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venerdì 21 giugno 2013

Accorate invocazioni delle Chiese Orientali : " in questa pena la vostra preghiera ci aiuta ad andare avanti "

Preghiere per i vescovi di Aleppo rapiti da due mesi


Agenzia Fides 21/6/2013

 Le Chiese del Medio Oriente si uniscono nella preghiera per invocare la liberazione dei due Vescovi Metropoliti di Aleppo - il siro-ortodosso Mar Gregorios Yohanna Ibrahim e il greco-ortodosso Boulos al-Yazigi – sequestrati lo scorso 22 aprile da ignoti rapitori.
 La sera di sabato 22 giugno, a due mesi esatti dal rapimento, una preghiera comune sarà guidata congiuntamente a Balamand (Libano) dal Patriarca greco-ortodosso di Antiochia Yohanna X al-Yazigi (fratello di uno dei vescovi rapiti) e dal Patriarca siro-ortodosso Mar Ignatius Zakka I Iwas per invocare la liberazione di tutti i rapiti e il dono della pace per tutta la Siria. 

Iniziative analoghe di preghiera condivisa da tutte le comunità cristiane si svolgeranno nelle chiese cattedrali di Aleppo. Lo riferisce all'agenzia Fides il Vescovo metropolita Timoteo Matta Fadil Alkhouri, Assistente Patriarcale nel Patriarcato Siro-Ortodosso di Antiochia. “Siamo tristi, perché sono passati due mesi e non abbiamo alcuna idea di dove siano e di come stiano i nostri fratelli Vescovi. Non siamo sicuri che siano ancora vivi, lo speriamo. Abbiamo chiesto tante volte di poter sentire la loro voce, e non è stato possibile. Ma finora non abbiamo ricevuto nemmeno cattive notizie, e questo dà speranza a noi e al nostro popolo. Per questo continuiamo a essere in contatto con ambienti politici in Siria Libano e Turchia, cercando di trovare canali di comunicazione con chi conosce la loro sorte”. 
Il Vescovo Matta ringrazia “Papa Francesco, tutti i cristiani e anche i musulmani che pregano con noi e che sentiamo al nostro fianco in questo momento di pena. Tutto questo ci aiuta a andare avanti. Domenica nelle nostre Chiese si celebra la Pentecoste. Pregheremo con forza che Dio Padre ponga le sue mani su di noi e ci doni il suo Spirito Consolatore”. 
http://www.fides.org/it/news/53038-ASIA_SIRIA_Preghiere_per_i_vescovi_di_Aleppo_rapiti_da_due_mesi#.UcSD5m1H45s

L'appello di cattolici e ortodossi per l'unità dei cristiani e la fine della guerra in Siria


AsiaNews,  18/06/2013


  Beirut - Leader delle Chiese cattolica e ortodossa aprono a Beirut i propri sinodi per discutere la grave situazione della popolazione cristiana siriana, colpita dalla guerra fra sciiti e sunniti, che ha ormai sconfinato anche nel vicino Libano.
 Il sinodo greco-ortodosso è in corso nel monastero di Balamand. Quello della Chiesa cattolica melchita è ospitato nel convento di Ain Trez nel distretto di Aley.

Dando il via ai lavori per la riunione episcopale, i prelati cattolici e ortodossi hanno lanciato un appello congiunto per l'unità di tutti i cristiani, pregando per la liberazione di mons. Youhanna Ibrahim e mons. Boulos Yazigi, i due vescovi rapiti lo scorso 22 aprile nella periferia di Aleppo.

Intervistato dal quotidiano libanese "Daily Star" poco prima dell'inizio dell'Assemblea sinodale, Giovanni X Yazigi, patriarca greco-ortodosso di Antiochia e fratello di mons. Bouls Yazigi, ha affermato: "Non abbiamo paura, stiamo vivendo momenti drammatici, questa è la verità che nessuno può ignorare. Ma siamo figli della fede e del coraggio, ci aggrappiamo alla terra in cui viviamo, portiamo il messaggio di Dio dentro i nostri cuori e continueremo a farlo senza paura". Il vescovo ha inoltre ribadito che il fratello è vivo e sarebbe detenuto in Turchia, ma finora non si sono ancora ottenuti contatti diretti con i rapitori.

Da Ain Trez, sede della Chiesa melchita, Gregorio III Laham, patriarca di Antiochia per i cattolici, ha puntato il dito contro la decisione di Stati Uniti e di alcuni altri Paesi europei di inviare armi ai ribelli. A causa di questa mossa, la popolazione "affronterà più problemi" rispetto al passato. Secondo il prelato la posizione dei Paesi occidentali è incomprensibile. "Sembra che il mondo  - ha continuato - comprenda solo il linguaggio delle armi, della guerra, della distruzione, della violenza e del terrorismo". "Le armi - ha aggiunto alimentano la violenza e l'odio, e portano più uccisioni, incrementano la distruzione e i profughi, con enormi danni economici e sociali per famiglie, giovani, studenti e lavoratori".
Laham ha lanciato un appello alla comunità internazionale chiedendo la cessazione immediata di tutti i trasferimenti di armi, invitando i Paesi a lavorare per una soluzione politica, invece di contribuire alla "divisione" del mondo arabo lungo linee politiche, sociali, religiose e tribali".

Parlando ai vescovi presenti, il prelato ha annunciato la costituzione di un "comitato di solidarietà" della Chiesa in Siria. Il piano ha l'obiettivo di coordinare le attività di soccorso in loco e di controllare e registrare gli edifici ecclesiastici distrutti o danneggiati. Il patriarca ha proposto anche dei sottocomitati in Libano, Egitto, Giordania, Iraq, Kuwait, Paesi arabi ed Europa, che avranno il compito di sostenere con le loro risorse il lavoro della Chiesa melchita in Siria. "Speriamo - ha affermato - che i nostri fratelli vescovi ci aiuteranno in questa impresa ... in modo da poter affrontare le sfide future, che ci chiedono di restare in questo Paese martoriato dalla guerra e in quanto cristiani di essere guida e punto di riferimento per tutta la popolazione". Gregorio III ha sottolineato che la "Chiesa è un solo corpo, una sola famiglia cristiana, una nazione, e questa fede si traduce in opere buone e soprattutto in amore attivo verso chi è nel bisogno". Per il prelato i fedeli della Chiesa melchita devono promuovere e testimoniare il Vangelo ovunque essi siano: "Questa è la vera azione politica e il dovere che dobbiamo compiere con coraggio, zelo, amore, dedizione, sincerità e dignità".

http://www.asianews.it/notizie-it/Beirut,-l'appello-di-cattolici-e-ortodossi-per-l'unità-dei-cristiani-e-la-fine-della-guerra-in-Siria-28236.html

giovedì 20 giugno 2013

Il Papa: "Cessi la grande tribolazione! In Siria e in tutto il Medio Oriente si ponga fine ad ogni dolore, ad ogni violenza, ad ogni discriminazione religiosa, culturale e sociale"

Il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza i partecipanti all’86ª Assemblea della Riunione delle Opere per l’Aiuto alle Chiese Orientali (R.O.A.C.O.), che si è svolta in questi giorni a Roma sul tema: “La situazione dei cristiani e delle Chiese in Egitto, Irak, Siria e in Terra Santa”. 


20-06-2016 - Sala stampa della santa Sede

"La presenza dei Patriarchi di Alessandria dei Copti e di Babilonia dei Caldei, come dei Rappresentanti Pontifici in Terra Santa e in Siria, del Vescovo Ausiliare del Patriarca di Gerusalemme e del Custode di Terra Santa, mi porta con il cuore nei Luoghi Santi della nostra Redenzione, ma ravviva in me la viva preoccupazione ecclesiale per la condizione di tanti fratelli e sorelle che vivono in una situazione di insicurezza e di violenza che sembra interminabile e non risparmia gli innocenti e i più deboli.

A noi credenti è chiesta la preghiera costante e fiduciosa perché il Signore conceda la sospirata pace, unita alla condivisione e alla solidarietà concreta.

Vorrei rivolgere ancora una volta dal più profondo del mio cuore un appello ai responsabili dei popoli e degli organismi internazionali, ai credenti di ogni religione e agli uomini e donne di buona volontà perché si ponga fine ad ogni dolore, ad ogni violenza, ad ogni discriminazione religiosa, culturale e sociale.

Lo scontro che semina morte lasci spazio all’incontro e alla riconciliazione che porta vita. A tutti coloro che sono nella sofferenza dico con forza: non perdete mai la speranza! La Chiesa vi è accanto, vi accompagna e vi sostiene! 
Vi chiedo di fare tutto il possibile per alleviare le gravi necessità delle popolazioni colpite, in particolare quelle siriane, come dei profughi e dei rifugiati sempre più numerosi. Proprio sant’Ignazio di Antiochia chiedeva ai cristiani di Roma: “ricordatevi nella vostra preghiera della Chiesa di Siria… Gesù Cristo sorveglierà su di essa e la vostra carità” (Lettera ai Romani IX, I).

Al Signore della vita affido le innumerevoli vittime e imploro la Santissima Madre di Dio perché consoli quanti sono nella “grande tribolazione” (Ap 7,14).  E’ vero questa è una grande tribolazione!.

Su ciascuno di voi, sulle Agenzie e su tutte le Chiese Orientali imparto di cuore la Benedizione Apostolica."

I massacri degli estremisti islamici rafforzano Bashar al-Assad

Ignorati per mesi dai media occidentali, i massacri delle brigate islamiste hanno fatto la loro comparsa anche sui media pro-ribelli. Essi denunciano esecuzioni sommarie, l'istituzione di tribunali islamici e massacri di sciiti. Tutti però sarebbero giustificati dall'odio contro Assad. Ad al-Qusair e Aleppo la popolazione accoglie l'esercito regolare.

AsiaNews - 17/06/2013

  Esecuzioni sommarie, condanne per blasfemia e la cacciata di cristiani e sciiti dalle loro abitazioni. Sono alcuni degli atti compiuti dai tribunali del "Califfato dell'Iraq e del Levante", nome con cui al-Nousra e altre brigate ribelli islamiste hanno rinominato i territori siriani sotto il loro dominio.
In diversi quartieri di Aleppo, nelle città di al-Bab, Idlib e in altri villaggi controllati dai guerriglieri islamisti legati ad al-Qaeda vige già da un anno la sharia. Le corti islamiche hanno un'organizzazione capillare, non sono improvvisate. Le loro sentenze sono quotidiane e colpiscono in modo indiscriminato sunniti, cristiani, alawiti, sciiti e tutti coloro che non si conformano alle regole dell'islam wahabita.
Lo scorso 6 giugno  nel quartiere popolare di Chaar, situato nella parte di Aleppo in mano alle brigate al-Nousra, un bambino di 14 anni è stato giustiziato perché avrebbe offeso il profeta. Il 12 giugno le brigate Sadeq al-Amin hanno assaltato il villaggio a  maggioranza sciita di Hatlah, nella provincia di Deir Ezzor. Un video diffuso su Youtube  dagli stessi islamisti, quasi tutti stranieri dal marcato accento nord- africano, mostra i guerriglieri di ritorno dalla missione mentre espongono i corpi degli uccisi. Essi li deridono definendoli "cani fedeli ad Assad" e dichiarano di voler uccidere tutti coloro che si contrappongono all'avanzata dell'islam. Lo scorso 13 giugno la popolazione di al-Bab (Aleppo) ha trovato nella locale moschea il corpo di un uomo con fori di proiettile alla testa e al collo. Secondo i residenti, la vittima era stata arrestata diversi mesi fa dalle milizie islamiste per un caso di furto e condannato a morte dal tribunale shariatico del villaggio.

A diffondere i report dei massacri è proprio l'Osservatorio siriano per i diritti umani, organizzazione creata dai ribelli in esilio, a cui si deve la maggioranza delle informazioni sul conflitto siriano e la denuncia delle violenze compiute dal regime. Per quasi due anni l'Sohr ha riferito solo i casi di violenza compiuti dal regime contro i ribelli. I principali organi di informazione mondiali - con in testa Bbc, al-Jazeera e al-Arabya - hanno utilizzato come unica fonte le notizie riportate dall'organizzazione. In questi mesi diversi esperti e gli stessi siriani intervistati da AsiaNews hanno accusato i media occidentali e del Golfo di produrre informazioni "parziali". I recenti articoli mostrano un atteggiamento più imparziale. Tuttavia, per evitare di perdere consensi fra le milizie ribelli, l'Sohr continua a prendere le difese anche degli estremisti islamici. Nel caso di Hatlah, l'autore del resconto pubblicato dall'Osservatorio ci tiene a precisare che il villaggio si era schierato con il regime e ospitava nelle proprie abitazioni diversi contingenti armati. Il redattore dell'Sohr va a ripescare antiche divisioni sostenendo che "ai tempi di Hafez al-Assad, padre dell'attuale presidente, la popolazione locale avrebbe compiuto massacri contro i sunniti", giustificando in parte il massacro.
 
In un'intervista rilasciata ad AsiaNews lo scorso 28 maggio, Gregorio III Laham, patriarca cattolico di Antiochia, sosteneva che "il futuro della Siria non si può  costruire attraverso la distruzione. Con la guerra non ci sono vincitori". Negli ultimi mesi di conflitto, il finanziamento indiscriminato della ribellione e il continuo ingresso di guerriglieri stranieri ha paradossalmente ridato nuova forza al regime, invece di smorzare il suo potere, dando un pretesto alle milizie sciite di Hezbollah per fare la loro chiamata alla guerra contro il nemico sunnita. La stessa popolazione siriana, compresi molti musulmani schierati contro il regime, hanno iniziato a denunciare la presenza dei guerriglieri stranieri nelle loro terre e li considerano dei terroristi. Ciò sta accadendo ad Al-Qusair, fra le prime città ad aderire alla ribellione contro Assad e per mesi roccaforte della ribellione, dove la popolazione ha denunciato la distruzione mirata di chiese e moschee perché considerati non in linea con l'islam radicale. Una situazione simile si vive anche ad Aleppo dove in diversi quartieri la gente ha accolto l'arrivo dell'esercito regolare.
Già nel novembre 2012, il quotidiano turco Hurryiet puntava il dito sull'estrema divisione dell'esercito ribelle siriano, avvertendo l'occidente sui rischi di un loro sostegno armato, avallato nei giorni scorsi dal presidente degli Stati Uniti Barak Obama e dai governi di Francia e Gran Bretagna. A tutt'oggi le milizie riconosciute sono circa 30, per un totale di oltre 100mila guerriglieri. Di queste solo tre fanno dichiaratamente parte del Free Syriam Army, il principale interlocutore della comunità internazionale. Le altre 27 sono legate ad Al-Qaeda o rispondono ad altri movimenti ideologici islamisti o politici.
Fonti di AsiaNews, spiegano "che il fine dei questi gruppi, non è solo la liberazione della Siria da Assad, ma diffondere con le armi l'islam radicale in tutto il Medio Oriente e conquistare Gerusalemme". Molti guerriglieri non parlano nemmeno l'arabo. Altri sono partiti da villaggi del Pakistan, Afghanistan, Somalia, Indonesia senza conoscere l'esatta ubicazione della Siria. Alcuni abitanti di un villaggio nei pressi di Aleppo hanno riferito che diversi guerriglieri, soprattutto i più giovani, sono stati reclutati con la falsa promessa di andare a liberare Gerusalemme". (S.C.)

http://www.asianews.it/notizie-it/I-massacri-degli-estremisti-islamici-rafforzano-Bashar-al-Assad-28219.html

martedì 18 giugno 2013

Caro Papa, noi vogliamo essere uno di quei segni di speranza!

da Aleppo- lettera  n ° 11 

"Mamma, quando potremo tornare a casa? ". Fouad, un piccolino di quattro anni,  lancia questa domanda a sua madre, poco prima di dire buona notte ...
E Lina, la mamma, passerà  tutta la notte piangendo e ponendosi la stessa domanda? Ma a chi rivolgerla ? Chi può o osa dare una risposta? Chi può indicare una data? Eppure tra gli sfollati, le voci corrono in modo rapido e vano. "Ci hanno detto due giorni ... Ci è stato detto in una settimana ... Presto ...". Un PRESTO che diventa  un mese, e poi un altro mese, e chissà quanti altri?

 Nell’ accompagnare le famiglie sfollate,  noi  "Maristi Blu", continuiamo ad ascoltare con il cuore le loro proteste, le loro preoccupazioni, le loro sofferenze ... e non abbiamo altra risposta che la compassione . Siamo presenti . Ascoltiamo . Cerchiamo di rendere la loro vita quanto accettabile possibile . Restiamo disponibili ...
Nel momento in cui scrivo questa undicesima lettera , sono ormai passati due mesi e mezzo da quando  le famiglie hanno lasciato le loro case nel quartiere di "Jabal el Sayde" .
Le 300 famiglie che sosteniamo con il “Cesto della montagna” (Jabal el Sallet) sono disperse nella città ...  Alcuni alloggiano  qui tra i Maristi, altri con i parenti ,  e alcuni  vagano da una casa all'altra. Penso a quella particolare famiglia di sette persone che ancora non ha trovato una casa per riorganizzarsi ...: Papà dorme in un posto, la madre con alcuni bambini presso un parente, una zia con gli altri bambini in altre parti ... No, la guerra non è solamente  una questione di bombe, omicidi ... E’ una macchina  che distrugge la persona e la famiglia . E isola,  separa, non crea legami.
 Aleppo, si sveglia e si addormenta  sotto i colpi delle esplosioni, le colonne di fumo, tutti  segni che dicono che la guerra è lì, vicino, vicino ...

Sul fronte della sicurezza, il mese scorso è stato caratterizzato dal rapimento dei due Vescovi ortodossi che stavano viaggiando per negoziare il rilascio di due sacerdoti , pure loro rapiti circa 3 mesi fa. 40 giorni dopo, non abbiamo notizie di loro. I sequestri  creano una situazione di paura e ansia tra molte persone che si vedono costrette a lasciare il Paese ...
Durante l’Angelus del 2 giugno 2013, Papa Francesco ha espresso la sua "profonda preoccupazione" per il conflitto siriano e le vittime in ostaggio. Ha fatto appello a "l'umanità dei rapitori" in modo da liberare i rapiti.

 Sul fronte economico, il potere d'acquisto continua a diminuire. I prezzi sono lievitati  e moltiplicati  per due o tre. Cibo e beni di prima necessità sono inaccessibili a molte persone. I dipendenti si rendono conto che il loro reddito ha perso molto del suo valore. Un chilo di pane è passato in pochi mesi da 15 lire siriane a 90 e anche 100 lire al chilo.
 L'elettricità è severamente razionata: 2-4 ore al giorno. L'acqua è fornita al momento. Benzina, gas e petrolio sono prodotti rari e molto costosi. Alcuni farmaci sono scarsi. Un focolaio di epatite si è diffuso. E con l'estate che si avvicina, si teme l'insorgenza di malattie come il colera o la leishmaniosi.
 Le persone sono ormai tristemente rassegnate ...

Le famiglie che vivono presso i Maristi godono sempre dell'ospitalità e dell'assistenza medica e psicologica necessaria. Riteniamo che dopo due mesi di sfollamento, il bisogno di sicurezza e di speranza per il futuro è enorme.
Con queste 80 persone, si è venuto ad aggiungere un gruppo di giovani ragazze del Baccalaureato  (conclusione formale della istruzione secondaria). In effetti, queste ragazze provengono da una zona della città in cui non è possibile presentarsi agli esami. Le abbiamo accolte e forniamo loro alloggio, pasti, e  le migliori condizioni per preparare e presentarsi  agli esami .

Le 300 famiglie di sfollati in Jabal el Saydeh hanno ricevuto questo mese 3 sostanziosi aiuti: un cesto di materiale igienico, vestiti e paniere alimentare e scarpe nuove.
 Inoltre, distribuiamo un paniere alimentare ricco a 75 famiglie che sosteniamo da lungo tempo.
 Ogni Lunedi, una dozzina di famiglie di sfollati che alloggiano presso le scuole in Jabal el Sayde  e sono sparsi in città, vengono a ricevere cibo e materiale per l’ igiene  su misura per le loro esigenze. Sono particolarmente grati per il latte e pannolini ...


 Qui dai Maristi Blu, ci stiamo preparando per le attività estive per 50  adolescenti . Si tratta di un programma di attività" SKILL SCHOOL" che  permette ai giovani di incontrarsi e sviluppare le proprie capacità. Un fratello e alcuni giovani animano questo progetto.

 I responsabili del progetto "Imparare per crescere"  prevedono di continuare la loro attività per tutta l'estate. Anche in questo caso, sono 40 bambini di età prescolare a beneficiare di questo progetto.

 Chiudo con le parole del Papa all'Angelus del 2 giugno.
"Questa guerra travagliata porta con sé conseguenze tragiche: la morte, la distruzione, danni economici e ambientali significativi, ma anche la piaga dei rapimenti", ha detto nel fare appello a "l'umanità dei rapitori di rilasciare loro le vittime. "
Assicurando  la sua "preghiera" e "solidarietà" per i rapiti e alle loro famiglie, ha incoraggiato la folla a "pregare sempre per la nostra amata Siria," dove la gente "vuole la pace nella giustizia e nella comprensione. "
Il Papa, però, ha concluso con una nota positiva: "Ci sono tante situazioni di conflitto nel mondo, ma ci sono anche molti segni di speranza."

Noi, Maristi Blu, attraverso la nostra azione, vogliamo essere uno di quei segni.

 Frère Georges SABE . Per i Maristi Blu
 7 giugno 2013


GRANDI VOCI DI PACE PER LA SIRIA

LETTERA DEL PAPA A CAMERON 


All’Onorevole David Cameron, MP

Primo Ministro
Sono lieto di rispondere alla sua cortese lettera del 5 giugno 2013, con cui ha voluto informarmi sull’agenda del Suo Governo per la Presidenza Britannica del G8 nell’anno 2013 e sul prossimo Summit, previsto Lough Erne, nei giorni 17 e 18 giugno 2013, intitolato “A G8 meeting that goes back to first principles”.
Affinché tale tema abbia il suo più ampio e profondo significato, occorre assicurare ad ogni attività politica ed economica nazionale ed internazionale un riferimento all’uomo. Infatti, dette attività devono, da una parte, consentire la massima espressione della libertà e della creatività individuale e collettiva e, dall’altra, promuovere e garantire che esse si esercitino sempre responsabilmente e nel senso della solidarietà, con una particolare attenzione ai più poveri.
Le priorità che la Presidenza britannica ha fissato per il Summit di Lough Erne riguardano soprattutto il libero commercio internazionale, il fisco, la trasparenza dei governi e degli agenti economici. Non manca, comunque, un’attenzione fondamentale all’uomo, concretizzata nella proposta di un’azione concertata del Gruppo per eliminare definitivamente il flagello della fame e per garantire la sicurezza alimentare.
Parimenti, è segno di attenzione per la persona umana il fatto che uno dei temi centrali dell’agenda sia la protezione delle donne e dei bambini dalla violenza sessuale in situazioni di conflitto, anche se occorre non dimenticare che il contesto indispensabile per lo sviluppo di tutte le accennate azioni politiche è quello della pace internazionale.
Purtroppo, la preoccupazione per le gravi crisi internazionali non manca mai nelle delibere del G8, e quest’anno non si potrà non considerare con attenzione la situazione nel Medio Oriente e, particolarmente, in Siria. Per quest’ultima auspico che il Summit contribuisca ad ottenere un cessate il fuoco immediato e duraturo, e a portare tutte le parti in conflitto al tavolo dei negoziati. La pace esige una lungimirante rinuncia ad alcune pretese, per costruire insieme una pace più equa e giusta. Inoltre, la pace è un requisito indispensabile per la protezione delle donne, dei bambini e delle altre vittime innocenti, e per cominciare a debellare la fame, specialmente tra le vittime della guerra.
.....
Dal Vaticano, 15 giugno 2013

ROACO: 86ª ASSEMBLEA. IL CUSTODE P. PIZZABALLA : "quando due elefanti litigano chi soffre è l’erba”


Si è aperta oggi (fino al 20 giugno) l’86ª Assemblea della Roaco (Riunione Opere Aiuto Chiese Orientali), sul tema “La situazione dei Cristiani e delle Chiese in Egitto, Iraq, Siria e in Terra Santa”. A preoccupare in modo particolare i partecipanti all’assemblea, tra cui il Patriarca copto-cattolico, Ibrahim Isaac Sidrak, e quello caldeo di Baghdad, Raphael I Sako, è certamente la difficile situazione in Siria, sulla quale riferirà il Nunzio apostolico a Damasco, monsignor Mario Zenari. Interpellato dal Sir il Custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa conferma che nel corso dei lavori si cercherà “di trovare forme concrete e soprattutto coordinate di aiuto per la popolazione cristiana siriana”.
“In Siria – aggiunge il Custode che è costantemente in contatto con i suoi frati nel Paese – la situazione varia di zona in zona. Alla Roaco ascolteremo la testimonianza di padre Hanna che viene dai villaggi del nord che sono sotto i ribelli. Una certa quiete che si registra, almeno in apparenza, adesso potrebbe preludere a chissà quale ennesima tempesta. Sulla Siria sarà interessante capire che cosa si dirà al G8 in Irlanda. Speriamo che non emergano volontà di armare le due parti in conflitto. La Siria è diventata un campo di battaglia in cui si scontrano forze internazionali e non solo locali e in cui a pagare il prezzo più alto è il popolo inerme. 
C’è un detto africano – conclude padre Pizzaballa – che dice che quando due elefanti litigano chi soffre è l’erba”. Ai lavori della Roaco si parlerà anche di Terra Santa, con la presenza del Delegato apostolico a Gerusalemme, mons. Giuseppe Lazzarotto. Giovedì 20 giugno Papa Francesco riceverà in udienza i membri della Roaco.

http://www.agensir.eu/ita/viewArticolo.jsp?id=0&url=http%3A%2F%2Fwww.agensir.it%2Fpls%2Fsir%2Fv4_s2doc_b.rss%3Fid_oggetto%3D264183%23264183&stit=Quotidiano|ROACO%3A+86%26%23170%3B+ASSEMBLEA.+P.+PIZZABALLA+%28CUSTODE%29%2C+%22AIUTO+COORDINATO+PER+LA+SIRIA%22

L'arcivescovo di Aleppo al G8: "c'è bisogno di dialogo e non di armi"



“Non abbiamo notizie dei nostri due confratelli vescovi e nemmeno dei due sacerdoti. Il tempo trascorre e non sappiamo più cosa pensare”. A smorzare un certo ottimismo che si era diffuso nei giorni scorsi sulla sorte dei due prelati ortodossi rapiti il 22 aprile in Siria è mons. Jean-Clement Jeanbart, arcivescovo greco melkita di Aleppo. “Non abbiamo più notizie di Boulos al-Yazigi, arcivescovo greco ortodosso di Aleppo e Iskenderun e di Youhanna Ibrahim, metropolita siro-ortodosso di Aleppo - riferisce all'agenzia Sir - non sappiamo come evolverà la situazione, se le trattative vanno avanti, e lo stesso vale per i due sacerdoti da mesi nelle mani dei rapitori. Ad Aleppo la situazione sembra, almeno in apparenza più tranquilla, ma nessuno sa cosa si prepara per tutti noi”. Da mons. Jeanbart una “certa speranza” potrebbe arrivare dal G8 a Lough Erne, in Irlanda del Nord dominato dal dossier Siria. Sul martoriato Paese mediorientale è arrivato anche l’appello di Papa Francesco, che ha scritto una lettera al premier David Cameron, padrone di casa del Summit, “auspicando un cessate il fuoco” e la ripresa dei negoziati. “Speriamo - dice l’arcivescovo melkita facendo proprio l’appello del Pontefice - che dal G8 si possa sapere qualcosa di più sul futuro del nostro Paese soprattutto in chiave di soluzioni pacifiche. L’appello del Papa ci conforta e ci dona forza di credere in un futuro non di morte. La soluzione negoziale è l’unica praticabile. - ribadisce mons. Jeanbart - Al G8 dico che abbiamo bisogno di dialogo e non di armi. Dovesse permanere una situazione come quella attuale a rischio non sarebbe solo la Siria ma tutta la regione, e con essa la libertà, la convivenza e la tutela delle minoranze”. 

Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2013/06/18/Siria.%20L'arcivescovo%20di%20Aleppo%20al%20G8%3A%20%22c'%C3%A8%20bisogno%20di%20dialogo%20e%20no/it1-702497
del sito Radio Vaticana 

domenica 16 giugno 2013

Patriarca Twal: «Siamo la Chiesa del calvario. Siria? Meglio vivere sotto un dittatore che cambiare al prezzo di 80 mila morti»

Messa di Natale nella Basilica della Natività di Betlemme

Intervista al patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal: il conflitto in Siria, il processo di pace tra israeliani e palestinesi e il dramma dei cristiani in Medio Oriente



Tempi, 8 giugno 2013
- di  Leone Grotti

Patriarca, che cosa significa che la Chiesa di Gerusalemme è la Chiesa del calvario?
La mia Chiesa è la Chiesa della croce, della sofferenza, dell’occupazione, dell’emigrazione dei cristiani, della libertà che manca a tutti i cristiani del Medio Oriente di venire qui e pregare. Ma se pensiamo a Iraq, Siria ed Egitto vediamo che da due o tre anni tutto il Medio Oriente è la Chiesa del calvario, il calvario della violenza.

A inizio anno ha lanciato questa provocazione: «Se anche la Giordania diventa instabile, dove andremo, in Arabia Saudita?».
Grazie a Dio adesso non dobbiamo aver paura di una cosa che non è successa e spero non succederà mai. Sono stato da poco in Giordania: anche se non al cento per cento, è l’unico paese del Medio Oriente dove c’è stabilità politica e psicologica. Anche le famiglie sono più serene, abbiamo superato la crisi, la paura. Non a caso nel nostro seminario il numero più grande di seminaristi viene proprio dalla Giordania. Ma vorrei sottolineare anche un’altra cosa.
Il 30 maggio scorso, alla presenza del governo, di diversi ambasciatori e del re di Giordania Abd Allah II, con gioia e orgoglio abbiamo inaugurato in modo solenne l’università di Madaba, benedetta da papa Benedetto XVI tre anni fa. L’università funziona da due anni, è cattolica, appartiene al patriarcato, però ha un cuore grande ed è aperta a tutti. Abbiamo studenti da tutto il Golfo: Arabia Saudita, Oman, Iraq, Siria, Giordania, Israele e Palestina. In Giordania oggi tutti possono arrivare senza limitazioni, è l’unico paese così rimasto in Medio Oriente.

Oggi la situazione più grave la vive sicuramente la Siria. È preoccupato per la sorte dei cristiani?
Non sono preoccupato solo per i cristiani ma per tutti gli abitanti della Siria. I cristiani infatti sono parte integrante della popolazione. Che la Siria abbia bisogno di riforme è vero, anche noi ne abbiamo, ma passare dall’esigenza delle riforme alla distruzione di tutto il paese perché alcuni vogliono il cambiamento, questa è un’altra cosa e noi capi religiosi del Medio Oriente non siamo d’accordo.

Ma in Siria c’è un regime.
Tra vivere con un regime imperfetto, dittatoriale e cercare di cambiarlo facendo 80 mila morti e un milione e mezzo di rifugiati, ebbene, io preferisco vivere con un regime imperfetto e con un dittatore. Non si possono accettare 80 mila morti e milioni di rifugiati per il gusto di cambiare. Tutto l’Occidente e l’America hanno vissuto per anni con regimi che non erano certo esemplari. E ancora oggi si convive e si collabora con tante dittature che non rispettano al cento per cento i valori di libertà e dignità che l’Occidente proclama. Ma io provo pena nel vedere 800 mila rifugiati in Giordania che vivono dell’elemosina del mondo intero. Ecco perché ringrazio la solidarietà mondiale, quella italiana e quella americana, quella musulmana del Golfo e quella della Caritas, ma preferirei avere evitato il problema e non avere bisogno oggi di ringraziare per questi aiuti.


In Siria da oltre un mese sono stati rapiti due vescovi ortodossi. Avete qualche notizia?
Non abbiamo nessuna notizia. Durante il regime di Assad padre e Assad figlio non avevamo mai avuto vescovi sequestrati. Ma ora c’è il cambiamento, ora vogliamo migliorare e il risultato è che succedono questi fatti tristi.

Non si fida dei ribelli che combattono contro Assad?
Tutti gli estremisti musulmani della Giordania, di cui tanto abbiamo paura, si sono trasferiti in Siria. Per me è il colmo vedere che ora collaboriamo con loro, lo ripeto: è il colmo. L’Europa, che professa valori di prima classe, come può arrivare a un punto tale di collaborazione con gente che fa paura a loro stessi, fa paura ai loro popoli, fa paura ai nostri regimi arabi e fa paura anche a voi italiani, che tanto temete l’estremismo religioso?

In Europa, soprattutto Francia e Regno Unito vorrebbero armare i ribelli e rafforzarli per sconfiggere Assad.
Ottantamila morti non ci bastano? Vogliamo ancora più vittime e distruzione per cambiare questo famoso regime di Assad? Bene, inviamo le armi ai ribelli e avremo la certezza che i morti aumenteranno. Mettiamo però sulla bilancia il prezzo che stiamo pagando con i risultati.

Se il risultato fosse la fine della guerra civile?
E che cosa viene dopo? Cosa succederà dopo? Prendiamo l’Iraq, ci soddisfa la sua situazione oggi? Abbiamo davanti agli occhi l’esempio della Libia, dell’Egitto, abbiamo tanti esempi, non dobbiamo essere ciechi. Chi viene dopo da meritare così tanti sacrifici, tutte queste vite distrutte, tutto il paese distrutto? Per chi, per che cosa? Facciamo un bilancio. Se ne vale la pena, allora ringraziamo il Signore, altrimenti chiediamoci dove ci porta questa avventura. Noi sappiamo bene come si comincia una guerra ma non sappiamo come andrà a finire. Se uno mi dicesse: dopo il cambiamento, voi cristiani e patriarchi avrete queste e queste cose che non avete mai avuto con Assad. Allora forse daremmo la nostra benedizione, ma noi non sappiamo dove andiamo. Come posso oggi benedire tanti massacri e tanti morti?
foto di Guillaume Briquet
Tornando a Gerusalemme, come giudica il tentativo da parte del segretario di Stato americano John Kerry di far ripartire i dialoghi di pace tra israeliani e palestinesi?
(sospira) Una volta un ministro italiano di cui non voglio fare il nome anni fa è venuto da me e mi ha detto: “Stiamo per far rivivere il processo di pace”. Io gli ho risposto: “Onorevole, mi chiedo perché non andiate mai direttamente alla pace”. Sono 50 anni che procediamo ma non siamo arrivati a niente. Io ringrazio Kerry, ringrazio i partner israeliani e palestinesi, noi appoggiamo tutto e speriamo. Però ci siamo stancati di processi, processi, processi. Io prego di sbagliarmi ma ho paura che non ci sia una buona volontà politica di fare la pace. Entrambi i popoli hanno il desiderio della pace, ma c’è tanta paura e sfiducia. E anch’io ho paura.

Qual è la priorità oggi per la Chiesa di Gerusalemme?
Vivere in pace, lavorare in pace, fare del bene in pace, far vivere le nostre istituzioni in pace, lasciarci lavorare per il bene di tutti. In pace.

Avete ancora speranza nella fine del calvario?
Essere la Chiesa del calvario significa anche essere la Chiesa della resurrezione, della speranza, della gioia di vivere, della collaborazione, del lavoro e del dialogo con tutti per arrivare alle soluzioni migliori. Con più giustizia, serenità e pace per tutti. Ringrazi da parte mia l’Italia, perché da voi il governo, il popolo e la Chiesa sono sempre stati vicini alla Terra Santa e a tutti i suoi abitanti. Continuate a dire la verità.

http://www.tempi.it/fouad-twal-siamo-la-chiesa-del-calvario-siria-meglio-vivere-sotto-un-dittatore-che-cambiare-al-prezzo-di-80-mila-morti#.UbTtA21H45s


ULTIMA ORA: Appello del Papa per la Siria: nella lettera a Cameron presidente di turno del G8 


Il summit del G8 lavori per un cessate il fuoco immediato in Siria e per l’avvio di negoziati: così Papa Francesco in una lettera di risposta al Primo ministro inglese David Cameron che il 5 giugno scorso aveva scritto al Santo Padre in vista del Summit del G8 a Lough Erne, in Irlanda del Nord, in programma domani e martedì 18.
....
leggi su

http://it.radiovaticana.va/news/2013/06/16/appello_del_papa_per_la_siria:_nella_lettera_a_cameron_presidente_d/it1-702066
del sito Radio Vaticana

sabato 15 giugno 2013

I cristiani tornano ad al-Qusair: Uniti ai musulmani per la riconciliazione

A-Qusair St Elia


Circa 3mila cristiani risiedevano da mesi nei villaggi limitrofi. Le prime famiglie sono giunte in città poco dopo la cacciata degli estremisti islamici da parte del regime. Gli stessi musulmani accusano i ribelli di aver fomentato l'odio settario in Siria. Insieme al santuario di S. Elia distrutta anche la locale moschea.


AsiaNews - 12/06/2013

Al-Qusair - Fuggiti nei villaggi limitrofi e nella capitale Damasco, i cristiani di al-Qusair ritornano nelle loro abitazioni dopo quasi due anni. Molti hanno perso tutto, altri hanno già iniziato a togliere le macerie dalle stanze, ricostruire i tetti, riportando alla vita una città che negli ultimi mesi aveva perso oltre il 90% della sua popolazione passando da 30mila abitanti a 500.
Fonti di AsiaNews spiegano che nel 2011 oltre 3mila cristiani hanno abbandonato la città rifugiandosi da parenti e amici. In questi mesi gli unici abitanti non musulmani erano due anziani cattolici, marito e moglie. "La coppia - affermano - non sapeva dove fuggire. L'unica figlia è una religiosa melchita, che risiede all'estero. Essi sono stati aiutati dai loro vicini musulmani".
Le notizie comparse sui media descrivono la Siria come un luogo devastato dal conflitto fra sciiti e sunniti che ha colpito anche i cristiani. Tuttavia, per le fonti il Paese è stato devastato da forze esterne, che hanno sfruttato l'instabilità e le rivolte pacifiche iniziate nel 2011 per portare avanti le loro agende politiche e ideologiche. Esse sono culminate con l'intervento di Hezbollah, movimento paramilitare sciita libanese, a fianco dell'esercito siriano.


Situata al confine con il Libano, al-Qusair è stata una delle prime città a organizzare manifestazioni pro-democrazia contro il regime di Assad e in seguito a costituire un comitato cittadino per evitare lo scontro fra fazioni religiose. "Tali comitati - continuano le fonti di AsiaNews - hanno salvato diversi villaggi e città, preservandole dall'ondata di estremismo islamico che sta distruggendo in questi mesi Aleppo e altri centri del Paese". "Ad al-Qusair - spiegano -  chiese e moschee sono state costruite l'una accanto all'altra". Un esempio è il santuario di S. Elia, profanato di recente dagli islamisti stranieri, dopo essere sopravvissuto allo scontro armato fra ribelli locali ed esercito, che hanno sempre avuto rispetto degli edifici di culto.
Lo scempio compiuto dalle milizie di al-Nousra, che ha fra i suoi ranghi combattenti di 15 nazioni diverse, ha suscitato l'ira della popolazione. Intervistato da Reuters, Osama Hassan, impiegato statale musulmano afferma: "Per me è stato 'un grande shock' vedere profanato il santuario di S. Elia. Noi musulmani consideriamo le chiese un luogo sacro di cui bisogna avere rispetto". Hassan racconta che i ribelli hanno fatto saltare in aria anche il minareto della vicina moschea. Per gli abitanti sono i guerriglieri islamisti ad aver fomentato le differenze settarie fra la popolazione, composta da musulmani, sunniti e sciiti, e cristiani. Un residente sunnita afferma che anche il cimitero parla di questa condivisione e rispetto reciproco: "Le tombe di cristiani e musulmani sono situate le une di fronte alle altre. Noi siamo sempre stati uniti". (S.C.)

Monastero Greco-Ortodosso di S. Elia

Al- Qusair
Al-Qusair
  
http://www.asianews.it/notizie-it/I-cristiani-tornano-ad-al-Qusair:-Uniti-ai-musulmani-per-la-riconciliazione-28179.html

Sacerdote a Homs racconta i dettagli dell’ Horror siriano


Zenit.org, 14 giugno 2013

Un sacerdote che lavora nella città devastata di Homs in Siria ha dato un resoconto di alcuni degli orrori che ha di fronte ogni giorno.
Il sacerdote, che non può essere nominato, ha inviato una relazione al soccorso di “Aiuto alla Chiesa che soffre”, che sta sostenendo i siriani con un pacchetto di aiuti di £ 25.450 (€ 30.000) per un centro di Homs, oltre a £ 42.450 (€ 50.000 ) dati l'anno scorso.
Il rapporto dettaglia gli sforzi del prete di fornire prodotti alimentari di base, riparo e medicine per più di 30.000 persone in fuga da violenze,  tra esplosioni di autobombe in corso e altre violenze.

Egli continua a dar conto delle "numerose esplosioni" della scorsa settimana nel suo quartiere di Homs, una delle quali ha avuto luogo molto vicino alla sua chiesa.
L'autobomba ha lasciato 11 morti, di cui cinque erano  suoi parrocchiani.
Un'esplosione in precedenza ha causato la morte di un  ragazzino di 10 anni  dal centro della comunità cattolica vicino alla sua chiesa. Altri tre bambini sono rimasti feriti.
Nella sua relazione, il sacerdote rende omaggio a un prete gesuita e a 74 altri cristiani che vivono in un "assedio come modalità" a Homs nell'antica Città Vecchia, dove molte chiese storiche, moschee e altri edifici sono in rovina, dopo aspri combattimenti.
Di fronte a una carenza di cibo e medicine, il gesuita e il suo gregge si affidano a pacchi di aiuti che vengono inviati a loro.
Descrivendo la vita del gesuita e del suo piccolo popolo cristiano, il sacerdote scrive che la gente continua ad aggrapparsi alla speranza, nonostante le difficoltà.

Egli ha detto: "Abbiamo una grande speranza. Le Chiese suonano ancora le campane per la preghiera e tutte le persone vengono a condividere la Messa "
Citando Papa Francesco, egli scrive: "Nessuno ci può rubare la nostra speranza e la gioia."


(14 giugno 2013) © Innovative Media Inc.

venerdì 14 giugno 2013

Lettera a Paolo Dall’Oglio

Il post  dal titolo Il ribelle Dall'Oglio continua a suscitare reazioni di diverso segno.
Da parte nostra evidenziamo il commento di una lettrice che ci è sembrato particolarmente pertinente: 

 Una cosa in particolare mi lascia perplessa. Il Sig. Dall’Oglio parla di dovere morale di un intervento armato. Ma di quale morale sta parlando ? Non quella cattolica, dato che il Papa ( e non solo questo Papa) da tempo chiede di finirla con la logica delle armi e favorire le soluzioni politiche e l’autodeterminazione dei Siriani. Lo chiedeva recentemente anche il rappresentante della Santa Sede all’ONU, così ho letto su un articolo riportato da questo blog.
Non entro nel merito della questione in sé, ma mi fa specie che questa posizione sia proposta da un sacerdote, da un gesuita. Questa non è materia di infallibilità, è vero. Ma un gesuita non dovrebbe cercare di essere in sintonia col Papa?
Sarebbe più onesto mi pare presentare queste tesi senza clargyman.
E poi: da un anno e mezzo chiede questa soluzione ? Ciò mi fa pensare che in tutto questo tempo dall’Oglio sia rimasto chiuso a qualunque evoluzione possibile della situazione, a qualunque sforzo di chicchessia che non entrasse nella sua prospettiva. Più che dialogo, sembra ricerca del proprio progetto. Atteggiamenti così non aiutano a costruire una libertà condivisa.
Alessandra 


Riceviamo e pubblichiamo la lettera che scrive al Padre un cristiano di Damasco 



A Paolo Dall’Oglio

Non so come chiamarti, ti chiamo Padre? Non so. Perché , secondo me il prete è  un uomo che ha messo la sua vita al servizio della pace, dell’amore, e della riconciliazione.
O ti chiamo Monaco? Pure non so, perché  secondo me il Monaco è un uomo ascetico,  cerca il volto di Dio negli altri.
Secondo me, e secondo tanti altri siriani, in particolare i Cristiani della Siria, non sei più un uomo di Dio. Ma sai perché?
1- perché  stai cercando la tua gloria terrena, non altro.
2- perché  hai cambiato la tua vocazione da  uomo di pace, ad un uomo che chiama alla guerra.
3- invece di cercare di trovare una soluzione pacifica della crisi siriana, hai iniziato a concentrarti ed a mettere tutta la tua energia per portare l’intervento Nato ed armare i ribelli che tu chiami Partigiani, perché i cannibali sono diventati partigiani, secondo  te.
Per tutto questo, noi cristiani della Siria, crediamo che Gesù Cristo è Dio di pace non di guerra, è  Dio di amore non di odio, Dio di gioia non Dio che ama il sangue.
Basta  accusare gli altri religiosi cristiani della Siria che “sono disonesti e sono stati creati dal regime” ..  Non giudicate per non essere giudicati!  
Basta dire che sei l’unico religioso che alza la sua voce contro il regime! . Ma non sei stato per più di 30 anni sotto la protezione del regime?
- Paolo, te lo dico con tanto dispiacere: hai perso tutti i tuoi punti, hai perso, e lo dico con tanta amarezza,  l’amore della maggioranza Cristiana.
- Secondo te l’intervento della Nato è la migliore uscita dei siriani?
- Bombardare le città  principali (Damasco-Homs-Tartus-Lattakia-Aleppo) dove vive il maggior  numero dei cristiani con questo intervento che invochi, è la soluzione migliore?
 Vuoi distruggere quello che è rimasto della Siria?

Ti ho conosciuto da tanti anni, dal 1988, avevo in quel tempo 18 anni. All’inizio mi piacevano tantissimo le tue nuove idee sulle religioni. Mi piaceva la tua apertura verso gli altri, il tuo modo di fare, la fondazione di Mar Musa…

Allora, Paolo, ti prego:  Abbi pietà del popolo siriano, particolarmente dei cristiani rimasti, e non commerciare col loro sangue,  perché  NOI  NON TI ABBIAMO NOMINATO DELEGATO O PORTAVOCE DEI CRISTIANI DELLA SIRIA.
Ti prego, torna alla via recta, ascolta la  tua coscienza Cristiana che chiama all’amore e alla pace.
Tieniti  lontano dalle idee Jihadiste estremiste, e lascia i salafiti ed i fratelli musulmani, … o vorresti essere uno di loro?

Il tuo fratello in Cristo.
Samaan Daoud
      

giovedì 13 giugno 2013

“In Siria caos e macerie. Uniti al Papa chiediamo il dialogo”



Agenzia Fides, 3/6/2013

Aleppo  – “Vediamo solo caos e distruzione in un conflitto che è tutti contro tutti. In un paese sfigurato, con la popolazione civile condotta al macello, l’appello di Papa Francesco richiama al dialogo e alla riconciliazione. Urgono passi concreti e speriamo che la Conferenza di Ginevra sia la svolta per una soluzione politica al conflitto siriano”: lo dice all’Agenzia Fides S. Ecc. Jean-Clément Jeanbart, Arcivescovo Metropolita di Aleppo per i Greco-cattolici (melkiti).
L’Arcivescovo esprime riconoscenza al Papa per le parole espresse all’Angelus del 2 giugno, affermando che danno “consolazione e speranza”. Il papa ha ricordato “la tormentata situazione di guerra, morte, distruzione, ingenti danni economici e ambientali, come anche la piaga dei sequestri di persona”, assicurando “preghiera e solidarietà” e appellandosi “all’umanità dei sequestratori affinché liberino le vittime”.
Mons. Jeanbart esprime tutta la sua preoccupazione e tristezza “nel vedere un paese ridotto in macerie”, e “nell’assistere a violenze, uccisioni terribili di civili e di bambini, sequestri, che sfregiano il volto del popolo siriano”, in una sorta di “degrado della stessa umanità”.

Sui due vescovi (il siro-ortodosso Gregorio Yohanna Ibrahim e il greco-ortodosso Boulos al-Yazigi) ancora sotto sequestro, e sui due preti rapiti dal febbraio scorso (l’armeno cattolico Michel Kayyal e il greco ortodosso e Maher Mahfouz ), l’Arcivescovo dice: “Non ci sono novità, non si sa nulla e questo è segno del caos che regna. I sequestrati sono persone che facevano opere umanitarie, aiutando la gente a vivere in questa tragica situazione. E’ molto preoccupante. Dove andremo a finire?”

Di fronte a un sofferenza immane, “il nostro timore è che i fedeli cristiani continuino a lasciare il paese, in cerca di una vita dignitosa”. “Si soffre per mancanza di merce, combustibili, elettricità, a volte di cibo. Ma quello che ci fa soffrire di più è vedere che il futuro diventa sempre più scuro. Il futuro per noi cristiani e per tutti i siriani – precisa – non può che essere basato sulla piena cittadinanza, sulla libertà, sulla dignità e sul rispetto dell’altro. Altrimenti cosa ci accadrà?”
La Siria è “una terra santa che ha visto la nascita della Chiesa universale. L’appello del Papa è prezioso – spiega mons. Jeanbart – perché richiama il mondo intero a fare qualcosa per noi. Auspichiamo che la imminente Conferenza di Ginevra riesca ad aprire un reale spiraglio di pace, a offrire un’apertura reale verso il dialogo e verso una soluzione politica”.

Ieri nelle chiese siriane e nelle comunità della diaspora, “abbiamo pregato con il Papa nell’ora di Adorazione Eucaristica, un momento importantissimo per affidare a Dio la Siria e invocare la pace”, riferisce l’Arcivescovo.

http://www.fides.org/it/news/52917-ASIA_SIRIA_Arcivescovo_melkita_di_Aleppo_In_Siria_caos_e_macerie_Uniti_al_Papa_chiediamo_il_dialogo#.Ua2eA21H45s


Il Metropolita siro ortodosso Roham: il popolo soffre anche dove non si combatte

Agenzia Fides 23/05/2013
Le aree extraurbane della Siria settentrionale “sono per lo più controllate da diversi gruppi di insorti”. L'esercito governativo ha abbandonato le zone rurali, per concentrare la sua presenza sulle città di Hassakè e Kamishly. “Ma le persone in queste due città hanno una gran paura che i combattimenti possano iniziare da un momento all'altro. In quel caso, un gran numero di bambini, ragazze, donne e anziani attraverserà il confine con la Turchia”.
Così Eustathius Matta Roham, Metropolita siro ortodosso di Jazirah e Eufrate, descrive la situazione d'allarme permanente vissuto dalle popolazioni siriane nel governatorato nord orientale di Hassakè, confinante con Turchia e Iraq.

 In un resoconto inviato all'Agenzia Fides, il Metropolita siro ortodosso conferma che nella città di Ras al-Ayn le chiese e tutti i simboli cristiani sono stati distrutti, e riferisce che nell'area il conflitto militare sta vivendo al momento una fase di stallo, ma tutta la popolazione soffre per collasso delle attività economiche e per la carenza di beni primari che ha fatto più che decuplicare i prezzi. “Prosegue la prassi sistematica dei rapimenti” spiega S. E. Roham “e si registra un flusso permanente di persone in fuga verso la Turchia”.

Sabato 18 maggio il Metropolita Roham ha incontrato a Monaco di Baviera rappresentanti di organizzazioni caritative cristiane per valutare con loro i programmi di soccorso a favore delle popolazioni siriane. L'incontro fa parte di una missione in Europa che S. E. Roham sta realizzando su mandato del Patriarca siro ortodosso Ignatius Zakka I Iwas, anche per accertarsi della condizione in cui vivono i rifugiati siriani che hanno raggiunto la Grecia.


MA, MENTRE IL POPOLO SOFFOCA PER LE SANZIONI...

Siria: Usa revocano sanzioni commerciali ai ribelli

Washington, 12 giu. - In attesa che si decida l'eventuale invio di armi ai ribelli, intanto gli Stati Uniti hanno revocato le sanzioni economiche contro le forze dell'opposizione per fornire aiuti alle 'aree liberate' dal contro del regime siriano. Le misure, annunciate dal dipartimento di Stato e dal Tesoro consentiranno alle societa' americane di fornire tecnologia software, mezzi per la ricostruzioni edile e generatori di elettricita', cosi' come prodotti alimentari all'opposizione. Quest'ultima potra' acquistare questo materiale con il petrolio estratto nelle aree che controlla. .
http://www.repubblica.it/ultimora/24ore/nazionale/news-dettaglio/4358557

martedì 11 giugno 2013

Sulle chiese di Al-Qusair i segni della guerra contro Assad e dell'odio religioso dei ribelli




Dopo un anno di assedio la città è ridotta a un villaggio di 500 abitanti. Case e abitazioni sono ormai un cumulo di macerie. Fuggiti tutti i 3mila cristiani che per secoli hanno convissuto con i musulmani. Il monastero di S. Elia dissacrato dalle milizie islamiste.

AsiaNews - 07/06/2013 

La battaglia fra ribelli ed esercito per la conquista di Al-Qusair ha distrutto la città, ridotta ormai a un cumulo di macerie. Dei 30mila abitanti, di cui 3mila cristiani, presenti prima dell'inizio della guerra civile, solo 500 restano nelle proprie abitazioni. Dalle immagini diffuse dalla Bbc le vie appaiono deserte. La maggior parte delle case e degli edifici pubblici sono crollati sotto i colpi di mortaio, o sono stati trasformati in depositi di armi dalle milizie anti-Assad, che per oltre un anno hanno occupato la città.
L'assedio non ha risparmiato nemmeno moschee e chiese, per secoli esempio della convivenza pacifica fra musulmani e cristiani. Diversi edifici ortodossi sarebbero state dissacrati dagli stessi ribelli islamici durante la loro permanenza, come confermano alcuni testimoni a Lyse Doucet, inviata della Bbc e prima giornalista straniera ad essere entrata ad Al-Qusair. La corrispondente dell'emittente britannica descrive lo stato di abbandono del piccolo monastero greco-ortodosso di S. Elia, simbolo della comunità cristiana locale. In questi mesi i ribelli si sono accaniti contro l'edificio, che appare crivellato di colpi di artiglieria.  Sul pavimento giacciono sparsi decine di oggetti di culto. Alle pareti sono ancora appese alcune icone e statue, ma la maggior parte risulta sfregiata e mutilata, segno di una distruzione pianificata e non casuale.
Intervistato da AsiaNews, p. Simon Faddoul, presidente di Caritas Libano, spiega che da oltre un anno non si hanno notizie della comunità cristiana di Al-Qusair. "La maggior parte di loro - afferma - è fuggita quando la città è caduta in mano ai ribelli nel 2012. A differenza dei musulmani, pochi cristiani hanno varcato il confine con il Libano. La maggior parte delle famiglie ha preferito cercare rifugio in altre città o villaggi".

Monastero Greco-Ortodosso di S. Elia

Monastero S. Elia - Interno

Monastero S. Elia - Altare

Monastero S. Elia - altarino profanato

Monastero S. Elia - Messale profanato

http://www.asianews.it/notizie-it/Sulle-chiese-di-Al-Qusair-i-segni-della-guerra-contro-Assad-e-dell'odio-religioso-dei-ribelli-28144.html

lunedì 10 giugno 2013

Carità per la Siria!

COMUNICATO DEL PONTIFICIO CONSIGLIO COR UNUM, ORGANISMI CARITATIVI CATTOLICI ATTIVI NEL CONTESTO DELLA CRISI SIRIANA 

4-5 GIUGNO 2013

Papa Francesco ha rinnovato il suo forte appello per la pace in Siria, dove è in corso uno dei conflitti armati più letali, con più vittime civili in rapporto ai militari, con il maggior numero di sfollati e di rifugiati. Le violenze e ogni sorta di abuso hanno raggiunto livelli indicibili, senza alcuna considerazione della dignità umana.
Valgono le parole con cui Papa Francesco ha ricevuto in udienza i partecipanti, manifestando la sua particolare vicinanza alle comunità cristiane della regione e a tutta la popolazione: "Quante sofferenze dovranno essere ancora inflitte prima che si riesca a trovare una soluzione politica alla crisi?". "L’opera delle Agenzie di carità cattoliche è estremamente significativa: aiutare la popolazione siriana, al di là delle appartenenze etniche o religiose, è il modo più diretto per offrire un contributo alla pacificazione e alla edificazione di una società aperta a tutte le diverse componenti".

1. Il Pontificio Consiglio Cor Unum ha convocato una riunione di coordinamento umanitario sulla crisi in Siria, il 4–5 giugno, a cui hanno partecipato circa 25 rappresentanti delle Chiese locali, degli organismi caritativi attivi sul posto, donatori istituzionali del mondo cattolico, della Santa Sede, e il Nunzio Apostolico in Siria, i quali hanno riaffermato la continuità del loro impegno e rinnovato l’appello del Santo Padre affinché cessi ogni violenza e si aprano percorsi di dialogo e di riconciliazione, nel rispetto di tutti.

2. Le Chiese locali hanno dato risposte concrete alla popolazione sin dall’inizio del conflitto, da marzo 2011 fino ad oggi, sia in Siria, sia in tutta la Regione. Vengono regolarmente sostenute più di 400.000 persone, senza alcuna discriminazione, con aiuti umanitari, in ambito socio-sanitario ed educativo, per un ammontare complessivo di oltre 25 milioni di Euro. Le testimonianze portate, frutto di un’esperienza diretta sul posto, in Siria, Libano, Giordania, Turchia e in altri Paesi dove continuano ad arrivare rifugiati, confermano l’entità del dramma: sono quasi 7 milioni le persone bisognose di assistenza umanitaria, più di 4,5 milioni gli sfollati interni e sempre più persone cercano sicurezza fuori dei confini del Paese (Libano, Giordania, Turchia e Iraq hanno già accolto oltre 2 milioni di rifugiati siriani).

3. Un’analisi più attenta dei bisogni sul campo ha messo in evidenza che, col sopraggiungere dell’estate, aumenteranno certamente i rischi di epidemie, di mancanza di medicinali e di assistenza per la popolazione colpita, in particolare per le donne incinte e per i bambini, per anziani e disabili. Il quadro complessivo della logistica, della sicurezza, della protezione umanitaria, resta allarmante, e si aggraverà se non si troverà il modo di garantire il rispetto del diritto umanitario in generale, e, in particolare l’accesso umanitario sicuro per gli aiuti, e soprattutto se non si arriverà ad una tregua o almeno ad un cessate il fuoco.

4. Tutto questo richiederà uno sforzo ancora maggiore e sempre più complesso alle organizzazioni caritative cattoliche. Perciò il Pontificio Consiglio Cor Unum lancia un appello, a nome di tutti gli organismi presenti all’incontro, a sostenere anche finanziariamente gli sforzi di assistenza umanitaria e di ricerca di pace, in vista della auspicata ricostruzione di un Paese lacerato e distrutto.

5. La comunità internazionale deve fornire più sostegno ai paesi che accolgono i rifugiati e alle operazioni umanitarie, per poter rispondere alle loro crescenti necessità. L’impegno di mediazione della comunità internazionale, sebbene più deciso rispetto ai mesi precedenti, pare ancora insufficiente. Così aumentano sempre più i rischi che in Siria si generi un’altra guerra infinita, in cui le prime vittime sono i civili inermi, trattati come bersagli e spesso come vittime dirette ed indirette delle continue violenze, "un’inutile strage". 

http://attualita.vatican.va/sala-stampa/bollettino/2013/06/06/news/31129.html

Il cuore dell'India 

I cristiani indiani porteranno aiuti agli sfollati siriani in un viaggio di solidarietà


Agenzia Fides 22/5/2013
Ernakulam  – I cristiani indiani si mobilitano per i confratelli in Siria dove, dall’inizio del conflitto civile, le vittime sono oltre 90.000 e i profughi continuano a crescere. I cristiani siriani stanno soffrendo insieme con la popolazione per sfollamento e povertà e si calcola che oltre un milione e mezzo di siriani siano emigrati. Per questo, la Chiesa giacobita in Kerala, legata al Patriarcato siro-ortodosso di Antiochia, ha lanciato un raccolta di aiuti umanitari per l’assistenza alle comunità cristiane in Siria.
 “La lotta è diventata sempre più violenta e ha lasciato la maggior parte delle chiese e proprietà cristiane in Siria danneggiate”, spiega una nota della Chiesa giacobita pervenuta all’Agenzia Fides. Tutte le comunità di fedeli in Kerala stanno contribuendo generosamente alla raccolta, che farà capo al Catholicòs Baselios Thomas I, leader della Chiesa giacobita in India. Nelle prossime settimane una delegazione della Chiesa compirà una missione di solidarietà in Siria, consegnando gli aiuti. Le comunità cristiane indiane, di tutte le confessioni, esprimono vicinanza e preoccupazione anche per la delicata vicenda, tuttora irrisolta, del rapimento di due vescovi siriani.
La Chiesa giacobita siriaca, una delle varie chiese cristiane fondate in India dalla predicazione di san Tommaso Apostolo, è parte integrante della Chiesa siro-ortodossa, e ha il Patriarca di Antiochia come suo capo supremo. 
Il capo della Chiesa in India è il “Catholicòs d'Oriente”, attualmente Baselios Thomas I, e ha la sua sede nello stato del Kerala, nell’India meridionale.

La diaspora siriana interroga le Caritas



Un milione e mezzo di profughi fuggiti dalla Siria, con 10mila nuovi ingressi al giorno alle frontiere di Turchia, Libano, Giordania, Iraq fino all’Egitto. Fuggono anche i cristiani. Ogni Paese regge da anni una media di mezzo milione di presenze. Un po’ meno in Iraq ed Egitto, ma pur sempre un peso enorme, con tensioni sociali sul punto di esplodere e problemi emergenti come la tratta di persone a scopo di sfruttamento lavorativo e sessuale, i matrimoni forzati. In Libano, ma anche in Turchia, alcune famiglie vendono figlie giovanissime per 5mila dollari. Le donne si prostituiscono per soli 3 dollari. E molti siriani, visto che il conflitto non accenna a placarsi, stanno cercando vie di fuga verso l’Europa. Oggi Caritas internationalis, impegnata per la Siria con progetti pari a circa 15 milioni di euro (destinati alle varie Caritas locali che aiutano complessivamente oltre 100 mila persone), lancia un appello in cinque punti per chiedere la fine delle violenze, la ricerca di una soluzione diplomatica e maggiore solidarietà. Abbiamo raccolto alcune voci al Migramed meeting in corso in questi giorni a Otranto, organizzato da Caritas italiana, con oltre 100 partecipanti dalle Caritas diocesane, europee e del bacino del Mediterraneo.


S.I.R.- Otranto- Giovedì 23 Maggio 2013  
L’appello di Caritas internationalis. “Chiediamo alla comunità internazionale di porre fine a ogni forma di violenza e cercare delle soluzioni politiche”, precisa Martina Liebsch, di Caritas internationalis, e di “smettere di finanziare, armare e supportare ulteriormente il conflitto”. Bisogna “aprire vie di dialogo tra i partiti, le religioni e le culture, per rispettare la dignità e i diritti delle persone, comprese le minoranze”. Punto importante è la richiesta di “maggiore solidarietà internazionale, aumentando i finanziamenti per la protezione delle persone in Siria e per i profughi, anche per alleviare il peso sui Paesi limitrofi”. Finora i flussi verso l’Europa sono ancora modesti: 300 siriani in Italia lo scorso anno, 200 dall’inizio del 2013 a oggi. “Le persone tendono a rimanere più vicino possibile a casa - osserva Liebsch -. Ma se il conflitto non finisce potrebbero arrivare anche in Europa. Per questo serve la solidarietà internazionale. So di Paesi come la Germania e la Svezia che hanno accettato un certo numero di persone. Potrebbero essere attuate iniziative simili”. Anche Papa Francesco, incontrando la settimana scorsa i vertici di Caritas internationalis, aveva parlato della Siria come “dimostrazione tragica della sorte dei rifugiati”, invitandoli a riservare loro “la tenerezza della Chiesa”.

In Libano tensioni sociali e matrimoni forzati. Il Libano ha 4 milioni di abitanti. La metà della popolazione è straniera. I rifugiati siriani in tutto il Paese sono ufficialmente 470mila (ma il numero è molto più alto, circa 1 milione e 200mila comprese le famiglie di chi già vi lavorava), oltre ai 150mila palestinesi siriani. Inizia a mancare il lavoro, aumentano la microcriminalità e le ostilità con i locali. Il governo non ha costruito campi. Solo ora comincia a pensarci. I profughi vivono in case abbandonate, edifici in costruzione, tende di fortuna o per strada. La situazione rischia di diventare esplosiva. Ce la descrive Najla Chahda, direttrice di Caritas Libano, che gestisce da 10 anni un centro per migranti a Beirut. Caritas Libano ha assistito finora più di 150mila rifugiati, con cibo, servizi legali, assistenza medica, educazione, prevenzione e attività sociali per i traumatizzati. Tra due settimane apriranno anche un centro di informazione per dare assistenza alle frontiere. “I libanesi stanno perdendo il lavoro perché i siriani vengono pagati meno - spiega Chahda -. Le persone sono frustrate, c’è molta microcriminalità. Secondo il Ministero dell’interno il 75% dei reati sono commessi dai poveri. Questo aumenta le tensioni tra libanesi e siriani. La situazione sta diventando molto difficile”. “Abbiamo anche molti rifugiati cristiani - aggiunge -, si parla di 1500 famiglie. E il numero aumenta di giorno in giorno”. In più emerge il fenomeno della prostituzione e dei matrimoni forzati, con ragazzine vendute dai genitori per 5mila dollari. “Le madri ci raccontano le loro preoccupazioni - dice Chahda -. Per non essere accusati di interferire nella vita delle persone e negli usi delle comunità, possiamo solo lavorare sulla consapevolezza e informarli della possibilità di chiedere aiuto alle ong internazionali”.

In Turchia bombe e paura. In Turchia 190mila profughi siriani vivono nei 18 campi governativi. Altri 200-250mila in case, tende, capannoni e alloggi di fortuna. Visto l’afflusso enorme il governo sta costruendo altri otto campi. Dopo le 52 vittime, la settimana scorsa, a causa di due autobombe a Reyhanli, una cittadina al confine con la Siria dove opera Caritas Turchia con un team di 5 persone, sono aumentati gli episodi di intolleranza da parte della popolazione. “Per il momento abbiamo dovuto sospendere le attività - spiega Chiara Rambaldi, che lavora da 4 anni a Caritas Turchia -. Il contesto è delicato. Le famiglie siriane sono spaventate, non escono più di casa”. Ci sono anche decine di famiglie cristiane: “Sono rifugiate nei monasteri del sud-est, a Midiot Mardin”. Intanto molti siriani sono arrivati perfino a Istanbul: Caritas Turchia assiste lì 180 famiglie, oltre alle altre 1200 di Reyhanli. “Forniamo, cibo, sostegno psicologico, assistenza medica, educazione - dice -. A breve apriremo uno spazio di socializzazione per i bambini”. Anche qui si riscontrano casi di matrimoni forzati e tratta di persone. A tutti i profughi viene concessa una protezione umanitaria temporanea. “Sarebbe meglio - suggerisce - che avessero accesso all’asilo politico”.


Urgent call for action: protect Syrian people from more slaughter


sabato 8 giugno 2013

Il ribelle Dall'Oglio

 " E' un anno e mezzo che parliamo della necessità morale o di un intervento diretto come avvenuto in Libia o indiretto, con la scelta di dare le armi giuste.."
  
Il gesuita Dall'Oglio: "Gli italiani chiedano di prendere una posizione chiara e forte sulla necessità di offrire al popolo siriano la possibilità di difendersi". 
Il gesuita Paolo Dall'Oglio: "In Siria un regime mafioso e l'Europa non fa nulla per ignavia"
06/06/2013 
Il sacerdote a 24 Mattino parla della guerra civile che nell'ultimo anno e mezzo ha causato circa 100mila morti 

Il sacerdote, dopo 30 anni vissuti in Siria, è stato espulso nel 2012 dal governo Assad e oggi a 24 Mattino parla della guerra civile che nell'ultimo anno e mezzo ha causato circa 100mila morti: "I cittadini italiani - ha detto Dall'Oglio -prendano iniziative civili sul nostro ministro degli Esteri Emma Bonino che è alla testa dell'ignavia europea, una ignavia irresponsabile nei confronti della rivolta del popolo siriano. Gli italiani chiedano di prendere una posizione chiara e forte sulla necessità di offrire al popolo siriano la possibilità di difendersi concretamente e militarmente dal regime Assad.
Bonino - ha continuato nella sua critica il gesuita - è tra quelli che esercitano l'irresponsabilità europea per motivi ideologici di islamofobia cordiale. Vediamo se la sua anima civile e democratica vincerà la sua irritabilità nei confronti dell'Islam politico. E' un anno e mezzo che parliamo della necessità morale o di un intervento diretto come avvenuto in Libia o indiretto, con la scelta di dare le armi giuste per bloccare il bombardamentio sistematico del regime siriano, che è un regime mafioso".
http://www.radio24.ilsole24ore.com/notizie/24mattino/2013-06-06/gesuita-paolo-oglio-siria-102128.php

A me sembra proprio lui il mafioso pentito. Perché finché era in Siria ha goduto di tutto ciò che egli oggi rinnega. Non si ricorda dei giorni in cui ha fatto quello che ha voluto in Siria? Come mai oggi tanto livore contro il Paese che l'ha ospitato per 32 anni dandogli la possibilità di fare ciò che voleva e per giunta con i soldi che gli passava l'Italia, quell'Italia ch'egli oggi mette tra gli ignavi se non alla loro testa?
A mio parere, Dall'Oglio dovrebbe solo vergognarsi di quanto asserisce: oppure Dall'Oglio non sa che oggi in Siria non è più il popolo siriano che combatte contro l'esercito regolare, ma sono le squadre di terroristi salafiti qui riversatisi da tutto il mondo? Lo sa Dall'Oglio che oggi in Siria vi sono Ceceni, Pakistani, Afgani, Libici, Egiziani, e quant'altri dell'Europa, che sono qua per combattere la guerra santa, per diventare martiri per poter raggiungere le loro Houryé nel paradiso islamico (le Houryé sono le vergini che li attendono nel loro paradiso).
Ma soprattutto il Dall'Oglio  si deve vergognare perchè non fa altro che sputare nel piatto dove ha mangiato, e abbondantemente,  per 32 anni.  
l'osservatore siriano da Aleppo