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venerdì 8 novembre 2013

Un messaggio video dai ragazzi di Damasco ai coetanei italiani


“Pure noi abbiamo diritto alla pace”: i ragazzi e i bambini siriani lanciano il loro messaggio in bottiglia ai loro coetanei italiani. Perché quella guerra di cui parlano in questo video, che vede questi ragazzi e questi bambini confrontarsi ogni giorno con il pericolo e la paura, sia comunicata senza intermediari, senza filtri e distorsioni.
Noi lo vediamo di lontano questo conflitto, attraverso i media, i computer e i social network del villaggio globale, ma per conoscerla davvero occorre affidarsi all’antico, come questo messaggio in bottiglia, un piccolo video abitato da giovani volti stretti in un gioco più grande di loro, che in Siria muove legioni e sbaraglia destini. 
Il messaggio del video è semplice: non vuole spiegare, né ricercare torti e ragioni. Chiedono una cosa semplicissima quei volti bambini: la pace. Quella pace che per loro è ormai un passato e che per noi è scontato presente. E che tante forze osteggiano, demolendo ogni giorno le flebili speranze di giungere a un negoziato che chiuda il conflitto. Chiedono umana solidarietà questi ragazzi, che vediamo su banchi di scuola che potrebbero ospitare  i nostri figli; e le nostre povere preghiere. 
Questo video è stato già visionato in alcune scuole italiane. E ha avuto un certo riscontro, proprio per il suo messaggio semplicissimo, in fondo banale. E ha toccato cuori e menti. Vedere questi ragazzi, sentirli mentre raccontano della quotidianità della guerra che colpisce improvvisa e ruba furtiva le vite più prossime, non lascia indifferenti chi ha il cuore innocente e la mente aperta alla vita. 
Così si è immaginato un modo per dare una qualche risposta a questi ragazzi. Una risposta non politica, non ne siamo capaci né abbiamo la forza, ma umana, che in fondo ancora vale qualcosa. Far circolare questo video nelle scuole o in altri ambiti di ragazzi e i bambini italiani. Tra chiunque abbia voglia di conoscere il messaggio lasciato in una bottiglia da questi ragazzi siriani. E magari inviare loro una qualche risposta, tramite video o anche mail scritte da ragazzi e bambini italiani. Ci sono le leggi per questo, quelle che tutelano i bambini e che vanno rispettate chiedendo liberatorie e quanto altro serve. Ma è una piccola fatica che magari vale la pena, arricchisce. Insomma, c’è spazio e modo, per chi vuole, di dare il proprio piccolo, grande contributo. Un suggerimento, nulla più, affidato al cuore di chi leggerà queste righe, ma soprattutto di chi guarderà il volto dei ragazzi e dei bambini che abitano il video in questione e ascolterà i loro racconti che narrano di vite sospese ad un cielo benigno, che qualcuno ha voluto oscurare di bombe assassine. 
Chi vuole aderire alla proposta,  può far pervenire delle mail o dei video presso oraprosiria@gmail.com. A farle giungere in Siria penseremo noi.
Grazie.
Davide Malacaria


giovedì 7 novembre 2013

Samaan, in Italia per dare un contributo alla pace


Una guida turistica per la guerra siriana 


Piccole Note - 6 novembre 2013

Un colpo di mortaio ha centrato la nunziatura vaticana a Damasco. Gli organi ufficiali del governo parlano di attacco mirato, ma monsignor Mario Zenari non conferma, spiegando che si tratta, probabilmente, di un errore di mira. Nessuna vittima, ma certo è un segnale inquietante che si somma a un altro segnale dello stesso tenore:
Un colpo di mortaio ha centrato la nunziatura vaticana a Damasco. Gli organi ufficiali del governo parlano di attacco mirato, ma monsignor Mario Zenari non conferma, spiegando che si tratta, probabilmente, di un errore di mira. Nessuna vittima, ma certo è un segnale inquietante che si somma a un altro segnale dello stesso tenore:
Un colpo di mortaio ha centrato la nunziatura vaticana a Damasco. Gli organi ufficiali del governo parlano di attacco mirato, ma monsignor Mario Zenari non conferma, spiegando che si tratta, probabilmente, di un errore di mira. Nessuna vittima, ma certo è un segnale inquietante che si somma a un altro segnale dello stesso tenore: fonti russe hanno fatto filtrare la notizia che l’attesa conferenza di Pace per la Siria, che doveva tenersi nel mese di novembre a Ginevra, sarebbe stata procrastinata a data da destinarsi.
Un colpo di mortaio ha centrato la nunziatura vaticana a Damasco. Gli organi ufficiali del governo parlano di attacco mirato, ma monsignor Mario Zenari non conferma, spiegando che si tratta, probabilmente, di un errore di mira. Nessuna vittima, ma certo è un segnale inquietante che si somma a un altro segnale dello stesso tenore: fonti russe hanno fatto filtrare la notizia che l’attesa conferenza di Pace per la Siria, che doveva tenersi nel mese di novembre a Ginevra, sarebbe stata procrastinata a data da destinarsi.
La conferenza di Ginevra 2, che ha il compito di trovare vie di pace per la Siria, stenta a decollare (è di oggi la notizia di uno slittamento della data di inizio), con Obama costretto sulla difensiva dalla vicenda Datagate, i vari spezzoni delle forze anti-Assad che dichiarano la loro indisponibilità a dialogare con la controparte e tanti altri fattori ostativi. E la guerra continua a imperversare in Siria.

Samaan Daoud, siriano cattolico, era guida turistica un tempo. Oggi, con la guerra, di turisti se ne vedono pochi per le vie di Damasco una delle quali universalmente nota per la conversione di san Paolo. Da quando è iniziato il conflitto Samaan vive come tutti i suoi connazionali, sospeso ad accadimenti più grandi di lui. Ma non rinuncia alla speranza: per questo partecipa a un movimento che intende creare luoghi di riconciliazione, associando cristiani e musulmani. «Il tentativo è quello di rilanciare un dialogo dal basso, creare ambiti nei quali persone di idee diverse possono dialogare, nonostante le divergenze politiche e religiose». Idea semplice, che nell’inferno in cui è precipitata la sua terra è rivoluzionaria.
Samaan è in Italia, per cercare di portare la sua testimonianza su quanto sta avvenendo nel suo Paese. Per dare, nel suo piccolo, un contributo alla pace. Sa che serve a poco, che i giochi si fanno altrove, ma lo sente come un dovere: verso i suoi compatrioti e verso il mondo che guarda quel conflitto lontano con gli occhiali della propaganda occidentale.

Non è un estimatore del regime, Samaan. Ha i limiti propri di un sistema mono-partitico, spiega. Che, per sua natura, deprime le forze vive della società. Anche sul piano economico non è stato incisivo, dal momento che non è riuscito a favorire una seria programmazione di sviluppo, come accadeva con il padre di Assad del quale però ricorda la durezza. Ma rammenta con orgoglio quando, prima che il conflitto iniziasse, la terra dava grano e il cotone veniva prodotto in abbondanza.
Insomma, Samaan non è  "un fan di Assad"  e rifugge la propaganda: quella occidentale, ma anche quella del regime. «Quando in televisione ci sono i comunicati ufficiali cambio canale», confida. 
Data la premessa, quello che racconta ha ancora più valore. Di questo conflitto parla alle Tv e alle radio, in questo tour italiano, ne parla a noi davanti a un caffè. Questa rivoluzione è nata sull’onda della Primavera araba, dice, dopo l’ascesa al potere dei Fratelli musulmani in Egitto. Un’onda lunga che aveva nella Turchia il punto di riferimento e in Erdogan, vicino ai Fratelli musulmani, uno dei più autorevoli strateghi.
«Anche da noi c’era malcontento – ricorda -, da qui le rivolte di piazza, alle quali, occorre dire, Assad ha dato delle risposte rapide, raddoppiando i salari e perseguendo la corruzione interna». Una sorta di «tangentopoli» in salsa damascena, spiega usando un termine alquanto noto in Italia.

Questo all’inizio, aggiunge, ma poi tutto è cambiato. Racconta delle manifestazioni di piazza pilotate. Di soldi cash distribuiti ai manifestanti. C’era anche un tariffario, spiega: in città erano mille lire per manifestante, in campagna cinquecento; soldi che un normale cittadino  siriano deve sudare, e tanto, per guadagnarli. Venivano distribuiti da imam, e lui dice di aver visto con i suoi occhi il pagamento. 
«Che ci fosse qualcosa di strano lo abbiamo capito subito. Al Jazeera martellava sulle manifestazioni di piazza, con filmati che riprendevano folle di manifestanti in varie località del Paese. Ma noi non ci accorgevamo di nulla. Guardavamo le immagini e non capivamo dove le avessero prese: fossero state vere, quelle proteste di piazza, ne avremmo avuto almeno un eco, ma niente». E racconta con ironia che le manifestazioni avvenivano ogni venerdì, giorno festivo dei musulmani, con una ripetitività seriale, televisiva.
Un giorno l’ha pure vista da vicino una di queste manifestazioni: mentre portava il figlio alle prove del coro in chiesa (piazza Al Abassyin), vede un gruppo di gente raggruppata vicino all’edificio di culto: alcuni di loro tenevano in mano un rotolo di fibre di vetro, racconta, quelle usate per la vetroresina; poi un agitarsi di uomini, il rotolo incendiato a simulare scontri di piazza e subito gli scatti di telefonini e telecamere: la fiction da mandare in Tv era pronta. «In tutto è avvenuto in una manciata di secondi, poi sono spariti tutti», racconta; pochi secondi, quanto basta per una foto opportunity o un corto per You Tube o Al Jazeera, ambiti nei quali si vincono e si perdono le guerre moderne. «Anche le inquadrature di queste manifestazioni erano studiate con cura, così da far immaginare folle oceaniche dove invece era un manipolo di esagitati».

Tutte cose che fanno insospettire i siriani, che a poco a poco hanno preso coscienza che qualcosa di grosso stava accadendo. Poi sono arrivate le milizie armate e tutto è precipitato nell’abisso. Accenna soltanto agli orrori che si susseguono con ripetitività ferale; cose che appartengono al quotidiano e che le Tv occidentali rimandano con dovizia di particolari. Non ci soffermeremo su questo, ché tanto ormai basta un computer per sprofondare nella costernazione.
All’inizio era il Qatar a finanziare i cosiddetti ribelli, poi, dopo la caduta dell’emiro, è la volta dell’Arabia Saudita. Principi e re legati ad Assad da antica consuetudine, ma pronti a denunciare ora le sue nefandezze, vere e presunte. Adesso, a complicare le cose, anche la guerra tra bande: milizie filo saudite che combattono quelle legate al Quatar, con queste ultime ad avere la peggio. E le altre lotte intestine che si scatenano ogni giorno tra bande diverse e che avviluppano il Paese in una spirale di caos.
Ma parla anche dell’esperienza minuta, Samaan, quella che sfugge al circolo mediatico: di come ormai nelle zone occupate dalle forze anti-Assad il greggio si compra a prezzi d’accatto, ché nessuno degli improvvisati conquistatori conosce il prezzo al barile e svende a due lire. Un modo come un altro per alimentare la macchina bellica, lucrando sulla tragedia altrui.
Ma la cosa più interessante, dal punto di vista dell’originalità, la racconta alla fine, quando parla di intere fabbriche smantellate e portate in Turchia. Una di queste era di un suo amico ad Aleppo: gli era arrivata una lettera che chiedeva soldi in cambio di protezione. Metodi mafiosi, come si usa in questa temperie da tempo. L’imprenditore rifiuta: non ha i soldi richiesti né intende pagare. Poi in città arrivano le milizie islamiche e deve scappare. Evidentemente il mittente della missiva sapeva bene quel che si preparava in quella zona. Seguono le alterne vicende della guerra, infine la fabbrica è riconquistata dalle truppe di Damasco. Il suo amico torna alla fabbrica lasciata in fretta e furia. E trova il deserto. Avevano portato via tutto, anche macchinari grandi come case. «C’erano delle telecamere», racconta Samaan, «che evidentemente sono sfuggite agli occhi dei ladri e che hanno ripreso quanto accaduto. Ho visto i filmati e sono rimasto di sasso: in una notte hanno portato via tutto, con gru e camion: un’intera squadra al lavoro, ben organizzata, che svitava bulloni, agganciava cavi, smantellava pezzo a pezzo quella che un tempo era una delle più importanti fabbriche della città».
Gli orrori, quelli che abitano gli occhi di Samaan, sono sotto gli occhi di tutti. Questa spoliazione sistematica di una terra che un tempo era una delle più ricche del Medio Oriente, è solo un ulteriore tassello.

Il caffè è finito ed è il momento dei saluti. Samaan deve continuare il suo tour italiano, nonostante qualcuno, amici, gli accennino di segnali minacciosi nei suoi confronti. Sbuffa, alza le spalle, come di cosa scontata: «Se deve essere, sarà», e allude alla morte. E sorride, con un sorriso che tocca il cuore e che appartiene a una sorta di grazia di stato, quella di vivere in un luogo in cui la testimonianza del martirio – la più grande testimonianza cristiana – è quotidiano accadere. Presto il suo viaggio italiano avrà termine e deve tornare nella sua terra. Dove le minacce hanno volti più definiti. Il terrore appartiene alle guerre moderne, dove non solo serve uccidere, ma anche spargere paura all’intorno. Ci sono specialisti che studiano queste cose. E non abitano solo in Medio Oriente.
Con la sua visita italiana, Samaan ha dato testimonianza di speranza: indice che nonostante il terrore vinca ogni giorno le sue battaglie quotidiane, non ha ancora trionfato.

http://www.piccolenote.it/15179/una-guida-turistica-per-la-guerra-siriana


Nella pagina di questo Blog "VIDEO-testimonianze" è possibile visionare alcuni interventi pubblici del tour di Samaan Daoud in Italia 

mercoledì 6 novembre 2013

Aleppo: il dramma della popolazione e la gioia dei cristiani per il nuovo Vescovo Giorgio


Il cibo nei cassonetti, le minacce ai cristiani, l’imposizione della sharia. Drammatica testimonianza da Aleppo   


TEMPI- 1 novembre 2013
intervista di Leone Grotti

«La situazione ad Aleppo è ancora critica: non abbiamo la corrente elettrica da dieci giorni, manca il cibo, ribelli ed esercito continuano a darsi battaglia e i terroristi islamici hanno imposto la sharia nella parte della città che controllano». La testimonianza drammatica di come si vive oggi nella seconda città più importante della Siria, divisa a metà tra esercito e ribelli, è di C., cristiano di Aleppo che ha accettato di parlare a Tempi.it in condizione di parziale anonimato.

Quali sono i principali problemi della popolazione?
La guerra continua, ci sono scontri sia tra l’Esercito siriano libero e lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isil) sia tra i ribelli e l’esercito siriano. I ribelli lanciano spesso razzi contro i quartieri controllati dall’esercito e malgrado la riapertura della strada verso Khanasser, la città vive una penuria di carburante, elettricità, pane, cibo e soprattutto medicine. Tutti i giorni ci sono nuovi martiri che cadono tra l’esercito e i civili. Nelle regioni controllati dai takfiri, cioè coloro che rifiutano ogni presenza non musulmana sul loro territorio, vige la legge islamica wahabita e i rapimenti non accennano a finire.

Fino a pochi mesi fa, ad Aleppo si rischiava di morire di fame. Ora la situazione è migliorata?
Le famiglie non possono più comprare cibo e non si vede carne nelle cucine delle famiglie aleppine da mesi ormai. L’unica cosa che mangiano le famiglie è grano macinato, il Bourghoul, e pane. Un fenomeno nuovo, che prima non c’era e che è disumano, investe sempre più gente povera: la notte rovistano nei cassonetti per cercare qualcosa da mettere in bocca.

Gli estremisti islamici minacciano i cristiani?
Sì, siamo molto spaventati, soprattutto dopo l’occupazione da parte dell’ISIL del convento di san Vartan, che si trova nel quartiere cristiano armeno di Al Midane. I cristiani di Aleppo sono anche stati minacciati dopo l’applicazione della sharia di convertirsi all’islam o di pagare il tributo umiliante (gizya) o di morire. I cristiani ricchi sono scappati in Europa o in Libano, la classe media è diventata povera dopo il sequestro e la distruzione delle imprese da parte delle bande armate. Infine, la classe povera è diventata misera, tanto che non ha più da mangiare nonostante gli sforzi delle organizzazioni locali che distribuiscono generi alimentari una volta al mese. I nostri giovani rischiano la vita per emigrare in Svizzera o Germania passando dalla Turchia ma spesso vengono arrestati dalla polizia turca o muoiono in mare tra la Grecia e la Turchia. Ad aggravare la crisi c’è il caro vita con i prezzi che sono aumentati di oltre 20 volte.

La guerra tra governo e ribelli è sempre in stallo?
Noi speriamo che finisca presto, ma la realtà è un’altra: finché i sauditi e l’Occidente armano e finanziano i ribelli e finché l’esercito siriano resta forte, la guerra non finirà e a pagare il prezzo più alto in termini di vittime è il popolo. Il conto dei morti, infatti, è 150 mila, non 115 mila, e noi speriamo che la conferenza di pace Ginevra II porti a una road map per porre fine a questo conflitto.

Cosa ha comportato l’introduzione della sharia?
Ha spaventato molto i cristiani, ma non solo. Anche i musulmani moderati hanno paura degli estremisti, soprattutto per la condizione delle donne. Pochi giorni fa lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante ha diffuso una nota in arabo dove si precisa che «è vietato alle ragazze e alle donne portare i jeans e i pantaloni. Sono obbligate a vestire l’abito islamico», «è vietato truccarsi», «è vietato fumare sigarette o il narghilè a partire dal 15 novembre» e «tutte le persone che nomineranno il nome “Esercito islamico dell’Iraq e del Levante” riceveranno 70 frustate». Dopo aver letto queste cose, è possibile che l’Occidente non prenda coscienza dei misfatti della sua politica anticristiana? Se non la finisce di voltarci le spalle, che speranze ci saranno per il nostro mondo?

Avete ancora speranza?
Malgrado tutto noi crediamo che Dio, che ci ha fatti nascere su questa terra, voglia che noi continuiamo a testimoniare la fede dei nostri antenati, che risale ai primi cristiani. Le radici del cristianesimo sono casa nostra: la conversione di san Paolo sulla via di Damasco, l’inizio della vita monastica con Simeone Stilita il Vecchio, il villaggio cristiano di Maloula dove gli abitanti parlano ancora l’aramaico e pregano il Padre Nostro come l’ha pregato Gesù. Non si può nascondere che l’origine della cultura occidentale è cominciata in Oriente. Vorrei fare ancora un appello.

Prego.
Noi speriamo che i cristiani d’Italia siano solidali con i loro fratelli d’Oriente attraverso la preghiera, l’aiuto finanziario e soprattutto spingendo la politica italiana a sopprimere le sanzioni che colpiscono il popolo siriano e non toccano il regime. L’unico risultato è che il popolo diventa sempre più misero nel suo stesso paese.

http://www.tempi.it/il-cibo-che-manca-le-minacce-ai-cristiani-l-imposizione-della-sharia-drammatica-testimonianza-da-aleppo-siria


VICARIATO APOSTOLICO IN FESTA!



Tutta la Chiesa Latina del Vicariato Apostolico di Aleppo dei Latini è in festa per il dono che il Santo Padre, Papa Francesco, le ha fatto con la nomina del Rev.mo Padre Giorgio ABOU KAZEN, ofm, come Suo Vicario ad Aleppo e nuovo Vescovo.
Padre Giorgio e' stato chiamato dal Santo Padre a reggere il Vicariato Apostolico di Aleppo come Amministratore Apostolico, fin dal giorno 15 aprile di quest'anno, quando il Santo Padre accettò la rinuncia di Mons. Giuseppe  Nazzaro, ofm, che aveva chiesto di essere sollevato dall'incarico per motivi di salute e per sopraggiungenti limiti di età.
"Noi facciamo i nostri più fervidi auguri al neo Vescovo augurandogli, nonostante la situazione in cui vive la Siria oggi, un apostolato sempre più fecondo. Conosciamo tutti le sue qualità di Pastore prudente e saggio fin da  quando era Parroco della Comunità Latina di Aleppo e Vicario Delegato Generale di Mons. Nazzaro. Si è sempre distinto per la sua prudenza ed oculatezza nel valutare i problemi. E' sempre stato vicino a chi soffre fisicamente, moralmente e materialmente. Tutta la Chiesa di Aleppo ha accolto la sua nomina con entusiasmo e stima.
Chiediamo al Santo Padre che sia Egli ad ordinarlo Vescovo e Mons. Giuseppe Nazzaro sia uno dei due Vescovi con-consacranti. 
Santità, grazie per il dono che ci ha fatto dandoci Padre Giorgio per Vescovo; ci faccia questo dono che Le abbiamo appena espresso.  Grazie Santità, sappiamo che Lei sa accogliere l'umile richiesta dei Suoi figli". 

 
L'Osservatore di Aleppo    



AGGIORNAMENTO - 6 NOVEMBRE 13- POMERIGGIO: PANICO AD ALEPPO
Centrale termoelettrica ad Aleppo in grave pericolo


Un' altra catastrofe climatica e chimica  minaccia Aleppo. I militanti dello "Stato di Iraq e Levante" hanno occupato la Stazione d'elettricità a Harrarieh 
 (25 Km est di Aleppo), hanno dinamitato la centrale che produce gas di cloro per farla saltare et propagare  cloro e gas, allo scopo di colpire i civili e tagliare completamente l'acqua et l'elettricità. Nella Stazione vi è un grande serbatoio di idrogeno in raffreddamento.
 Grande panico regna ad Aleppo. 


lunedì 4 novembre 2013

Rischia di naufragare ancora la Conferenza di pace 'Ginevra 2' sulla Siria


Preparazione alla conferenza di pace 'Ginevra 2' a forza di bombe


La Perfetta Letizia - 26/10/13

di Patrizio Ricci

Gli incontri preparatori della Conferenza di Pace ‘Ginevra 2’ sono finalmente iniziati, ma non con buoni auspici. Il terreno dove ci si muove è contraddistinto dall’ambiguità e la trattativa nasce malata: non è stata preparata da paesi neutrali ma dagli ‘amici della Siria’, rappresentati principalmente da USA, Francia, Gran Bretagna e Arabia Saudita, cioè gli acerrimi nemici di Assad. Sono proprio gli stessi paesi che hanno espulso gli ambasciatori siriani dal loro territorio e messo fuori gioco la diplomazia. Sono gli stessi che hanno messo in atto un rigido embargo (che ha colpito soprattutto la popolazione civile) e che solo il mese scorso erano concordi nello sferrare una campagna di bombardamenti contro Damasco. Ma tant’è, è ‘il miracolo senza miracolo’ del machiavellismo: la Conferenza non era prevista ed è stata decisa solo dopo che USA e Russia (principali attori di questo conflitto) hanno trovato un accordo sulle armi chimiche e più in generale sul destino della Siria.

E’ così che l’eterogenea opposizione armata si è sentita presa in giro: nessuno ha gradito la mancata spallata finale ad Assad e dopo più di 2 anni di guerra c’è da scommettere che ognuno si aspetta la sua fetta di potere (e per questo è necessario che la pace naufraghi). Ma in che modo realizzare un simile obiettivo? Il Consiglio Nazionale Siriano ha subordinato la sua partecipazione all’accettazione di condizioni insostenibili: la prima è essere riconosciuto come l’unico vero rappresentante del popolo siriano e la seconda l’ immediata dimissione di Assad. Entrambe le condizioni di fatto bloccano la trattativa: con chi si dovrebbe dialogare se Assad si dimette e come pretendere di essere l’unico interlocutore rappresentativo del popolo siriano? E’ evidente che solo la minaccia concreta di interruzione del flusso di armi possa far recedere il CNS dal porre simili precondizioni. Però questo non è possibile, attualmente americani e sauditi sono in forte disaccordo: dopo il ridimensionamento dell’aiuto americano ai ribelli, Riyadh ha riempito il vuoto e si è impegnata più che mai ad appoggiare soprattutto la componente jihadista.

Non sappiamo come andrà a finire: gli interessi reciproci si fondono con le bombe e i morti sul terreno e frenano l’attività diplomatica. Comunque i ministri degli esteri del gruppo ‘London 11’, ovvero i membri del gruppo ‘amici della Siria (compreso il nostro ministro degli Esteri Emma Bonino), stanno facendo pressione sull’opposizione armata perché accetti la Conferenza. E considerando da che posizioni si era partiti, è un mezzo successo che il Consiglio Nazionale Siriano abbia rimandato ai primi di novembre ogni decisione in merito ad una sua partecipazione.

Quindi, il maggior ostacolo alla pace (dopo la frenata della Turchia preoccupata per le proteste interne ed il dilagare di al-Qaeda lungo i propri confini) è oggi l’attivismo dell’Arabia Saudita. Riyadh ha mal digerito il dietro-front americano e l’accordo con la Russia (ricorderete che era pronta a pagare tutte le spese dei bombardamenti e che ha cercato di lusingarla con tutti i mezzi), perciò anche dopo la svolta prudenziale americana sembra aver deciso di procedere da sola. Grazie all’appoggio saudita gli jadisti hanno preso ormai il sopravvento sulle altre formazioni moderate e sono frequenti gli scontri per contendersi il territorio. I movimenti islamisti si sono unificati sotto un’unica bandiera, quella dell’Esercito Islamico. Per l’esperto statunitense Philipe Graver “questa formazione è il più grande export dell’Arabia Saudita”.

Oltre ad alimentare la guerriglia con armi pesanti e con sistemi d’arma altamente tecnologici, l’Arabia Saudita ha utilizzato i mesi estivi per organizzare una forza di 40.000 uomini appartenenti ad al-Qaeda nella località siro-libanese di Arasal, città di confine nella regione Qalamoun. La battaglia, imminente, sarà decisiva per il controllo della zona costiera e delle principali vie di comunicazione.

Sotto questa regia, non stupisce che quando un nuovo tentativo di pace sta per essere messo in atto è riscontrabile dalla cronaca il moltiplicarsi di azioni terroristiche indiscriminate. Si tratta di azioni realmente criminali che colpiscono soprattutto la popolazione civile, colpevole di non ribellarsi ad Assad, perciò, secondo i ribelli, responsabile di sostenerlo. Ne consegue che qualunque opera, fabbrica o infrastruttura civile fuori dalla linea di demarcazione delle zone conquistate diventa automaticamente obiettivo ‘legittimo’. Per punire la popolazione civile ogni giorno inoltre i colpi di mortaio mietono vittime nei quartieri di Damasco: sono ordigni buttati alla cieca, con il solo scopo di uccidere. Solo ieri i lanci di mortaio dei ribelli sul quartiere Kassaa a Damasco hanno causato 5 morti e 20 feriti; tra le vittime il formatore del coro parrocchiale Farah Shadi Shahoub, colpito mentre si recava alla chiesa parrocchiale per addestrare i bambini del coro.

Gli attentati non avvengono solo a Damasco, ma in tutto il paese: ad Hama un attentatore suicida si è lanciato in mezzo al traffico cittadino nell’ora di punta uccidendo 37 persone e provocando decine di feriti. Nelle località conquistate le formazioni jihadiste di Jabhat al-Nusrah impongono la Sharia a gente che non aveva mai conosciuto prima il fondamentalismo religioso. Il villaggio cristiano di Maloula ed i villaggi limitrofi sono stati attaccati e le chiese devastate nonostante non esistano presidi militari. Nel villaggio numerosi civili sono stati uccisi perché non hanno accettato di rinnegare la propria fede e non hanno abbracciato l’islam. Quest’attacco è stato eseguito dall’esercito libero siriano (che si definisce laico e moderato) congiuntamente ai qaedisti di Jabhat al- Nusra. Frequenti anche i sabotaggi senza alcuna valenza strategica: ieri è stata fatta saltare la centrale del gas di Damasco indispensabile per la vita della popolazione.

I rapimenti a scopo di estorsione, gli omicidi settari verso le minoranze, la rivendita dei macchinari sottratti nelle fabbriche in Turchia sono la consuetudine. Questi atti terroristici sono compiuti da coloro che si candidano a succedere ad Assad: nonostante gli organi d’informazione inopinatamente usino questo termine ancora virgolettato, tali azioni sono sanzionate dalla Convenzione di Ginevra come atti terroristici.

E’ una situazione complessa, sintomo di una prassi consolidata che non tiene conto più delle aspirazioni dei popoli ma solo degli interessi dei paesi ricchi. Far affari commerciali e impantanarsi in rapporti poco chiari che prima o poi impediranno di agire correttamente sembra aver sostituito ogni altra considerazione etica. I ‘valori’ che diciamo di avere e sostenere possono conciliarsi con questa prassi? Sono domande che occorre farsi: che tipo di benessere stiamo perseguendo e a che prezzo? Sembra proprio che ci sia un solo elemento unificatore e un solo valore in cui l’occidente crede: il danaro e gli affari. Come altrimenti fingere di credere che l’Arabia Saudita, uno dei regimi più dispotici del mondo, si faccia portatore delle istanze di libertà dei popoli?

http://www.laperfettaletizia.com/2013/10/incontri-preparativi-alla-conferenza-di.html


L'opposizione vuole l'eliminazione politica di Assad, ma è divisa al suo interno. Le condizioni poste dalla Santa Sede per un'efficace Conferenza di pace.




ASIA NEWS 22/10/2013 

  I destini della Ginevra 2, la Conferenza di pace sulla Siria che dovrebbe tenersi verso la fine di novembre, rischiano di naufragare per le resistenze che pongono i ribelli e lo stesso Assad.
Diversi gruppi di oppositori vogliono boicottare i dialoghi perché esigono che le conclusioni prevedano l'uscita di Bashar Assad dalla scena del potere.
Da parte sua Damasco non accetta tale precondizione e lo stesso Assad, in un'intervista alla televisione  libanese Al-Mayadeen ha detto che non vede "nessuna ragione" per non presentarsi alle prossime elezioni e magari essere rieletto.
Egli ha anche accusato l'opposizione di essere estranea agli interessi del popolo siriano.
"Quali forze vi prendono parte - si è domandato - quale relazione queste forze hanno con il popolo siriano? Rappresentano il popolo siriano o rappresentano gli Stati che li hanno inventati?".
In effetti l'opposizione è formata da tanti gruppi, solo in parte costituita da siriani. Oltre al Free Syrian Army, formato da soldati disertori dell'esercito di Assad, vi sono gruppi di jihadisti prevenienti da decine di nazioni islamiche (Cecenia, Tunisia, Libia, Egitto, Arabia saudita, Malaysia, Indonesia, Sudan...). A questi si aggiunge il Consiglio nazionale siriano formato da esuli siriani, sostenuti da potenze europee e medio-orientali. Tutti loro sono in lotta fra loro per chi deve rappresentare l'opposizione ai dialoghi. In più, sul terreno siriano, vi sono combattimenti fra l'opposizione "laica" del Free Syrian Army e quella radicale islamica costituita da gruppi legati ad Al Qaeda. Questi, nelle zone sotto il loro controllo impongono leggi islamiche e duri trattamenti per le minoranze cristiane e sciite (o alauite). I gruppi radicali preferiscono la guerra santa alla Conferenza di pace. Nei giorni scorsi anche il Consiglio nazionale siriano si è mostrato perplesso sulla propria partecipazione.
In questi giorni, ministri di 11 nazioni degli "Amici della Siria" (Stati Uniti, Gran Bretagna, Egitto, Francia, Germania, Italia, Giordania, Qatar, Arabia saudita, Turchia, Emirati arabi) si stanno incontrando a Londra  per convincere gli oppositori di Assad a partecipare uniti alla conferenza che essi vedono come una transizione politica oltre il regime di Assad.

Il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon è fra i più forti sostenitori della Conferenza di pace. Anche la Santa Sede desidera un incontro che raduni tutti gli interlocutori  locali, regionali e internazionali implicati nel conflitto siriano, senza alcun veto o esclusione. Lo scorso 6 settembre, mons. Dominique Mamberti, segretario per i rapporti con gli Stati, incontrando il corpo diplomatico presso la Santa Sede ha precisato alcune condizioni previe per il futuro della Siria: garantire l'unità del Paese; il rispetto delle minoranze (anche cristiane); piena cittadinanza a tutti i siriani, di qualunque religione; libertà di religione garantita; separazione dell'opposizione dall'estremismo islamico.

http://www.asianews.it/notizie-it/Rischia-di-naufragare-ancora-la-Conferenza-di-pace-sulla-Siria-29337.html

sabato 2 novembre 2013

Così l’Islam ha invaso l’Europa


Gli eventi drammatici della Siria, dopo quelli dell’Egitto e della Libia, offrono l’occasione per alcune considerazioni che vanno al di là dell’aspetto geo-politico del conflitto. 

RC n. 88 - Ottobre 2013
di Roberto de Mattei

Gli eventi drammatici della Siria, dopo quelli dell’Egitto e della Libia, offrono l’occasione per alcune considerazioni che vanno al di là dell’aspetto geo-politico del conflitto. Ciò che sullo sfondo soggiace è, viva e bruciante più che mai, la questione islamica. Una questione che riguarda non solo l’Asia e l’Africa, ma soprattutto l’Europa.

La conquista demografica e territoriale del nostro Continente da parte dell’Islam non accenna infatti a diminuire. I numeri delle statistiche sono più eloquenti delle parole. Secondo l’ultimo rapporto del Pew Research Center, l’Islam conta oggi in Europa 43 milioni e 490.000 seguaci. Il tasso d’incremento della popolazione musulmana risulta abbondantemente superiore al resto della popolazione europea e mondiale. Secondo l’istituto di ricerca, se il livello di crescita resterà inalterato, i musulmani rappresenteranno il 26,4 per cento della popolazione mondiale nell’anno 2030 calcolata in 8,3 miliardi. 
Ma ciò che colpisce di più è il numero delle Moschee e dei minareti, che spesso rimpiazzano luoghi di culto cattolici. Il numero dei musulmani praticanti è certamente inferiore a quello di coloro che non seguono alla lettera la legge del Corano, ma è comunque, in proporzione, più alto di quello dei praticanti cattolici. Gli immigrati di seconda o terza generazione smettono spesso di praticare la loro religione, ma non rinunciano alle loro radici identitarie. Sul piano sociologico l’Islam resta per essi un richiamo ben più forte di quanto non sia il Cristianesimo per gli occidentali. D’altra parte, mentre i governanti occidentali hanno imboccato la strada di un laicismo che si oppone frontalmente alla tradizione cristiana delle nostre Nazioni, l’OCI, l’Organizzazione della Conferenza Islamica, che raccoglie 57 Paesi di religione musulmana, uniti dalla consapevolezza di appartenere ad un’unica comunità di credenti, promuove con tutti i mezzi l’identità islamica in Occidente. 

Lo scorso anno Soeren Kern, senior fellow del Gruppo di Studi Strategici per le Relazioni Transatlantiche di Madrid, ha pubblicato cifre impressionanti, documentando la trasformazione di luoghi di culto cristiani abbandonati in tutto il centro e nord d’Europa. In Inghilterra diecimila chiese sono state chiuse dal 1960, fra cui 8.000 chiese metodiste e 1.700 anglicane. Nel 2020 se ne prevede la chiusura di altre 4.000, mentre dall’altra parte ci sono 1.700 moschee molte delle quali in ex-chiese, 2.000 sale di preghiera e innumerevoli garages o magazzini trasformati in moschea.  Secondo i dati del Religious Trends nel Regno Unito, il numero dei frequentatori di chiese sta diminuendo a tale velocità che entro una generazione sarà tre volte inferiore a quello dei musulmani che vanno in moschea.

 In Germania la popolazione musulmana è aumentata da 50mila persone nei primi anni Ottanta a 4 milioni ed esistono circa 2.600 tra moschee e sale di preghiera. Invece 400 chiese cattoliche e 100 protestanti sono state chiuse. Non contenta delle moschee che proliferano sul suo territorio, la Germania vorrebbe imporle in Grecia, dove spinge per la costruzione di una mega-moschea ad Atene, a spese dello Stato. Finora però sono già andati a vuoto i tentativi di trovare una compagnia edilizia che si assuma l’incarico di costruire il tempio islamico, per il timore di minacce e intimidazioni da parte di gruppi identitari o di semplici cittadini residenti del quartiere ateniese di Votanikos, dove la moschea dovrebbe sorgere. 
Anche in Francia si costruisce un numero maggiore di moschee che di chiese cattoliche e ci sono più praticanti musulmani che cattolici. Il numero delle moschee e dei luoghi di culto è raddoppiato negli ultimi dieci anni superando le 2.000 unità, mentre la Chiesa cattolica continua a chiudere i suoi edifici sacri. 
Urfa (Turchia): la chiesa armena oggi

Intanto in Turchia prendono sempre più consistenza le voci sulla futura trasformazione della cattedrale di Santa Sofia di Istanbul, oggi museo, in moschea. Lo storico tempio della cristianità era stato già trasformato in moschea dopo la caduta di Costantinopoli (1453), ma con l’avvento della Repubblica Turca nel 1923 è divenuto un museo. Altre due ex-chiese, anch’esse dedicate a Santa Sofia, quella di Nicea (Iznik), sede del primo concilio ecumenico, e quella di Trabzon, sono già state di recente trasformate da musei in moschee.

La proliferazione delle moschee si accompagna all’espansione della finanza islamica in Occidente. Non a caso i fondatori delle banche islamiche sono teorici della conquista musulmana dell’Europa: Abul A’la Mawdudi (1903-1979) e Sayyed Qutb (1906-1966), ideologi dei Fratelli Musulmani.  Un recente rapporto della Banca Centrale Europea calcola che il valore internazionale degli asset gestiti con criteri finanziari islamici è passato dai 150 miliardi di dollari della metà degli anni ’90, a oltre 1.600 miliardi di fine 2012, con previsione di superare i 2.000 quest’anno. Nell’Unione europea, secondo la Bce, «la finanza islamica è ancora allo stato embrionale, ma una serie di fattori ne fanno immaginare un ulteriore sviluppo».
 
Alla testa di questo sviluppo sono l’Inghilterra, il primo Paese che ha permesso l’attività delle banche islamiche sul proprio territorio, la Germania, che partecipa all’industria finanziaria islamica in mezzo mondo, la Francia che, secondo la BCE, ha “dato un forte supporto” al processo di espansione, ma anche l’Italia dove la finanza islamica ha conosciuto una rapida ascesa. Gli esperti prevedono che le banche islamiche residenti in Italia raggiungeranno presto depositi  per 5,8 miliardi a fronte di ricavi previsti per 218,6 milioni nel 2015.   

Ma ciò che è più grave, in questa situazione, è il fatto che i governanti occidentali continuino ad appoggiare l’Islam fondamentalista, malgrado l’esito disastroso delle politiche finora attuate in Medio Oriente, soprattutto in occasione della cosiddetta “Primavera araba”. In quell’occasione gli Stati Uniti e l’Europa erano convinti che si potesse passare in maniera indolore dai regimi dittatoriali alla democrazia, e che ciò potesse avvenire con l’appoggio dei Fratelli Musulmani. Il risultato è stato l’ascesa dell’Islam radicale e l’esplosione di sanguinose divisioni interne al mondo musulmano. Oggi l’illusione di servirsi dei gruppi fondamentalisti per instaurare la democrazia continua e il presidente americano Barack Hussein Obama rappresenta il campione di questa politica, fondata sulla misconoscenza dell’Islam e su una visione distorta della democrazia.

In Siria, Obama si è schierato dalla parte dei fondamentalisti islamici, che comprendono i militanti musulmani europei di Jabhat Al Nusra (Fronte della vittoria), lo stesso gruppo che tre mesi fa ha esibito davanti alle telecamere le teste mozzate di tre “nemici dell’islam”, al grido di «Allah è grande». Il presidente Bashar el Assad, ritenuto affidabile dall’Occidente quando minacciava i cristiani maroniti, oggi che combatte contro i qaedisti, viene presentato come un mostro. Allo stesso modo, le Forze armate egiziane sarebbero state dalla parte della «democrazia» quando costrinsero Mubarak a dimettersi, mentre quando hanno costretto alle dimissioni Morsi si sarebbero schierate con la «dittatura». 

La confusione regna ed è peggiore del sangue che scorre. Criticare l’uso delle armi non è sufficiente. Bisognerebbe che, sull’esempio di San Francesco, che partì per l’Oriente per convertire il Sultano alla vera Fede, si levasse anche oggi una parola chiara, per ricordare l’incompatibilità tra l’Islam e il Cristianesimo e la necessità di un autentico confronto tra le due religioni. Ma la parola “conversione” ha ancora un senso per i cristiani?

http://www.radicicristiane.it/fondo.php/id/1848/ref/1/Così-l-islam-ha-invaso-l-Europa

giovedì 31 ottobre 2013

Il massacro dei cristiani siriani

L’Arcivescovo siro-ortodosso Alnemeh: “A Sadad il più grande massacro di cristiani in Siria”


Agenzia Fides 31/10/2013

Sadad  – “Quello avvenuto a Sadad è il più grave e ampio massacro di cristiani avvenuto in Siria da due anni e mezzo”: è perentorio l’Arcivescovo Selwanos Boutros Alnemeh, Metropolita siro-ortodosso di Homs e Hama, nell’illustrare a Fides il tragico bilancio di vittime nella cittadina cristiana di Sadad, invasa dalle milizie islamiste una settimana fa e poi riconquistata dall’esercito siriano. “I civili innocenti, martirizzati senza alcun motivo, sono 45, e fra loro diverse donne e bambini, molti buttati in fosse comuni. Altri civili sono stati minacciati e terrorizzati. I feriti sono 30 e le persone scomparse sono tuttora 10. Per una settimana, 1.500 famiglie sono state tenute come ostaggi e scudi umani. Fra loro bambini, vecchi, giovani, uomini e donne. Alcuni di loro sono fuggiti a piedi percorrendo 8 km da Sadad ad Al-Hafer per trovare rifugio. Circa 2.500 famiglie sono fuggite da Sadad, portando con sé solo i vestiti che avevano indosso, a causa dell’irruzione dei gruppi armati e oggi sono profughi sparsi tra Damasco, Homs, Fayrouza, Zaydal, Maskane, e Al-Fhayle”.
L’arcivescovo prosegue manifestando tutta la sua amarezza: “In città mancano del tutto elettricità, acqua e telefono. 

Tutte le case di Sadad sono state derubate, e le proprietà saccheggiate. Le chiese sono danneggiate e dissacrate, private di libri antichi e arredi preziosi, imbrattate di scritte contro il cristianesimo. Le scuole, gli edifici governativi, gli edifici comunali sono distrutti, insieme con l'ufficio postale, l'ospedale e la clinica. Ai bambini di Sadad è stato rubato il futuro. Molte case non potranno nemmeno essere ricostruite”.
“Quanto accaduto a Sadad – afferma – è il più grande massacro dei cristiani in Siria e il secondo in tutto il Medio Oriente, dopo quello nella Chiesa di Nostra Signora della Salvezza in Iraq, nel 2010”.
L’Arcivescovo Selwanos Boutros Alnemeh conclude: “Abbiamo gridato soccorso al mondo ma nessuno ci ha ascoltati. Dov'è la coscienza cristiana? Dov'è la coscienza umana ? Dove sono i miei fratelli? Penso a tutte le persone sofferenti, oggi nel lutto e nel disagio: ho un nodo alla gola e mi piange il cuore per quanto è successo nella mia arcidiocesi. Quale sarà il nostro futuro? Chiediamo a tutti di pregare per noi”.
Sadad è una piccola città di 15.000 persone, in maggioranza cristiani siro-ortodossi, situata 160 km a Nord di Damasco. Conta 14 chiese e un monastero con quattro sacerdoti. La città era rimasta finora fuori dal conflitto. 



Fosse comuni a Sadad: 45 civili cristiani uccisi dalle milizie islamiste

Agenzia Fides 31/10/2013

Sadad  – Sono stati rinvenuti in due distinte fosse comuni i corpi di trenta i civili cristiani, inclusi donne e bambini, uccisi dalle milizie islamiste nella città di Sadad. E, nel complesso, i civili cristiani uccisi nella cittadina a metà strada fra Homs e Damasco sono 45. E’ quanto comunica all’Agenzia Fides il Patriarcato Siro ortodosso di Damasco. La città di Sadad, insediamento cristiano, è stata invasa e occupata dalle milizie islamiste il 21 ottobre ed è stata riconquistata nei giorni scorsi dall’esercito regolare siriano. I rappresentanti del Patriarcato e le famiglie delle vittime, rientrati in città, vi hanno trovato, nell’orrore generale, due fosse comuni, dove hanno rinvenuto i cadaveri dei loro parenti e amici. In una atmosfera di lutto, sdegno e commozione, i funerali dei trenta cristiani sono stati celebrati dall’Arcivescovo Selwanos Boutros Alnemeh, Metropolita siro-ortodosso di Homs e Hama, che ha fornito a Fides l’elenco delle vittime.
Secondo il racconto di testimoni oculari, molti dei civili sono stati uccisi dai miliziani delle bande di “Al- Nusra” e “Daash” mentre cercavano di fuggire o di mettersi in salvo, il giorno dell’invasione improvvisa. La città risulta oggi del tutto distrutta e saccheggiata. Alcuni dei militanti che hanno invaso la città si erano rintanati nella chiesa siro-ortodossa di San Teodoro, che è stata profanata. 


Sadad è un antico villaggio siriaco risalente al 2000 a. C., situato nella regione del Qalamoon, a nord di Damasco, caratterizzato da chiese, templi, icone storiche e siti archeologici. 

Devastating Images & Report from the Christian Town of Sadad in Syria 



La diplomazia internazionale è alle prese con il tentativo di non far naufragare l’imminente conferenza di pace “Ginevra 2”, mentre dall'Oms è arrivata la conferma che nel Paese è in atto un'epidemia di poliomielite. Ulteriore dramma di una guerra che sta piagando la popolazione siriana, alle prese da più di due anni e mezzo con una terribile guerra fratricida, causa di una delle più gravi emergenze umanitarie della storia. Intanto dal terreno giunge la notizia della riconquista da parte dell’esercito del villaggio a maggioranza cristiana di Sadad, vicino alla città di Homs. Alcune migliaia di persone sarebbero state liberate dall’assedio dei ribelli. La notizia è confermata anche da mons. Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco, intervistato da Salvatore Sabatino:

R. – Ho appena appreso anch’io che è stato rotto l’accerchiamento, così come ho avuto notizia, questa mattina, che è stato rotto anche l’accerchiamento di altri due villaggi: uno si chiama Mudamieh un altro Daraya, a sud di Damasco, con la buona volontà delle parti, aiutate da mediatori sul posto. Ci sono anche alcuni aspetti positivi, pur in questo clima di violenza e di sangue di tutti i giorni … Quindi, direi che anche queste schiarite potrebbero aiutarci, potrebbero aiutare la comunità internazionale a proseguire, a non perdere la fiducia e a riprendere con maggiore coraggio e determinazione: veramente è una scalata, più che una strada in salita …

D. – Il volto di questa guerra sta continuamente cambiando, ed è ormai provato che nel Paese siano entrati combattenti provenienti da altri luoghi. Si parla di affiliati alla galassia di al Qaeda. Lei conferma questa presenza?

R. – Direi che questo è sotto gli occhi di tutti. La storia di questo conflitto è veramente complicata: se lo si osserva dalle prime settimane, dai primi mesi, dal primo anno in poi, si vede che il conflitto è andato aggrovigliandosi e complicandosi. Credo che, se non si riesce a districare quanto prima questa matassa, andrà complicandosi ancora di più e a rendere sempre più difficile una soluzione che tutti ci auguriamo.

D. – Da tre mesi non si hanno più notizie di padre Paolo Dall’Oglio, molto apprezzato in Siria per il suo impegno per il dialogo e la pace. Ha notizie al riguardo?

R. – Beh, ogni tanto a questa nunziatura giungono delle voci, di cui è difficile controllare la consistenza; voci di ogni sorta … Io mi tengo in contatto con la sua comunità monastica di Mar Moussa, ogni tanto telefono o li incontro, li incoraggio perché sono coloro che più ne soffrono, questi suoi figli spirituali. Naturalmente, bisogna sempre conservare la speranza che possa, prima o poi, risolversi felicemente questo dramma, questa sofferenza, per tutti noi …

Sulla situazione a Sadad ascoltiamo padre Ziad Hilal, che proprio questa mattina si è recato nella cittadina siriana, intervistato da Helene Destombes: 

R. – J’étais à Sadad, avec un autre prêtre, …
Mi sono recato a Sadad, con un altro prete siriaco-cattolico. Ci sono molti edifici, molte case danneggiate o addirittura distrutte; tra questi, la scuola del villaggio, anch’essa invasa e distrutta, come anche gli altri edifici ufficiali. Sono andato a vedere le quattro chiese, delle quali tre siriaco-ortodosse e una chiesa siriaco-cattolica: sono danneggiate tutte e quattro, sono state utilizzate come ricovero da integralisti che erano venuti nel villaggio. Ci sono dentro materassi, coperte … Hanno anche scritto degli slogan sui muri delle chiese, all’interno, sull’altare, ovunque … Hanno spaccato il santissimo sacramento in tutti gli altari delle quattro chiese; i danni sono grandi nelle chiese, ma anche nelle strade. Ho potuto incontrare il prete che mi ha detto che fino a ieri sono stati sepolti 29 cristiani del villaggio; ce ne sono ancora due da lui … Ecco, questo è quello che ho visto, finora.

D. – Quanti cristiani erano stati assediati in questa cittadina?

R. – J’ai vu pas mal: il y avait à peux près 1.500 personnes là-bas, ils n’ont pas …
Ce n’erano parecchi: c’erano circa 1.500 persone che non sono potute uscire. Questa mattina ho visto alcune vetture piene di bambini, uomini e donne che hanno vissuto questi giorni terribili e che hanno preferito andare via per qualche giorno, venire a Homs o in altre località, ma non so se vorranno tornare …

D. – In questo momento, chi si prende cura di queste famiglie? Ci sono delle organizzazioni umanitarie, delle associazioni che se ne occupano?

R. – En fait, jusqu’à maintenant, ce sont les églises qui organisent les aides humanitaires …
A tutt’oggi, sono le Chiese che organizzano gli aiuti umanitari. Stiamo contattando le diverse organizzazioni per far fronte all’urgenza ed aiutare le persone. Non bisogna nemmeno dimenticare che è compito dello Stato, lavorare per risistemare le strade, le scuole, gli edifici ufficiali.

D. – I ribelli che si trovavano nel villaggio di Sadad, sono fuggiti o sono stati uccisi dall’esercito?

R. – Il y avait un combat; la plupart, ils ont fui, les autres je pense ils ont été abattu. …
C’è stato un combattimento; la maggior parte di loro è fuggita, e penso che gli altri siano stati uccisi.


 

  Omar Gharba, religioso wahhabita, appartenente all’Armata Siriana Libera (ESL)


Rogo di libri cristiani a Raqqa

Agenzia Fides 25/10/2013

Raqqa  – I miliziani dello Stato Islamico dell'Iraq e del Levante (ISIL), la fazione quaedista che in diverse regioni della Siria ha monopolizzato l'insurrezione armata contro il regime di Damasco, nei giorni scorsi hanno organizzato un rogo di Bibbie e libri cristiani davanti alla chiesa greco-cattolica di Nostra Signora dell'Annunciazione a Raqqa, la città siriana da mesi sotto controllo delle milizie anti-Assad. 
A fornire informazioni all'Agenzia Fides intorno all'azione intimidatoria è una nota dell'agenzia curda indipendente "AraNews", nota per le sue posizioni critiche nei confronti del regime siriano e in contatto con attivisti e informatori che da Raqqa hanno fatto filtrare la notizia tramite i social network.



La regione di Raqqa è stata teatro di scontri tra l'esercito di Assad e le milizie dell'opposizione nel marzo scorso. Dopo il ritiro dell'esercito governativo, sono iniziati gli scontri interni allo schieramento anti-regime tra i battaglioni dell'Esercito Libero Siriano e i gruppi quaedisti dello Stato Islamico dell'Iraq e del Levante, che hanno avuto la meglio. Lo scopo dichiarato di questa fazione è la creazione di un califfato islamista nelle aree cadute sotto il proprio controllo. 
A tale scopo, le popolazioni civili vengono sottoposte a campagne di indottrinamento e fanatizzazione a base di ideologia jiahdista. Già lo scorso settembre diversi video circolati online avevano documentato le azioni vandaliche compiute contro le due chiese della città di Raqqa dai militanti dell'ISIL, con la distruzione di croci, statue e immagini sacre.
A Raqqa, alla fine di luglio, è stato rapito il gesuita romano Paolo Dall'Oglio. Come ricostruito dall'Agenzia Fides (26/8/2013) i principali indiziati del rapimento di padre Paolo sono proprio gli affiliati all'ISIL.

http://www.fides.org/it/news/53832-ASIA_SIRIA_Rogo_di_libri_cristiani_a_Raqqa#.UmpoFm1H7wo

martedì 29 ottobre 2013

In Siria tornano liberi numerosi rapiti. C'è attesa anche per i religiosi cristiani


Terrasanta.net | 23 ottobre 2013

 Potremmo essere a un momento decisivo per la sorte dell’arcivescovo greco ortodosso Boulos al-Yazigi, dell’arcivescovo siriaco ortodosso Yohanna Ibrahim, del gesuita italiano padre Paolo Dall’Oglio e di due sacerdoti locali: padre Michel Kayyal (armeno cattolico) e padre Maher Mahfuz (greco-ortodosso). Tutti rapiti in Siria, in varie circostanze, tra febbraio e agosto di quest’anno.

Infatti negli ultimi quattro giorni decine di ostaggi, vittime del conflitto siriano, sono stati rilasciati grazie ad un’azione diplomatica condotta dai governi di Qatar, Libano e Turchia. Azione che potrebbe coinvolgere anche i religiosi cristiani fino ad oggi scomparsi.
Le liberazioni «a catena» sono iniziate il 19 ottobre, lo scorso sabato, quando sono stati rilasciati nove pellegrini sciiti libanesi, rapiti in Siria 17 mesi fa. Facevano parte di un gruppo di undici ostaggi (di cui due già rilasciati nei mesi scorsi) sequestrati nel nord della Siria mentre erano di ritorno da un pellegrinaggio in Iraq. Il gruppo dei pellegrini, appena rimesso in libertà, è stato portato in Turchia e da lì è ritornato in Libano su un jet privato del Qatar, sul quale viaggiavano anche il ministro degli Esteri qatariano, Khaled al-Attiyah, e Abbas Ibrahim, capo dei servizi di sicurezza libanese.

Secondo il giornale di Beirut al Akhbar, le trattative per il rilascio degli ostaggi libanesi sono durate dieci mesi e il successo si deve anche all’impegno assunto dal Qatar di versare 9 milioni di dollari a quattro leader ribelli. Stando al ministro dell’Interno libanese Marwan Charbel, l’ex-primo ministro Saad Hariri - leader sunnita oggi all’opposizione - avrebbe giocato un ruolo fondamentale per la liberazione degli ostaggi sciiti: «Già nel maggio 2012 aveva cercato di negoziarne il rilascio, senza successo», ha rivelato Charbel. Il coinvolgimento di Hariri nelle trattative potrebbe contribuire a distendere il rapporto conflittuale tra sunniti e sciiti in Libano.
Quello dei nove libanesi è stato il primo anello di una catena di liberazioni in corso in questi giorni; il segnale atteso per il rilascio di due piloti delle linee aeree turche - Murat Akpinar e Murat Agca - rapiti nei pressi dell’aeroporto di Beirut e rimasti 71 giorni nelle mani di un gruppo libanese. Una volta rilasciati, anche loro sono stati riportati a casa a bordo di un aereo del Qatar, per essere accolti domenica 20, con tutti gli onori, dalle autorità di Ankara.
Ieri si è realizzato un altro capitolo del piano per il rilascio di prigionieri: le autorità siriane hanno restituito la libertà a 14 donne arrestate perché ritenute vicine ai ribelli. Sono le prime di una lunga lista di persone ancora da liberare. «Per la loro sicurezza dovranno lasciare il Paese - ha dichiarato all’Agenzia France Presse l’attivista per i diritti umani Sema Nassar -. In lista restano altre 128 donne che attendono di tornare libere».

La speranza è che un ultimo capitolo di questa «settimana di liberazioni» riguardi i religiosi cristiani.

Sempre secondo il ministro libanese Charbel – citato dal quotidiano Ya Libnan - i vescovi Yazigi e Ibrahim, rapiti il 22 aprile scorso nei pressi di Aleppo, sarebbero «in buone condizioni di salute». Si troverebbero in un sobborgo di Aleppo ma gli scontri armati ancora in corso nell’area ostacolerebbero il loro rilascio.
Per il quotidiano online libanese Naharnet, il capo dei servizi segreti libanesi, Abbas Ibrahim, avrebbe incontrato in questi giorni il presidente siriano Bashar al Assad, per discutere il caso dei due vescovi di Aleppo. Questione sollevata anche dal patriarca maronita Bechara Rai presso le autorità del Qatar, Paese in cui si è recato in visita ufficiale.

http://www.terrasanta.net/tsx/articolo.jsp?wi_number=5653&wi_codseq=SI001 &language=it


Gran mufti di Siria: I vescovi ortodossi rapiti sono vivi e in Turchia

AsiaNews 29/10/2013
 A riferire le parole di Ahmad Badreddin Hassoun sono stati i vertici di un'organizzazione umanitaria russa impegnata in Medio Oriente e che hanno incontrato a Mosca il leader spirituale siriano. 
"Dietro il sequestro, militanti ceceni e servizi turchi".


   leggi su: http://www.asianews.it/notizie-it/Gran-mufti-di-Siria:-I-vescovi-ortodossi-rapiti-sono-vivi-e-in-Turchia-29398.html

lunedì 28 ottobre 2013

Quanto è distorta l'informazione sulla Siria


La Bussola Quotidiana  25-10-2013

Intervista a Monsignor Giuseppe Nazzaro
di Giovanni Boscagli

C’è sempre il rischio di appassionarsi ad una grande tragedia del mondo e poi relegarla nel dimenticatoio. E’ il pericolo che sta correndo adesso la Siria. Ci può essere ancora un altro rischio, ovvero quello di farsi idee errate di episodi veri, o indignarsi per fatti mai esistiti nella realtà. La Siria può essere uno di questi casi e allora abbiamo chiesto a Monsignor Giuseppe Nazzaro, Vicario Apostolico di Aleppo dal 2002 fino alla scorsa primavera, di aiutarci a capire meglio cosa sia la Siria e cosa stia realmente avvenendo.

Monsignor Nazzaro, ci descrive la vita del popolo siriano e dei cristiani prima e dopo la rivolta?
Prima della rivolta si viveva in pace, vi erano delle differenze culturali e di religione ma c’era rispetto reciproco. Tenga presente che i cristiani si trovano in Siria da più di duemila anni, infatti dopo la predicazione del Vangelo di Gesù, iniziarono le persecuzioni e molti si rifugiarono in Siria. Il sinedrio mandò poi Saulo di Tarso (Paolo) a catturare i seguaci della dottrina cristiana per imprigionarli e portarli a Gerusalemme. Poi Paolo a Damasco si convertirà e diverrà uno di loro. Gli islamici arrivano in Siria nell’ottavo secolo e da subito hanno convissuto con i cristiani in maniera pacifica tanto che le famiglie cristiane sono rimaste come factotum della nuova amministrazione pubblica islamica. Il caso più eclatante è la famiglia dei Mansour, da cui discese anche San Giovanni Damasceno. Tale famiglia ha collaborato per molti anni con l’amministrazione musulmana. Ancora oggi si convive, tanto che gli oppositori del regime, che non sono i cosiddetti “ribelli”, non hanno nulla contro i cristiani.

Ma scusi, allora chi vuole eliminare i cristiani?
Sono i terroristi; ceceni, afgani, pakistani e i salafiti, ovvero musulmani estremisti che vengono da tutto il mondo e vogliono eliminare tutto ciò che non è islamico. Questi vogliono creare il Califfato islamico, ma è importante sottolineare come queste formazioni non siano affatto siriane.

Che effetti ha avuto la giornata di preghiera e digiuno indetta da Papa Francesco?
Tutto il popolo ha molto apprezzato l’iniziativa del Santo Padre e la cosa bella e stupefacente è stata  la preghiera congiunta di cristiani e musulmani.

Come si è arrivati all’uso delle armi e in che modo i media mondiali fanno informazione?
L’opposizione siriana ha iniziato a chiedere alcune riforme, come ad esempio scuole e università islamiche, il velo per le donne anche nella pubblica amministrazione e le hanno ottenute. Dopo, però, hanno iniziato a imbracciare le armi ed il governo ha iniziato a difendersi in risposta ad alcune provocazioni. Successivamente è iniziata una campagna di totale discredito nei confronti del governo di Assad. Ci sono alcuni fatti emblematici, come ad esempio quello avvenuto una mattina di metà luglio in cui l’esercito ha sparato su una scuola uccidendo trenta bambini. Resta una domanda: cosa ci facevano i bambini a scuola in quel mese visto che la attività scolastica finisce a maggio? L’esercito ha sparato all’edificio perché da quello stesso stabile erano arrivati dei colpi, per cui per difendersi ha replicato al fuoco. A seguito di questo Assad e l’esercito sono stati accusati di essere digli spietati assassini di innocenti, ma la verità non era quella. Quei poveri bambini erano stati usati come scudi umani, per screditare completamente l’esercito governativo. Un altro episodio tragico e significativo è avvenuto in un cittadina della Siria, Ghisser Choughourun, dove un gruppo di ribelli ha assaltato una stazione di polizia uccidendo i poliziotti presenti, poi dalla stessa centrale hanno chiamato altri dalle zone circostanti. Erano circa centoventi e hanno ammazzato anche questi. Nel giro di poche ore i media mondiali riportano la notizia dicendo che la polizia siriana ha ucciso centoventi civili e successivamente sostengono che l’esercito ha ucciso soldati e ufficiali perché non hanno voluto sparare sulla folla. Questi due episodi dimostrano come i fatti possono essere completamente distorti.

Come è la situazione ad Aleppo?
Ad Aleppo la situazione è drammatica, i cristiani muoiono, perché la città è divisa in due aree e non riescono a recuperare il necessario spostandosi dall’altra parte della città; inoltre i cristiani non escono di casa perché se venissero catturati dovrebbero pagare un ingente riscatto. Aleppo fino a poco tempo fa era la capitale economica della Siria, era come Milano per l’Italia, ricca di aziende. Contro queste imprese sono stati poi commissionati furti da persone oltre il confine turco e sono stai sottratti a queste stesse attività  milioni di dollari in macchinari portati poi oltre il confine turco. E pensare che Aleppo è stata, qualche anno fa, eletta capitale della cultura islamica mondiale, una manifestazione che coinvolge cristiani e musulmani.

Che posizione tiene l’Occidente?
L’Occidente sa della situazione e ci convive per questioni di interesse economico, infatti vende armi sia all’esercito che ai terroristi e in questo modo svuota i propri depositi. Nello stesso tempo si prepara a partecipare alla ricostruzione delle citta e della società dopo la guerra. In questo modo si impadronirebbe del paese, perché quest’ ultimo non avendo di che pagare sarebbe costretto a cedere i suo giacimenti di gas, vero interesse di tutte le potenze mondiali. È la nuova colonizzazione.

I cristiani vogliono andare via?
I cristiani non vorrebbero lasciare la Siria, quella è casa loro e anche il Gran Mufti della Siria, ha più volte ribadito pubblicamente che i cristiani non se ne devono andare perché la Siria è casa loro, altrove sarebbero stranieri e fuori posto. I cristiani solamente denunciano il fatto che l’occidente li discrimina a discapito dei musulmani quando si presentano a chiedere un visto.

http://www.lanuovabq.it/it/articoli-quanto-e-distorta-linformazione-sulla-siria-7585.htm


"Sui conflitti in Medio Oriente i cristiani occidentali sono poco informati"


Agenzia Fides -  19/10/2013

Latakia  - Riguardo alle vicende del Medio Oriente e in particolare alla tragedia della Siria “L'Occidente, comprese le sue Chiese, è per molti aspetti scarsamente informato, nonostante le buone intenzioni”. 
Così il Vescovo Elias Sleiman, a capo dell'eparchia maronita di Latakia, in un'intervista appena rilanciata dalla sezione Usa di Aiuto alla Chiesa che soffre ha puntato i riflettori sul deficit informativo riguardo ai processi in atto nell'area mediorientale che a suo giudizio rischia di pesare negativamente anche sulle mosse della comunità internazionale in merito al conflitto siriano. 

“Il problema di tanti media” ha specificato il Vescovo siriano “è che essi non colgono davvero il quadro reale della situazione. La primavera araba è stata dipinta come una spinta decisa verso la libertà e la democrazia, ma i risultati effettivi in Libia, Egitto e Yemen, per esempio, hanno dimostrato altrimenti”. 

La regione di Latakia, nel nord della Siria, è stata finora sostanzialmente risparmiata dal conflitto. Nel territorio i cristiani continuano a convivere pacificamente con gli alawiti. Secondo il Vescovo Sleiman, l'unica strada per uscire dal conflitto è aumentare le pressioni internazionali per arrivare “a un dialogo tra il regime e gli elementi moderati dell'opposizione”. I grandi attori internazionali devono spingere le diverse parti “a sedersi al tavolo dei negoziati”, tenendo conto che “la grande sfida è il fanatismo religioso” e che adesso “i ribelli moderati e gli islamisti hanno cominciato a combattere gli uni contro gli altri”.