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martedì 16 luglio 2013

La storia del piccolo scout Giorgio e di altri cristiani, sotto l'amaro cielo di Aleppo




Agenzia Fides - 16/7/2013

Aleppo  – La popolazione civile di Aleppo paga il prezzo più alto degli scontri che infiammano la città. Negli ultimi tre giorni, oltre 150 colpi di mortaio hanno colpito zone residenziali uccidendo 15 persone e il ferendone oltre 75. 
Fonti locali di Fides raccontano che una bomba è caduta su un negozio che vende pane nel quartiere di Sulaimaniyeh. Fra le persone che erano in fila per procurarsi pane, si sono registrati un morto e otto feriti, fra i quali due bambini. 

Come comunica a Fides la comunità cristiana locale, fra le vittime dei bombardamenti dei giorni scorsi vi sono due bambini cristiani. Uno è morto, si chiamava Georgio Rabbat, 13 anni, figlio unico, di una famiglia siro-cattolica. Era un ragazzo brillante, gli piaceva studiare e sognava di avere il punteggio più alto agli esami per arrivare all’università. Stava giocando in strada con altri ragazzi, nel quartiere dove vive la comunità siriaca, quando un colpo di mortaio esploso nelle vicinanze lo ha colpito. 
Un’altra bambina si chiama Pamela Dekermanji, ha quattro anni ed è di una famiglia cristiana siro-ortodossa: è stata colpita da schegge alla testa e le sue condizioni sono critiche.

Aleppo 12/07/13 : la fila per un sacco di patate

In Aleppo da circa dieci giorni non ci sono verdura, frutta, carne e anche il pane scarseggia. La popolazione mangia riso e cereali. La ragione è l'embargo imposto dai ribelli che sta strangolando la città e avendo un grave impatto sulla popolazione civile rimasta in loco. Secondo fonti di Fides, se il blocco continua, “si avvicina una crisi umanitaria”.

I civili sono anche vittime “collaterali” del fuoco incrociato che interessa aree residenziali. 

TESTIMONIANZA: COME AD ALEPPO I CRISTIANI RISCHIANO LA VITA PER UN PO' DI PANE




Siccome nei quartieri cristiani di Aleppo  non c'è pane, né carne o neppure  lattine di qualsiasi cibo conservato , amici  curdi e musulmani mi  hanno esortato ad unirmi a loro per una intrusione nel quartiere  Bustan al-Qasr, settore della città di Aleppo attualmente controllata da  Al-Djabhat Nosra, al fine di rifornirmi con i prodotti che vendono nella loro zona, a prezzi  più "normali" di quelli praticati nelle zone che non stanno sotto il loro  controllo.
  
Dopo molte esitazioni e tanta preghiera personale, soprattutto a causa del fatto che ospitiamo in casa una persona anziana e che il resto della famiglia  manca di qualsiasi rifornimento,  ho accettato di unirmi alla spedizione,  dopo che i miei amici mi hanno garantito di stare con me per tutto il viaggio. Ho preso prima due precauzioni: rimuovendo la croce che io di solito indosso intorno al collo, e  separandomi dal mio cellulare.

Per arrivarci, abbiamo preso un pulmino che ci avrebbe lasciato a quasi 700 metri dal checkpoint  di controllo  all'accesso al mercato. Nell’avvicinarci,  subito abbiamo visto centinaia di uomini anziani, donne, e bambini che aspettavano il loro turno. Nessun giovane nei ranghi, per paura di essere reclutati nelle milizie.

Nell’avanzare, ci siamo subito trovati coinvolti nella minaccia di un cecchino dell'esercito arabo siriano posizionato sul terrazzo del Governatorato di Aleppo e di quella di un miliziano di Djabhat al-Nosra posizionato di fronte, a un altro livello . La gente correva in tutte le direzioni per evitare di essere presa di mira da questi criminali.

Raggiunta la barriera, ci ritroviamo con preoccupazione di fronte  ai giovani miliziani  di Djabhat el-Nosra tutti  armati e, tra loro, un ceceno che ha pronunciato qualche parola in arabo letterario, per chiedere agli interrogati  di pronunciare la "Fatiha "per garantire che fossero effettivamente  musulmani.
Grazie ai miei amici musulmani, siamo riusciti ad entrare nel mercato in cui le merci sono  esposte a prezzi molto diversi da quelle praticati nel  mercato nero nel nostro quartiere ( la zona controllata dal Governo):  la bombola del gas era £ 1400 siriane, invece di 15.000 LS. La benzina era esposta a  £ 200 siriane invece di 2000 LS a cui da noi  la vendono. Le verdure, diventate così scarse in casa nostra, sono qui scambiate a 60 LS al chilo i pomodori, al posto dei LS 500 per lo stessa quantità nel nostro settore; la patata è a 40 lire siriane, invece di 400 £ a noi richieste nel nostro quartiere. La carne è venduta a £ 700  contro le 3000 da noi. Il pane è  venduto qui solo a 25 lire al chilo contro 500 lire siriane al kg nella nostra zona. Il formaggio è  offerto a 200 contro le 1500 £ siriane per chilogrammo.

Rispetto ad altre zone della città, il mercato, sotto il controllo di al-Djabhat Nosra, offre una vasta gamma di prodotti, ma la maggior parte dei prodotti, con l'eccezione di pomodori, cetrioli, patate e pane, non può essere acquistata senza che l'acquirente abbia precedentemente insultato il presidente Bashar Assad ed elogiato il Fronte al- Nosra davanti alle telecamere.
Sotto i miei occhi, i miliziani hanno arrestato un uomo che aveva nascosto sotto la camicia un po’ di carne, lo hanno spogliato  prima di aggredirlo  con la carne. Una donna completamente velata è stata anch’essa arrestata per aver nascosto sotto i suoi vestiti del formaggio. 
I miei amici curdi vengono qui quasi ogni giorno. Mi hanno detto che il Venerdì precedente, tutti gli acquirenti hanno dovuto pregare Allah in strada. I Cristiani presenti tra gli acquirenti dovevano fare una parvenza di pregare, in modo da non essere riconosciuti come non-musulmani.

Usciti dal mercato c’è un’ altra grande prova: gli acquirenti (per tornare al quartiere che sta sotto il controllo governativo) devono passare sotto un fuoco di fila di giovani miliziani barbuti e armati, che impugnano striscioni neri con la scritta  لا اله الا الله محمد رسول الله, "non c'è altro Dio che Allah e Maometto è il suo profeta ", e questo requisito è accompagnato da umiliazioni e insulti: " voi siete i  maiali di Bashar ", o invettive,"andate da Bashar, che vi dia lui da mangiare ", o ancora "Aleppo sarà presto liberata  e sarà applicata la Shariah  con la Jizya per i non-sunniti"(cristiani, drusi, alawiti ....).

Questi sono gli uomini che l'Occidente ha preparato per la Siria, quelli che ha finanziato e armato, quelli  che hanno rapito i due Vescovi ortodossi, quelli che hanno distrutto le chiese di Deir Zor, di Homs e di Aleppo; 
quelli che recentemente hanno tagliato la testa e le mani della Statua della Vergine a Qnayyeh e mirato  sul suo cuore. 

Questi, "takfiristi" figli dell’Occidente, un giorno non esiteranno a rivoltarsi contro i loro padroni in Europa e in America, nello stesso modo in cui, un giorno, i "mamelucchi" si sono  rivoltati  contro i "Fatimidi" loro padroni, che li avevano armati.

Un testimone la cui identità è mantenuta anonima.


Addio, Giorgio, piccolo Marista Blu : tu sarai lo Scout del Cielo di Aleppo!

Un Mariste Bleu au ciel!

 Adieu Georgio, notre jeune scout!
 Adieu l'enfance et l'avenir!
 Adieu la paix et l'espérance!
 La violence a fait que tu nous quittes en ces temps où tout notre horizon est fermé!
 Pas de réponse à tant de questions que chacun de nous pose en son fort intérieur!
 Pas de réponse aux pourquoi?
 Rien qu'un silence, un silence de mort, un silence de larmes, un silence d'être là, accompagnant les parents et les copains.
 Tu seras un bon scout!

 Aujourd'hui, pour toi, nous prononcerons devant tout le monde notre engagement de scouts!
 Aujourd’hui, pour toi, nous porterons notre croix de Maristes Bleus!
 Aujourd'hui, pour toi, nous dirons "Prie pour nous maintenant et à l'heure de notre mort"!
 Aujourd'hui pour toi, nous chanterons notre "Ce n'est qu'un au revoir, mes frères, ce n'est qu'un au revoir"!
 Toi, le mariste bleu, toi le fils de Marie, toi l'enfant bien aimé, la violence t'a fauché...
 Tu ne viendras plus avec nous au camp et pourtant tu en avais tellement envie!
 Dans quelques jours, il y aura la rencontre internationale des journées mondiales de la jeunesse. Sache que les jeunes maristes du monde entier se souviendront des jeunes d'Alep, partageront notre souffrance et te tiendront présent!
 Ne compte pas sur notre prière!
 Toi, tu es au ciel!
 Nous en sommes sûrs et certains!
 Nous comptons sur toi, su ta prière et sur ton intercession!

 Dis à Jésus nos peurs et nos angoisses!
 Dis lui notre souffrance et notre peine!
 Dis à Jésus que beaucoup de jeunes et de moins jeunes ont sur leurs lèvres ce mot: "POURQUOI?"
 Dis lui ce que ton copain a dit: « Je ne vais plus prier » !
Dis lui que nous ne comprenons pas du tout pourquoi tant de violence et de haine!
 Dis lui avec tes mots à toi, avec l'audace de tes 13 printemps que tes copains sont très touchés par ton départ!
 Dis lui avec tes mots à toi, ton amour pour ta famille, pour ton papa et ta maman et ta petite sœur!
 Dis lui combien tu nous manques à nous tous, toute ta famille!
 Dis lui notre besoin de paix!
 Dis lui que malgré toute notre douleur, nos yeux continuent à Le regarder, à L'espérer, à confier en Lui.

 Georgio, notre cher jeune Mariste Bleu, Repose en Paix!
 Marie, notre Bonne Mère, Notre tendre Mère, Notre Mère, te porte dans ses bras!
 Et entre ses bras, nous te confions pour l'éternité!

La Comunità dei Maristi Blu di Aleppo

domenica 14 luglio 2013

Guerra aperta tra Al Qaeda e i "ribelli moderati"


da Avvenire, 13 luglio 13
di Riccardo Redaelli


L’uccisione di Kamal Hamami, uno dei più importanti comandanti militari dell’Esercito libero siriano (Els), da parte di milizie di al-Qaeda presso la città costiera di Latakia, segna una nuova tragica tappa nella trasformazione e radicalizzazione dell’opposizione siriana al crudele regime del presidente Assad. Per quanto vi sia chi si ostini a non volerlo vedere, due anni di guerra – con il loro carico di violenze, morti e vendette – hanno favorito la crescita delle milizie islamiste più brutali, settarie e anti-occidentali, ben rappresentate dalla formazione jihadista di Jabhat al-Nusra, che si ricollega all’organizzazione centrale di al-Qaeda. 
Lo dimostrano anche i sempre più numerosi guerriglieri non siriani caduti, provenienti da tutto il mondo islamico e che in gran parte combattono proprio sotto le bandiere qaediste, non già con quelle di un sempre più debole Els. Nella battaglia per il controllo della cittadina strategica di al-Qusayr, tanto per citare un esempio recente, a cercare di contrastare l’avanzata delle milizie di Hezbollah sono stati soprattutto i veterani jihadisti e gli islamisti ceceni.

Lo testimonia pure il fatto che Hamami sia stato ucciso mentre cercava un accordo sul campo con i comandanti delle milizie dello "Stato islamico dell’Iraq e del Levante", ossia la cellula di al-Qaeda che negli ultimi dieci anni ha insanguinato l’Iraq, uccidendo migliaia di soldati occidentali e un numero ancora maggiore di sciiti arabo-iracheni.
Ma cosa ci fanno le forze della "filiale" irachena di al-Qaeda in Siria, per di più a Latakia, sul Mediterraneo, lontanissime dall’Iraq? La risposta l’ha fornita il loro stesso leader, al-Baghdadi, per il quale bisogna arrivare a un’unione fra Jabhat al-Nusra e lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante. Un’unione che rafforzerebbe entrambe le organizzazioni, dato che il fronte di lotta è il medesimo e medesimi gli obiettivi: combattere i cattivi musulmani (ossia tutti quelli che non credono nei deliri terroristici di al-Qaeda o nel dogmatismo ottuso dei salafiti), sconfiggere gli sciiti, eliminare le influenze occidentali. Un progetto contro il quale ha tuonato lo stesso capo di al-Qaeda, al-Zawahiri, rendendo pubbliche le crescenti divergenze fra i capi dell’organizzazione, lacerata fra chi vuole esasperare il settarismo anti-sciita, con attacchi contro le loro moschee e nelle città, e chi ritiene questa politica controproducente.
Sul terreno, tuttavia, questa alleanza è ormai nei fatti e rappresenta un segnale estremamente pericoloso. Innanzitutto, rafforza l’idea che vi sia una sorta di guerra civile dentro la guerra civile, con uno scontro crescente nelle file degli insorti e con il rischio che gli oppositori moderati divengano sempre meno rilevanti. Anche perché gli uccisori di Hamami hanno proclamato di voler eliminare tutti i capi dell’Els, considerandoli "nemici" alla pari dei sostenitori di Assad e accusandoli – non senza ragione – di indulgere troppo nella pratica della razzia nelle zone "liberate". 
Inoltre, l’alleanza tattica fra le due formazione jihadiste finisce inevitabilmente con il radicalizzare ulteriormente Jabhat al-Nusra, nella forme delle più odiose tecniche di guerriglia (autobombe, attacchi alle moschee "rivali"...) tipiche del conflitto iracheno.

Infine, l’uccisione di Hamami rafforza i dubbi di chi – a Washington soprattutto – si chiede se sia opportuno finanziare, addestrare e armare l’opposizione contro il regime di Damasco, quando vi è la ragionevole probabilità che queste armi finiscano proprio nelle mani di gruppi ostili all’Occidente e che non esiterebbero a usarle contro di noi. 
Insomma, nella lunga notte siriana, le nere bandiere delle milizie jihadiste sembrano ancora più nere e numerose e più tetro il futuro di questo popolo intrappolato in un conflitto sempre meno nazionale e sempre più regionalizzato.

© riproduzione riservata
http://www.avvenire.it/Commenti/Pagine/siria-al-qaeda-spegne-speranza.aspx





Al di là delle varie narrazioni che accompagnano questa storia, l’episodio dimostra pubblicamente la spaccatura tra le varie anime del fronte anti-Assad.
Da tempo si segnalavano scontri tra fondamentalisti islamici e altri oppositori di Damasco, ma quella di ieri è una giornata che segna un punto di non ritorno: da oggi la narrazione più in voga in Occidente, quella che vede un popolo in armi opporsi a un regime dispotico, è finita. Resta la realtà di un variegato mondo di signori della guerra che tentano di assicurarsi il maggior profitto possibile da una guerra tragica della quale ancora non si intravede la fine. 
Imbarazzo anche tra gli sponsor occidentali, per i quali è sempre più difficile giustificare il sostegno accordato alle milizie di Al Qaeda. Come si è visto negli ultimi giorni al Congresso Usa, dove iniziano a circolare perplessità.
http://www.piccolenote.it/12110/siria-trappola-di-al-qaeda-ucciso-leader-degli-insorti

sabato 13 luglio 2013

« Se non è in nostro potere fermare questa guerra, possiamo però pregare perchè finisca presto».

«Una parte significativa del popolo siriano è composta da nostri fratelli nella fede: nel centro della città di Damasco si trova uno dei più antichi patriarcati ortodossi, quello di Antiochia. E ora, per le strade di questa città, che ricordano l’apostolo Paolo, le opere e gli scritti degli antichi santi, viene versato sangue umano. Su questa terra biblica in cui fianco a fianco sono vissuti in pace cristiani e musulmani oggi vengono profanate le reliquie, i templi sono distrutti e i cristiani cacciati dalle loro case, perseguitati, e molto spesso torturati e uccisi. A causa della distruzione di edifici e infrastrutture, per la mancanza di cibo e medicine, molte persone sono state private del proprio tetto. Qualcuno si è rifugiato presso parenti, altri hanno trovato riparo in aree speciali, altri ancora sono dovuti fuggire nei Paesi vicini, dove spesso non c’era nessuno ad attenderli». Se «non è in nostro potere fermare questa guerra, possiamo però pregare per una rapida fine di essa e aiutare le persone che soffrono, tra cui i nostri fratelli cristiani». Sono parole pronunciate due settimane fa dal Patriarca di Mosca Cirillo, e pubblicate sull’Osservatore Romano dell’11 luglio (titolo dell’articolo: Dalla Russia al popolo siriano). Il Patriarca ha benedetto una raccolta di fondi per le vittime del conflitto armato in Siria; nella prima colletta del 2 luglio, effettuata in varie diocesi, monasteri, chiese e da singole persone, sono state raccolti oltre sette milioni di rubli, ma un’altra colletta si è svolta domenica 7 luglio. Soldi, appunto, destinati ai tanti bisognosi siriani.
«Una parte significativa del popolo siriano è composta da nostri fratelli nella fede: nel centro della città di Damasco si trova uno dei più antichi patriarcati ortodossi, quello di Antiochia. E ora, per le strade di questa città, che ricordano l’apostolo Paolo, le opere e gli scritti degli antichi santi, viene versato sangue umano. Su questa terra biblica in cui fianco a fianco sono vissuti in pace cristiani e musulmani oggi vengono profanate le reliquie, i templi sono distrutti e i cristiani cacciati dalle loro case, perseguitati, e molto spesso torturati e uccisi. A causa della distruzione di edifici e infrastrutture, per la mancanza di cibo e medicine, molte persone sono state private del proprio tetto. Qualcuno si è rifugiato presso parenti, altri hanno trovato riparo in aree speciali, altri ancora sono dovuti fuggire nei Paesi vicini, dove spesso non c’era nessuno ad attenderli». Se «non è in nostro potere fermare questa guerra, possiamo però pregare per una rapida fine di essa e aiutare le persone che soffrono, tra cui i nostri fratelli cristiani». Sono parole pronunciate due settimane fa dal Patriarca di Mosca Cirillo, e pubblicate sull’Osservatore Romano dell’11 luglio (titolo dell’articolo: Dalla Russia al popolo siriano). Il Patriarca ha benedetto una raccolta di fondi per le vittime del conflitto armato in Siria; nella prima colletta del 2 luglio, effettuata in varie diocesi, monasteri, chiese e da singole persone, sono state raccolti oltre sette milioni di rubli, ma un’altra colletta si è svolta domenica 7 luglio. Soldi, appunto, destinati ai tanti bisognosi siriani.
«Una parte significativa del popolo siriano è composta da nostri fratelli nella fede: nel centro della città di Damasco si trova uno dei più antichi patriarcati ortodossi, quello di Antiochia. E ora, per le strade di questa città, che ricordano l’apostolo Paolo, le opere e gli scritti degli antichi santi, viene versato sangue umano. Su questa terra biblica in cui fianco a fianco sono vissuti in pace cristiani e musulmani oggi vengono profanate le reliquie, i templi sono distrutti e i cristiani cacciati dalle loro case, perseguitati, e molto spesso torturati e uccisi. A causa della distruzione di edifici e infrastrutture, per la mancanza di cibo e medicine, molte persone sono state private del proprio tetto. Qualcuno si è rifugiato presso parenti, altri hanno trovato riparo in aree speciali, altri ancora sono dovuti fuggire nei Paesi vicini, dove spesso non c’era nessuno ad attenderli». Se «non è in nostro potere fermare questa guerra, possiamo però pregare per una rapida fine di essa e aiutare le persone che soffrono, tra cui i nostri fratelli cristiani». Sono parole pronunciate due settimane fa dal Patriarca di Mosca Cirillo, e pubblicate sull’Osservatore Romano dell’11 luglio (titolo dell’articolo: Dalla Russia al popolo siriano). Il Patriarca ha benedetto una raccolta di fondi per le vittime del conflitto armato in Siria; nella prima colletta del 2 luglio, effettuata in varie diocesi, monasteri, chiese e da singole persone, sono state raccolti oltre sette milioni di rubli, ma un’altra colletta si è svolta domenica 7 luglio. Soldi, appunto, destinati ai tanti bisognosi siriani.

In tutto il mondo iniziative di preghiera e  solidarietà 

Il Patriarca di Mosca al popolo siriano

«Una parte significativa del popolo siriano è composta da nostri fratelli nella fede: nel centro della città di Damasco si trova uno dei più antichi patriarcati ortodossi, quello di Antiochia. E ora, per le strade di questa città, che ricordano l’apostolo Paolo, le opere e gli scritti degli antichi santi, viene versato sangue umano.
Su questa terra biblica in cui fianco a fianco sono vissuti in pace cristiani e musulmani oggi vengono profanate le reliquie, i templi sono distrutti e i cristiani cacciati dalle loro case, perseguitati, e molto spesso torturati e uccisi. A causa della distruzione di edifici e infrastrutture, per la mancanza di cibo e medicine, molte persone sono state private del proprio tetto. Qualcuno si è rifugiato presso parenti, altri hanno trovato riparo in aree speciali, altri ancora sono dovuti fuggire nei Paesi vicini, dove spesso non c’era nessuno ad attenderli».
 Se «non è in nostro potere fermare questa guerra, possiamo però pregare per una rapida fine di essa e aiutare le persone che soffrono, tra cui i nostri fratelli cristiani». Sono parole pronunciate due settimane fa dal Patriarca di Mosca Cirillo, e pubblicate sull’Osservatore Romano dell’11 luglio (titolo dell’articolo: Dalla Russia al popolo siriano)
Il Patriarca ha benedetto una raccolta di fondi per le vittime del conflitto armato in Siria; nella prima colletta del 2 luglio, effettuata in varie diocesi, monasteri, chiese e da singole persone, sono state raccolti oltre sette milioni di rubli, ma un’altra colletta si è svolta domenica 7 luglio. 
Soldi, appunto, destinati ai tanti bisognosi siriani.



Secondo gli ultimi dati delle Nazioni Unite — citati dal Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca — il numero delle vittime della guerra civile in Siria è di oltre 90.000, mentre un milione di cittadini siriani hanno lasciato il Paese e sono diventati profughi. 
La Siria avrebbe perso circa 80 miliardi di dollari nei due anni di guerra. 
Secondo il vescovo di Seydnaya, Luka, della Chiesa ortodossa antiochena, ammontano a quasi 140.000 i cristiani cacciati dalle proprie case.
L'Osservatore Romano, 11 luglio 2013


La solidarietà alla popolazione siriana dei Vescovi di Inghilterra e Galles 

L'Osservatore Romano, 
11 luglio 2013


Un appello per la pace e per sostenere il lavoro delle organizzazioni caritative in Siria giunge dalla Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles.
In un comunicato — a firma del presidente dell’episcopato, l’arcivescovo di Westminster, Vincent Gerard Nichols, e del presidente della commissione episcopale per gli affari internazionali, il vescovo di Clifton Declan Ronan Lang — si rinnova l’invito alla comunità dei fedeli a pregare per la popolazione siriana che sta subendo «un conflitto sempre più aspro che non accenna a terminare». Si tratta di una tragedia, è aggiunto, «che è una sfida per la comunità internazionale e per ognuno di noi».
Nel comunicato si ricorda che finora circa 100.000 persone sono state uccise, mentre il numero dei rifugiati ha superato i 4 milioni. «La sofferenza dei siriani — si legge — cresce non solo a causa della violenza, ma anche delle difficoltà economiche che devono essere affrontare da un numero crescente di persone. Il caldo estivo non farà che aggravare le condizioni di vita nei campi profughi». L’impegno più urgente, puntualizzano i vescovi, è per creare «le condizioni per un cessate il fuoco» e per il raggiungimento di «un accordo che rispetti la dignità e i diritti fondamentali di tutti i siriani».
Concludendo la nota, l’episcopato chiede di dare sostegno ai profughi e a tutti coloro che versano in difficoltà a causa del conflitto e di contribuire all’opera delle organizzazioni caritative, tra le quali l’agenzia cattolica inglese per l’aiuto allo sviluppo dei Paesi d’oltremare. Una messa speciale per la popolazione siriana sarà celebrata il 12 luglio nella cattedrale di Westminster.
Già in occasione della plenaria dei vescovi, svoltasi nel novembre scorso, era stato deciso di dedicare una giornata alla preghiera come segno di solidarietà nei confronti non solo della popolazione siriana ma anche di quelle che vivono nel contesto generale del Vicino Oriente.



Vescovo indiano Mons. Felix Machado : Durante il Ramadan preghiamo per la Siria


AsiaNews - 12/07/2013


 Il Ramadan sia un momento di preghiera per portare la pace in ogni comunità, in particolare tra i fratelli e sorelle cristiani e musulmani  della Siria. 
È il senso del messaggio di mons. Felix Machado, arcivescovo di Vasai (Maharashtra), ai musulmani dell'India per il Ramadan. Il prelato è presidente dell'ufficio per il Dialogo interreligioso e l'ecumenismo della Conferenza episcopale indiana (Cbci) e della Federazione delle Conferenze episcopali asiatiche (Fabc). In questo mese mons. Machado parteciperà ad alcuni iftar (pasto serale al termine della giornata di digiuno, ndr) organizzati dalla comunità islamica della sua diocesi.

Possa Dio accompagnare tutti i credenti che si arrendono a Lui nella preghiera e nel digiuno, meditando la Sua Parola in questo sacro mese del Ramadan.

Possa Dio udire e ascoltare la supplica di tutti noi, di chi soffre, in particolare i nostri fratelli e sorelle - cristiani e musulmani - in Siria.

Possa l'Iftar, questo momento di condivisione, essere un'occasione per nuove iniziative in vista del prossimo anno.

Si possa lavorare insieme - nonostante la nostra diversità e le differenze di religione - per mettere in pratica il dono di Dio, che è la pace, e possa ciascuno di noi approfondire la propria fede nel Signore. Possa ciascuno di noi meritare la benedizione e la grazia di Dio.

La pace per tutti è la volontà del Signore e questi giorni sacri di digiuno e preghiera devono rafforzare la nostra determinazione a lavorare per la pace e renderci più motivati nel raggiungerla.
Il Ramadan è fonte di pace, che si raggiunge attraverso il digiuno e la preghiera.

Questo mese sacro dovrebbe essere un momento per fare la pace e intraprendere iniziative verso di essa.

Spero che il Dio compassionevole di tutti coloro che lo stanno pregando, dia loro lo zelo di lavorare per la pace e il bene di tutti.

In questi giorni di Ramadan chiediamo di pregare per la Siria.

http://www.asianews.it/notizie-it/Vescovo-indiano:-Durante-il-Ramadan-preghiamo-per-la-Siria-28458.html

giovedì 11 luglio 2013

Aleppo: è la fame

Ad Aleppo  embargo alimentare da parte dei ribelli : la carestia alle porte, manca il pane. Vuote le mense che davano assistenza agli sfollati. 

disegni di Mario Vitali

Agenzia Fides - 11/7/2013

Aleppo - Un blocco delle forniture e delle merci, anche dei cibi, un vero e proprio “embargo alimentare”, sta strozzando la popolazione civile di Aleppo. Il blocco, giunto al settimo giorno, è stato imposto dai gruppi ribelli che controllano la zona Nordest della città che ora minacciano anche l’interruzione dell’approvvigionamento di acqua. I “ribelli” sono frastagliati in numerosi gruppi e fazioni, alcuni islamismi e jihadisti come “Jubhat al Nosra”, “Liwaa al tawhid”, “Aasifat al shimal”, “Souqqour al shahba” e altre, in cui si arruolano guerriglieri da Afghanistan, Libia, Caucaso, dalle Repubbliche ex sovietiche dell’Asia Centrale e da altri paesi. La città resta spaccata in due, parte sotto controllo dell’esercito (il Sudest) e metà sotto controllo dei gruppi armati (Nordest). E’ stata trasformata in un “campo di battaglia”, con grave danno per la popolazione civile, di ogni etnia e religione, e vede distrutto il suo prezioso patrimonio storico-culturale.

Fra Bernard, uno dei cinque frati francescani rimasti in città, nel convento di San Francesco, spiega a Fides: “La carestia è alle porte. La gente ha paura, è ridotta in povertà e piange. Facciamo il possibile per aiutare famiglie e profughi. I quartieri cristiani sono nel bel mezzo fra l’area controllata dall’esercito e quella dei gruppi armati. La sofferenza della popolazione civile, di ogni religione, è immane. Il blocco del cibo è contro ogni basilare diritto umanitario. La gente fa fatica anche a procurarsi il pane”.
I ribelli hanno preso il controllo della strada che collega Aleppo ad Hama, ingresso da cui transita la maggior parte delle merci dirette in città. Nell’area vi sono stati nei giorni scorsi violenti scontri militari. Intanto i rifornimenti alimentari sono scarsi e i prezzi sono saliti alle stelle. I prodotti vegetali sono introvabili, perché agli agricoltori viene impedito di entrare nei quartieri occidentali di Aleppo. “Ad Aleppo, se il blocco continua, si avvicina una crisi umanitaria”, ammonisce Fra Bernard. 


Muhammad M., musulmano sunnita, docente all’Università di Aleppo, commenta a Fides: “I belligeranti devono spiegarci perché l’uccisione di innocenti e la distruzione delle infrastrutture di civili. Perché una battaglia nelle aree residenziali della città? Da secoli non si vedeva questa distruzione”. 





martedì 9 luglio 2013

Diario dalla Siria : un cuore ( grandissimo) in azione













Gli struggenti racconti dei membri del Movimento dei Focolari nel Paese distrutto 


fonte: Città Nuova - a cura di Maddalena Maltese

«Sembra che in questi giorni non ci sia regione della Siria risparmiata dalle violenze. Ieri ho telefonato ad un’amica ortodossa sfollata a Banias, sulla costa, per farle gli auguri di Pasqua. Non c’è stata alcuna celebrazione liturgica a Banias, mi dice accorata. La città dove sono morte in questi giorni almeno centoquaranta persone vive in un clima irreale. Nel Giovedì Santo il sacerdote a metà liturgia ha fatto uscire la gente in fretta dalla chiesa ortodossa mentre cominciavano a piovere i colpi e da allora tutte le chiese, e non solo quella, sono rimaste chiuse. Anche lì la situazione è diventata davvero pesante.
«Dalla Siria ormai fuggono non solo i cristiani, ma anche i sunniti moderati preoccupati della deriva integralista. Nessuna donna prima di questo conflitto era obbligata ad indossare il velo, adesso viaggiare sicuri fuori città significa doverlo portare o tenerlo a portata di mano: impensabile in uno Stato che si è sempre definito laico. Ci sorprendono questi cambiamenti a vista d’occhio che non appartenevano alla cultura siriana.

«In questo clima di sospensione per un peggio che potrebbe arrivare ci interroghiamo senza sosta sul significato che le istituzioni internazionali danno all’espressione: Stato sovrano. Ci chiediamo: perché l’Onu tace? Perché i suoi organismi non hanno la forza di “obbligare” alla pace e al dialogo, come si dovrebbe fare quando fratelli incoscienti vogliono picchiarsi a morte, e sanno invece molto bene e molto in fretta votare embarghi che fanno poi solo la disperazione della gente?


«Perché tanti regimi in Medio Oriente vengono sostenuti e poi in un giorno tutto si capovolge e si aprono conflitti sanguinosi, dove massacri e omicidi diventano linfa per l’odio religioso? Perché sempre due pesi e due misure? Perché la verità tace o è sovente contraffatta e l’opinione pubblica mondiale è anestetizzata? 
A Banias due anni fa nelle memorabili manifestazioni del venerdì si gridava: “Alaouiti nella fossa e cristiani in Libano!” eppure all’opinione pubblica interna ed estera con un tam-tam insistente si vendevano storie di libertà di un popolo che finalmente aveva il coraggio di rivoltarsi, e lo si affermava, ahimè, per depistare il grande pubblico soprattutto esterno sulla vera realtà del conflitto siriano.
«Chi osava sottolineare tale incongruenza pur ammettendo con chiarezza le colpe del regime era tacciato di fautore di dittature e filo-non so che! Ora che la Siria è devastata e divisa, ora che il sangue di fratelli è versato copioso ogni giorno e c’è chi purtroppo crede nella vendetta e la usa, ora che i terroristi hanno raggiunto le montagne sopra Damasco e quartieri di Homs e Aleppo, ora si parla finalmente con tutta sincerità del gas del Qatar e della Russia e della volontà di indebolimento della politica shiita contro quella sunnita, dell’annosa questione palestinese e del gioco “fuori casa” tra Russia, Cina, Iran, Stati Uniti e Israele e del sogno turco di fare da padrone e di altro ancora.
«La parola libertà non la si nomina più. Forse perché si sa che la libertà, quella vera, nasce solo dalla giustizia, che vuol dire: dare a ciascuno il suo. Non armi o altro. Era probabilmente quella la libertà che anche il popolo siriano sognava, ma che nessun Paese ha saputo aiutarlo a realizzare. Forse perché non c’è più, o non c’è ancora, la cultura della fraternità universale. Sono ancora troppo pochi gli uomini adeguatamente preparati e convinti a percorrere in economia e politica o nel diritto questa strada come quella che paga davvero.
«È alla fraternità però che ci aggrappiamo ancora oggi, come ad un filo di speranza, che ogni giorno diventa sempre più sottile. Tutto deve sempre cominciare da ciascuno di noi, ne siamo convinti, ma abbiamo bisogno di aiuto e di preghiere per poterlo fare».

La situazione in Siria raccontata direttamente da chi la vive in prima persona. La toccante esperienza degli sfollati di Matcha Helou.
Ciò che vi scriviamo non vuole essere un’analisi economica o politica della situazione in Siria. È una testimonianza di vita, quella vita che grazie anche alle azioni di aiuto intraprese in tutto il mondo con grande generosità, ci permette di essere ancora qui a raccontare e a fissare attimo per attimo quei tasselli di pace, di condivisione e solidarietà, di ascolto profondo e di dialogo che impediscono la disperazione e mantengono tanta gente ancora sana (psicologicamente) e in piedi. A credere che la pace arriverà.
La gente è allo stremo. Il fatto di coabitare con la morte che può arrivare per tutti senza troppi annunci rende la vita sempre più pesante. Non si osa pensare al futuro per paura di affrontare la prospettiva che esso possa continuare ad esprimersi in questo modo e costringa quindi ad alzare le mani in segno di resa. “Non ce la faremmo a sopportare ancora per mesi un tale stress a livello psicologico, fisico ed economico” è la frase che si sente pronunciare da tanti. Poi, nel presente, si cuce quel “punto” che permette di continuare e di andare avanti, nonostante la distruzione circostante.

L’economia è in ginocchio per l’embargo e per la distruzione o la chiusura o la rapina di industrie e laboratori artigianali. A ciò vanno aggiunti i giochi di potere dei grandi commercianti che incidono paurosamente sulla svalutazione della moneta locale, ripercuotendosi in maniera drammatica sul caro vita. Non c’è ormai  posto della Siria dove i generi alimentari o quelli di prima necessità non siano a prezzi esorbitanti, nemmeno nelle campagne; delle altre cose (vestiario ecc.) non se ne parla nemmeno perché tutto in fondo, tranne le medicine, è sentito come superfluo dalla gente, che economizza al massimo.
Un chilo di patate, ad esempio, è passato da 30 a 150 lire siriane, il latte in polvere da 700 a 2.500, la carne da 450 a 1.200 al kg, il pane in tutto il Paese non scende sotto alle 100 lire, quando prima la “rabta”- così si chiamano qui nove pezzi del buon pane arabo – costava 15 lire. Ma gli stipendi sono restati, per chi ancora lavora, gli stessi.
In questo contesto drammatico si disegnano però fatti di riconciliazione, di comprensione reciproca, di dialogo, di aiuto concreto.

Shaza e gli sfollati di Machta Helou:
Machta Helou è un grande villaggio in una zona collinare non lontano dalla costa, dove si sono rifugiate tantissime famiglie di Homs, fra cui alcune persone del Movimento dei Focolari con cui siamo in contatto. Una di loro, Shaza, racconta che all’inizio dell’inverno erano arrivate famiglie bisognose di tutto: cibo, vestiti, riscaldamento. Sono state accolte in un vecchio convento abbandonato, arredato con mezzi di fortuna. Il trauma della fuga e della perdita di tutto erano schiaccianti. Ascoltarle, raccogliere le loro esperienze e le loro necessità, visitarle regolarmente, è stato il primo impegno di Shaza e dei suoi amici. Questo ha fatto nascere un rapporto di fiducia e di amicizia che ha consentito alle famiglie di esprimere la loro situazione senza paura e vergogna. Le organizzazioni presenti riescono a dare mensilmente a ciascuna famiglia un pacchetto di cibo di base (riso, olio, zucchero e legumi secchi) e a garantire alcune medicine ma ci si è resi conto per esempio che da molti mesi nessuno di loro mangiava carne o latticini, che i bambini non avevano latte a sufficienza, né si poteva andare dal medico per controlli o cure indispensabili.


«Anche tanti di noi siamo sfollati, racconta Shaza, e quello che abbiamo ci è appena sufficiente per vivere ma, grazie all’unità fra noi, abbiamo avuto la forza di uscire da noi stessi e di guardarci attorno, visitando regolarmente queste famiglie, stando con loro ed ascoltandole a lungo. Era difficile per noi vederli in quello stato, anche perché alcuni di loro erano nostri vicini a Homs o persone benestanti che si trovavano senza più nulla. Per noi la cosa più importante è stata fare tutto con amore, cercare di dare quel poco che avevamo con amore, ascoltando ognuno profondamente. Il rapporto con queste famiglie si è intensificato a tal punto che ci hanno chiesto espressamente di continuare a visitarle anche se non avevamo nulla da dare poiché si sentivano amate.»
Quando Shaza  e gli amici di Machta Helou hanno condiviso questa esperienza per cercare una soluzione per il futuro si è visto che, grazie agli aiuti raccolti per l’emergenza in Siria, avremmo potuto sostenere un piccolo progetto per almeno 3 mesi, per aiutare queste famiglie in modo mirato. L’aiuto economico è quindi arrivato come una preziosissima opportunità per alleviare i bisogni di queste persone, secondo un progetto personalizzato per ogni famiglia, che ha alla base l’offerta di un po’ di carne e formaggio, vestiti (un bonus per ogni famiglia), pannolini per i bambini, medicine e analisi mediche. Speriamo certamente che gli aiuti continuino e che queste famiglie possano continuare a trovare un po’ di sollievo.

Nel mese di maggio, che in Siria dai cristiani è molto sentito come il mese dedicato a Maria,abbiamo pensato che avremmo potuto anche proporre di recitare insieme il Rosario, come abbiamo poi fatto in una delle visite. Al termine, una delle persone a nome di tutte ci ha detto: «Grazie, grazie infinite di questo momento, ne avevamo estremamente bisogno”. L’esperienza più significativa che stiamo facendo è certamente quella della reciprocità: non c’è chi dà e riceve ma tutti diamo e riceviamo, ci sentiamo davvero fratelli e sorelle, una sola famiglia.


Una commovente telefonata mondiale con i membri del Movimento dei Focolari nel Paese allo stremo delle forze riporta l’attenzione sulla forza della preghiera e dell’aiuto concreto.
«"Noi stiamo bene. Da Damasco e da Aleppo vi salutiamo! In questo momento un gruppo di noi è ad un incontro di giovani, che si fa ormai da due mesi regolarmente in una parrocchia, perché vogliono conoscere l’ideale dell’unità.
Certo, la “notte” nel Paese si fa sempre più scura, non si sa fino a quando ce la faremo a resistere sia a livello di stress, che a livello economico. I prezzi sono alle stelle, la gente nella grande maggioranza pensa solo a garantirsi il cibo, perché tutto il resto è diventato superfluo e questo per persone abituate a lavorare è come uno schiaffo, sentono che anche la loro dignità è stata calpestata da questa guerra.
In tante località o quartieri poi si convive con il rischio, quando si esce di casa, ci si chiede: rientreremo? Ci sono poi i due Vescovi e i due sacerdoti rapiti di cui non si sa assolutamente nulla e per i quali si levano preghiere incessanti come per le altre persone rapite.
Ma in questa “notte”, ve lo possiamo assicurare, c’è una luce molto forte e sono le parole di Gesù, l’insegnamento di Chiara Lubich, che ci ripete di vivere l’attimo presente, di amare, restare uniti, tenere viva la presenza spirituale di Gesù tra noi.
E allora ecco il miracolo che davvero ci stupisce: viviamo “fuori di noi”, per gli altri, non pensiamo che ad amare, a disarmarci continuamente di fronte ai risentimenti o anche alla rabbia che si può provare nel cuore, a migliorare i rapporti tra noi e con tutti. Questo ci fa restare in una certa normalità, ci dà la pace e in tanti sentiamo che è proprio qui il nostro posto, perché proprio qui si può portare l’unità e la serenità, e di questo la gente è assetata.
Un giovane che fa il servizio militare e lavora negli uffici, in un posto che subisce molti attacchi, ci ha raccontato che durante uno degli ultimi, molto forti, mentre scappava con i colleghi nel rifugio, si è reso conto che uno di loro era stato colpito e giaceva a terra. Per un attimo il dubbio: “Torno indietro ad amare questo fratello o continuo a scappare?”. Nel cuore, chiara, una voce che gli diceva: “Non avere paura, Io sono con te”. È tornato indietro, si è tolto la camicia per arrestare il sangue che scendeva dalla gamba e ha aspettato, sotto i colpi, l’arrivo dell’ambulanza.
In questo momento in cui ci sentiamo uniti a tutti voi, vorrei ringraziare ciascuno degli aiuti che ci arrivano in vari modi e che ogni volta ci commuovono. Sono un segno di quella realtà di famiglia che ci accompagna sempre. Sono preziosissimi, ci permettono di fare sentire a Gesù nel fratello quell’amore che ognuno di voi ha per Lui, di consolarLo, di darGli la forza di resistere e non disperare.
Se siamo qui è perché voi e tanti con voi ci siete e ci sono, e allora quindi un grandissimo grazie, grazie e un saluto speciale da tutti qui, dalla Siria».


Per aderire al progetto Emergenza Siria lanciato dall'Amu (Azione Mondo Unito), l'organizzazione non governativa del Movimento dei Focolari: chiunque voglia contribuire può indirizzare i suoi aiuti specificando la causale del versamento Siria, Emergenza Siria su
c/c postale n. 81065005
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http://www.cittanuova.it/c/429534/Diario_dalla_Siria_37.html
http://www.focolare.org/it/news/2013/06/22/siria-nella-notte-del-dolore-il-miracolo-della-solidarieta/
http://www.amu-it.eu/2013/06/26/testimonianze-dalla-siria/?lang=it

domenica 7 luglio 2013

S.O.S. Aleppo







Aleppo, cinta da assedio, è allo stremo 


L’ ASL e il Fronte al-Nosra, illusi, parrebbe, da una finta offensiva generale su Aleppo per deviarli da Homs, che era il vero obiettivo dell'esercito arabo siriano, tentano di punire la città del nord colpendola con violenza inaudita, combinando attacco militare e  privazione dei beni essenziali.

Da giorni, una pioggia di proiettili "silenziosi" si è riversata su Aleppo e dintorni, causando ingenti danni e numerose vittime che non possono essere curate negli ospedali svuotati dei medici, in cui i farmaci mancano palesemente e dove la mancanza di elettricità paralizza l’uso degli strumenti.

  Aleppo sta soffocando militarmente ma anche economicamente. Dal momento che si prolunga la durata di questa guerra, ci son sempre meno prodotti freschi: non c’è più carne, non c’è più pane e quando i panifici lo producono il prezzo  raggiunge 400 lire siriane al chilo; non ci sono più polli nè uova, il prezzo delle quali tocca £ 550 siriane per un cartone da trenta . Frutta e verdura sono diventati un lusso. L'elettricità è fornita con parsimonia. L'acqua così vitale, non arriva che per un'ora al giorno. E vi  sono 36 gradi!

Questa scarsità creata dalla barbarie degli uomini ha bisogno di fondi e pesa come una doppia penalità sulla popolazione che priva dei beni di prima necessità, sottraendole pure i suoi ultimi spiccioli.

Le banche private e perfino l'Istituzione ufficiale, non hanno più abbastanza denaro. La Banca nazionale non è più in grado di pagare gli stipendi.

Il fondo della miseria non è stato ancora del tutto raggiunto dal popolo aleppino, perché, per la prima volta, vediamo  donne  velate, da poco vedove, mettersi a fare il lavoro di tassista: veicoli privati ​​o veicoli senza targhe, qualsiasi cosa. Altre donne sono impegnate nella vendita di benzina, atti inconcepibili fino a poco tempo fa, ma comunque accettabili rispetto a coloro che cercano di offrire il loro corpo per essere in grado di mangiare. Purtroppo le si vede di notte in cerca di opportunità.

Recentemente, ho incontrato presso l'ospedale universitario una donna velata che aveva la sofferenza incisa sul volto. Nello scambio che abbiamo avuto, lei mi chiede se sono disposto a prendere il suo neonato da educare. Non son riuscito a trattenere le lacrime e le ho porto una moneta. Come affrontare la disperazione?

I cristiani, che si pensava fossero al riparo  da un tale  declino sociale, stanno raggiungendo ad Aleppo livelli di miseria senza precedenti. 
Di notte, nei loro quartieri, le famiglie non esitano ad uscire tra la spazzatura in cerca di cibo. 
Come può il mondo tollerare questo ?

La rivolta monta nel cuore degli abitanti del luogo. Anche i sostenitori del regime hanno minacciato di scendere in strada per protestare contro la condizione insopportabile a cui questa guerra barbarica li ha  sottoposti. Rivolta contro il governatore e le autorità militari di Aleppo che non ascoltano abbastanza la popolazione, impegnando la forza delle loro reazioni agli assalti dell'esercito siriano libero e il Fronte al-Nosra. Ma questa minaccia di proteste può essere attuata? Non ci sono forse abbastanza minacce adesso ad Aleppo?
 L'unica azione possibile, non è una minaccia; è un movimento controcorrente nella direzione della preghiera sincera; a casa, al riparo, perché la preghiera è l'opera di Dio in mezzo alla nostra confusione e l'opera di Dio non ha  mai fatto del male.

Testimonianza da Aleppo

sabato 6 luglio 2013

Padre Daniel da Qara: al momento stiamo tutti bene e siamo ancora qui nel monastero e fino ad oggi non siamo più stati attaccati.


 Sta arrivando, certamente, il tempo che tutte le fazioni, comprese le potenze esterne,  si calmino e cerchino la strada della riconciliazione e della pace, cioè, la “mussalaha”. 
Noi supportiamo pienamente questo movimento.  





Mar Yakub   

 mercoledì 28 giugno  – venerdì 5 luglio 2013

Dopo i bombardamenti sul monastero della scorsa settimana, parliamo  un po’ a tavola di come ognuno in Comunità ha trasformato  in modo originale il suo rifugio in un nido.  Infatti, usiamo tanti materassini di spugna, che prima erano usati per gli ospiti.  Adesso, ognuno ne prende due e  eventualmente ancora un altro a destra e a sinistra. Altri materassi ci coprono in caso che crollano pezzi ….  Quando sentiamo il rumore di un elicottero, ci copriamo tutti con i materassi. Nel frattempo, la piccola Fadia, la bebè della famiglia sunnita rifugiata presso di noi, porta gradita distrazione alle suore: sostituisce la sveglia .

Sabato si celebra nell' Oriente e nell’Occidente la festa degli Apostoli Pietro e Paolo.  Pietro e Paolo sono morti per martirio durante l’impero di Nerone. Pietro ha fondato la chiesa di Antiochia in Siria (adesso Antakia in Turchia) dove è stato Vescovo per 7 anni, prima di andare a Roma. In Antiochia la Chiesa era UNA nella sua diversità, con credenti circoncisi e credenti delle nazioni dei gentili. Qui sono stati chiamati  per la prima volta “cristiani”. Per la restaurazione di questa Unità,  si impegna uno dei più promettenti movimenti  mondiali e cristiani dei nostri tempi : Sulla strada del Secondo Concilio… (vedi : www.tjcii.be ). La visione di Paolo nei Romani 11 si sta attuando, perché ci sono sempre più Ebrei che riconoscono Gesù come il Messia, il Figlio di Dio e il Salvatore del  Mondo. Questo è anche un nuovo compito sia per i cristiani sia per i credenti del popolo ebraico. Paolo ha vissuto la sua conversione in Damasco e ha organizzato le sue missioni da Antiochia. In Antiochia ha incontrato la Chiesa che era UNA nella sua diversità.  La nostra comunità è nata proprio come “L' Ordine dell’unità di Antiochia” e per quello vogliamo pregare, vivere e lavorare.


Questa domenica c’è un atmosfera pacifica irreale. Sembra  un bellissimo posto di vacanza. Sopra di noi un sole splendente in un cielo di un blu eccezionale. C’è un grande silenzio. Da una parte c’è la montagna Anti-Libano e dall’altra parte il villaggio splende nel sole e dietro ci sono di nuovo montagne. Intorno agli edifici del monastero si estende un' oasi di verde con alberi e verdure. Adesso evitiamo di prendere la piccola colazione nell’atrio, come anche di godere la vista dalla terrazza della torre Romana . Noi camminiamo  il minimo possibile negli  spazi aperti. Diamo tutta l’attenzione alla parola di Gesù che dice nel Vangelo di oggi: “  Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio».  
Facciamo di tutto per la nostra sicurezza  e intanto restiamo fedeli al nostro impegno: testimoniare l’Amore di Dio per suo Figlio Gesù Cristo in questo luogo per tutta la popolazione. Che il Regno della Pace possa venire presto, anche in Siria!

Oggi è domenica e siccome per tutta la giornata c’è silenzio nel cielo, noi restiamo più a lungo nella ricreazione serale prima di ritornare ai nostri rifugi. Ci ha fatto molto bene l' essere stati tutti insieme. Appena siamo nei nostri rifugi, alle ore 22.16 sentiamo un elicottero che fa due giri sopra di noi e dopo quattro bombardamenti un po’ più lontano. Dopo c’è di nuovo silenzio.

Durante la settimana, ricominciamo la  nostra vita normale  e lavoriamo.  
Dobbiamo ancora pulire tanto le parti del Monastero lesionate. Viviamo con tante limitazioni,  sempre pronti e all'erta, ma  proviamo a vivere  il più lietamente possibile. Abbiamo lunghe serate per approfondire le  nostre conoscenze  su Origene e altri temi interessanti. Ogni sera sentiamo i bombardamenti, ma apparentemente i piloti si sono perfezionati nel leggere le mappe.  Qualunque cosa succederà a questa comunità  e a questo monastero costantemente minacciato, noi saremo grati di ciò che abbiamo realmente vissuto, sofferto e pregato con il popolo Siriano.


Ancora una storia, vera e anche umoristica. Un giornale turco in lingua inglese annuncia che qualcuno ha tagliato un pomodoro in due e ha scoperto che il cuore del pomodoro aveva una chiara forma di croce (accompagnato da una foto bellissima). Una visione spiegava che apparentemente i pomodori sono cristiani e che perciò  “altri credenti” nei  paesi arabi non li possono mangiare. Non è un'idea, di attribuire a questa persona - per questa scoperta mondiale fantastica e scioccante  - il premio Nobel per la biologia, accompagnato da un grande ricevimento sulla prossima asta di verdure e frutta, dove gli invitati si possono bombardare liberamente con pomodori?   

Con tutto il Cuore,
P. Daniel

(traduzione A.Wilking)

venerdì 5 luglio 2013

'Hanno un unico obiettivo dichiarato: instaurare un “califfato” islamico in cui vige una legge restrittiva che non ammette nemmeno la presenza degli “infedeli”

Il governatorato di Idlib è diventato “il califfato di Saraqib”.




Agenzia Fides,  2/7/2013

La regione di Idlib, nel Nordovest della Siria, fra Aleppo e Hama, controllata da fazioni islamiste dei ribelli siriani, è il territorio dove si trova la Chiesa latina Sant’Antonio da Padova di Ghassanieh, nel villaggio di Jisr el –Choughour, dove è stato ucciso il sacerdote siriano p. Francois Murad. Attualmente, la città di Idlib, capitale dell’omonimo governatorato, è nelle mani dell’esercito regolare siriano, ma il territorio circostante è controllato da bande di ribelli, con forti infiltrazioni del gruppo jihadista “Jabhat al-Nusra”, che fonti qualificate dell’Agenzia Fides definiscono “fra le più esageratamente fondamentaliste”. Sono quelle fazioni che hanno un unico obiettivo dichiarato: instaurare un “califfato” islamico in cui vige una legge restrittiva che non ammette nemmeno la presenza degli “infedeli” (“kafir”). “Hanno trasformato l’islam in una ideologia da pulizia etnica”, spiega a Fides l’attivista sociale Farid, un siriano musulmano sunnita di Idlib, che si dice “scioccato e preoccupato per la situazione: tutti abbiamo paura”.
“Si tratta di un nuova edizione del fondamentalismo islamico, il più restrittivo della storia”, spiega Farid. I gruppi islamisti hanno eretto “capitale del califfato” la cittadina di Saraqib, dove è stato proclamato un Emiro ed è stato anche istituito un tribunale islamico, l’unico tribunale competente per ogni tipo controversia, che applica in modo pedissequo la sharia come unica fonte del diritto. “Il fatto è che il giudice supremo è un uomo rozzo e per nulla erudito, era un operaio, ed è affiancato da un altro giudice che viene dall’Arabia Saudita”, spiega Farid.

“In tale situazione, inconcepibile per la storia e per la tradizione della Siria, tutto diventa possibile. Viviamo in una atmosfera di terrore in insicurezza. E’ possibile che avvengano decapitazioni – spiega – perchè per questa ideologia l’infedele deve essere decapitato. Per altri reati minori, gli uomini vengono mutilati degli arti, percossi o flagellati. E’ sufficiente una fatwa e ogni abuso dei diritti umani diventa legale, soprattutto sulle minoranze come cristiani, alawiti, ismaeliti, sciiti, drusi, ma anche sugli stessi musulmani sunniti. Gli islamisti dispongono liberamente della stessa vita delle minoranze religiose. Le minoranze vengono risparmiate per ‘clemenza’ solo se pagano la jizya, la tassa imposta dalla maggioranza islamica”.
Una situazione insostenibile: “La popolazione civile siriana – conclude Farid – non può sopportare questa atmosfera di fondamentalismo, estranea alle nostra cultura e alla nostra società”, conclude Farid, lanciando un monito. “Dove finiremo?”

http://www.fides.org/it/news/53089-ASIA_SIRIA_Il_califfato_di_Saraqib_dove_e_stato_ucciso_p_Murad

giovedì 4 luglio 2013

«Noi cristiani siriani andiamo incontro al martirio. L’Occidente non armi chi vuole trasformarci in un califfato»

Intervista a Samaan, siriano cattolico di Damasco: «Gli spari e le bombe ormai fanno parte della nostra vita, speriamo in una soluzione pacifica»

siria-cristiani
TEMPI, 12 giugno 2013
di Leone Grotti


«Noi cristiani di Damasco viviamo con dolore e angoscia questa guerra, ormai gli spari e le esplosioni fanno parte della nostra vita ma continuiamo a vivere, ci siamo abituati e non possiamo stare chiusi in casa per la paura».
Così Samaan, cattolico siriano, commenta a tempi.it la notizia delle due bombe esplose ieri nel centro della capitale, che hanno ucciso una dozzina di persone e ferite circa 30.
Samaan vive a Damasco con la sua famiglia, traduce dall’italiano all’arabo per la Chiesa i libri su don Bosco e prima dello scoppio della guerra civile faceva la guida turistica per gli italiani che volevano visitare i luoghi storici della cristianità in Siria.

Oggi, come tutti i siriani, ha paura ed è preoccupato: «Ieri mattina dei colpi sono stati sparati in una zona di Damasco interamente cristiana, un uomo è morto. Sua moglie doveva partorire tra qualche giorno».
Qual è la situazione a Damasco, la città rischia di cadere nelle mani dei ribelli?
I ribelli non riusciranno a prendere Damasco, altrimenti l’avrebbero già fatto. Purtroppo, siccome non possono vincere questa battaglia, sparano colpi a destra e a manca dalla periferia, e così succede che uccidano civili innocenti, come accaduto con quell’uomo cristiano. Tutti i giorni viviamo con nelle orecchie il suono delle sparatorie.
Cercate di condurre una vita normale o prevale la paura?
Noi cerchiamo di vivere lo stesso. Cristo si è incarnato ed è morto sulla croce, noi sappiamo di essere nati anche per andare verso la croce, come ha detto il Papa. Ogni giorno qui cadono dei cristiani martiri e noi siamo consapevoli di essere i nuovi martiri del Medio Oriente. Io non voglio condannare nessuno, ma tutti quelli che usano la violenza non possiamo accettarli e alla fine, dobbiamo difenderci.
Molti ribelli lottano per una Siria più democratica.
Io posso capire alcuni di loro, ma altri assolutamente no. Le milizie di al-Nusra sono legate ad al-Qaeda e vogliono costruire un califfato islamico, noi dovremmo pagare dazio. Ma noi cristiani siamo arrivati qui ben prima dei musulmani e non accettiamo di diventare un popolo di serie B, ci devono rispettare. Lo Stato siriano è un mosaico di religioni e tradizioni e deve continuare a essere laico, rispettando tutte le fedi.
È vero che in alcune zone della Siria i ribelli legati ad al-Qaeda hanno imposto la sharia?
Le faccio solo un esempio: mio fratello è ingegnere agrario e viveva in una provincia del nord occupata dai ribelli. Dopo tre settimane si è convinto a scappare qui a Damasco con la figlia. Grazie a Dio nessuno li ha toccati ma sua figlia, mia nipote, è rimasta terrorizzata nel vedere uomini, molti non siriani, che l’hanno costretta a coprirsi il capo e a vestire abiti lunghi. Se non fai così, loro ti considerano una prostituta e si sentono in diritto di abusare di te. Per i miliziani di al-Nusra solo le donne coperte sono per bene e noi non possiamo accettare questa cosa.
Ieri è stata diffusa la notizia di un ragazzino di 15 anni ucciso ad Aleppo per blasfemia.
Abbiamo letto anche noi questa notizia e non mi stupisce: per loro non esiste un valore dell’uomo, dipende tutto dalla tua fedeltà o meno all’islam. Mio figlio ora ha 14 anni, io avrei molta paura se questi uomini girassero per Damasco. Non potrei accettarlo.
Russia e Stati Uniti stanno cercando di preparare la Conferenza internazionale sulla Siria. Che speranze avete?
Speriamo che riescano a trovare una soluzione pacifica. La Russia ha una posizione chiara, gli Stati Uniti ondeggiano a destra e a sinistra. A volte sembrano dubitare dei ribelli, altre appoggiano i loro alleati del Golfo, soprattutto Qatar e Arabia Saudita, che mandano armi e combattenti in Siria a fianco dei ribelli e sono sempre più fanatici.
Pensate ancora che una soluzione pacifica del conflitto sia possibile?
Sì, anche perché nessuna delle due parti può sperare di vincere con la forza. Certamente la guerra sarà però ancora lunga, soprattutto perché i paesi del Golfo riforniscono di armi i ribelli e inviano in Siria combattenti di ogni nazionalità. I ribelli armati inoltre vengono dall’estero e sono molto ben preparati nell’arte della guerra.
Anche l’Occidente sta pensando di armare i ribelli.
Io, come gli altri cristiani di Damasco, sono assolutamente contrario a inviare qualsiasi tipo di armamento ai ribelli. Una soluzione pacifica implica dire no alle armi e alla guerra. Io sono contro all’uccisione di qualunque persona, di qualunque colore sia, perché siamo tutti esseri umani e abbiamo tutti lo stesso valore. Aiutando i ribelli non si fa altro che aumentare la loro potenza di fuoco e la violenza. Armare i ribelli significa allungare ancora questa guerra sanguinosa.

http://www.tempi.it/siria-damasco-noi-cristiani-siriani-andiamo-incontro-al-martirio-occidente-non-armi-chi-vuole-trasformarci-in-un-califfato#.UbuQaW1H45t

martedì 2 luglio 2013

Si chiamava Mariam: CORRETTAMENTE stuprata da 15 uomini diversi e poi uccisa, NESSUNA LINEA ROSSA SUPERATA

Stupro e atrocità su una giovane cristiana a Qusair


Agenzia Fides 2/7/2013

Qusair – Si chiamava Mariam, era una 15enne cristiana di Qusair, città del governatorato di Homs, 35 km a sud del capoluogo. La città, che era diventata roccaforte dei ribelli siriani, è stata riconquistata dalle truppe dell’esercito regolare agli inizi di giugno. La storia di Mariam – pervenuta a Fides tramite il racconto di due sacerdoti cattolici – è segno della brutalità del conflitto e della estrema vulnerabilità delle minoranze religiose. La famiglia di Mariam era in città quando miliziani legati al gruppo jihadista “Jabhat al-Nusra” l’hanno conquistata e occupata. Mentre la sua famiglia è riuscita a fuggire, Mariam è stata presa e obbligata a un matrimonio islamico. 

Fonti di Fides ricordano che, attraverso i social network, era stata diffusa in Siria la fatwa emessa da Yasir al-Ajlawni – uno sheikh salafita di origine giordana, residente a Damasco – che dichiarava lecito per gli oppositori del regime di Bashar al-Assad lo stupro perpetrato ai danni di “qualunque donna siriana non sunnita”. Secondo la fatwa catturare e violentare donne alawite o cristiane non sarebbe contrario ai precetti dell'islam.
Il comandate del battaglione “Jabhat al-Nusra” a Qusair ha preso Mariam, l’ha sposata e violentata. Poi l’ha ripudiata. Il giorno seguente la giovane è stata costretta a nozze islamiche con un altro militante. Anche questi l’ha violentata e poi ripudiata. La stessa dinamica si è ripetuta per 15 giorni, e Mariam è stata stuprata da 15 uomini diversi. Questo l’ha destabilizzata psicologicamente e l’ha resa insana di mente. Mariam, divenuta instabile mentalmente, alla fine è stata uccisa. 

“Queste atrocità non sono raccontate da nessuna Commissione internazionale”, dicono a Fides due sacerdoti greco-cattolici, p. Issam e p. Elias da poco ritornati in città. I due stanno raccogliendo il pianto e le lamentale di numerose famiglie. “Chi farà qualcosa per proteggere i civili, i più vulnerabili?”, chiedono sconsolati. Come riferito a Fides, i due hanno appena celebrato una santa Messa per consacrare nuovamente la chiesa cattolica di Sant’Elia a Qusair. La chiesa era stata saccheggiata e profanata dai guerriglieri, ed era divenuta base logistica e residenziale per gruppi di ribelli.