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mercoledì 11 dicembre 2013

Damasco: l'ospedale italiano che resiste in guerra


Salesiani soccorrono feriti e aiutano famiglie in difficoltà

ANSAmed) - DAMASCO - Per arrivarci basta dire al tassista che si vuole andare dai "Telieni", gli italiani. E' qui, nel quartiere di Mazraa, che dal 1913, sotto la direzione delle suore salesiane, opera l'Ospedale Italiano di Damasco. Un centro chirurgico dove sono stati curati profughi palestinesi, iracheni e semplici cittadini siriani e che da due anni soccorre gratuitamente i feriti dei bombardamenti e delle autobomba che colpiscono la capitale.

"Ci sono stati giorni in cui sono arrivati 30 feriti, li abbiamo sistemati anche nei corridoi, dandoci da fare tutti come potevamo, medici, infermieri e suore", racconta la madre superiora, Annamaria Scarsella, trasferita in Siria nel 2011 dopo 41 anni passati nelle scuole e nelle missioni del Messico, compresa la regione del Chiapas. 
Fuori di tanto in tanto si sente il rumore delle cannonate che partono dalle postazioni governative verso i sobborghi ribelli, che a loro volta colpiscono quasi quotidianamente il centro della capitale con colpi di mortaio e razzi. Uno di questi ha centrato  la nunziatura apostolica, distante un paio di chilometri da qui, senza provocare feriti. Ma su altri quartieri periferici abitati da cristiani i bombardamenti sono continui. Come quello di Jaramana, nel sud della città, dove dall'inizio del conflitto sono caduti 2.800 obici. 

A raccontare la storia dell'ospedale, ospitato con i suoi 55 posti letto e 70 medici in un edificio vecchio ma ordinato, è una suora siriana, Widad Abiad, che lo conosce da quando aveva 13 anni, avendo frequentato la scuola salesiana annessa prima che questa fosse nazionalizzata, nel 1967. "Quest'anno è il centenario del nosocomio, fondato dall'egittologo Ernesto Schiapparelli. Durante la Seconda Guerra Mondiale è stato occupato dai britannici, ed è rimasta solo una suora a fare la guardiana. Poi l'attività è ripresa". 
L'ospedale è oggi un punto di riferimento per la popolazione, nella tempesta che scuote la capitale. Così come il vicino oratorio e centro catechistico dei Salesiani, frequentato da 200 bambini e 300 giovani, che cura anche la distribuzione di cibo per famiglie in difficoltà, attività di aiuto psicologico e corsi di formazione e sostegno scolastico.
 "Accogliamo ragazzi cristiani di qualsiasi rito", sottolinea il responsabile, il prete venezuelano Alejandro Josè Leon. Con i suoi 34 anni, il maglione, i jeans, il fisico atletico e i modi rilassati, non è molto diverso dai ragazzi più grandi della comunità che giocano a calcetto in cortile. Abu ("padre" in arabo) Alejandro ha passato due anni ad apprendere l'arabo in Egitto e poi ha studiato cinque anni in Italia, continuando ogni estate a venire a Damasco o Aleppo a lavorare. Da tre anni vive qui. 
Ad aiutarlo un aleppino di 29 anni, Munir Hanashi, appena ordinato sacerdote dopo cinque anni di studio a Torino. Un altro salesiano della comunità è Luciano Burati, 65 anni dei quali 25 passati a Qamishly, vicino alla frontiera con la Turchia, che ora gestisce una casa dell'ordine a Kafrun, nella provincia di Homs. Qui, nella Wadi al Nasara (La Valle dei Cristiani), sono ospitati 40 sfollati da Aleppo. 

"Le famiglie in difficoltà nella nostra comunità sono tante", dice padre Leon. "Molti impiegati nel turismo o nelle ambasciate europee che hanno chiuso hanno perso il lavoro. Tutto questo si aggiunge ai pericoli quotidiani. La maggior parte dei nostri ragazzi viene da quartieri popolari, in particolare Dweila e Jaramana. Ogni giorno dobbiamo valutare i rischi e decidere se mandare o meno i pullman a prenderli. Una volta è successo che un mortaio è caduto davanti e uno dietro a un nostro mezzo pieno di bambini".


 Eppure l'estate scorsa 150 ragazzi hanno celebrato con una festa la Giornata mondiale della gioventù. "Tutti - dice padre Alejandro - sono stati toccati dalla guerra. Chi ha avuto un cugino ucciso, chi un amico, chi un vicino. In questa situazione c'è chi dice: 'Se esiste Dio, come può permettere questo?'.
 Ma altri, che prima venivano all'oratorio solo per giocare, adesso mi dicono: 'Abu, ho capito, non c'è altro che Dio'. Tra i nostri giovani c'è una nuova fioritura di fede, c'è un ritorno di vita evangelica".

http://ansamed.ansa.it/ansamed/it/notizie/rubriche/cronaca/2013/11/06/Siria-ospedale-italiano-che-resiste-Damasco_9578325.html


Siria: attendiamo con coraggio l’alba di un nuovo giorno

da :“Aiuto alla Chiesa che Soffre” (ACS)

«È stato il giorno più difficile della mia vita e l’ho affrontato con coraggio, affidandomi completamente a Dio affinché mi suggerisse le parole da rivolgere ai miei fedeli». Così padre Firas Lufti, frate siriano appartenente alla Custodia di Terra Santa, ricorda quando ha celebrato i funerali di padre François Murad, il religioso ucciso in Siria lo scorso giugno.

Fra Firas racconta ad Aiuto alla Chiesa che Soffre i mesi trascorsi come parroco a Knayeh, nella valle dell’Oronte, quasi al confine con la Turchia. E ripercorre la giornata del 23 giugno, quando ha dovuto recarsi nel vicino villaggio di Ghassanieh per recuperare il corpo senza vita di padre François. «Alle sei di mattina alcuni fedeli hanno bussato alla mia porta per dirmi che il convento di Ghassanieh era stato bombardato e che François era morto. Il mio pensiero è andato immediatamente alle tre suore e all’altro religioso, padre Philippe, che abitavano nel convento di Sant’Antonio da Padova». Giunto sul posto Fra Firas capisce che non si è affatto trattato di un bombardamento, dal momento che l’esterno dell’edificio non aveva subito danni. L’interno della chiesa è stato invece devastato: i banchi e le statue distrutte, il tabernacolo aperto. All’ingresso del convento giace il cadavere di padre François, riverso nel suo sangue. «Ad ucciderlo non era stato un missile del governo come mi era stato detto, ma dei colpi di arma da fuoco». Accanto al corpo, tre uomini armati. Dal loro accento è facile dedurre che non sono siriani. «Mi hanno riferito anche di un ceceno presente nell’edificio che continuava ad inveire contro il povero padre François. Per fortuna non mi ha visto, altrimenti avrebbe potuto uccidere anche me».

In un’altra stanza del convento, al piano superiore, vi sono le tre suore del Rosario «terrorizzate e distrutte». Fortunatamente quel giorno Padre Philippe, il parroco, si trovava a Latakia e così la sua vita è stata risparmiata. La notizia della morte del religioso diffonde il terrore la piccola comunità cristiana locale.
«Anche se io stesso ne avevo bisogno – ricorda Fra Firas –ho cercato di infondere coraggio e di confortare i fedeli. Durante i funerali non è stato semplice trovare le parole giuste da dire, parole che non fossero interpretate come un messaggio in favore del governo o dei ribelli. Io non sto con nessuno, se non con il Signore e con i miei fratelli, che sono cittadini siriani e in quanto tali hanno diritto ad abitare queste terre e a vivere con dignità nel proprio paese».



La valle dell’Oronte è un’area controllata attualmente dai ribelli dopo la ritirata dell’esercito lealista. Delle tre parrocchie francescane situate nella regione, Ghassanieh vive la situazione più drammatica: qui si trovano molti miliziani qaedisti, per lo più stranieri, provenienti dall’Afghanistan e dalla Cecenia. A Jacoubieh vi sono invece una quarantina di gruppi ribelli, composti in maggioranza da siriani e spesso in lotta fra loro. quella di Knayeh è invece una zona controllata per lo più dall’esercito siriano libero, sebbene anche qui non mancano «elementi fanatici che desiderano imporre la sharia». 
«Quando sono arrivato a Knayeh lo scorso aprile – afferma il frate – ho trovato una situazione terribile. Quasi ogni notte ero costretto ad uscire per controllare se qualcuno era rimasto ferito o ucciso dai missili che cadevano ripetutamente sul villaggio». Sono circa trecento i cristiani che hanno scelto di rimanere nel piccolo paese anche dopo la ritirata dell’esercito siriano ufficiale. «Sono persone che non hanno voluto schierarsi, eppure il governo li considera complici dei terroristi e i ribelli ritengono che, in quanto cristiani, siano legati al regime. Peraltro quando i gruppi dell’opposizione hanno bisogno di soldi, rapiscono proprio i cristiani». Gli abitanti del villaggio non hanno più di che vivere: in molti hanno perso il lavoro e i contadini sono stati derubati del loro raccolto.

Fortunatamente le famiglie povere possono contare sulla solidarietà del convento francescano di San Giuseppe. Ogni mese i frati donano farina, riso e zucchero e offrono ospitalità a chiunque ne abbia bisogno, di qualunque fede. «Il nostro convento ha perfino ospitato alauiti e sunniti insieme, rendendo possibile la loro riconciliazione». In molti giungono a Knayeh anche per le amorevoli cure di Suor Patrizia, religiosa italiana del Sacro Cuore Immacolato di Maria. «Nonostante la mancanza di medicine e le terribili condizioni psicologiche nelle quali vive, Suor Patrizia ha deciso di rimanere in Siria per curare le malattie e asciugare le lacrime di chiunque abbia bisogno del suo aiuto. Tanti musulmani percorrono svariati chilometri per farsi curare da lei, perché sono convinti che la sua mano sia benedetta».

Pensando al futuro del suo paese, Fra Firas crede che la pace possa essere raggiunta attraverso il concreto impegno di tutte le parti coinvolte: non soltanto il regime e l’opposizione, ma anche tutti i soggetti internazionali che sostengono e finanziano l’una o l’altra fazione.

Un’opportunità potrebbe essere rappresentata dalla possibile conferenza di Ginevra, che proprio in queste ore è stata ulteriormente posticipata.

«In Siria si combatte una guerra mondiale a spese di cittadini innocenti. Ogni giorno questa causa maggior dolore, amarezza, morti e distruzione, ma non dobbiamo perdere la fiducia nel futuro. Ecco cosa ho imparato dai mesi trascorsi a Knayeh: dobbiamo continuare a sperare e ad attendere con coraggio l’alba di un nuovo giorno».

http://acs-italia.org/notizie-dal-mondo/siria-attendiamo-con-coraggio-lalba-di-un-nuovo-giorno/#.Unz9XG1d7wo

10 dicembre 13 : bufera di neve si abbatte su gran parte della Siria.... è iniziato un terribile, rigido inverno,
non dimenticatevi di noi !













martedì 10 dicembre 2013

Premio Pulitzer rivela: sul gas sarin Obama manipolo' intelligence

La denuncia arriva da uno dei piu' noti giornalisti investigativi statunitensi, il premio Pulitzer Seymour Hersh. In un lungo articolo pubblicato dalla London Review of Books, il giornalista ha accusato il governo americano di "deliberata manipolazione" delle notizie di intelligence sulle armi chimiche in Siria .



Whose sarin?

Seymour M. Hersh




Seymour Hersh : " Obama e il gas siriano. 'Nessuna prova sull’attacco di Assad' "


La Repubblica- 10 dicembre 2013



Barack Obama non ha raccontato tutta la storia quando ha cercato di sostenere che Bashar al-Assad era il responsabile dell’attacco chimico compiuto nei pressi di Damasco il 21 agosto. In alcuni casi ha omesso importanti informazioni di intelligence, in altri ha presentato semplici ipotesi come se fossero fatti. Soprattutto non ha ammesso una cosa nota ai suoi servizi segreti, e cioè che non è solo l’esercito siriano ad avere accesso al sarin (il gas nervino che è stato usato nell’attacco, secondo quanto accertato dall’Onu), nella guerra civile in corso nel Paese mediorientale. Nei mesi precedenti, le agenzie di intelligence americane hanno prodotto una serie di rapporti altamente riservati contenenti prove che il Fronte Al Nusra, un gruppo jihadista affiliato ad Al Qaeda, possedeva le competenze tecniche per creare il sarin ed era in grado di fabbricarne in abbondanza. Al momento dell’attacco, Al Nusra avrebbe dovuto essere fra i sospettati, ma l’amministrazione Obama ha scelto solo le informazioni che servivano per giustificare un attacco contro Assad.


Nel suo discorso televisivo del 10 settembre, Obama ha accusato con forza il governo di Assad dell’attacco chimico contro il sobborgo di Ghouta Est, controllato dai ribelli. Il presidente citò un elenco di prove apparenti della colpevolezza di Assad. «Nessuno, tra quelli con cui ho parlato, dubita delle informazioni», ribadì il suo capo di gabinetto, Denis McDonough. Tuttavia, parlando recentemente con ufficiali e consulenti dei servizi segreti e delle forze armate, in pensione e non, ho riscontrato serie preoccupazioni, e occasionalmente anche rabbia, per quella che è stata vista da più parti come una deliberata manipolazione dei servizi segreti. Un ufficiale di alto livello dell’intelligence, in un’email spedita a un collega, ha definito le assicurazioni dell’amministrazione Obama sulla colpevolezza di Assad una «furberia ». L’attacco, ha scritto l’ufficiale, «non è stato il risultato del regime al potere». Un ex alto funzionario dei servizi segreti mi ha detto che l’amministrazione Obama aveva alterato tempi e sequenza delle informazioni disponibili per consentire al presidente e ai suoi collaboratori di far sembrare che informazioni ottenute giorni dopo l’attacco fossero state raccolte e analizzate in tempo reale, mentre l’attacco era in corso.
L’assenza di un allarme immediato all’interno dei servizi di intelligence americani dimostra che i servizi segreti non avevano nessuna informazione sulle intenzioni siriane nei giorni precedenti all’attacco. E ci sono almeno due modi in cui gli Usa avrebbero potuto venirne a conoscenza prima, entrambi accennati in uno dei documenti top secret divulgati nei mesi scorsi da Edward Snowden. Il 29 agosto, il Washington Post ha pubblicato estratti del budget annuale per tutti i programmi nazionali di intelligence, fornito da Snowden. C’era una sezione dedicata alle aree problematiche: una di queste era la lacuna di informazioni dall’ufficio di Assad. Nel documento si diceva che la Nsa non aveva più accesso alle conversazioni dei vertici delle forze armate siriane, che potevano includere comunicazioni fondamentali da parte di Assad, come gli ordini per un attacco chimico.

Gli estratti del Washington Post hanno fornito anche la prima indicazione di un sistema segreto di sensori all’interno della Siria per conoscere in anticipo qualsiasi cambiamento nella situazione dell’arsenale chimico del regime. I sensori sono monitorati dall’Nro (Ufficio nazionale di ricognizione), l’organismo che controlla tutti i satelliti dei servizi segreti americani. Secondo il riassunto del Washington Post, l’Nro ha anche il compito di «estrarre i dati provenienti dai sensori sul terreno », dislocati all’interno della Siria. Questi sensori forniscono un monitoraggio costante dei movimenti delle testate chimiche in mano all’esercito siriano, ma nei mesi e nei giorni prima del 21 agosto, dice sempre l’ex funzionario, non hanno riscontrato alcun movimento. È possibile, naturalmente, che il sarin sia stato fornito all’esercito siriano attraverso altri mezzi, ma non essendoci stato nessun preallarme le autorità americane non erano in grado di monitorare gli eventi a Ghouta Est nel momento in cui si stavano svolgendo.
La Casa Bianca ha avuto bisogno di nove giorni per mettere insieme le prove contro il governo siriano. Il 30 agosto ha invitato a Washington un gruppo selezionato di giornalisti e ha distribuito loro un documento che recava scritto in bell’evidenza «Valutazione del Governo» (e non dei servizi segreti). Il documento esponeva una tesi essenzialmente politica a sostegno della posizione della Casa Bianca contro Assad: i servizi segreti Usa sapevano che la Siria aveva cominciato a «preparare munizioni chimiche» tre giorni prima dell’attacco. È la versione degli eventi (falsa, ma che nessuno ha contestato) che ebbe ampia diffusione al momento.
Il Daily Mail fu drastico: «I rapporti dei servizi dicono che le autorità americane sapevano da tre giorni dell’attacco al gas nervino in Siria, in cui sono morte più di 1400 persone tra cui oltre 400 bambini».
Il documento diffuso dalla Casa Bianca e il discorso di Obama non erano descrizioni degli eventi specifici che avevano portato all’attacco del 21 agosto, ma un’esposizione della procedura che l’esercito siriano avrebbe seguito per qualunque attacco chimico.«Hanno messo insieme un antefatto », dice l’ex funzionario dei servizi, «con un mucchio di pezzi e parti differenti». 
È possibile, naturalmente, che Obama non fosse a conoscenza che quel resoconto era stato ricavato da un’analisi del protocollo dell’esercito siriano per eseguire un attacco chimico, invece che da prove dirette. In ogni caso, il risultato è stato un giudizio affrettato.

La stampa seguì l’esempio. Nel rapporto dell’Onu del 16 settembre, che confermava l’uso del sarin, gli ispettori furono attenti a sottolineare che il loro accesso al luogo dell’attacco, che avvenne cinque giorni dopo il 21 agosto, era avvenuto sotto il controllo delle forze ribelli. «Come per altri siti», metteva in guardia il rapporto, «i luoghi sono stati visitati da altri individui prima dell’arrivo della missione […] Nel periodo che abbiamo trascorso in questi siti sono arrivati individui che portavano con sé altre munizioni sospettate, segnale che potenziali prove di questo genere vengono spostate e forse manipolate». Eppure il New York Times, così come le autorità americane e britanniche, presero il rapporto degli ispettori e affermarono che forniva prove decisive a supporto delle tesi della Casa Bianca. In un allegato al rapporto dell’Onu erano riprodotte foto, prese da YouTube, di alcune munizioni recuperate, tra le quali un razzo che «corrisponde indicativamente» alle specifiche di un lanciarazzi da 330mm. Il New York Times scrisse che la presenza di quei razzi sostanzialmente era la prova che la responsabilità dell’attacco era del governo siriano, poiché «non risultava che la guerriglia fosse in possesso delle armi in questione ».
Theodore Postol, professore di tecnologia e sicurezza Nazionale al Mit, ha analizzato le foto dell’Onu insieme a un gruppo di suoi colleghi ed è giunto alla conclusione che quel razzo di grosso calibro era una munizione di fabbricazione artigianale, molto probabilmente realizzata localmente. Mi ha detto che era «qualcosa che si può produttore in un’officina modestamente attrezzata». Il razzo delle foto, ha aggiunto, non corrisponde alle specifiche di un razzo simile, ma più piccolo, a disposizione delle forze armate siriane.

La rappresentazione distorta, da parte della Casa Bianca, delle informazioni a sua disposizione sulle modalità e la tempistica dell’attacco, faceva il paio con la sua determinazione a ignorare le informazioni di intelligence che potevano contraddire quella versione. Queste informazioni riguardavano Al Nusra, il gruppo ribelle islamista designato dagli Stati Uniti e dall’Onu come organizzazione terroristica. Al-Nusra ha messo a segno decine di attentati suicidi contro cristiani e altre confessioni islamiche non sunnite all’interno della Siria, e ha attaccato l’Esercito libero siriano, nominalmente suo alleato nella guerra civile.
L’interesse degli americani per al-Nusra e il sarin originava da una serie di attacchi chimici su piccola scala realizzati a marzo e ad aprile. L’Onu alla fine era giunto alla conclusione che erano stati effettuati quattro attacchi di questo genere, ma senza essere in grado di indicare il responsabile. Un funzionario della Casa Bianca dichiarò alla stampa, a fine aprile, che i servizi segreti avevano valutato, «con un grado di sicurezza variabile», che gli attacchi erano opera del regime. Assad aveva varcato la «linea rossa» fissata da Obama. Quella valutazione fece notizia, ma furono tralasciate alcune precisazioni importanti. Il funzionario della Casa Bianca aveva ammesso che le valutazioni dei servizi segreti «non sono di per sé sufficienti». In altre parole, la Casa Bianca non aveva nessuna prova diretta di un coinvolgimento dell’esercito o del governo siriani. Le dichiarazioni aggressive di Obama fecero colpo sull’opinione pubblica e sul Congresso, che vedono Assad come un assassino spietato.
Due mesi dopo, la Casa Bianca cambiò registro e dichiarò che i servizi segreti ora avevano «un elevato grado di sicurezza» riguardo alla responsabilità del governo Assad per le 150 vittime degli attacchi con il sarin. I giornali tornarono a parlarne con grande enfasi e alla stampa venne raccontato che Obama, di fronte alle nuove informazioni, aveva ordinato di aumentare i rifornimenti (non letali) all’opposizione siriana. Anche in questo caso, però, c’erano delle precisazioni importanti: tra le nuove informazioni di intelligence c’era un rapporto in cui si diceva che gli attacchi erano stati pianificati ed eseguiti da esponenti del Governo siriano, senza fornire particolari. Questa dichiarazione contraddiceva le informazioni che in quel momento stavano affluendo agli organismi di intelligence statunitensi.
Il 20 giugno, un cablogramma top secret di quattro pagine, che riassumeva quello che era stato scoperto sul potenziale chimico di al-Nusra, fu inoltrato a David Shedd, vicedirettore della Dia (i servizi segreti militari). Era stato anche recuperato — con l’aiuto di un agente israeliano — un campione del sarin utilizzato, ma secondo il consulente di questo campione nei cablogrammi non si è più parlato.

Sia in pubblico che in privato, dopo il 21 agosto l’amministrazione Obama ha ignorato le informazioni disponibili sul potenziale accesso al sarin di al-Nusra e ha continuato a sostenere che il Governo di Assad era l’unico a disporre di armi chimiche.
Il proposto attacco missilistico americano contro la Siria non ha mai trovato consenso nell’opinione pubblica e Obama si è affrettato a ripiegare sulla proposta dell’Onu e della Russia per lo smantellamento dell’arsenale chimico siriano. Le possibilità di un’azione militare sono tramontate definitivamente il 26 settembre, quando la Casa Bianca ha approvato insieme alla Russia una bozza di risoluzione Onu che esortava il Governo di Assad a sbarazzarsi del suo arsenale chimico.
La risoluzione, adottata il 27 settembre dal Consiglio di sicurezza, diceva indirettamente che anche le forze ribelli, come al-Nusra, avrebbero dovuto disarmare, e affermava che nel caso un «attore non statale» fosse entrato in possesso di armi chimiche, il Consiglio di sicurezza avrebbe dovuto essere immediatamente informato. Non era citato esplicitamente nessun gruppo.

Mentre il regime siriano prosegue con l’eliminazione del suo arsenale chimico, il paradosso è che al-Nusra e i suoi alleati islamisti, una volta distrutte le riserve di agenti precursori in possesso del regime, potrebbero finire per essere l’unica fazione in Siria ad avere accesso agli ingredienti per fabbricare il sarin, un’arma strategica unica in zona di guerra.


Queste e altre manipolazioni delle realtà hanno portato il mondo sull’orlo di una nuova guerra mondiale. Obama, alla fine ci ha ripensato, e oggi sta cercando, insieme a John Kerry, una soluzione diplomatica alla guerra (la distensione con Teheran sul nucleare va vista anche in questa ottica). E questo oggi conta più del pregresso. Altri, sia negli Usa come in Europa, insistono sulle loro posizioni intransigenti, allora giunte al parossismo, ostacolando i tentativi di pacificazione. E la fabbrica della manipolazione che lavora attorno a questa guerra è ancora in servizio attivo. L’inchiesta di Hersch ne ha rivelato solo la punta dell’iceberg.Piace terminare questa lunga nota – ce ne scusiamo ma valeva la pena di dare spazio alla cosa, articoli del genere si leggono una volta ogni dieci anni – accennando alla statura umana del cronista in questione. Il suo articolo ha suscitato reazioni forti negli Usa. Alle quali ha risposto: «Rispetto a questioni tanto gravi» i miei «travagli» di giornalista «sono davvero poca cosa». 
Coraggio, intelligenza e modestia, forse mai premio Pulitzer fu più meritato.
http://www.piccolenote.it/16088/lattacco-chimico-di-goutha-in-siria-le-manipolazioni-che-potevano-scatenare-una-nuova-guerra 
Queste e altre manipolazioni delle realtà hanno portato il mondo sull’orlo di una nuova guerra mondiale. Obama, alla fine ci ha ripensato, e oggi sta cercando, insieme a John Kerry, una soluzione diplomatica alla guerra (la distensione con Teheran sul nucleare va vista anche in questa ottica). E questo oggi conta più del pregresso. Altri, sia negli Usa come in Europa, insistono sulle loro posizioni intransigenti, allora giunte al parossismo, ostacolando i tentativi di pacificazione. E la fabbrica della manipolazione che lavora attorno a questa guerra è ancora in servizio attivo. L’inchiesta di Hersch ne ha rivelato solo la punta dell’iceberg.
Piace terminare questa lunga nota – ce ne scusiamo ma valeva la pena di dare spazio alla cosa, articoli del genere si leggono una volta ogni dieci anni – accennando alla statura umana del cronista in questione. Il suo articolo ha suscitato reazioni forti negli Usa. Alle quali ha risposto: «Rispetto a questioni tanto gravi» i miei «travagli» di giornalista «sono davvero poca cosa». Coraggio, intelligenza e modestia, forse mai premio Pulitzer fu più meritato.

venerdì 6 dicembre 2013

Monache di Maaloula: perchè colpire la presenza di religiose inermi?

Le Monache di Santa Tecla in "confortevole ospitalità" ....


Siria: brigate ribelli Qalamoon rivendicano rapimento 12 suore Maalula
Beirut, 6 dic. - (Adnkronos/Aki) - Un gruppo ribelle siriano che si fa chiamare Brigate Qalamoun Libero ha rivendicato il rapimento delle 12 suore prelevate lunedi' scorso dal villaggio cristiano di Maalula. Al quotidiano pan-arabo Asharq al-Awsat, il portavoce del gruppo, Mohannad Abu al-Fidaa, ha detto che "le suore sono in un luogo sicuro, ma non saranno rilasciate finche' non saranno accolte alcune richieste, prima tra tutte il rilascio di mille donne siriane rinchiuse nelle prigioni del paese".






Le prime immagini delle Monache "ospiti " dei miliziani ribelli nell'intervista realizzata dalla TV  'al Jazeera' 

Perchè proprio il canale al Jazeera trasmette questa intervista con le suore rapite?
Perchè in essa le suore dicono che non sono state rapite, ma sono ospiti, e vengono trattate bene? perchè dicono che loro hanno voluto andare via?
secondo voi le suore non sono costrette a dire tutto questo, sapendo che a nessun costo loro non hanno mai voluto lasciare il monastero? E  perchè questi armati hanno portato le suore a Yabrud? cosa vuole dire ospiti? Se fossero ospiti perchè allora chiedono al governo siriano di liberare 1000 donne che si trovano nelle prigioni del regime? l'ospite non ha il diritto di andare quando vuole? 
Perchè le suore non indossano la croce nell'incontro, forse perchè i ribelli non sopportano vedere la croce? insomma che intervista falsa é questa? 
Perchè i ribelli usano i nostri religiosi in questa guerra? che colpa hanno fatto i religiosi cristiani, forse perchè chiamano alla pace, riconciliazione, amore, perdono, e dialogo, che sono parole non vanno bene per lo scopo che i ribelli fanatici sono venuti a realizzare.
 Non e' giusto rapire  suore che non hanno niente in questa faccenda, per chiedere riscatto di qualsiasi tipo. E non sappiamo quali donne stanno chiedendo in cambio, ci sono pure delle donne che hanno usato mortai contro la nostra zona cristiana, ci sono pure donne che portano armi e combattono contro il popolo siriano.
Ora che capisca il mondo, soprattutto l'occidente, che in Siria c'è una vera guerra contro il terrorismo e contro il fanatismo.
Ora che capisca il mondo quali Paesi aiutano e finanziano questi fanatici Waaabiti, Salafiti, e Qaidisti!
 
Samaan Daoud 

Terroristi e jihadisti stranieri stanno cercando di distruggere lo Stato siriano con la violenza. 

La testimonianza di una parlamentare siriana



Radio Vaticana, 8 dicembre 2013 
( a cura di Luca Collodi) 

  ascolta l' intervista audio :


La guerra dipinta dalla maggior parte dei media occidentali come uno scontro tra il popolo siriano e il governo non esiste. Non è così, non sta succedendo niente di tutto ciò". A parlare è Maria Saadeh, architetto, deputata cristiana del Parlamento siriano eletta come indipendente nel Parlamento siriano nel 2012. 
"Sono venuta in Italia per spiegare che in Siria è in atto una guerra contro lo Stato, non contro il governo. Per distruggerlo, paesi stranieri fomentano il conflitto sociale, etnico e religioso". 
"Bisogna capire che lo Stato siriano e il regime sono due cose diverse. Non essere d’accordo con il regime non significa smettere di sostenere lo Stato. Lo Stato siriano infatti garantisce l’esistenza e la sicurezza della società, dei cristiani, dei musulmani, del popolo. Se lo Stato viene distrutto, tutto piomberà nel caos. La comunità internazionale deve rispettare la nostra sovranità e il nostro diritto a scegliere da chi vogliamo essere rappresentati come popolo siriano. Non vogliamo interventi stranieri". 
"Perché quello che sta succedendo ora in Siria è pilotato da Stati come Qatar, Arabia Saudita e Turchia che inviano nel nostro paese uomini, armi e soldi con cui finanziano terroristi che imbracciano la religione come arma politica". 
"I ribelli per la prima volta hanno cominciato ad attaccare le scuole, soprattutto quelle dei quartieri cristiani. Io non so perché lo fanno ma noi chiediamo alla comunità internazionale, all’Onu e al mondo di tenere la guerra lontana dai nostri bambini. Lo Stato oggi ci protegge anche da questo". 
"Se i cristiani sono attaccati è perché i terroristi vogliono sgretolare il tessuto connettivo della società siriana e distruggere lo Stato, non il governo. I cristiani sono sempre stati protetti dallo Stato. La Siria non solo è l’unico paese della regione che rispetta i cristiani, ma li considera anche la base della società e della sua storia e non permetterà che se ne vadano via. Per proteggere la società, e quindi garantire l’esistenza di noi cristiani, ora abbiamo bisogno di fermare i terroristi". 

Fermare il massacro  di Maalula  priorità internazionale


Messo a ferro e fuoco dai terroristi islamici il villaggio dove sono state rapite le religiose greco ortodosse del monastero di Santa Tecla.

Maria Saadeh, deputata cristiana di Damasco: "Le forze internazionali prima devono fermare le violenze terroristiche. Al resto penserà il popolo siriano".
 E ancora: "Il rispetto della sovranità siriana è la linea rossa oltre cui non si può andare"


“Maalula è un patrimonio e un simbolo mondiale della cristianità. È l’unico posto al mondo dove si parla l’aramaico, la lingua di Gesù. La città è stata messa a ferro e fuoco e 160 abitazioni completamente distrutte dai terroristi islamici che hanno rapito alcune monache. È in atto un vero massacro. Tutto il popolo siriano leva oggi la sua voce per chiedere di salvare questo patrimonio mondiale e di essere liberato dai terroristi”. 
Le prime parole di Maria Saadeh, trentanove anni, deputata cristiana di Damasco, sono tutte per il villaggio cristiano di Maalula, a 60 chilometri a nord della capitale e per il dramma delle religiose greco-ortodosse del monastero di Santa Tecla. Per loro Papa Francesco ha chiesto la preghiera delle migliaia di persone che ieri hanno partecipato all’udienza del mercoledì. 
Eletta lo scorso anno come indipendente al Parlamento, Saadeh spiega al Sir la sua “terza via” per uscire dalla guerra che ha provocato oltre 100mila morti e milioni tra sfollati e rifugiati. Si tratta, cioè, di superare lo schema della politica internazionale che non lascia alternative: o l’appoggio incondizionato ai ribelli o la delegittimazione di Bashar al Assad. Per la deputata cristiana è giunto il momento del dialogo, a patto che la comunità internazionale riesca a ottenere un cessate-il-fuoco tra le parti.



Il Nunzio Zenari: LA GENTE NON VUOLE QUESTA GUERRA 


D. - In questo momento un po’ tutte le Chiese della regione si sono espresse sulla vicenda delle suore. In generale qual è la speranza della Chiesa per il futuro della Siria?

R. - Il fatto che queste monache siano state obbligate con la forza, con le armi in pugno, ad uscire dal monastero, nel quale avevano deciso di rimanere per dare una testimonianza in questo antico villaggio cristiano, che è una perla per tutti i siriani e non solo per i cristiani, naturalmente è stato appreso con tanta tristezza. Se questo poi si mette anche nel contesto di certi altri gesti compiuti nelle ultime settimane, in cui sembra che i cristiani siano stati presi particolarmente di mira da certi gruppi estremisti, fa aumentare ancora l’inquietudine e il dolore e non solo per la comunità cristiana: da quello che vedo, c’è una forte reazione da parte di tutti i siriani, a qualsiasi religione e a qualsiasi credo appartengano, e da parte delle autorità. I siriani non pensavano che questo conflitto potesse arrivare a questo punto. Devo anche precisare che in Siria c’è sempre stata una coabitazione esemplare fra le diverse fedi, i diversi credi. Generalmente, da quello che si sa, sono elementi esterni alla Siria quelli che compiono gesti di profanazione di luoghi sacri, di chiese…

D. - Questa reazione così forte anche dei siriani che significato ha?

R. - Direi che questa guerra non la vuole - io credo - nessuno in Siria. Almeno così come è andata via via mostrandosi. Perché i siriani sono per una nuova Siria, più democratica, più rispettosa delle libertà fondamentali e dei diritti umani e non per una Siria che alcuni gruppi estremisti vorrebbero proporre. Direi che fa presa vedere questa reazione, di persone che dicono: da questa strada, con questi metodi non si va nessuna parte.

Testo proveniente dalla pagina

http://it.radiovaticana.va/news/2013/12/05/monache_rapite_in_siria,_mons._zenari:_tristezza_in_tutti,_la_gente/it1-752987  

giovedì 5 dicembre 2013

Conferenza stampa Patriarca Yazigi: 'sospendiamo la nostra visita nel Golfo dopo il sequestro delle Suore di Maloula'.



Conferenza stampa tenutasi oggi , 5 Dicembre 2013 , da Sua Beatitudine il Patriarca Giovanni X di Antiochia  Primate della Chiesa greco-ortodossa di Antiochia e di tutto l'Oriente per discutere le ultime vicende legate al rapimento di alcune monache ortodosse e orfanelle del convento patriarcale greco-ortodosso  di Santa Tecla  Maaloula  , che si è verificato il Lunedi 2 dicembre 2013

 "Nel mezzo delle tragedie , ha detto il Patriarca,  che avvolgono la Siria e dell'emorragia umana che colpisce il nostro popolo , ma anche dell'ambiguità che continua ad aleggiare sul destino dei nostri due vescovi di Aleppo , Jean ( IBRAHIM ) e Paul ( Yazigi ) , il nostro Patriarcato di Antiochia e di tutto l'Oriente ha accolto con grandissimo dolore la notizia della detenzione dei nostri figli , le suore e le orfanelle del monastero di Santa Tecla in Maaloula, lunedi 2 dicembre 2013 e del loro trasferimento fuori del loro monastero, in Yabroud . Dato che i primi tentativi di far liberare i nostri figli  prigionieri non hanno portato al risultato desiderato , il Patriarcato Greco Ortodosso di Antiochia e di tutto l'Oriente lancia un appello urgente e rivolto  alla comunità internazionale e a tutti i governi per intervenire e compiere gli sforzi necessari per fare liberare le nostre sorelle , illese . Allo stesso modo , ha proseguito il Patriarca Giovanni , ci appelliamo alla coscienza di tutta l'umanità e ad ogni coscienza vivente che il Creatore ha posto nel cuore dei suoi figli , compresi quelli responsabili del rapimento , per far liberare le nostre suore e i nostri orfani . Facciamo appello alla comunità internazionale e, pur ringraziando tutte le espressioni di solidarietà , diciamo che non abbiamo più bisogno di disapprovazione , condanna o espressioni di preoccupazione per quanto riguarda gli eventi attuali che minano la dignità della persona umana , in quanto questo è radicato nella coscienza di ognuno di noi :  ma abbiamo bisogno oggi   piuttosto di azioni concrete ed effettive e non di parole . Noi  non sollecitiamo i responsabili , sia a livello regionale o internazionale , in modo che innalzino la voce per condannare e disapprovare , ma chiediamo  i loro sforzi , le pressioni e le azioni che portino al rilascio di coloro , le suore , che non hanno avuto altro torto che volersi aggrappare al loro monastero e non volerlo lasciare .

 Ribadiamo di nuovo il nostro invito  per la cessazione della logica della lotta in Siria e sostituirla con la logica del dialogo pacifico e a non tergiversare per ritardare l' avvio del dialogo al solo fine di ottenere bottini sul  terreno,  perché la Siria sanguina e del suo sanguinamento è sanguinante il nostro cuore . Bisogna che il  mondo intero sappia che una goccia del sangue di un innocente versato su questa terra è più sacra e più preziosa di tutti gli slogan del mondo . Che il mondo intero  capisca anche che le campane delle nostre chiese , noi cristiani d'Oriente , che sono state poste sulle nostre chiese e che hanno rintoccato fin dagli albori del tempo , continueranno a suonare e a far sentire al mondo intero la voce il nostro amore e della nostra pace per l'altro , qualunque sia la sua religione . La durezza del tempo presente  non ci strapperà dalla nostra terra , perché essa costituisce il nostro essere , il nostro rifugio e un pezzo del nostro cuore .

 "A causa di queste circostanze , dunque - ha continuato il Patriarca Giovanni - in merito alla detenzione delle nostre sorelle , suore e  orfanelle di Maaloula , dichiariamo con rammarico che abbiamo deciso di sospendere la visita  patriarcale, ufficiale e pastorale , ai nostri figli e alle nostre parrocchie nei paesi arabi del Golfo , che era stato programmato  avesse luogo tra il 6 e il 17 dicembre 2013 , e abbiamo deciso di andare a Damasco per monitorare tutti gli sforzi e i contatti relativi a questo ultimo evento ( rapimento delle nostre sorelle ) .

 Da questo luogo , saluto tutti i fedeli nella regione del Golfo arabo e  tutti e tutte coloro che hanno dato tanto e indefessamente per preparare il programma della visita menzionata, nella speranza che la mia visita presso di loro possa essere realizzata  alla prima occasione al più presto . E a voi , i nostri figli nella regione del Golfo arabo , posso dire che avevo un desiderio ardente di ritrovare domani i vostri visi  buoni e generosi e cari al mio cuore  , ma vi prego di accettare le mie scuse per la sospensione della visita per la quale avevate già preparato tutte le disposizioni per avere successo. Io vi invio in ogni caso la mia benedizione e il mio augurio per una buona salute e successo .

 Possa Dio proteggere la Siria e il Libano e l'Oriente , e la persona umana di questo Oriente .
Molte grazie ai media per aver fatto ascoltare il dolore di Antiochia , ma anche la sua speranza nel mondo . "

     ( traduzione FMG)
Antiochpatriarchate.org


«Stati influenti  non vogliono la pace in Medio Oriente»



Avvenire - 25 novembre 2013
intervista di Salvatore Mazza

«Purtroppo niente e cambiato». I cristiani «continuano a lasciare la loro terra», sotto la pressione della guerra e degli «attacchi non giustificati» rivolti contro di loro. Tutto questo perché «gli Stati influenti non vogliono la pace», mentre «si acuisce il conflitto tra sunniti e sciiti». È un quadro della situazione molto preoccupato quello che il cardinale libanese Bechara Rai, patriarca di Antiochia dei Maroniti, traccia della situazione attuale in Medio Oriente, all’indomani dell’incontro di tutti i Patriarchi orientali col Papa.

A poco più di un anno dalla visita di Benedetto XVI in Libano, la realtà in tutto il Medio Oriente sembra ancora più difficile. E pochi giorni fa, tra l’altro, la "novità" di un attentato diretto contro l’Iran. Che cosa è cambiato in questi mesi?
La visita di Benedetto XVI ha tracciato un cammino, e ha dato un impulso di fede e di speranza per il nostro popolo, sia in Libano, sia in altri Paesi del Medio Oriente. Tuttavia, se guardiamo agli avvenimenti in Siria, Iraq ed Egitto, come anche al conflitto politico tra sunniti e sciiti in Libano, legato a quello in corso nel Medio Oriente, particolarmente in Iraq e in Siria, purtroppo niente è cambiato.

Come mai?
La causa è che la comunità internazionale, gli Stati influenti, non hanno l’intenzione di stabilire la pace e la giustizia. Noi vediamo che gli interessi politici ed economici stanno acutizzando i conflitti armati, sanguinosi e politici tra i musulmani sunniti e sciiti, come tra moderati e fondamentalisti. Comunque noi confidiamo nella forza della preghiera come la vera arma per stabilire pace, giustizia e concordia tra i popoli e le nazioni.

Papa Francesco ha lanciato un forte appello perché i cristiani non lascino la vostra terra. Il fenomeno sta rallentando o è in crescita? E lo si può arrestare?
Finché persistono la guerra, gli attacchi e le minacce non giustificati contro i cristiani, questi ultimi sono costretti a lasciare i loro Paesi. Noi invece li incoraggiamo a rimanere nelle loro terre con le parole, e le iniziative che offrono loro le possibilità di lavoro e di sostentamento, ricordando loro che noi cristiani siamo cittadini nei nostri Paesi d’Oriente già da 2000 anni e che vi abbiamo seminato i valori del Vangelo e del cristianesimo, contribuendo molto allo sviluppo culturale, economico, sociale, commerciale e politico delle nostre nazioni. Però, bisogna che la comunità internazionale metta più sforzi per far cessare le guerre e dare soluzione politica ai conflitti in corso, a cominciare dal conflitto di base israelo-palestinese, diventato anche israelo-arabo, e arrivare a una intesa tra gli stati Sunniti e gli stati Sciiti. Non è ammissibile che gli interessi economici degli Stati e il commercio delle armi soppiantino i valori della pace e della giustizia tra i popoli e le nazioni, che le nostre Chiese continuano a promuovere.

Il Papa ha ripetuto che "non è possibile rassegnarsi a un Medio Oriente senza cristiani", qual è l’impegno delle vostre comunità?
Noi, tutte le Chiese Orientali, operiamo collettivamente e singolarmente per la pace, per lo sviluppo, per il consolidamento della fede cristiana, per la formazione dei giovani, per la perseveranza e la pazienza dei cristiani e per l’unità della famiglia e la pastorale del matrimonio e della famiglia. Nello stesso tempo, le Chiese d’Oriente operano anche presso i responsabili politici per creare ponti di intesa, di dialogo e di riconciliazione, e sollecitano anche l’intervento del Santo Padre e la mediazione della Santa Sede, tenendoli informati oggettivamente su tutto quello che sta succedendo nella nostra regione.

http://www.avvenire.it/Mondo/Pagine/intervista-a-patriarca-libanese.aspx


Radio Vaticana intervista il Patriarca Gregorios 


23 Novembre
Xavier Sartre ha intervistato il Patriarca siriano greco-cattolico di Antiochia, Gregorio III Laham:

R. - Con il Santo Padre abbiamo avuto una conversazione molto semplice, diretta, chiara, aperta, franca. Il Santo Padre ascoltava e ha detto: “non posso immaginare il mondo arabo senza la presenza cristiana”. I cristiani debbono avere un ruolo in questo mondo ed è per questo che noi vogliamo aiutare i cristiani a rimanere, ad essere presenti in Medio Oriente, in Terra Santa, dove l’islam, il cristianesimo e il giudaismo sono a casa e sono nel loro luogo di nascita. I cristiani hanno una presenza e un ruolo. L’altro aspetto affrontato è stato quello dell’apporto degli orientali in Vaticano e come questa attività si possa continuare oggi.

D. – Cosa ha caratterizzato questa plenaria?

R. – E’ stata proprio l’apertura totale: si poteva dire tutto, con franchezza, con fratellanza, con amicizia, con affetto. E questo è importante! Possiamo dire che tutti gli aspetti della vita della Chiesa, come l’abbiamo vista proprio in questi giorni, è già impregnata dallo spirito di Papa Francesco. Perciò ringraziamo per questo affetto e per questa cura e attenzione del Santo Padre per la Siria e per la pace in Medio Oriente specialmente. Sentiamo che c’è veramente una reale comprensione delle problematiche vissute in questa regione. Purtroppo alcuni Paesi d’Europa non hanno la nostra visione cristiana e non vogliono ascoltare quello che noi diciamo come cristiani, come capi delle Chiese di Terra Santa, Libano, Siria: non vogliono ascoltarci e vedere come noi capiamo questa crisi e quale possa esserne la soluzione.

D. – Qual è la vostra posizione al riguardo?

R. - Noi siamo per la riconciliazione: siamo una Chiesa che deve avere il ministero della riconciliazione. Questa è la garanzia della nostra presenza attuale e anche per il futuro. Quando finirà la crisi e la guerra saremo presenti perché abbiamo lavorato affinché tutti i siriani e tutti gli altri in Medio Oriente siano più aperti gli uni con gli altri.

D. – Qual è il senso della presenza dei cristiani in Medio Oriente oggi?

R. - La presenza cristiana in Medio Oriente è una presenza che ha un ruolo e una missione: una presenza cristiana senza missione non ha alcun valore; ma, al contrario, una presenza cristiana con una missione e con un ruolo speciale rappresenta il futuro della presenza stessa di questo gregge piccolo che ha una missione grande per essere luce, sale e lievito nella società del mondo arabo, a maggioranza musulmana, in cui noi abbiamo questo ruolo di essere una presenza cristiana con il mondo arabo e per il mondo arabo, affinché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.


Benedetto XVI: "Prego tutti i giorni per l'Iraq, la Siria e i cristiani d'Oriente"




Lo ha detto lo stesso papa emerito ai capi delle Chiese, che dopo la plenaria della Congregazione per le Chiese orientali sono andati a trovarlo al monastero Mater Ecclesiae. Il patriarca Sako ha invitato in Iraq papa Francesco, che "ha sorriso e ha promesso una visita".

(AsiaNews) - Dopo la plenaria della Congregazione per le Chiese orientali, i Patriarchi presenti a Roma hanno fatto visita al Papa emerito Benedetto XVI  "come dei pellegrini sotto la pioggia". Lo ha raccontato Raphael Louis Sako I, patriarca caldeo e arcivescovo di Baghdad, al sito della sua arcidiocesi: "Abbiamo avuto un incontro amichevole, gli abbiamo chiesto della sua salute e lui ci ha chiesto del Medio Oriente e della situazione dei cristiani orientali".

L'incontro è avvenuto nel pomeriggio del 23 novembre presso il monastero Mater Ecclesiae, in Vaticano, dove il Papa emerito ha scelto di passare il suo periodo di ritiro dal mondo.
Sua Beatitudine Sako ha detto a Benedetto XVI: "Santità, siamo venuti dal nostro hotel sotto la pioggia come pellegrini, e quindi meritiamo una benedizione speciale e una preghiera speciale per l'Iraq". In risposta, il Papa emerito ha detto: "Prego tutti i giorni per l'Iraq, la Siria e per il resto dell'Oriente".
Poi Mar Sako ha chiesto: "Siete in pensione, ma non c'è la possibilità di venire in Iraq?". E Benedetto XVI ha risposto concludendo l'incontro: "Sto invecchiando, e sono un monaco che ha deciso di passare il resto del suo tempo nella preghiera e nel riposo".
Subito dopo la messa solenne del 24 novembre, che ha chiuso l'Anno della Fede, il patriarca caldeo ha proposto anche a papa Francesco di visitare l'Iraq: "Gli ho detto che è arrivato il momento di venire a trovarci. Lui ha sorriso e ha promesso una visita".

http://www.asianews.it/notizie-it/Patriarchi-orientali-da-Benedetto-XVI:-Prego-tutti-i-giorni-per-l'Iraq,-la-Siria-e-i-cristiani-d'Oriente-29673.html

mercoledì 4 dicembre 2013

L'appello di Papa Francesco nel corso dell'Udienza generale 4 dicembre:


Piazza san Pietro -  mercoledì ,  4 dicembre 13
"Desidero ora invitare tutti a pregare per le monache del Monastero greco-ortodosso di Santa Tecla a Ma’lula, in Siria, che due giorni fa sono state portate via con la forza da uomini armati. Preghiamo per queste monache, per queste sorelle e per tutte le persone sequestrate a causa del conflitto in corso. Continuiamo a pregare e a operare insieme per la pace. Affidiamoci alla Madonna". (Ave Maria ...)

4 dicembre: memoria di San Giovanni Damasceno


 Padre Nostro in aramaico
con i suoi tremila abitanti, Maalula è uno degli ultimi posti al mondo in cui si parla aramaico, la lingua utilizzata quotidianamente anche da Gesù...

San Giovanni Damasceno Sacerdote e dottore della Chiesa 

Damasco, 650 – 749 


Cari fratelli e sorelle,
vorrei parlare oggi di Giovanni Damasceno, un personaggio di prima grandezza nella storia della teologia bizantina, un grande dottore nella storia della Chiesa universale. Egli è soprattutto un testimone oculare del trapasso dalla cultura cristiana greca e siriaca, condivisa dalla parte orientale dell’Impero bizantino, alla cultura dell’Islàm, che si fa spazio con le sue conquiste militari nel territorio riconosciuto abitualmente come Medio o Vicino Oriente. 
Giovanni, nato in una ricca famiglia cristiana, giovane ancora assunse la carica – rivestita forse già dal padre - di responsabile economico del califfato. Ben presto, però, insoddisfatto della vita di corte, maturò la scelta monastica, entrando nel monastero di san Saba, vicino a Gerusalemme. Si era intorno all’anno 700. Non allontanandosi mai dal monastero, si dedicò con tutte le sue forze all’ascesi e all’attività letteraria, non disdegnando una certa attività pastorale, di cui danno testimonianza soprattutto le sue numerose Omelie. La sua memoria liturgica è celebrata il 4 Dicembre. Papa Leone XIII lo proclamò Dottore della Chiesa universale nel 1890.
Di lui si ricordano in Oriente soprattutto i tre Discorsi contro coloro che calunniano le sante immagini, che furono condannati, dopo la sua morte, dal Concilio iconoclasta di Hieria (754). Questi discorsi, però, furono anche il motivo fondamentale della sua riabilitazione e canonizzazione da parte dei Padri ortodossi convocati nel II Concilio di Nicea (787), settimo ecumenico. In questi testi è possibile rintracciare i primi importanti tentativi teologici di legittimazione della venerazione delle immagini sacre, collegando queste al mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio nel seno della Vergine Maria.






















martedì 3 dicembre 2013

Sciagurata conferma : le Monache di Santa Tekla di Maloula prelevate dal convento


















Ieri fino alle ore 16 le Monache erano ancora in Maalula, ma da allora abbiamo perso il contatto con la superiora ; anche le suore di Saydnaya  hanno perso il contatto con loro. Nel convento di Santa Tekla erano rimaste , dopo che in ottobre l'Esercito aveva spostato gli orfani e parte della comunità, 9 suore 2 novizie e 4 donne. E' molto probabile che le suore , le novizie e le donne siano state portate a Yabrud, località sede  della milizia islamista dell'ISIS. 



Le milizie anti- Assad hanno ripreso Maalula (in aramaico “entrata”), città simbolo della cristianità siriana e del mondo intero. Maalula è infatti un piccolo villaggio denso di storia cristiana, con i suoi monasteri e le sue chiese, testimonianze di una presenza che risale ai primordi dell’annuncio cristiano. Tra questi, il monastero di Santa Tecla, discepola di Paolo, le cui reliquie riposano proprio a Maalula. Dodici suore presenti nel monastero sono state sequestrate e ora si trovano nelle mani dei miliziani di al Qaeda. 
Il villaggio era stato già occupato in precedenza, questa estate, dalle forze anti-Assad, ma solo per tre giorni, durante i quali avevano seminato il terrore e ucciso tre persone a sangue freddo, oltre a depredare calici, sparare sulle icone e altre amenità varie, ma erano stati presto ricacciati dai militari di Damasco. Ieri a seguito di una controffensiva inattesa, il villaggio è caduto ancora una volta nelle mani di al Qaeda. Un paesino arroccato sul costone di una montagna, senza alcuna rilevanza strategica, ma che sembra fondamentale nell’economia di questa guerra, dal momento che le forze antigovernative hanno concentrato le loro forze per riconquistarlo. 
È possibile che chi ha progettato questa sortita intende colpire il cuore della cristianità siriana, dal momento che la Chiesa si sta spendendo in ogni modo per trovare una soluzione al conflitto che sta devastando il Paese. 
Tre giorni prima, tra l’altro, il Patriarca greco-melkita di Antiochia, Gregorios III Laham, nel corso di una sua visita a Roma, aveva consegnato al Papa una relazione sui tre cristiani assassinati a Maalula durante la prima occupazione, uccisi in odium fidei. Tre martiri dunque, che per la cristianità sono tesoro prezioso, dal momento che è la più grande testimonianza che si può rendere a Dio e agli uomini.
Maalula è uno dei pochi villaggi, quattro in tutto, dove ancora si parla l’aramaico, la lingua di Gesù. Forse anche per questo motivo questo misero villaggio arroccato sul costone di una montagna è diventato un obiettivo di questa barbarie, che svela ogni giorno di più il suo volto satanico.

http://www.piccolenote.it/15912/siria-le-suore-di-maalula-sequestrate-dagli-islamisti


  ULTERIORI NOTIZIE QUI:










ECCO PERCHE' GLI ISLAMISTI ATTACCANO LE SUORE A MAALOULA  - intervista a Samaan Daoud

http://www.ilsussidiario.net/News/Esteri/2013/12/3/DALLA-SIRIA-Ecco-perche-gli-islamisti-attaccano-le-suore-a-Maalula/448893/

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Sono 5 e non 12 le suore rapite in Siria. Mons. Audo: preghiamo per la loro vita


Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2013/12/03/sono_5_e_non_12_le_suore_rapite_in_siria._mons._audo:_preghiamo_per/it1-752191
del sito Radio Vaticana

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Il Patriarca Gregorio III: “A Maalula veri martiri”

http://www.fides.org/it/news/54131-ASIA_SIRIA_Il_Patriarca_Gregorio_III_A_Maalula_veri_martiri#.Up3lqW1d7wo

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Intervista a Maria Saadeh, deputata del parlamento siriano "La pace è nelle mani del Papa" 


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Maaloula Update: 12 Nuns Kidnapped, Orphans Safe, Monastery Desecrated 

http://araborthodoxy.blogspot.fr/2013/12/maaloula-update-12-nuns-kidnapped.html

The mother superior of a Syrian convent says 12 nuns have been abducted by opposition fighters and taken to a rebel-held town.
     
Febronia Nabhan, Mother Superior at Saidnaya Convent, said Tuesday that the nuns and three other women were taken the day before from another convent in the predominantly Christian village of Maaloula to the nearby town of Yabroud.
     
Syrian rebels captured large parts of Maaloula, some 60 kilometers (40 miles) northeast of the capital, on Monday after three days of fighting.
     
Nabhan told The Associated Press that the Maaloula convent's mother superior, Pelagia Sayaf, called her later that day and said they were all "fine and safe."
     
The state news agency SANA had reported Monday that six nuns, including Sayaf, were trapped in a convent in Maaloula.
  http://www.lbcgroup.tv/news/127907/lbci-news

Oh Maaloula ...



era il 25 ottobre 2013...
da: Mezzi Toni di Tony Capuozzo

Eccola, Maloula. Potrebbe essere un paese di Calabria, o dell’Abruzzo, accovacciato ai piedi della montagna. Con tante case incomplete, come da noi, e qualcuna, quella di chi ha fatto il pellegrinaggio a Gerusalemme, con una traccia di azzurro che sta scolorendo nel buio che cala. Non so come sia la via d’ingresso (Maloula, in aramaico vuol dire” ingresso”), perché ci siamo entrati nell’oscurità, attraverso i frutteti e i campi, attraverso il cimitero, in silenzio.
Maloula è una città morta.
Aveva duemila abitanti, e molti di più l’estate, per il fresco dei suoi milleduecento metri, e più ancora il 7 di settembre, alla festa della Santa Croce, con i suoi fuochi d’artificio e l’hotel Ambasciatori, in cima al paese, pieno di turisti.

Quest’anno, a settembre, il paese è caduto in mano ai jihadisti, per tre giorni. Hanno preso il paese facile facile: sono contadini, cristiani che volevano solo continuare in pace la vita di sempre: il grano nel piccolo tratto di pianura ai piedi del paese, un vino che sembra marsala, le albicocche e le noci, le pecore e un aspro formaggio salato. E nove chiese, campanile dopo campanile, su fino al convento di Santa Tecla con le suore e quaranta orfani, e le donne che salgono per pregare in una gravidanza, in un parto riuscito.
Sono rimasti tre giorni, e non hanno dovuto combattere, i fondamentalisti. Hanno ucciso tre persone a sangue freddo, e dell’unica vittima su cui ci sia testimonianza diretta è perché l’hanno ucciso davanti alla moglie, dopo che aveva rifiutato di convertirsi. Altre sei persone le hanno portate con sé, quando l’intervento dell’esercito li ha costretti a ritirarsi.

Poi l’esercito di Assad è passato ad altro, e i guerrieri di un Islam feroce hanno occupato l’albergo Ambasciatori e le alture tutte attorno. Da lì tengono il paese nel mirino.
Ci si può muovere solo di notte , e in silenzio, sotto un cielo stellato come in certi sfondi di carta dei presepi dell’infanzia, benedicendo una luna che non è piena. Nei vicoli soffia il vento, e nella notte c’è solo il latrare di cani diventati randagi. Dormi in una delle poche case non razziate, e i ragazzi che si sono organizzati in una difesa paesana ti lasciano un’arma, perché non si sa mai, “loro” possono calare nella notte.
Ma non c’è più nulla da conquistare, i duemila abitanti di Maloula sono tutti profughi, e il paese è rimasto solo un simbolo, senza nessuna importanza strategica.

Nella prima luce del mattino, due chiese, con le croci spezzate, e il resto di un saccheggio ignorante: hanno preso le urne dell’elemosina e i calici che erano o sembravano oro, e hanno lasciato icone quattrocentesche, accontentandosi di sparare su qualche immagine sacra. Su, a Santa Tecla sono rimaste cinque suore, e ogni giorno un blindato sale a portare qualcosa da mangiare. Per noi sarà l’unico modo di uscire, di percorrere senza vederla la strada principale, sferragliando veloci, perché lassù hanno anche i missili anticarro, oltre che i fucili di precisione.

Cinque suore e un civile, in quella casa a duecento metri da noi. Erano in due, i civili rimasti. Uno, Zaccaria, aveva poco più di cinquant’anni ed era, quello che prima del linguaggio politicamente corretto si chiamava lo scemo del villaggio. L’hanno ucciso con otto colpi, e il corpo si è potuto recuperare solo con il buio. L’altro – l’ultimo – si chiama Nicola. Lo vedo seduto sul muretto, dall’altra parte del vallone. Non ha voluto andare via, né a suppliche né a forza. Però urla e chiama i nomi dei vicini, chiede dove siano, e perché il forno del pane è chiuso. Non gli sparano, forse per un sussulto di umanità, o perché è il monumento di una sconfitta. Il suo urlo, ogni mattina, ha preso il posto di campane che tacciono. In mezzo alla strada c’è la carogna di un asinello. I ragazzi in armi l’avevano sentito ragliare, qualche giorno fa. Alla fine sono riusciti ad aprire la stalla, ma ha fatto qualche passo ed è crollato, vinto dalla fame, nella libertà di un vicolo buio. I cani hanno mangiato i suoi resti. Nella storia, il cavallo è stato l’animale dei re e dei guerrieri. L’asino, quello dei contadini. E Maloula, dove un ragazzo con il kalashnikov, dopo essersi tolto il berretto con un’effigie di Che Guevara, bisbiglia il Pater Noster nella chiesa devastata, nella lingua stessa di Gesù, è così: morta nel vicolo dopo essere stata liberata.

Ps. So che la Siria non appassiona gli italiani. Essendo scritta, questa lettera, per un social, avrei forse dovuto raccontarlo in modo più personale, tipo il momento in cui mi sono chiesto chi me lo avesse fatto fare, o i momenti in cui ho constatato di avere ancora la testa, ma non più il fisico per correre a lungo, appesantito da giubbotto, elmetto e il resto. O forse dire che so quello che succede dall’altra parte, ho visto reportages, ho letto libri e testimonianze, e poco tempo fa, quello sulla morte di Marie Colvin a Bab Amro, Homs: ma non faccio l’algebra degli orrori (mi basterebbe raccontare che il mio cameramen è stato sequestrato e gli hanno tolto quasi tutti i denti a uno a uno, prima di essere scambiato). O essere più intimo, e dire della paura, e dei ricordi che ti fanno compagnia, in quei momenti. Ma la storia è una storia che spetta di diritto a Maloula (il nome di Maloula mi è sempre piaciuto, perché mi ricorda una delle prime parole pronunciate da mia figlia, il dito puntato su una scena di un fumetto con una casa desolata: palula…). Aveva ragione.

http://mezzitoni.tgcom24.it/2013/10/25/lettera-da-damasco-4-e-ultima/#more-60

lunedì 2 dicembre 2013

MAALOULA: MONACHE DI SANTA TEKLA IN SALVO



Abbiamo chiamato alle ore 16 la suora Flomenia, una delle suore del monastero e ci riferito che sono ancora vive e sono dentro il monastero. Purtroppo la chiesa e' stata devastata dai ribelli. Le suore stanno cercando di mantenere la calma. 
I ribelli hanno riempito le ruote di gomma di esplosivi e le hanno buttate verso il villaggio causando un grosso incendio nel quartiere ovest.


  RAINEWS, IL PATRIARCA GREGORIOS III LAHAM ILLUSTRA LA SITUAZIONE  DI MALOULA:
http://www.rainews.it/dl/rainews/media/ContentItem-d0099243-79e1-4e10-ba2e-5000bb6cf51b.html