finanziario delle organizzazioni umanitarie e della Chiesa a livello internazionale .


Associazioni umanitarie cristiane e  musulmane lavorano mano nella mano.
Padre Mourad dice che ad Aleppo associazioni umanitarie cristiane e musulmane lavorano mano nella mano . La maggior parte delle persone che ricevono aiuto sono musulmani fuggiti dai loro villaggi a causa dei combattimenti . Quanto ai cristiani che ricevono questo aiuto , sono per la maggior parte delle famiglie economicamente colpite dal conflitto . Il JRS si occupa attualmente di 8.000 famiglie che ricevono aiuti sotto forma di "panieri" contenenti cibo, vestiti , utensili per la casa e la cucina , pure materassi. "Nel corso di quest'anno , ci sono 14.000 famiglie da aiutare . "Questa è una grande speranza se permettiamo che queste associazioni abbiano spazio per agire. Non ci sono due blocchi che sarebbero opposti , musulmani contro i cristiani . Fin dall'inizio , abbiamo lavorato insieme . Molte volte noi non sappiamo chi è cristiano e chi è un musulmano !

Sacerdoti e vescovi rapiti: nessuna notizia
Alla domanda circa la sorte di sacerdoti e vescovi rapiti all'inizio dello scorso anno dai miliziani islamisti , Padre Mourad non ha informazioni affidabili . Vicino ad Aleppo , due vescovi e due sacerdoti - il Vescovo Georges Yohanna Ibrahim , vescovo siro- ortodosso , e Mons. Boulos al- Yazigi , vescovo greco-ortodosso rapiti nei pressi del confine con la Turchia il 22 aprile , e dei Padri Michel Kayyal ( armeno cattolico) , a Maher Mahfouz ( greco-ortodosso ) , rapiti a febbraio 2013 , sono nelle mani di un gruppo di fanatici .
Nessun segno di vita neppure del gesuita italiano Padre Paolo Dall'Oglio , disperso dopo il suo rapimento da parte di un gruppo islamico il 30 luglio.

Anche se non ci sono statistiche precise , si ritiene che dei circa 120.000 cristiani della città , 70.000 sono rimasti in Aleppo ... per ora .
I più ricchi , chi ha paura di essere rapito per ottenere un riscatto - medici , imprenditori , commercianti - se ne sono già andati . Molti rapimenti sono semplici reati comuni , data la mancanza di forze di polizia in molti luoghi .

Dopo il suo noviziato in Egitto , il giovane Murad Abu Seif , originario del sud della Siria , ha completato il suo percorso di filosofia - teologia al Centre Sèvres , della facoltà dei Gesuiti di Parigi, fino al 2004 , prima di ottenere un dottorato in " Counselling e Spiritualità " presso la Facoltà di Scienze umane al Saint Paul University di Ottawa . Ordinato sacerdote nell' agosto 2009 a Damasco , si trova in Aleppo da 5 anni . Dapprima si è occupato dei rifugiati iracheni in fuga dai disordini del paese limitrofo. Il JRS che egli dirige ad Aleppo  è venuto in loro aiuto soprattutto in collaborazione con la Mezzaluna Rossa Araba Siriana ( SARC ) e l'UNHCR . Il loro numero ad Aleppo aveva superato 30.000. A causa degli eventi in Siria , questi rifugiati sono per lo più ripartiti all'inizio del 2012 . Alcuni sono tornati in Iraq , altri hanno cercato rifugio a Damasco o in altri paesi. Il JRS è presente in Siria dal 2008 , dapprima a Damasco e Aleppo , per assistere i rifugiati dall'Iraq . Prima della guerra in Siria , il paese ha ospitato un milione di musulmani e cristiani provenienti dai paesi limitrofi . L'organizzazione ha una sede anche a Homs .
    
  (traduzione FMG)

http://www.kipa-apic.ch/index.php?PHPSESSID=ouslajr9n1d1jjt09qu3139d17&pw=&na=0,0,0,0,f&ki=251470

lunedì 10 febbraio 2014

Le suore di Maaloula parlano in un video delle condizioni per il loro rilascio

anche in questo secondo video di Al Jazeera le monache non indossano la croce

Papaboys, 10 febbraio 14
 di Francis Marrash

Emergono scenari inquietanti, a poche ore dall’invio del video delle suore all’emittente Al-Jaazera. Le condizioni volute dai gruppi fondamentalisti non porteranno, nel prossimo futuro, ad una soluzione pacifica del rapimento. L’obiettivo dei terroristi, è quello di cancellare in maniera definitiva la presenza dei cristiani in Siria. Dalle ultime notizie ricevute, molti cristiani sono costretti a lasciare i propri villaggi per paura di essere uccisi, torturati o peggio decapitati. Quelli che rimangono, subiscono vessazioni. Sono costretti a pagare ingenti somme di denaro ai nuovi padroni per non essere ammazzati. Questa è la democrazia che vogliono le potenze internazionali per la Siria? Non è possibile! I finanziamenti e le armi che arrivano per i ribelli aggravano notevolmente la situazione. La lotta deve essere compiuta contro chi semina il terrore e la morte.  

BEIRUT-. Le suore rapite in Siria nella città cristiana di Maalula, sono apparse in un nuovo video trasmesso domenica da Al-Jazeera. Gli ostaggi hanno implorato la liberazione, chiedendo la scarcerazione di tutte le donne prigioniere nei carceri femminili del regime siriano, come merce di scambio per il loro rilascio. Nella registrazione sono apparse tranquille dicendo che “sono in buona salute e non sono state maltrattate. Attendono fiduciose il rilascio per tornare in convento”, ha riferito AFP.
Nel video le suore hanno detto di voler tornare dopo la scarcerazione nel monastero di Maalula. “Questo è il nostro dovere” (di rimanere in convento), hanno dichiarato le suore.
L’episodio del rapimento risale al mese di dicembre 2013, dopo che le forze ribelli, tra cui diversi jihadisti, avevano preso il controllo del villaggio. Alcune fonti vicine al governo siriano accusano i ribelli di usare le suore come “scudi umani”. Sollevando non poche perplessità circa la sicurezza delle donne, nelle mani dei terroristi. Le suore hanno chiesto la fine del conflitto che da 33 mesi insanguina la Siria. Maalula è un pittoresco villaggio tagliato nella roccia a 55 chilometri da Damasco. E’ uno dei luoghi simbolo dell’antica presenza dei cristiani in Siria. I suoi abitanti, ancora oggi, si esprimono in aramaico, la lingua parlata da Gesù Cristo.

In un comunicato, l’opposizione armata rappresentata da Al-Nusra, ha presentato le condizioni per il rilascio delle 11 suore siriane e dei due vescovi. 
Per le suore: 1-  il Rilascio di tutti gli estremisti detenuti nel carcere di Roumieh in Libano; 2– il rilascio dei 500 membri di Al-Qaeda arrestati dal governo siriano; 3– il rilascio di tutti i detenuti di opposizione femminile in Siria; 4–  il pagamento di 75.000 mila dollari come riscatto; 5-  togliere l’assedio alla città vecchia di Homs; 6– l’Esercito siriano non deve più attaccare Yabrood, “città vicina al confine libanese dove l’opposizione armata contro il regime si intrufola per combattere in Siria”; 7– l’invio delle suore rapite in Libano, senza farle tornare in Siria.
Per i Vescovi: 1-  il Pagamento di100 milioni dollari come riscatto; 2– il rilascio di 800 membri di AlQaeda arrestati dal governo siriano; 3-  il rilascio degli ufficiali turchi, del Qatar e francesi arrestati in Siria; 4– l’ invio di aiuti a favore della opposizione armata nella città vecchia di Homs; 5-  il blocco di tutte le operazioni militari in Aleppo.

Le richieste avanzate dai terroristi sono impossibili da realizzare. La lotta portata avanti è chiara: vogliono a tutti i costi conquistare il paese, per asservirlo al progetto di fondazione dello Stato Islamico del Sol levante. E’ molto preoccupante. Come mai nessuno interviene? I religiosi sono usati come esca per realizzare con la violenza non gli interessi del popolo siriano, ma quelli di una parte pericolosa del fondamentalismo islamico. E’ chiara ormai la strategia.
Dove siete organizzazioni internazionali? Avete sentito le richieste? Pensate ancora di fornire armi ai ribelli? Loro non vogliono solo rovesciare Assad dal potere. L’intento è quello di cominciare in Siria un nuovo modello politico basato sulla shaaria. “Le suore - dice il comunicato stampa dei terroristi- se liberate, non devono tornare a Maalula, ma in Libano”. Cosa significa? Che non hanno intenzione di favorire la presenza dei cristiani in Siria, perché non appartengono alla religione di Maometto.
Cari politici, occupatevi dei gruppi estremisti. Non permettete che millenni di storia vengano cancellati dall’odio e dalla violenza.
 qui il link all'articolo con le condizioni poste per lo scambio : 
http://zamanalwsl.net/en/news/3618.html

http://www.papaboys.org/le-suore-di-maalula-parlano-in-un-video-delle-condizioni-del-loro-rilascio/

domenica 9 febbraio 2014

9 febbraio : San Marone monaco

Nel gravissimo momento attraversato dalla comunità civile libanese, non possiamo che affidare oggi  all'intercessione di San Marone la richiesta della pace per il Libano e per tutta la regione, riprendendo l'appello di S. B. il Patriarca maronita Bechara  Raï: "il Libano sarà costruito insieme o non sarà"




di  padre Pasquale Castellana ofm

Si innalzano monumenti agli antenati e a coloro che spesero la vita per la Chiesa o per la patria. Non dobbiamo, quindi, meravigliarci se, lungo i secoli, i fedeli abbiano innalzato chiese o monumenti a coloro che lavorarono per il bene dei fratelli. E per i poveri e gli ammalati, in particolare.
Tra questi benefattori dell’umanità è da annoverarsi san Marone, che visse come monaco eremita sul colle di Qal’at Kalota, nella regione, chiamata, in seguito, Jebel Sim’an.
Meritò il privilegio di celebrare la vita e le opere di questo santo, Teodoreto, antiocheno di nascita, monaco nel monastero di Nikertai, presso Apamea, e, poi, trentenne appena, vescovo della città di Cirro, situata 60 chilometri a nord di Aleppo, Siria. Per le sue buone opere, per la vita di penitenza, di cui lasciò un luminoso esempio a tutta la regione, per i miracoli che compì in favore degli ammalati e dei poveri e per la sua vita apostolica, la gente di Brad onorò san Marone con un sepolcro, pervenutoci quasi intatto dopo circa mille e cinquecento anni.
Appena si sparse la notizia della morte del santo eremita, la gente della cittadina di Brad si mosse. Il luogo era di prima importanza; lo dice l’iscrizione ritrovata a Bab el-Hawa presso il luogo, dove, nel 418, fu costruito un grandioso monastero, sotto la direzione dell’architetto Kyris Markianos, la cui fama si era sparsa nella Siria del nord dopo la costruzione di tre basiliche nei villaggi di Babisqa, di Ksejbe e di Dar Qita.
Che cosa fece il clero di Brad per onorare degnamente il corpo di san Marone? Adattarono la più grande basilica della regione, che prima era un tempio pagano, e,  poi, per ordine dell’imperatore Teodosio il Grande, divenne chiesa. Era la chiesa più grande della Siria, misurava 42 metri per 22. Tolsero il muro della parete settentrionale, vicino alla porta del diakonikon, e al suo posto costruirono un grande arco, che permetteva ai fedeli, dopo la liturgia eucaristica, di passare dalla chiesa al tempietto di san Marone.
......
   continua qui la lettura del racconto: 
http://www.terrasanta.net/tsx/articolo-rivista.jsp?wi_number=2247&wi_codseq=TS1003



un ribelle siede sopra le rovine della Basilica Bizantina di  Bab el-Hawa



La Santa Vergine, il Libano, i Maroniti. Tre realtà compenetrate e inscindibili

 di Jocelyne Khoueiry

La comunità monastica maronita è stata fondata nel IV° secolo dal santo anacoreta Maroun, e fu successivamente trasformata in Chiesa patriarcale agli inizi dell’VIII° secolo, a seguito della vacanza della sede di Antiochia già occupata dagli Arabi. A causa di una serie di feroci persecuzioni la sede patriarcale antiochena-maronita venne trasferita, agli inizi del X° secolo nella regione del Monte Libano già evangelizzata da discepoli di San Maroun fin dal V° secolo. In Libano i Maroniti divennero un popolo e una nazione, organizzata e diretta dalla Chiesa la cui sede patriarcale fu consacrata alla Vergine Maria. Per comprendere l’intimo rapporto che ha sempre unito la Chiesa maronita alla Madre di Dio è fondamentale considerare due dati interessantissimi: un testo siriaco maronita che si trova al British Museum e un’icona scoperta provvidenzialmente durante un restauro ad opera delle suore carmelitane del convento della Theotokos.
.............
   continua la lettura qui:  La Madre di Dio nella storia della Chiesa Maronita


Il patriarca Raï: "il Libano sarà costruito insieme o non sarà"

AsiaNews, 06/02/2014
di Fady Noun

Una "Memoria" indirizzata alle componenti della società politica libanese, nella fase "più critica" della sua esistenza. La perdita "di fatto" del senso del Patto nazionale. Il valore della neutralità, la guerra in Siria e Israele. Le "priorità" che si impongono.

Beirut  "Il Libano sarà costruito insieme o non sarà": lo scrive il patriarca maronita in una "Memoria" che mette in guardia i libanesi sull'indebolimento del loro patto di vita insieme e che li invita a rimettere ordine nelle loro priorità.
E' una lettera molto bella, una "memoria" molto bella, molto sincera, quella che il Patriarca ha indirizzato ieri, a conclusione della riunione mensile dell'assemblea dei vescovi maroniti, alle componenti della società politica libanese, per ricordare "che esse hanno fatto il Libano insieme" - la proclamazione del Grande Libano porta la data del 1920 - e "che esse ne debbono preservare insieme l'esistenza".
Se le cose sono detta con tale gravità e perché, secondo il Patriarca, il Libano sta vivendo una fase critica della sua esistenza, "la più critica", nelle sue parole, e che per superarla ha bisogno di tutta la sua memoria storica.
Di qui l'affermazione che ""Il Libano sarà costruito insieme o non sarà" (17), contenuta in questo documento ricco e ben articolato.
Se queste parole, del tutto ovvie, sono necessarie oggi è perché, afferma in sostanza il documento, le diverse comunità che compongono il Libano sono estremamente polarizzata dall'esistenza di assi politici regionali, ai quali esse debbono maggiore o minore fedeltà.
Di fatto, diviso tra l'asse siro-iraniano e l'Arabia Saudita, il Libano vive in questo momento ore cruciali. Esso è risucchiato, poi, nella guerra in Siria, divenuta il punto di convergenza di tutte le alleanze regionali e internazionali, il luogo nel quale si gioca una parte determinante del futuro del Medio Oriente. Una partita che, sul piano locale, si è tradotta, attraverso un'acerrima lotta di potere che ha completamente falsato il ruolo delle istituzioni, "nel punto di paralisi" sottolineato dalla memoria.

Il patriarca maronita custode del Libano
Cosciente del pericolo e del fatto che la storia ha fatto dei patriarchi maroniti i fondatori e "i custodi" del Libano, il patriarca Raï ha sentito il dovere di ricordare agli uni e agli altri le costanti storiche che impediranno al Libano di essere diviso fino ad esplodere e gli permetteranno di vivere secondo la sua vocazione, quella di essere "più che un Paese, un messaggio, un modello di libertà e di pluralismo per l'Oriente e l'Occidente", secondo la felice formula di Giovanni Paolo II con la quale si conclude il messaggio.
Per farsi capire, il patriarca risale alle origini della creazione del Libano indipendente, fondato su un "Patto nazionale" orale (mithaq), che è il consenso, l'adesione a una "convivialità (islamo-cristiana) che gli è precedente".
La Memoria deplora la perdita di fatto, in interi settori della sfera politica, del senso del "patto", a vantaggio di una lotta feroce per il potere e invita a ritrovarlo e rinvigorirlo.

Formula e Costituzione
Il Patto di fondazione, prosegue il Patriarca, si è incarnato in una "formula" (sigha) e in una Costituzione. La formula si esprime attraverso "due negazioni", "Né Oriente, né Occidente" che erano un consenso a una volontà di vivere insieme. All'epoca, sostiene il Patriarca, quel "né... né" significava no all'unione con la Siria e no all'obbedienza alla Francia. Oggi ciò che va recuperato è "l'essenziale della formula", l'adesione a una vita insieme che è la rinuncia a legami esterni, e non la sua lettera.
Dopo "il patto" e "la formula" viene "la Costituzione", che incarna la volontà di condivisione nell'esercizio del potere e di edificazione delle istituzioni, che si è evoluta verso il rispetto del principio della parità islamo-cristiana in parlamento, nel governo e nelle alte cariche amministrative.

La neutralità positiva
Il Patriarca pone al rango delle costanti fondamentali il principio della "neutralità positiva", sottinteso dalla formula. Egli ricorda che questa neutralità si esprime nei confronti degli assi politici verso i quali sono attratte le comunità libanesi, ma che non escludono in alcun modo l'impegno del Libano per le grandi cause del mondo arabo, a cominciare dalla causa palestinese.
A proposito della neutralità egli assicura che "lungi dall'isolare il Libano dagli impegni regionali, come alcuni temono, è il modo migliore per difendere il pluralismo in società composite" (15) come quella libanese.
Va da sé che la maggiore violazione della neutralità che protegge il Libano è, agli occhi di molti libanesi, l'impegno militare di Hezbollah in Siria e le rappresaglie che esso comporta sul suolo libanese, sotto la forma di attentati suicidi.
Senza nominare Hezbollah, il documento patriarcale sottolinea l'importanza, per il Libano, "di impedirsi di essere un punto di passaggio o un punto di partenza di azioni capaci di coinvolgere il Libano in conflitti (...) tra assi regionali o internazionali". Nel passo, il Patriarca non manca di auspicare una soluzione pacifica della guerra in Siria.
Per bilanciare, la memoria evoca la necessità si una "strategia di difesa nazionale" che permetterebbe al Libano di "recuperare le sue terre sottratte (da Israele) e di proteggere i suoi confini".

Le priorità
A conclusione, il Patriarcato si fa il dovere di trarre le conseguenze dei pericoli reali corsi dal Libano e di ricordare "le priorità" d'azione che ritiene si impongano. Esse sono:

  • Il procedimento della costruzione delle istituzioni (dopo la conservazione di ciò che si è acquisito), nello sforzo di aiutare il potere centrale a emergere e imporsi.
  • L'elezione di un nuovo capo dello Stato e la promozione del dialogo interno.
  • L'elaborazione di una nuova legge elettorale e l'organizzazione di elezioni politiche.
  • La formazione di un governo.
  • Il decentramento amministrativo.
  • La prosecuzione dell'applicazione dell'accordo di Taif (che prevede la creazione di un Senato) e la correzione delle sue mancanze.
  • L'attenzione per i giovani.
  • La promozione del ruolo della donna.
  • La riforma amministrativa e la lotta contro tutto ciò che corrompe l'organizzazione dello Stato (corruzione e clientelismo),
  • L'apertura al mondo, in particolare al mondo dell'emigrazione e la votazione di una legge che permetta agli aventi diritto di recuperare la nazionalità libanese.
  • La partecipazione del Libano all'emergenza di un vero rinnovamento arabo e la fedeltà all'apertura e ai tradizionali amici del Libano.

venerdì 7 febbraio 2014

Genocidio armeno e genocidio siriano

Quasi un secolo dopo il genocidio armeno, questo popolo è  ancora massacrato in Siria

E ora, quasi sotto silenzio nei media,
i loro luoghi sacri sono stati profanati



di Robert Fisk

Proprio oltre 30 anni fa, ho tirato fuori dal terreno le ossa e i crani delle vittime del genocidio armeno su una collina situata al di sopra del fiume Khabur, in Siria. Erano persone giovani – i denti non erano deteriorati – ed essi erano soltanto alcuni del milione e mezzo di armeni massacrati durante il primo Olocausto del ventesimo secolo, la distruzione di un popolo, deliberata, pianificata dai turchi Ottomani nel 1915.
Era difficile trovare queste ossa perché il fiume Khabur – a nord della città siriana di Deir ez-Zour – era cambiato. Erano così tanti i corpi ammucchiati nella sua corrente, che le acque andavano a est. Il fiume aveva alterato il suo corso. Però gli amici armeni che erano con me hanno presso i resti umani e li hanno sistemati nella cripta della grande chiesa armena di Deir ez Zour dedicata alla memoria di quegli armeni che erano stati uccisi – si vergogni lo stato turco “moderno” che nega ancora l’Olocausto – in quell’omicidio di massa su scala industriale.

E ora,  quasi non citati sui media, questi campi di uccisioni di massa sono diventati i campi delle uccisioni di massa di una nuova guerra. Sopra le ossa dei morti armeni si sta combattendo il conflitto siriano. E i sopravvissuti, discendenti dei cristiani armeni, che hanno trovato rifugio nelle vecchie terre siriane, sono stati costretti a fuggire di nuovo – in Libano, in Europa, in America. Proprio la chiesa dove le ossa degli armeni assassinati hanno trovato il loro presunto luogo finale di riposo, è stata danneggiata durante la nuova guerra, sebbene nessuno conosca i colpevoli di questa azione.

Ieri ho telefonato al Vescovo Armasi Nalbandian di Damasco che mi ha detto che, mentre la chiesa a Deir ez-Zour era davvero stata danneggiata, la cripta era rimasta intatta. La chiesa stessa, ha detto, era meno importante del ricordo del genocidio armeno – ed è questo ricordo che  potrebbe essere distrutto. Ha ragione. Ma la chiesa – un edificio non bellissimo, devo dire – è tuttavia un testimone, un monumento che ricorda l’Olocausto degli armeni, e ogni pezzetto è sacro quanto il monumento Yad Vashem alle vittime dell’Olocausto in Israele. E sebbene lo stato israeliano, con una infamia equivalente a quella dei turchi, sostenga che il genocidio armeno non è stato un genocidio, gli israeliani stessi usano la parola Shoah -Olocausto – per le uccisioni degli armeni.


Ad Aleppo, una chiesa armena è stata  danneggiata  dal Libero esercito siriano, i ribelli “buoni” che combattono il regime di Bashar al-Assad, finanziati e armati dagli americani e anche dagli arabi sunniti del Golfo. 

Però a Raqqa, la sola capitale regionale che è stata del tutto conquistata dall’opposizione in Siria, i combattenti Salafiti hanno distrutto la Chiesa cattolica dei Martiri e hanno incendiato i suoi arredi. 
E – Dio ci risparmi il pensiero – molte centinaia di combattenti turchi, discendenti degli stessi turchi che hanno tentato di distruggere la razza armena nel 1915, si sono ora uniti ai combattenti affiliati ad al-Qa’ida che hanno attaccato la chiesa armena. La croce in cima alla torre campanaria è stata distrutta per essere sostituita con la bandiera dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante.
E non è tutto. L’11 novembre, quando il mondo rendeva omaggio ai morti della Grande Guerra, che non aveva dato agli armeni lo stato che si meritavano, una bomba da mortaio è caduta fuori dalla Scuola Nazionale armena dei Sacri Traduttori, a Damasco,* e altre due sono cadute su degli scuolabus, provocando la morte di due scolari armeni: Hovahannes Atokanian e Vanessa Bedros. Il giorno dopo, i passeggeri armeni  di un autobus che viaggiava da Beirut ad Aleppo, sono stati derubati sotto la minaccia delle armi. Due giorni dopo, Kevork Bogasian è stato ucciso da una bomba di mortaio ad Aleppo. Il bilancio delle vittime  armene  in Siria è soltanto di 65, ma suppongo che potremmo calcolarlo in 1.500.065. Più di cento armeni sono stati rapiti. Gli armeni, naturalmente, come molti altri cristiani in Siria, non appoggiano la rivoluzione contro il regime di Assad, anche se  non potrebbero certo essere chiamati sostenitori di Assad.

Fra due anni commemoreranno il centesimo anniversario del loro Olocausto. Ho incontrato molti sopravvissuti, oramai tutti morti. Però lo stato turco, con il suo appoggio all’attuale rivoluzione in Siria, celebrerà la sua vittoria a Gallipoli in quello stesso anno (1915),  una battaglia eroica in cui Mustafa Kemal Ataturk ha salvato il suo paese dall’occupazione alleata. Anche gli armeni hanno combattuto in quella battaglia – con l’uniforme dell’esercito turco, naturalmente – ma scommetterò quanti dollari volete che nel 2015 essi non saranno ricordati dallo stato turco che doveva così presto distruggere le loro famiglie.
..........
*http://www.30giorni.it/articoli_id_426_l1.htm

http://znetitaly.altervista.org/art/13334
Originale: The Indipendent 
http://www.independent.co.uk/voices/comment/nearly-a-century-after-the-armenian-genocide-these-people-are-still-being-slaughtered-in-syria-8975976.html




Le vittime del genocidio armeno saranno canonizzate

Questa immagine, scattata da un giornalista tedesco e conservata
negli archivi del Vaticano,  documenta il massacro
delle donne cristiane armene nel deserto di Deir ez-Zor - Siria ,
il 24/04/1915 durante il genocidio da parte dei soldati turchi.

Agenzia Fides, 5/2/2014

 A quasi cent'anni dal genocidio armeno – perpetrato nei territori dell'attuale Turchia nel 1915 – la Chiesa armena apostolica conferma in maniera decisa e definitiva l'intenzione di procedere con sollecitudine alla canonizzazione per martirio delle vittime di quello che gli armeni chiamano “il Grande Male”.



I Leader cristiani siriani chiedono  agli USA di smettere il  supporto per i ribelli anti-Assad

Padre Michael Kayal, prelevato esattamente un anno fa dai ribelli dell' Esercito Siriano Libero , insieme a Padre Isaac, mentre viaggiavano  su un autobus


da: TIME Swampland
30 gennaio 2014


Le storie raccontate da cinque principali leader cristiani siriani sugli orrori  che le loro chiese stanno vivendo per mano di estremisti islamici sono bibliche nella loro brutalità.

Mons. Elias Toumeh, rappresentante del patriarca greco ortodosso di Antiochia e di tutto l'Oriente, racconta del funerale che ha celebrato dieci giorni fa per il corpo senza testa di uno dei suoi parrocchiani in Marmarita.  Il Rev. Adeeb Awad, vice moderatore del Sinodo Nazionale Evangelico della Siria e del Libano, spiega come i ribelli hanno fatto saltare la sua chiesa e poi puntato il dito contro il regime.  Mons. Armash Nalbandian, primate della Chiesa armena di Damasco, dice di aver ricevuto la comunicazione  su Facebook da un collega vescovo di Aleppo che due membri della congregazione erano in viaggio quando i combattenti dell'opposizione hanno fermato il loro bus, e quando hanno presentato la loro Carta d’Identità di armeni,  li hanno  portati via. I combattenti, racconta Nalbandian, hanno restituiti ai compagni di viaggio poche ore dopo con una scatola, che hanno detto che essere di dolci. Dentro c'erano le due teste degli armeni.

Le storie dei vescovi sono difficili da verificare in modo indipendente, e i morti della guerra vanno ben al di là delle sole  comunità cristiane in Siria: più di 130.000 persone sono state uccise dall'inizio dei combattimenti, e almeno due milioni di altre hanno lasciato il paese. Ma stanno emergendo come parte di una spinta concertata dai cristiani siriani per far giungere agli Stati Uniti la richiesta di fermare il loro sostegno ai gruppi ribelli che combattono il presidente siriano Bashar al Assad. "Gli Stati Uniti deve cambiare la loro politica e devono scegliere la via della diplomazia e del dialogo, non sostenere i ribelli e non  chiamarli  “combattenti per la libertà", dice Nalbandian.

Il gruppo è la prima delegazione del suo genere che visita Washington dall'inizio della crisi tre anni fa, e i suoi cinque membri rappresentano  diverse comunità cristiane del paese. Awad, Toumeh, e Nalbandian sono stati raggiunti dal Rev. Riad Jarjour, pastore presbiteriano da Homs, e il vescovo Dionisius Jean Kawak, metropolita della Chiesa ortodossa siriana. L'Istituto Westminster e Barnaba Aid, due gruppi che si concentrano sulla libertà religiosa e di soccorso per le comunità di fede minacciate,  hanno sponsorizzato il  loro viaggio.

Dato il  'maggiore sostegno degli Stati Uniti ai gruppi ribelli non-terroristici dovuto al  ricorso del regime di Assad ad armi chimiche’ , la missione dei leader religiosi è un colpo forte.  I vescovi chiedono agli Stati Uniti di esercitare pressioni su paesi come l'Arabia Saudita, Qatar e Turchia perchè smettano di sostenere e inviare  combattenti terroristi in Siria.


"Il vero problema è che l’ opposizione militare forte sul terreno è un'opposizione straniera," Awad spiega, sostenendo che il sostegno ai gruppi di opposizione da parte degli Stati Uniti significa  il supporto per i combattenti terroristi stranieri. "Sono quelli che uccidono e attaccano le chiese e il clero e le suore,  danno fiamme alle case e mangiano  fegati e i cuori degli uomini e tagliano le teste", dice Awad.

Le chiese cristiane siriane non  chiedono  sostegno a titolo definitivo  al regime di Assad. Così facendo, sarebbero ulteriormente in pericolo i loro seguaci e pregiudicata la componente morale della loro richiesta,  per via del  presunto uso da parte del regime di armi chimiche contro i civili.  Invece, si sono riuniti in privato con i legislatori, diplomatici e gruppi di esperti.
E’ stato difficile   guadagnare credito, se non altro per la ragione che il sostegno per i cristiani e le minoranze minacciate di estinzione può apparire come il supporto per Assad, e che un intero paese viene distrutto dalla guerra, non solo le comunità cristiane. Il presidente Obama ha solo brevemente accennato alla Siria nel suo discorso sullo Stato dell'Unione martedì. "In Siria, noi sosteniamo l'opposizione che rifiuta l'ordine del giorno delle reti terroristiche", ha detto. " La Diplomazia americana, sostenuta dalla minaccia dell’uso della forza, è il motivo per cui le armi chimiche della Siria sono stati eliminate, e continueremo a lavorare con la comunità internazionale per inaugurare il futuro che il popolo siriano merita, un futuro libero dalla dittatura, terrore e paura. "

Leader più recenti come Aderholt vedono che è tempo di prendere una posizione: "La maggior parte degli americani non si rende conto che i cristiani in tutto il Medio Oriente sono in grave pericolo e sono stati spesso costretti a lasciare i loro paesi di origine a causa di persecuzioni e minacce da musulmani radicalizzati," dice. "Se vogliamo che una vera democrazia emerga da questa regione, i cristiani e altre voci di minoranze religiose devono condividere il processo decisionale, e certamente non possono essere perseguitati e vivere nella paura per la propria vita a causa di elementi estremisti che si riversano in Siria."

Le storie dei vescovi sono simili ad altre cupe relazioni di violenza contro i cristiani durante la guerra. Le scuole cristiane a Damasco sono stati colpite da mortai nel mese di novembre. Il mese successivo, una dozzina di suore ortodosse greche sono state prelevate  dal monastero di Mar Takla in Maaloula. I gruppi ribelli hanno rapito due vescovi nei pressi di Aleppo lo scorso aprile. Il sacerdote gesuita Paolo Dall'Oglio, di cui TIME ha scritto nel 2012, quando ha visitato gli Stati Uniti per un viaggio di supporto, è stato prelevato e da luglio lo si teme morto .

http://swampland.time.com/2014/01/30/syrian-christian-leaders-call-on-us-to-end-support-for-anti-assad-rebels/



E nel frattempo....  Il Senatore John McCain si scaglia contro i leader cristiani siriani.
Continuando a ignorare la presenza di al-Qaeda, al-Nusra, ISIS e i Fratelli musulmani fra l’opposizione in Siria, l'ex-candidato alla presidenza degli Stati Uniti John McCain si scaglia contro chiunque denunci questa mostruosa realtà:

giovedì 6 febbraio 2014

Al Raqaa: l'inferno dei cristiani nella città di Al Qaeda

La chiesa dell'Annunciazione della comunità greco-cattolica prima e dopo l'insediamento ISIL in Raqqa


Zenit.org,  

di Naman Tarcha |


“Cristiani in Siria. Che fate ancora li'?”: questa la domanda che una signora mi ha fatto all’uscita della chiesa.
Ho cercato di spiegare che i cristiani mediorientali sono la popolazione originale di quei Paesi, e proprio ad Antiochia, la capitale dell’antica Siria, sono stati chiamati cristiani per la prima volta, mentre San Paolo, da Damasco, è partito per portare al mondo la Buona Novella. In poche parole, andare via significherebbe cancellare una parte della storia della cristianità.

Sin dall’inizio del conflitto siriano, la comunità cristiana, per il suo ruolo storico, aveva ben chiara la necessità di salvaguardare lo Stato nella sua integrità, sovranità e indipendenza.
Una guerra, in un Paese mosaico di etnie e religioni, porterebbe solo più distruzione.
Questa posizione di rispetto delle istituzioni, e rifiuto totale della violenza e dell’uso delle armi, era anche motivata dalla minaccia di sempre, che sta diventando purtroppo una realtà e cioè l'eliminazione dal Medio Oriente della componente cristiana.

Il primo round di Ginevra 2 (la conferenza di pace per la Siria) si è concluso senza risultati concreti, a parte aver convinto il governo siriano di sedersi allo stesso tavolo con una parte dell’opposizione siriana. Purtroppo non c’è pace, il conflitto armato procede in diverse zone del Paese seminando morte e distruzione.
Le notizie preoccupanti riguardano soprattutto i siriani cristiani che arrivano da Al Raqaa, una città intera sotto il controllo di Al Qaeda.
Al Raqaa è da circa due anni nelle mani del gruppo terroristico chiamato ISIS, cioè Stato Islamico Iraq e Levante, il quale compie massacri quotidiani, stragi, e impone la sharia (legge coranica) sui cittadini rassegnati.
L’ISIS, in seguito ad una riunione che si è svolta in settimana ha intimato ai cristiani rimasti nella città di Al Raqaa: “convertitevi all'islam o abbandonate la città. Queste sono le vostre uniche opzioni”.
Tanti cristiani avevano già abbandonato la città sin dai primi assalti dei gruppi terroristici, soprattutto dopo che i jihadisti dell'ISIS avevano saccheggiato, devastato e bruciato tante chiese e conventi, come la chiesa dell'Annunciazione della comunità greco-cattolica e la Chiesa Armena dei Martiri.
In queste chiese, dopo la distruzione dei simboli cristiani, al posto del crocifisso sulla cupola sventola la bandiera di Al Qaeda.
Le chiese sono state trasformate in sedi operative dei terroristi.
Proprio nella città di Al Raqaa è stato rapito padre Dall’Oglio. Lo stesso gruppo terrorista è responsabile del rapimento di due arcivescovi ortodossi e di due giovani preti cattolici spariti nel nulla.

Le persecuzioni sono iniziate sotto forma di vera e propria delinquenza: sequestro di persone e di beni, rapimenti, condanne a morte ed esecuzioni, tutto legalizzato dalle corti religiose, usando una falsa interpretazione dell’Islam. 
Lo stravolgimento è enorme perché i cristiani in Siria da sempre godono, a differenza di tanti altri Paesi arabi, di pari diritti, e non esiste nessun riferimento alla religione nei documenti.
L’arrivo dei fondamentalisti ha cancellato la civile convivenza.

La discriminazione non riguarda solo i cristiani ma anche i musulmani moderati.
I gruppi estremisti non distinguono tra cristiani e musulmani, e sono contro tutti quelli che non rispettano i codici di abbigliamento e i comportamenti fondamentalisti.
Delle 300 famiglie cristiane che vivevano in città, sono rimasti solo un centinaio di civili, costretti a sopportare minacce, rapimenti e sequestri di persona, pagando riscatti e una sorta di dazio per essere lasciati vivi.
Le fatwa sui comportamenti morali devono essere rispettate da tutti: donne, uomini, bambini cristiani e musulmani, e prevedono il divieto di fumare e di consumare alcolici, la chiusura dei negozi nell’orario della preghiera, la chiusura definitiva degli esercizi non 'halal', compreso sartorie, mini market, vendite di abbigliamento etc.
Il controllo dell’applicazione della sharia è affidato ai jihadisti, che si comportano allo stesso modo della polizia religiosa in Arabia Saudita: posti di blocco, perquisizione e sequestro di tutto quello che non è considerato morale. Chi non rispetta i precetti imposti viene imprigionato, castigato e frustato, e in caso di adulterio e fornicazione scatta la condanna a morte.
C’è poi la Brigata di Al Khanssa per le missioni speciali: controllare e perquisire le donne, e accertare che siano accompagnate da un tutor della propria famiglia e che in ogni caso portino il velo completo.

La pattuglia femminile gira nelle strade e richiama a tornare sulla retta via le donne senza velo: “Copriti infedele! Dove il tuo niqab miscredente?"
Questo gruppo di donne velate ed armate, spesso non siriane provenienti da altri Paesi arabi e islamici, è stato formato per prevenire attentati di donne kamikaze, rivali dell’ISIS. E’ in atto infatti una lotta aperta tra i diversi gruppi e le brigate dei ribelli.

Per i siriani cristiani la situazione è gravissima. Sotto gli attacchi degli estremisti, tante famiglie cristiane hanno dovuto lasciare la propria abitazione, sfollare in altre zone più tranquille.
Quelli che avevano più mezzi economici hanno abbandonato il paese, e sono emigrati in Libano ed Europa.
Altri, più numerosi, hanno deciso di resistere e restare in Siria, correndo rischi enormi.
Quelli che vivono nelle aeree controllate dai ribelli sono segregati e costretti a una vita disumana.
Quelli che vivono nelle zone sotto il controllo dell'esercito siriano vengono presi di mira dai terroristi. 
Il timore più grande è quello che non ci saranno più cristiani in Siria. 



http://www.zenit.org/it/articles/raqaa-l-inferno-dei-cristiani-nella-citta-di-al-qaeda

martedì 4 febbraio 2014

Così Putin e Obama possono risparmiarci l'ipocrisia di una Ginevra3


Si è svolto ieri a Roma  l’Incontro Internazionale sulla crisi siriana, convocato dal ministro Emma Bonino, secondo la quale l'Italia spinge per «approvare una risoluzione delle Nazioni Unite che garantisca l’accesso incondizionato agli aiuti umanitari».
La situazione umanitaria è drammatica a Homs, come anche ad Aleppo, ad Adra, a Yarmuk …  : chi impedisce che in queste localita’ I CIVILI siano soccorsi, e perche’ ?
E, nonostante  le dichiarate iniziative umanitarie,  il Congresso USA vota il rifornimento di “armi non letali” ( sistemi radar, armi leggere, missili anti-carro ma non missili terra-aria ) ai gruppi militanti ribelli,  in Giordania giunge un aereo USA carico di armi “letali” destinate alle brigate islamiste; e mentre i convogli  governativi siriani trasportano le armi chimiche al porto di Latakia per lo smaltimento, sono attaccati dai ribelli …


da: Il Sussidiario 
di Robi Ronza  

Dopo una settimana di scambi di accuse e di recriminazioni da una parte e  dall'altra, i negoziati per la pace in Siria noti come "Ginevra 2" si sono  conclusi con un nulla di fatto nella città svizzera da cui prendevano nome.
Eravamo stati purtroppo facili profeti quando, commentandone l'inizio, avevamo  scritto che, salvo miracoli, avrebbero potuto solo fallire. Benché Lakhdar  Brahimi, regista dell'incontro a nome del Segretario generale dell'Onu,  pretendendo che comunque qualche "base comune" sia emersa durante i colloqui,  sia uscito a dire che una nuova sessione dei negoziati è in programma con inizio  il 10 febbraio prossimo, non si vede a che cosa potrà servire.

Non si andrà  comunque da nessuna parte se si continuerà ad esigere che da un lato l'Iran non  vi sia ammesso, e dall'altro che la delegazione di Assad sottoscriva l'uscita di  scena dello stesso Assad quale parte essenziale di qualsiasi possibile soluzione  della crisi.
Diciamo ancora una volta che il negoziato ha senso soltanto se al tavolo ci sono  tutti, e se a tutte le parti in causa non si chiede altro che la tregua dei  combattimenti. Qualcuno potrebbe domandarsi se una tregua generale sia possibile  anche in un conflitto aggrovigliato e convulso come quello in corso in Siria.
Sembra difficile se la si pensa a partire dall'eventuale buona volontà degli armati che si fronteggiano in prima linea, non foss'altro perché questa prima  linea è spesso difficile da demarcare. Diventa invece malgrado tutto molto  facile se si tiene conto che siamo di fronte a una guerra fatta con armi e con  munizioni che nessuno in Siria è in grado di produrre e che quindi vengono tutte  dall'estero.
In particolare nel caso delle munizioni, che truppe poco o nulla addestrate  consumano molto rapidamente, per fermare gli scontri basta bloccarne il  rifornimento. Se il blocco viene fatto sul serio (il che dipende solo dalla  buona volontà o meno dei grandi produttori e fornitori di munizioni, ossia gli  Usa, la Russia e l'Unione Europea) in capo a qualche giorno la tregua è  garantita.
Una volta che le armi tacciono e che ognuno resta fermo dove è,  allora può avere senso tornare sulle placide rive del lago di Ginevra a  discutere, ovviamente a patto che non si pretenda di ripetere il doppio errore  che ha fatto fallire la prima sessione dei negoziati.

Ora, che dopo due anni di una tale guerra civile non si possa tornare come se niente fosse allo status quo ante è cosa tanto ragionevole quanto ovvia.
Altrettanto ragionevole e ovvio è però che alla pace si può tornare in Siria  soltanto se da nessuno si pretende che il prezzo della pace sia l'eliminazione  sua e lo sterminio dei suoi.

Ciò fermo restando occorre poi garantire la messa in moto di un processo di ricostruzione economica e sociale del paese che renda la pace non sono umanamente auspicabile ma anche materialmente vantaggiosa. Non bisogna mai  dimenticare infatti che in situazioni del genere la guerra diventa anche per  molti un modo di vivere. A tutti costoro − che con la pace per così dire perdono  il posto − occorre anche offrire concrete alternative, se non si vuole che si  oppongano alla pacificazione con quel che resta loro in mano, ossia le armi e  gli esplosivi. In particolare di questi ultimi ne bastano pochi per preparare  auto-bomba, quante ne bastano per rendere un dopoguerra fragile e instabile per  anni.

Se si vuole davvero la pace, anche di tutto questo ci si deve occupare  quando ci si riunisce a discuterne in grandi e confortevoli alberghi sulle rive  del lago di Ginevra.

domenica 2 febbraio 2014

Richiesta di preghiera per la Valle dei Cristiani




A che cosa è servita Ginevra2 ? 
Noi siriani (cristiani compresi) abbiamo avuto una grande speranza in Ginevra2, perchè siamo veramente stanchi. Stanchi di vedere sangue, sentire storie angoscianti, ma purtroppo questa speranza è completamente sparita, quando l’America- e prima che finisse Ginevra2 !!-  ha dato la via libera ad armare i ribelli cosiddetti moderati . * Gli stessi ribelli moderati di cui parla l’America hanno subito accolto la decisione Americana, e le loro basi militari che si trovano al confine siro-libanese sulla fascia nord del Libano (Wady Khaled e Irsal) ( io parlo di vere basi militari , con carri armati, attrezzi per scavare sotto terra, perchè sono ben coperti politicamente dal partito libanese filo saudita Almustakbal) , hanno cominciato a mandare i loro uomini . Ne sono arrivati da tutto il mondo (Egiziani, Libici, Libanesi, tunisini, Sauditi…) ad infiltrarsi nei terreni siriani dalla parte nord-ovest di Homs. Sfruttando il fatto che i villaggi in quella zona di confine sono difficili da controllare (per la struttura del terreno), hanno attaccato un blocco militare che si trova vicino al villaggio del Krac dei Cavalieri (Zara) ed hanno tagliato la testa a 7 soldati dell'esercito regolare, e cosi è scoppiata di nuovo una battaglia in quella zona. Merita dire che quella zona era rimasta tranquilla dopo che vi erano state delle riconciliazioni tra il governo e i ribelli siriani. E io stesso sono testimone di una bella riconciliazione che c'è stata a Talkalakh che era considerata la grande base dei combattenti e che forniva armi ai ribelli Salafiti che si trovano tuttora insediati nel villaggio del Krac. Sono in corso delle battaglie furibonde tra i militari regolari contro i ribelli, una volta avanzano i militari, poi riprendono terreno i ribelli, poi di nuovo i militari, ecc… : ma la popolazione della Valle dei Cristiani è in grave pericolo! I ribelli , oltre ad essere ben armati (carri, missili), appena sono alle strette scappano velocemente in Libano per organizzarsi per poi attaccare di nuovo per il Jihad.    
 Per questo l’esercito regolare si sta preparando a colpire la città di Yabrud (dove c'è l’Emiro Islamico) dove le 12 suore di Maalula sono state portate come ostaggi. Madre Marie Agnes , in una intervista radiofonica, ha dichiarato che i rapitori delle Monache sono entrati in contatto con lei, domandando che a Yaboud sia inviato del pane: Madre Agnese ha compreso che le Suore sono ancora in vita ma che la loro situazione umanitaria è tragica a motivo del protrarsi del loro sequestro.
Allora la mia amara risposta alla domanda sopra detta è:  la Ginevra2 è servita ad armare in modo lecito e chiaro i fanatici ribelli che combattono in Siria, è servita a dare più legna all’inferno siriano, è servita a fare cadere più vittime.
Samaan Daoud
 * vedi: http://www.examiner.com/article/congress-ships-more-weapons-to-syrian-rebels


Perchè a Homs non si raggiunge un accordo umanitario?

HOMS : quel che resta della Chiesa della Santa Cintura

(Zenit.org)  - di   Naman Tarcha | 


Le sorti della città di Homs sono la questione più urgente che la Conferenza di pace "Ginevra 2" sta affrontando in questi giorni. L’inviato dell’Onu, Al Ibrahimi, ha annunciato che, secondo i negoziati in corso, si intende liberare il centro storico dall’assedio. I civili sperano, i ribelli del Fronte Islamico intrappolati si consultano; al governo di Damasco tocca la decisione finale.


La delegazione del vertice siriano ha proposto di evacuare donne e bambini che vogliono uscire volontariamente senza condizioni, mentre per gli uomini è necessaria una lista di nomi per verificare che non ci siano terroristi combattenti tra loro.

Il Sindaco della città di Homs ha raccontato che da mesi sono in atto delle trattative in collaborazione con la Croce Rossa per aprire corridori umanitari ed evacuare i civili, ma i ribelli non permettono ai civili di uscire, e sparano sui convogli umanitari che si avvicinano alla zona.
Cosa succede davvero dentro questa città, assediata e completamente distrutta dai combattimenti? La vecchia Homs come viene chiamata (2300 A.C.) è composta da sette quartieri su una superfice di 16 chilometri quadrati. Si tratta di quartieri residenziali a maggioranza cristiana, circondata da zone ormai divise tra governativi e oppositori. Un giovane di Homs ha dichiarato a ZENIT: “Oggi non è rimasto nulla, il 90% del centro storico è andato completamente distrutto”.
Fino al 2012, la vecchia Homs era l’unica zona lontana dagli scontri armati perché i ribelli non erano ancora riusciti ad entrarvi. Poi il quartiere Bab Amor è stato occupato dai ribelli, sono arrivati i governativi e il quartiere cristiano Hamidye è diventato una zona di guerra. Dopo intensi combattimenti i governativi hanno preso il controllo del 70% della città. Rimangono però zone controllate dai ribelli e i combattimenti non hanno tregua.

Parte della città è invasa da centinaia di combattenti e da jihadisti di tutte le nazionalità. I residenti sono costretti con la forza ad abbandonare le loro abitazioni che vengono occupate o date alle fiamme. I Monasteri vengono distrutti e le Chiese saccheggiate. La sede episcopale della Chiesa Siro Cattolica è stata data alle fiamme, e una delle più antiche chiese in Oriente, dedicata alla Sacra Cintura della Madonna, è stata trasformata in una base dei ribelli.
Uno studente cristiano ha appena accompagnato la sua famiglia in Svezia dove chiederanno asilo. “Non mi è rimasto nessuno a Homs, sono tutti andati via - ha ammesso con tristezza a ZENIT - l’ultima rimasta è mia sorella che è scappata in seguito alle minacce dei ribelli”.

La Coalizione Nazionale dell’Opposizione sostiene che ci sono circa 1500 civili assediati, un gruppo di circa 320 famiglie. I numeri non sono certi, si presume che la maggior parte degli abitanti del quartiere cristiano siano già scappati rifugiandosi nelle zone limitrofe e nei villaggi sulle montagne nella provincia di Homs. La delegazione governativa sostiene di aver raccolto informazioni da funzionari dell’amministrazione locale ancora presenti nella città, da cui risulta che il numero dei civili sia molto più basso, non superando le 200 unità.
La Coalizione insiste per salvare i circa 400 ribelli del Fronte Islamico ancora presenti dentro la città. L’esercito siriano li ha assediati ed ha tagliato a loro tutte le vie di fuga, oltre a bloccare i tunnel scavati sotto terra per le forniture di cibo e il traffico di armi. I pochi civili rimasti sono in gravissime condizioni; i ribelli disperati intendono utilizzarli come scudi umani e come ostaggi, cercando di impedire l’avanzamento dell’esercito siriano.

Una preziosa testimonianza che ci arriva da Homs è quella di padre Franz Van Der Lugt, un gesuita olandese, in Siria dal 1966, psicoterapeuta impegnato nell’assistenza di bambini e adulti con problemi mentali.
Pére Franz, come viene chiamato dai siriani, è l’unico europeo rimasto dentro la città assediata. E’ chiuso nella scuola dei gesuiti a Bustan Al Diwan, insieme a circa 80 persone, una famiglia cristiana e alcune famiglie musulmane. Si è rifiutato di abbandonare i suoi concittadini e di essere evacuato senza avere con sé tutti i civili.
In un arabo perfetto Pére Franz ha lanciato un vigoroso appello: 
“Musulmani e cristiani, stiamo vivendo in condizioni difficili e dolorose, e soffriamo soprattutto la fame. Non accetto che stiamo morendo di fame, che stiamo annegando nel mare della fame, facendoci travolgere dalle onde della morte. Noi amiamo la vita, vogliamo vivere”.

http://www.zenit.org/it/articles/dalla-citta-di-homs-un-appello-amiamo-la-vita-vogliamo-vivere