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lunedì 13 maggio 2013

Il cuore spezzato esige riconciliazione

“La preghiera di un cuore spezzato”: il cuore spezzato è quello della Siria dilaniato da oltre due anni di guerra civile che ha provocato anche l’annientamento di una tradizione, lunga secoli, di convivenza e armonia tra le sue diverse fedi ed etnie.



 Parla Gregorios III Laham. Si spera in un vertice risolutivo tra Putin e Obama. Grande preoccupazione per i due vescovi rapiti


S.I.R. - 13 Maggio 2013


Più di una dozzina di differenti denominazioni cristiane in Siria hanno invitato le Chiese del mondo intero a mobilitarsi nella preghiera sabato 11 maggio. “La preghiera di un cuore spezzato” è stata battezzata l’iniziativa, che va considerata molto importante, perché la prima promossa da tutte le comunità cristiane del Paese. Quattro sono state le intenzioni di preghiera: il ritorno della pace, la liberazione di tutti gli ostaggi, aiuto e sostegno ai bambini traumatizzati dalla guerra, aiuti umanitari per i profughi siriani. Gregorios III Laham, patriarca di Antiochia dei greco-melkiti, in Siria, ribadisce che “la pace in Libano, in Siria e in Terra Santa è un requisito per la pace regionale e mondiale, che realizza la convivenza e rende possibili le libertà che si propongono per l’umanità”.

“Percuotere il pastore e disperdere il gregge”. Alle sofferenze che la guerra civile infligge a tutto il popolo, per le comunità cristiane siriane si aggiunge anche la preoccupazione per la sorte di Mar Gregorios Yohannna Ibrahim e di Boulos al-Yazigi, i vescovi siro-ortodosso e greco ortodosso di Aleppo, finiti nelle mani di sequestratori non identificati, da molti giorni. Stessa sorte anche per due sacerdoti rapiti ormai da tre mesi e dei quali non si sa più nulla. “Ho fatto visita, nei giorni scorsi, al Patriarcato greco-ortodosso di Antiochia e a quello siro-ortodosso di Antiochia a cui appartengono i confratelli vescovi rapiti e purtroppo non c’è nessuna notizia - dichiara al Sir Gregorios III Laham - la stampa riporta notizie contrastanti sulla loro sorte, difficile dare il giusto valore a queste informazioni. Non dimentichiamo che ad essere stati rapiti sono anche tantissimi nostri fedeli”. “Quella dei rapimenti è una vera piaga della Siria di oggi che - per il patriarca cattolico - assume una valenza dal chiaro valore simbolico poiché si collega al possibile futuro della Siria senza cristiani. Rapire due vescovi, dei sacerdoti ha un significato religioso e richiama il passo delle Scritture: ‘Percuoti il pastore e sia disperso il gregge’. Il rischio che la Siria perda la sua componente cristiana esiste ma dobbiamo nutrire la speranza di ricostruire il nostro Paese su basi di tolleranza, convivenza, rispetto reciproco. Vogliamo dare da cristiani il nostro contributo alla rinascita religiosa, morale, sociale e materiale della Siria”.

Il popolo soffre. Intanto da Aleppo, Damasco e altre città del Paese arrivano notizie di gravi sofferenze del popolo, i cui bisogni crescono ogni giorno di più. “Le nostre comunità locali, come anche il resto della popolazione, vivono in grande difficoltà e necessitano di aiuto e assistenza in ogni forma - spiega Gregorios III -. La Caritas è attiva da tempo nel fornire aiuto ma ogni Patriarcato, ogni parrocchia, ogni sacerdote è mobilitato per venire incontro ai bisogni sempre crescenti della gente soprattutto dei bambini. Nel mio Patriarcato, per esempio, per poter provvedere alle necessità delle persone occorrono almeno 50mila dollari al mese. Le nostre attenzioni si rivolgono verso i bambini, che sono quelli che soffrono di più”.

Un cambio di visione? Sul futuro Gregorios III si mostra “speranzoso”: “Riponiamo molta fiducia nei colloqui tra il Segretario di Stato americano, John Kerry, e il ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov. Se troveranno un accordo, una piattaforma condivisa sulla crisi siriana, allora un buon passo verso la fine del conflitto sarà stato fatto. La stampa qui in Siria ne parla molto. Auspichiamo un incontro entro la fine del mese così che a giugno si possa tenere un summit tra Putin e Obama. La via negoziale, pacifica, diplomatica, lo ribadisco, è quella da perseguire e non quella delle armi e della violenza. Speriamo che i due Paesi possano accordarsi su come uscire dalla crisi e non su come ‘armare’ o ‘non armare’. Sembra che adesso se ne stiano convincendo i leader mondiali. Come Chiese sosteniamo da sempre questa visione e le parole del Papa ci confortano”.

Riconciliazione. La parola chiave per il patriarca melkita è “riconciliazione”, “mussalaha”, che è il nome di un movimento popolare non-violento nato nella società civile di Homs, una città martire. Esso ha saputo unire dal basso alawiti, sunniti, drusi, cristiani, sciiti, arabi: una riconciliazione di famiglie, di clan, di diverse comunità siriane che non parteggia per nessuna delle parti in lotta e che dimostra che una “terza via”, alternativa al conflitto armato è possibile. Un movimento appoggiato anche da tante personalità estere, tra queste anche alcuni Nobel per la pace come l’irlandese Mairead Maguire (1976). “La riconciliazione è la risposta della Chiesa alla violenza che bande armate straniere stanno seminando nel nostro Paese. La riconciliazione e il dialogo eviteranno che l’odio entri in maniera definitiva nei cuori della gente”, conclude Gregorios III.

domenica 12 maggio 2013

Usa e Russia organizzano una conferenza di pace, la Chiesa orientale una giornata di preghiera

 Le bombe di Israele, la bomba della Dal Ponte, le speranze di pace ( se qualcuno non boicotterà ad ogni costo)




da "La Perfetta Letizia" - di Patrizio Ricci

Nella situazione in Siria non c’è nessuno veramente super-partes se non la Chiesa siriana, che da tempo preme per la riconciliazione. Con l’aiuto concreto alla popolazione e con l’iniziativa “Mussalaha” ha unito alawiti, sunniti, drusi, cristiani, sciiti, arabi: una riconciliazione dal basso a partire dalle famiglie, dai clan, dalle diverse comunità della società civile siriana che non parteggia per nessuna delle parti in lotta. Sarebbe stato facile capire che la via della riconciliazione era l’unica soluzione possibile. Solo ora, ad un passo dal baratro, a distanza di più di due anni dall’inizio del conflitto e con quasi 90.000 morti alle spalle, i grandi della terra sembra comincino a rendersene conto.

La settimana scorsa gli eventi sembravano ulteriormente precipitare. L’argomento delle famigerate ‘armi di distruzioni di massa’ sembrava dovesse portare ancora una volta ad un passo dall’intervento militare unilaterale, con tutte le sue catastrofiche conseguenze per la popolazione. “L'uso delle armi chimiche in Siria sono una linea rossa invalicabile: se sorpassata, il gioco potrebbe cambiare”, aveva detto Obama. Il presidente americano si era dimenticato che una linea può essere oltrepassata anche all’inverso; lo abbiamo visto di lì a poco: dalla TV svizzera il commissario ONU Carla Del Ponte (membro della Commissione sui crimini di guerra) a proposito dei gas proibiti aveva raccontato un’altra verità: “Ci sono concreti sospetti, se non ancora prove inconfutabili, che è stato usato del gas sarin, per come le vittime sono state curate”, ed ha aveva aggiunto: “Abbiamo potuto avere delle testimonianze sull’utilizzo di armi chimiche ed in particolare il gas nervino, ma non da parte delle autorità governative, bensì da parte degli opponenti, dei resistenti”. La precisazione dell’ONU non ha cambiato la sostanza, anzi ha aumentato l’impressione di un conflitto globale: “Le prove non sono definitive né dall’una né dall’altra parte”, peccato che avesse taciuto prima, quando l’indice era diretto verso i cattivi.

Comunque mentre teneva banco il solito balletto delle interpretazioni e dei distinguo, i jet israeliani bombardavano il monte Qassiyoun a est di Damasco. Obiettivo: i missili iraniani destinati a Hezbollah. Quindi si colpiva la Siria ma si mirava all’Iran. Anche per questo il commento USA al raid è stato assolutorio: “Israele ha agito nel proprio interesse sovrano”. L’ambiguità di questa dichiarazione è estrema: è proprio il diritto di usare le armi per salvaguardare il ’proprio interesse sovrano' che è causa del perdurare del conflitto. Ognuno ha armato i suoi nel proprio interesse. Se quest’idea fosse adottata su larga scala, non è difficile immaginare cosa succederebbe nel mondo.

E’ evidente che con tali prospettive c’erano ormai tutti i segnali visibili di un imminente allargamento del conflitto che avrebbe incendiato tutto il Medioriente. E’ con questa consapevolezza che a Mosca si è svolto il summit Usa-Russia fra il Presidente russo Vladimir Putin e il Segretario di Stato americano John Kerry. Al termine dell’incontro, le parole del ministro degli esteri russo Lavrov lasciano ben sperare: “Russia e Stati Uniti incoraggeranno il governo siriano e i gruppi d’opposizione a cercare una soluzione politica”. L’accordo è di organizzare al più presto una conferenza di pace, probabilmente a fine mese, “come seguito della Conferenza che si tenne a giugno dello scorso anno a Ginevra”.

Anche l’Europa plaude all’iniziativa, e il portavoce di Catherine Ashton ha così commentato: "L'Unione europea è molto soddisfatta. Abbiamo ripetuto all'infinito che la soluzione del conflitto viene solo con un accordo politico globale. Siamo pronti a dare il nostro contributo in qualsiasi forma e speriamo che la conferenza sia l'inizio di un processo di pace".

Sono quindi giorni decisivi per una cessazione della guerra in Siria. Per questo, rilanciamo con ancora più convinzione l'invito rivolto dalle Chiese Siriane (di tutte le confessioni) alle Chiese cristiane sorelle di tutto il mondo perché si uniscano al loro grido nella giornata di preghiera per la pace in Siria, sabato 11 maggio, che hanno chiamato "La preghiera di un cuore spezzato". Quattro le intenzioni suggerite: il ritorno della pace, la liberazione di tutti gli ostaggi, l’aiuto e il sostegno ai bambini traumatizzati dalla guerra e gli aiuti umanitari per i profughi siriani.

http://www.laperfettaletizia.com/2013/05/le-bombe-di-israele-la-bomba-della-del.html

"Noi speriamo davvero che ci sia un’iniziativa annunciata da Papa Francesco, dal Vaticano"


Proprio ieri si celebrava la Giornata mondiale di preghiera delle Chiese cristiane per la pace in Siria.

Un momento di forte unità di tutte le comunità cristiane presenti in questa terra, che si sono mobilitate insieme pregando secondo quattro intenzioni: il ritorno della pace, la liberazione di tutti gli ostaggi, il sostegno ai bambini traumatizzati dalla guerra e gli aiuti umanitari per i profughi.
La Giornata è stata battezzata “la preghiera del cuore spezzato”.
Salvatore Sabatino ne ha parlato con padre Ghassan Sahoui, gesuita libanese che vive a Homs, una delle città più colpite dalla guerra:RealAudioMP3

R. – In tutte le chiese si sono organizzate preghiere per far crescere la nostra consapevolezza di essere cristiani e per capire meglio la nostra vocazione in questa crisi, in questo dramma davvero brutale; sentiamo la nostra incapacità di risolvere i problemi e quindi non ci rimane altro che chiedere a Dio, che è nostro Creatore e che ci ha dato la pace, di darci questo dono: di cambiare i cuori.

D. – E’ la prima volta che tutte le comunità cristiane insieme prendono una tale iniziativa comune nel Paese: un segnale, questo, importantissimo di unità …
R. – Un passo che dà la gioia di vedere finalmente che noi cristiani siamo uniti nella preghiera, che è un dovere e una grazia allo stesso tempo, chiedere a nome nostro e a nome di tutti i siriani, certamente uniti con tutti i cristiani del mondo e tutti quelli che davvero amano la Siria, per pregare e chiedere a Dio la misericordia e la pace per questo Paese martoriato.

D. – Il Patriarca Gregorios III Laham ieri ha detto: “I cristiani in Siria non sono una Chiesa o una minoranza da difendere, ma un elemento costitutivo del popolo siriano”. Quindi, proprio all’interno del tessuto di questo Paese …
R. – La Chiesa è davvero nata a Gerusalemme, ma poco a poco e subito si è diffusa in tutta la regione, e i cristiani sono stati chiamati come tali ad Antiochia e Antiochia faceva parte della Siria, ora fa parte della Turchia … Siamo qui, quindi, fin dall’inizio della cristianità e questa è la nostra terra. Siamo radicati in questa terra, e sentiamo anche che è la nostra missione fare da ponte tra le fazioni in guerra che purtroppo non riescono a mettersi d’accordo o dialogare. E solo Dio può dare questa grazia: cambiare i cuori e le menti, per trovare finalmente una soluzione pacifica in dialogo, senza armi, senza questa logica della violenza che distrugge non solo il Paese, ma l’uomo come tale.

D. – Una sua personale speranza, per il futuro della Siria...
R. – Malgrado tutto, noi speriamo – io spero, in modo davvero personale – che questa crisi finisca, che la pace ritorni nei cuori di tutti i cittadini siriani, ma che si instauri un dialogo davvero fruttuoso e sincero tra le parti, e che la Siria torni a trovare la sua vocazione di un ponte di pace, di elemento di stabilità nella regione e nel mondo.

D. – In questa speranza siete supportati da Papa Francesco che molte volte ha lanciato appelli per la pace in Siria …
R. – Sì, grazie a Dio, sentiamo la sua vicinanza a noi, davvero. E rendiamo grazie a Dio per lui e per la sua preghiera; sappiamo che è un uomo delle sorprese, ci fa sempre belle sorprese. E quindi, noi speriamo davvero che ci sia un’iniziativa annunciata da lui, dal Vaticano.

Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2013/05/12/la_turchia_accusa_il_regime_siriano_per_gli_attentati_a_reyhanli/it1-691326
del sito Radio Vaticana, 12/05/2013

sabato 11 maggio 2013

Preghiamo per il rilascio dei prelati rapiti e per la riconciliazione della Siria!

Padre Mtanious Hadad, delegato patriarcale della comunità greco-melchita di Roma: senza cristiani non ci sarà pace né in Siria né in Medio Oriente. Nella basilica di Santa Maria in Cosmedin, la messa per pregare per il rilascio di mons. Yohanna Ibraim e mons. Paul Yazigi e per tutte le persone sequestrate in Siria in questi mesi. 



da Asianews 09/05/2013
 di Simone Cantarini 
 "Seguendo l'esempio di mons. Yohanna Ibrahim e mons. Paul Yazigi e degli altri sacerdoti sequestrati i cristiani di Siria desiderano continuare il dialogo quotidiano con i musulmani, vivere con loro, non emigrare per colpa della guerra e del dilagare dell'estremismo islamico". È quanto afferma  ad AsiaNews p. Mtanious Hadad B.S., apocrisario patriarcale di Gregorio III Laham, patriarca della Chiesa greco cattolico melchita. Secondo il sacerdote "i cristiani di Siria non sono una Chiesa, o una minoranza da difendere, essi sono un elemento costitutivo del popolo siriano, non hanno bisogno della protezione degli Stati Uniti o dell'Europa".

Per domani sera la comunità greco-melchita di Roma ha organizzato una messa solenne per il rilascio di mons. Yohanna Ibrahim e mons. Paul Yazigi, i due vescovi ortodossi rapiti lo scorso 22 aprile. Le celebrazioni si terranno alle 19,00 nella basilica di Santa Maria in Cosmedin. Insieme a p. Hadad saranno presenti anche mons. Ilarion Capucci, vescovo emerito di Gerusalemme per i melchiti e mons. Matteo Maria Zuppi, vescovo ausiliare di Roma per il centro storico. Durante la messa saranno letti alcuni passi delle prediche dei due vescovi ortodossi e un messaggio per la pace del patriarca Gregorio III.
Il sacerdote spiega che la celebrazione eucaristica serve non solo per pregare "per i vescovi ancora nelle mani dei rapitori, come altre centinaia di persone, ma anche per porre l'attenzione sulla tragedia del conflitto siriano ormai del tutto fuori controllo".
"Noi - afferma - abbiamo organizzato questa iniziativa per richiamare la comunità internazionale e riflettere sugli effetti del conflitto siriano iniziato con la teoria della Primavera araba, ma che ora ha condotto migliaia di combattenti stranieri ad entrare nel nostro Paese e compiere atti indiscriminati che nulla hanno a che fare con la nostra cultura. Quello che i siriani si chiedono è 'dove stiamo andando?'".

Secondo il sacerdote, mons. Yohanna Ibrahim, della Chiesa siro-ortodossa, e mons. Paul Yazigi, vescovo greco-ortodosso, così come gli altri prelati rimasti in Siria nonostante il rischio di violenze e sequestri sono una testimonianza del valore della presenza cristiana nel Paese.
Per p. Hadad, il presunto coinvolgimento di jihadisti ceceni nel rapimento dei prelati è l'ennesima conferma dell'assurdità di questo conflitto: "Mons. Johanna e mons. Yazigi erano impegnati nel dialogo interreligioso ed avevano rapporti quotidiani con le autorità musulmane. Il loro sequestro è un colpo per far paura ai cristiani, e a coloro che si rifiutano di coinvolgersi in questa guerra. Sunniti, sciiti, cristiani e drusi hanno sempre vissuto insieme. Questa convivenza dura da 13 secoli. Nel nostro Paese sono sorte le prime comunità cristiane ed è proprio questa comune appartenenza che vogliamo difendere". 
L'archimandrita pone l'accento sul grande interesse di papa Francesco per le Chiese orientali: "I cristiani di Siria, sentono la sua vicinanza, in diverse occasioni  egli ha ricordato che prega per il nostro Paese e la sua popolazione. Ciò aiuta tutta la nostra comunità e i nostri vescovi a restare e spinge molti sacerdoti emigrati in passato all'estero a tornare nelle loro diocesi di origine". 

"Senza cristiani - conclude - il Medio Oriente verrà distrutto. Noi siamo il ponte che unisce l'Occidente con la cultura araba e la religione musulmana".

 http://www.asianews.it/notizie-it/Sacerdote-siriano:-Preghiamo-per-il-rilascio-dei-prelati-rapiti-e-per-la-riconciliazione-della-Siria-27876.html



Oh amata, bellissima Patria Siria, che abbia fine questo strazio!

giovedì 9 maggio 2013

GIORNATA MONDIALE DI PREGHIERA PER LA PACE IN SIRIA : SABATO 11 MAGGIO 2013

Mobilitazione delle Chiese del mondo intero per la giornata di implorazione del dono della Pace : 
che Dio abbia misericordia della Siria e la violenza abbia fine!



Su domanda delle Chiese siriane, più di una dozzina di chiese di differenti denominazioni in Siria chiamano le Chiese del mondo intero  a mobilitarsi nella preghiera sabato 11 maggio 2013. 
Questa giornata di preghiera è stata battezzata “la preghiera di un cuore spezzato”

I cristiani siriani ci scrivono: “Sabato 11 maggio 2013 i cristiani di tutte le denominazioni si troveranno nella preghiera per supplicare Dio di accordare la sua misericordia alla  Siria e di metter fine alla violenza. E’ troppo rischioso spostarsi nelle zone di combattimento. Dovremo limitarci a delle riunioni locali attraverso tutto il Paese, nelle case, nei luoghi di incontro e nelle chiese. Tutte le confessioni  saranno rappresentate."
E' la prima volta che tutte le comunità cristiane insieme prendono una tale iniziativa comune nel Paese . 

 In questo giorno le comunità ecclesiali  pregano con quattro intenzioni: .
il ritorno della pace, la liberazione di tutti gli ostaggi ,  aiuto e sostegno ai bambini traumatizzati dalla guerra,  aiuti umanitari per i profughi siriani.

Il Patriarca Gregorios III Laham ha fatto appello per "la partecipazione alla preghiera di Sabato, 11 maggio, per pregare per la pace in Siria. Perché la pace in Libano, nella Siria e nella Terra Santa è un requisito per la pace regionale e mondiale, che realizza la convivenza e la possibilità di vivere insieme, e di tutte le libertà che si propongono per l'umanità."


A la demande des églises syriennes, plus d’une dizaine d’églises de différentes dénominations en Syrie appellent les églises du monde entier à se mobiliser dans la prière le samedi 11 mai 2013. Cette journée de prière a été baptisée « La prière d’un cœur brisé ».
Les chrétiens syriens nous écrivent : « Samedi 11 mai 2013, les chrétiens de toutes les dénominations se retrouveront dans la prière, pour supplier Dieu d’accorder sa miséricorde à la Syrie et de mettre fin à la violence. Il est trop risqué de se déplacer dans les zones de combat. Nous devrons nous limiter à des réunions locales à travers tout le pays, dans les maisons, dans des lieux de rencontre et dans les églises. Toutes les dénominations seront représentées. »

MAI PIU' LA GUERRA!


PREGHIERA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
AL MURO OCCIDENTALE DI GERUSALEMME
(Martedì, 12 maggio 2009)


 Dio di tutti i tempi,
in occasione della mia visita a Gerusalemme,
la “Città della Pace”,
patria spirituale di Ebrei, Cristiani e Musulmani,
porto al tuo cospetto le gioie, le speranze e le aspirazioni,
le prove, la sofferenza e il dolore
di tutto il tuo popolo in ogni parte del mondo.

Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe,
ascolta il grido degli afflitti, di chi ha paura,
di chi è privo di speranza;
manda la tua pace in questa Terra Santa,
nel Medio Oriente,
in tutta la famiglia umana;
muovi i cuori di quanti invocano il tuo nome,
perché percorrano umilmente
il cammino della giustizia e della compassione.
“Buono è il Signore con chi spera in Lui,
con colui che lo cerca!”  (Lam , 3,25).


 PREGHIERA DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II  PER LA PACE  
 (Aula della Benedizione - Sabato, 2 febbraio 1991)

 Preghiera per la pace

Dio dei nostri Padri,
grande e misericordioso,
Signore della pace e della vita,
Padre di tutti.
Tu hai progetti di pace e non di afflizione,
condanni le guerre
e abbatti l’orgoglio dei violenti.
Tu hai inviato il tuo Figlio Gesù
ad annunziare la pace ai vicini e ai lontani,
a riunire gli uomini di ogni razza e di ogni stirpe
in una sola famiglia.
Ascolta il grido unanime dei tuoi figli,
supplica accorata di tutta l’umanità:
mai più la guerra, avventura senza ritorno,
mai più la guerra, spirale di lutti e di violenza;
fai cessare questa guerra in Siria
minaccia per le tue creature, in cielo, in terra ed in mare.

In comunione con Maria, la Madre di Gesù,
ancora ti supplichiamo:
parla ai cuori dei responsabili delle sorti dei popoli,
ferma la logica della ritorsione e della vendetta,
suggerisci con il tuo Spirito soluzioni nuove,
gesti generosi ed onorevoli, spazi di dialogo e di paziente attesa
più fecondi delle affrettate scadenze della guerra.
Concedi al nostro tempo giorni di pace.
Mai più la guerra.
Amen.

“Apri il cuore degli uomini al dialogo”
Signore,
sorgente della giustizia
e principio della concordia,
tu, nell’annuncio dell’Angelo a Maria
hai recato agli uomini
la buona notizia
della riconciliazione
tra il Cielo e la terra:
apri il cuore degli uomini al dialogo
e sostieni l’impegno
degli operatori di pace,
perché sul ricorso alle armi
prevalga il negoziato,
sull’incomprensione l’intesa,
sull’offesa il perdono, sull’odio l’amore.

“Ascolta la supplica che la Chiesa ti rivolge”
Dio dei nostri Padri,
Padre di tutti,
che nel tuo Figlio Gesù, principe della pace,
doni la vera pace ai vicini e ai lontani,
ascolta la supplica che la Chiesa ti rivolge
in comunione con la Madre del tuo Figlio:
assisti i soldati di ogni fronte
che, costretti da dolorose decisioni,
si combattono a vicenda nella guerra in Siria;
liberali da sentimenti di odio e di vendetta,
fa’ che serbino sempre nel cuore
il desiderio della pace,
perché di fronte agli orrori della guerra
il turbamento non diventi per loro
depressione e disperazione.

“Accogli gli uomini che la violenza delle armi ha consegnato alla tua misericordia”.
Padre,
il tuo Figlio, il Santo, l’Innocente,
è morto sulla croce,
vittima del peccato dell’uomo.
È morto
irrorando di sangue la terra
e seminando nel cuore dell’uomo
parole di perdono e di pace.
Ascolta, Padre,
il grido del sangue innocente
versato sui campi di battaglia,
e accogli nella tua dimora di luce,
per la materna intercessione
della Madre del dolore,
gli uomini che la violenza delle armi,
strappandoli dalla vita,
ha consegnato
nelle mani della tua misericordia.

“Conserva le creature del cielo, della terra e del mare minacciate da distruzioni tra inaudite sofferenze”.
Padre che ami la vita,
nella risurrezione del tuo Figlio Gesù
hai rinnovato l’uomo
e l’intera creazione
e hai voluto arrecare loro
come primo dono la tua pace:
guarda con compassione
l’umanità lacerata dalla guerra;
conserva le creature
del cielo, della terra e del mare,
opera delle tue mani,
minacciate da distruzioni
tra inaudite sofferenze,
e fa’ che,
per intercessione di Santa Maria,
solo la pace guidi le sorti
dei popoli e delle nazioni.

“Giunga presto a tutti i confini l’atteso annuncio: è finita la guerra!”.
In quest’ora
di inaudita violenza
e di inutili stragi,
accogli, Padre,
l’implorazione che sale a te
da tutta la Chiesa,
orante con Maria, Regina della pace:
effondi sui governanti
di tutte le nazioni
lo Spirito dell’unità e della concordia,
dell’amore e della pace,
perché giunga presto
a tutti i confini
l’atteso annuncio:
è finita la guerra!
E, ridotto al silenzio il fragore delle armi,
risuonino in tutta la terra
canti di fraternità e di pace.

mercoledì 8 maggio 2013

Dall'Europa, e anche dall'Italia, giovani combattenti tra gli insorti siriani


da Terrasanta.net

di Carlo Giorgi | 1 maggio 2013


 Tra gli stranieri che combattono in Siria al fianco dei ribelli, cresce il numero dei giovani europei convertiti all’Islam o degli immigrati residenti da anni nei Paesi europei.
 Un fenomeno che riguarda, pur marginalmente, anche l’Italia.

Secondo uno studio pubblicato dal Centro internazionale di studi sul fondamentalismo, istituzione costituita da università di molti Paesi (Israele, Pakistan e Giordania compresi), i giovani europei partiti dal 2011 per combattere in Siria potrebbero essere tra i 140 e i 600, ovvero tra il 7 e l’11 per cento del totale dei combattenti stranieri. Olanda, Belgio, Inghilterra e Francia i Paesi da cui parte il maggior numero di ragazzi.
Gilles de Kerchove, responsabile dell’antiterrorismo per l’Unione Europea, ha recentemente confermato alla Bbc che il numero potrebbe aggirarsi intorno ai 500. «Chi parte non sempre è un fondamentalista – spiega de Kerchove -. Molti lo diventano a causa della formazione che ricevono in loco. E questa loro trasformazione potrebbe crearci seri problemi quando torneranno in Europa».
Un reportage dell’Associated Press, ripreso ieri anche dal giornale degli Emirati Al Arabiya, racconta delle preoccupazioni di alcuni sindaci del Belgio testimoni della partenza di giovani concittadini per la guerra in Siria. Secondo Ap, alcuni giorni fa diverse abitazioni di Mechelen (o Malines), città di 80 mila abitanti e un’alta percentuale di immigrati musulmani, sono state perquisite dalla polizia, assieme a dozzine di altre case in tutto il Belgio, nel tentativo di «prevenire» l’arruolamento dei giovani tra i ribelli siriani. L’operazione è terminata con sei arresti.
Nel quartiere di Schaarbeek, a Bruxelles, il sindaco ha impedito una distribuzione di cibo per i poveri da parte di un ente benefico musulmano, per timore che potesse trattarsi di un’occasione di «reclutamento» dei giovani. Il divieto è stato imposto dal sindaco come conseguenza della sparizione di due studenti musulmani, probabilmente partiti per la Siria, studenti che avevano contatti con l’ente benefico in questione. Mohammed El Tamamy, sceicco della moschea di Bruxelles, nella preghiera del venerdì cerca di scoraggiare i giovani a partire: «Alcuni di loro pensano che partire dal Belgio e dell’Olanda per la Siria sia un modo per realizzare il jihad – ha spiegato el Tamamy -. Ma non è così: il jihad (inteso come guerra santa), nell’Islam, ha regole e condizioni. Per farlo devi venire autorizzato dalle autorità».

Il fenomeno delle partenze per la Siria riguarda marginalmente anche l’Italia. Fonti della comunità musulmana presente nella Penisola affermano che diversi giovani immigrati, di origine siriana o provenienti da altri Paesi arabi, hanno abbandonato gli studi o il lavoro per andare a combattere. «Conosco personalmente un siriano che dall’Italia è tornato in patria – racconta una nostra fonte –. Ne seguo le vicende perché posta le sue foto da combattente sulla sua pagina Facebook. Lui è potuto rimanere a combattere là perché è siriano; ma, da quel che ne so, diversi altri giovani non siriani, partiti dall’Italia con il desiderio di combattere, vengono rimandati a casa: o sei un soldato, o laggiù sei inutile. Anzi sei d’impaccio agli altri…».
«Non ho mai sentito di musulmani che dall’Italia siano tornati in Siria a combattere – racconta Asfa Mahmoud, direttore del centro islamico di via Padova, a Milano -. La comunità siriana di Milano è molto prudente. Si rende conto che anche l’opposizione, divisa com’è oggi, se prendesse il potere difficilmente riuscirebbe a governare. Per questo, credo, i siriani di Milano tendono a non farsi coinvolgere; al punto che, pur essendoci diversi medici tra loro, nessuno ha pensato di andare ad aiutare nei campi profughi in Turchia o Giordania».
Tra i musulmani d’Italia che partono per la Siria, ma in un modo pacifico ci sono, invece, i volontari dell’Islamic Relief, ong musulmana che porta aiuto nei campi profughi sul confine e all’interno del Paese.

martedì 7 maggio 2013

La Pasqua nel pianto dei nostri fratelli ortodossi e gli sforzi per liberare i due Vescovi di Aleppo rapiti

"Hanno cantato 'Cristo è risorto', e mentre ripetevano quelle parole di giubilo e vittoria, avevano tutti le lacrime agli occhi. Tutte le loro preghiere si confondevano con il loro pianto”. 


 Agenzia Fides - 6/5/2013

Con quest'immagine il vescovo caldeo di Aleppo Antoine Audo sintetizza all'Agenzia Fides la Pasqua appena celebrata anche in Siria dalle comunità cristiane orientali che seguono il calendario giuliano. Alle sofferenze che la guerra civile infligge a tutto il popolo, per le comunità cristiane aleppine si aggiunge anche l'apprensione per i pastori finiti nelle mani di sequestratori non identificati. Due sacerdoti sono stati rapiti ormai da tre mesi, e sono trascorse due settimane del sequestro di Mar Gregorios Yohannna Ibrahim e di Boulos al-Yazigi, i vescovi siro-ortodosso e greco ortodosso di Aleppo. “Tutta la gente” riferisce a Fides mons. Audo “continua a parlare di loro. Tutti si domandano cosa ne sarà dei vescovi, dei sacerdoti e di se stessi. Il tempo che passa non è buon segno”.

La lotta quotidiana per la sopravvivenza impedisce anche di avere una chiara percezione d'insieme riguardo all'andamento del conflitto, alle conseguenze dei raid aerei israeliani e ai pericoli di contagio su scala regionale. “Siamo spesso senza elettricità, manca l'acqua, è difficile vedere la televisione o trovare il tempo per informarsi. Come presidente della Caritas passo tutto il tempo a ricevere persone in cerca di aiuto. E ho dovuto cancellare anche ogni spostamento fuori da Aleppo, perchè ogni movimento è diventato pericoloso”.
http://www.fides.org/it/news/41461-ASIA_SIRIA_Il_vescovo_Audo_la_Pasqua_nel_pianto_dei_nostri_fratelli_ortodossi#.UYi1X21H45s


 Sforzo internazionale per il rilascio dei Vescovi rapiti, ma attenzione ai falsi mediatori

Agenzia Fides 7/5/2013  

E’ in corso un grande sforzo internazionale ed ecumenico per cercare di salvare la vita e liberare i due Vescovi di Aleppo rapiti in Siria due settimane fa, il siro-ortodosso Gregorios Yohannna Ibrahim e il greco-ortodosso Boulos al-Yazigi. 
Lo conferma all’Agenzia Fides il Vescovo metropolita Timoteo Matta Fadil Alkhouri, Assistente Patriarcale nel Patriarcato Siro-Ortodosso di Antiochia, confratello del Vescovo Gregorio Yohanna Ibrahim. “Siamo in trepida attesa – racconta il Vescovo a Fides – non sappiamo dove siano i Vescovi e con chi. Aspettiamo e preghiamo. Speriamo siano ancora vivi. Abbiamo appena celebrato la Pasqua, la Resurrezione di Cristo. Abbiamo affidato la vita dei Vescovi al Cristo Risorto”. 

Intanto si percorrono tutti i sentieri possibili per cercare un canale con i rapitori: “Continuiamo a connetterci con altre persone, leader religiosi e politici, a tutti i livelli. I nostri vescovi in Turchia, in Siria, in Libano hanno attivato i loro canali. Alcuni hanno contatti con l’Esercito Libero Siriano. Chiediamo a ogni uomo e a ogni gruppo, bussiamo alla porta di ogni governo. Abbiamo interpellato Vescovi di altre Chiese, nazioni e confessioni. Il Patriarcato greco-ortodosso in Libano, ad esempio, ha buoni contatti in Russia. Abbiamo inviato messaggi al Papa ma anche alla Chiesa Anglicana. I nostri Vescovi negli Stati Uniti sono in contatto con le autorità civili americane. C’è uno sforzo internazionale. Chiunque può cerca di dare il suo contributo”.

In questi tentativi a tutto tondo, “vi sono alcuni leader musulmani che sono sinceri e stanno cercando di aiutarci, che amano la pace e amano i cristiani”. Vi sono però “anche loschi personaggi che cercano di sfruttare il momento per ottenere denaro, presentandosi come mediatori”, nota il Vescovo. La galassia dei falsi intermediari, di chi cerca di speculare sulla tragica sorte dei Vescovi, è, dunque, un'altra delle insidie che si presentano in queste ore.
In particolare il Vescovo dice: “Siamo molto felici di aver ricevuto il sostegno e la preghiera del Santo Padre, Francesco. Sappiamo che il Papa prega per i nostri Vescovi e per la Siria, ha la Siria nel suo cuore. Gli chiediamo di continuare a pregare per noi”. Restano ancora sotto sequestro anche i due sacerdoti Michel Kayyal (armeno cattolico) e Maher Mahfouz (greco ortodosso) rapiti da un gruppo di ribelli armati il 9 febbraio: “Non ne abbiamo notizie e siamo preoccupati anche per loro”, conclude il Vescovo.

Durante la Santa Messa di Pasqua ortodossa, celebrata due giorni fa, anche il Patriarca Greco-ortodosso di Antiochia e di tutto l'Oriente, Yuhanna X Yazigi, ha nuovamente espresso il desiderio che i due arcivescovi rapiti in Siria siano liberati, rilanciando un accorato appello alla comunità internazionale: “Mi auguro che i due tornino fra noi sani e salvi: aiutateci”.

lunedì 6 maggio 2013

La crisi siriana e le prossime scelte del Governo italiano

Lettera aperta a Mario Mauro , ministro della Difesa


di Rodolfo Casadei
da Tempi , 29 aprile 2013



(....)
La seconda metà dell’anno che ci aspetta non sarà segnata soltanto dalle difficoltà legate al debito sovrano dei paesi dell’Europa meridionale, non ci sarà solo il problema del rinnovo delle sottoscrizioni dei titoli di Stato e dello spread rispetto ai titoli tedeschi. Rischiamo di trovarci, da qui a non molto, coinvolti in un’altra guerra sulla sponda sud del Mediterraneo, più sanguinosa di quella in cui fummo coinvolti due anni fa in Libia e dai prevedibili esiti più infausti e destabilizzanti di quelli che l’intervento Nato contro Gheddafi ha determinato.

Alla fine di maggio scade l’embargo della Ue sulle vendite di armi alla Siria e sugli acquisti di idrocarburi dal medesimo paese, ed è certo che non verranno rinnovati perché alcuni paesi – primo fra tutti il Regno Unito – hanno già fatto sapere che intendono schierarsi decisamente dalla parte della ribellione al governo di Bashir el Assad anche con forniture di armi.
I report sull’utilizzo di armi chimiche da parte dei governativi si moltiplicano, e anche se le evidenze non sono conclusive, ovvero si tratta di utilizzi sporadici e alcuni dei quali riferibili ai ribelli che si sono impadroniti di depositi delle forze armate, il fatto vero o presunto potrebbe diventare il casus belli per un intervento almeno pari a quello in Libia: cioè la creazione di una no-fly zone e attacchi aerei alle infrastrutture militari dell’esercito siriano. ( NdR: qui le ultime info sull'inchiesta di Carla Del Ponte "Gas sarin in mano ai ribelli")
Dove condurrebbe un’opzione del genere, abbiamo negli ultimi due mesi cercato a più riprese di illustrarlo: è impossibile risolvere la crisi siriana per via militare, perché chiunque riuscisse a prevalere sul campo di battaglia si troverebbe poi ad avere a che fare con un paese distrutto e diviso, che non potrebbe veramente controllare o che controllerebbe solo dopo avere sterminato o messo in fuga interi gruppi di popolazione. All’eventuale caduta di Assad e del regime instaurato quarant’anni fa da suo padre in Siria non seguirebbe l’avvento della democrazia, ma una via di mezzo fra l’anarchia degli “Stati falliti” e la teocrazia dei talebani.
Nelle file dell’opposizione i democratici sono una minoranza, e nelle file dei combattenti i jihadisti e gli islamici radicali sono la maggioranza assoluta, come si poteva leggere anche sul New York Times del 27 aprile.
Del resto, gli sponsor regionali della ribellione siriana si chiamano Arabia Saudita, Qatar e Turchia: le prime due sono rette da regimi dinastici lontanissimi da qualunque sistema democratico, mentre la Turchia è una democrazia che rispetta molto scarsamente i diritti delle minoranze etniche e religiose. Chiedere informazioni a curdi, aleviti e cristiani sparsi fra Istanbul, Antiochia e Diyarbakir per ulteriori dettagli. Che i protetti siriani di questi paesi siano in grado di garantire democrazia e rispetto delle minoranze in un paese mosaico come la Siria una volta andati al potere, non è meno incredibile di quello che raccontavano i neo-conservatori Usa a proposito della democratizzazione del Medio Oriente perseguita manu militari. In paesi privi di tradizione politica democratica (per le ragioni strutturali che un Tocqueville o un Marx o un Weber saprebbero spiegare agilmente) e compositi dal punto di vista etnico e religioso, la democrazia politica diventa un puro esercizio aritmetico, come si vede nell’insanguinato Iraq: un anno e mezzo dopo il ritiro delle ultime truppe americane, il paese è tormentato dalle lotte fra sunniti, sciiti e curdi, che riversano i loro voti su partiti settari. Nella migliore delle ipotesi possibili, la Siria liberata del regime degli Assad si trasformerebbe in una sorella gemella dell’Iraq, con la principale differenza di avere come primo ministro un sunnita anziché uno sciita, come accade a Baghdad con Nuri al- Maliki.

Di fronte al rischio di coinvolgimento del nostro paese in un’avventura più fatale di quella libica, non mi sento rassicurato dal nuovo allineamento ministeriale. Temo che Roma torni ad ospitare conferenze degli “amici della Siria” tanto equivoche nella composizione quanto ipocrite nella valutazione della situazione dei diritti umani e delle violazioni degli stessi compiute dalla parti in lotta.
Non voglio pronunciare giudizi a priori su nessuno, ma non vedo nel governo attuale la volontà di differenziare sensibilmente la linea politica dell’Italia di fronte alle convulsioni del mondo arabo rispetto all’appiattimento del governo Monti sulle posizioni di Regno Unito e Francia (appena un po’ ammorbidite recentemente nel caso di Parigi). Mentre gli americani esitano di fronte alla prospettiva di intervenire militarmente a fianco dei ribelli di Damasco, consapevoli dei rischi di un’escalation, Londra, Parigi e Roma continuano a credere che si debba puntare sulla Coalizione nazionale siriana benché si tratti di un paravento che occulta l’ascesa di jihadisti e islamici radicali.


  A Mario Mauro ministro della Difesa ed ex vicepresidente del Parlamento europeo che ben conosce l’altra sponda del Mediterraneo, i problemi delle sue minoranze etniche e religiose per averle toccate con mano rischiando anche di persona, la realtà complessa di situazioni che non possono essere lette con lenti eurocentriche, chiedo di far valere le ragioni del realismo e del buonsenso quando il governo si troverà a dover rispondere alle richieste degli altri partner europei in relazione al dossier siriano e alle altre delicate situazioni che si sono create all’indomani delle cosiddette “primavere arabe”.

I cristiani stanno in politica esattamente per questo: per servire il bene comune sulla base della retta ragione e del senso di realtà. E per convincere, attraverso la loro decisa testimonianza, anche chi cristiano non è, a seguirli.

http://www.tempi.it/blog/lettera-aperta-a-mario-mauro-ministro-della-difesa-dovra-darsi-da-fare-in-siria-e-nel-mediterraneo#.UYJvQG1H45s

domenica 5 maggio 2013

Aleppo : "era necessario che il quotidiano diventasse eroico, e l'eroico quotidiano"



Lettera da Aleppo n ◦ 10 (aprile 2013)

 Dal 30 marzo, gli eventi si succedono rapidamente nella nostra città di Aleppo.

 Infatti, alle 3.30 del mattino del Venerdì Santo 2013, ho ricevuto la prima telefonata che mi dice che il distretto Jabal al Sayde comincia ad essere invaso dai ribelli che urlano e gridano, intimando alle persone di rimanere all'interno dei loro appartamenti.
La minaccia era reale o era un’ incursione sporadica senza alcun effetto sulla vita del quartiere? Lentamente, le notizie annunciavano una vera e propria invasione della zona, i negozi venivano distrutti, le auto scassate o rubate. Le raffiche dei colpi paralizzavano le persone e le costringevano a rifugiarsi nella tromba delle scale. Grandi e piccoli in pianto. La paura si diffondeva! Domande angosciose: Dobbiamo lasciare la casa? Cosa fare? Una vera angoscia! Una vera tragedia si preannunciava ...
Nel corso delle ore, infuria la lotta, le case sono "visitate" da elementi armati, l'elettricità viene tagliata, l'acqua anche ... 
Le famiglie immaginavano che si trattasse di una questione di ore, speravano, aspettavano, ma non cambiava nulla!  Al contrario, l'evidenza è tutt'altra. Gli uomini pesantemente armati si installano ... Scende la notte. Si presta orecchio al minimo rumore, al minimo grido, a qualsiasi urlo... Non si dorme, si veglia, si prega, si aspetta il soccorso del cielo ... E’ la loro ultima risorsa ...

Sabato Santo, all'alba, gli edifici cominciano a svuotarsi, le persone stanno evacuando il quartiere. Esse portano con sé lo stretto necessario: alcuni documenti importanti, alcuni vestiti, qualche soldo, e niente altro ... Inizia l'esodo, le persone vagano, in cerca di una possibile uscita dall'inferno. Escono... ma è ancora buio ... Una famiglia perde il contatto con i suoi due bambini piccoli che dovrebbero essere con i vicini, ma non ci sono ... Un'altra famiglia cerca con tutti i mezzi di aiutare il vecchio che non è in grado di camminare ! I vicini si chiamano, decidono di camminare insieme, protetti dal loro destino.
Le strade si svuotano, le luci  si spengono. Si getta un ultimo sguardo sul proprio appartamento, sull'interno, su tutta una storia, su tutto un sogno, una vita intera, … come si vorrebbe che quel momento restasse eterno! E prima di chiudere la porta, ci si fa il segno della croce come a dire al Signore: "Nelle tue mani, noi ci affidiamo". La porta è chiusa e bloccata, girando due volte la serratura, la porta viene sigillata da uno sguardo di speranza. Ma dobbiamo fare in fretta! In caso contrario, la morte può piombare in qualsiasi momento ...
Un popolo cammina, la gente vaga, un popolo sfolla ... E’ costretto a svuotare il quartiere, il luogo della sua vita perchè diventi un cimitero di memorie, forse un ammasso di  pietre ... Non abbiamo avuto il tempo di dare un ultimo sguardo al balcone della casa dove  è stesa la biancheria che non si è ancora asciugata! Un'unica idea in testa: bisogna fuggire l'inferno, il più presto possibile, a qualsiasi prezzo ... Nessuna macchina  può circolare. Bisogna camminare, camminare, camminare ... I minuti diventano un'eternità ... La pagina è girata! Tutto è compiuto!

Sabato verso le 9:00, i più veloci  tra i residenti di Jabal el Saydeh arrivano nella zona sicura: qualcuno suonerà alla porta di un parente,  e altri prendono il cammino della nostra comunità Marista, l’unico luogo di accoglienza ... I Maristi Blue sono lì ... danno il benvenuto, ascoltano, continuano a ripetere: "Hamdellah ‘al Salameh"  "diamo grazie a Dio per la vostra sicurezza".
 300 famiglie cristiane e molte altre famiglie del  quartiere l’hanno lasciato nelle mani degli uomini armati ... Neppure noi, i Maristi, possiamo più tornare alla nostra sede nel quartiere. La preoccupazione sorge in noi: che ne sarà delle famiglie musulmane di sfollati che si trovavano nelle scuole? Nessuna risposta ...
 La Comunità Marista diventa un centro di informazione, di scambio di notizie : si chiama per sapere di una famiglia o di una persona ... In effetti alcune famiglie sono rimaste nella zona ...
L'ultima famiglia che ha lasciato il 3 aprile ci descrive il suo esodo: tutti i membri, tra cui la nonna di età avanzata sono usciti  attraverso i fori che gli uomini armati hanno realizzato nelle pareti delle case ... Ci si racconta l'orrore di trovarsi nell'inferno della guerra, la paura e il terrore ... Molte famiglie vengono a chiedere dei vestiti, dei materassi, coperte, cuscini, asciugamani, sapone ... Noi li accogliamo, li sosteniamo e rispondiamo ai loro  bisogni ...



Gli spazi vuoti della comunità sono riempiti tutti... Decidiamo di svuotare i due locali degli Scout per costruire 4 docce e 4 bagni ...
Con la Caritas e i funzionari di Sallet el Jabal, abbiamo organizzato una celebrazione eucaristica, seguita da una distribuzione di denaro e di buoni per l’acquisto di biancheria intima e vestiti nuovi. La maggior parte delle famiglie partecipa all'Eucaristia, fa la Comunione, prega e accompagna il coro della parrocchia ... Che ne sarà delle due chiese del quartiere?
Sallet el Jabal, il cesto di cibo che abbiamo distribuito mensilmente fin da agosto 2012, sarà pronto in una settimana ... Le persone ne hanno bisogno ...

Martedì di Pasqua, una sorpresa:  Ghalia, la madre di sette figli, di cui il più grande ha 9 anni e che si trovava in una scuola, viene da noi ... Ha cercato di raggiungerci ... le diamo il benvenuto;  ... pochi giorni dopo, un'altra famiglia  arriva con 11 bambini ... Tutti saranno ospitati e accolti ...


 Compriamo una lavatrice, aggiungiamo quattro serbatoi d'acqua a quelli esistenti, compriamo  vestiti, biancheria, sandali, cuscini, materassi ...
Il progetto "Imparare a crescere" è anch’esso spostato ... torna nei locali della comunità... I bambini ritornano in gran numero... Hanno bisogno di spazio, hanno bisogno di disegnare, giocare, raccontare ...
Abbiamo istituito un punto medico ... Un consulto quotidiano ... I farmaci sono gratis ...

 E domani?
 Tutte le famiglie del "Jabal al Sayde" pongono questa domanda ... Noi la poniamo  con loro ... Non ci stanchiamo mai di ripetere che è nelle mani di Dio..
Dobbiamo sperare un possibile ritorno nel quartiere? Bisogna sognare? Molte voci annunciano l'imminente fine della guerra, ma molte volte queste speranze sono state vane ... E’ vero che dura il provvisorio? E se il provvisorio diventasse un non-ritorno ?

 Quanto a noi Maristi Blu,  noi avremo sempre questa mano protesa per vivere una solidarietà evangelica, una solidarietà che annuncia e testimonia  l'amore di Dio per ogni uomo e donna ...
Insieme cercheremo di costruire la pace, la pace del mattino di Pasqua ..

  Frère Georges SABE,  per i Maristi Blu

21 Apr 2013

"Cristo è veramente risorto!" : Buona Pasqua ai fratelli ortodossi , soprattutto a quelli nella sofferenza


نور المسيح القائم من بين الأموات يضيء حياتنا!
مع كل محبتي لكل من يحتفل اليوم بقيامة المسيح.

Le parole del Santo Padre all'Angelus:

"Oggi le Chiese d’Oriente che seguono il Calendario Giuliano celebrano la festa di Pasqua. Desidero inviare a questi fratelli e sorelle uno speciale saluto, unendomi di tutto cuore a loro nel proclamare il lieto annuncio: Cristo è risorto! 

Raccolti in preghiera intorno a Maria, invochiamo da Dio il dono dello Spirito Santo, il Paraclito, perché consoli e conforti tutti i cristiani, specialmente quanti celebrano la Pasqua tra prove e sofferenze, e li guidi sulla via della riconciliazione e della pace. "


sabato 4 maggio 2013

Vibrate proteste della Chiesa Cattolica contro i bombardamenti indiscriminati

Due testimonianze dalla Siria: bombardamenti alla cieca

La chiesa del monastero di Mar Elian, a Qaryatayn.

da Terrasanta.net
di Carlo Giorgi, 22 aprile 2013



 Due drammatiche testimonianze giunte dalle comunità cristiane in Siria.



Cominciamo con le parole di fra' Halim Noujaim, responsabile della Regione San Paolo, che coordina i frati minori della Custodia di Terra Santa dislocati in Libano, Siria e Giordania: «Verso mezzogiorno del 19 aprile, mi ha raggiunto (a Beirut) una telefonata di padre Hanna, del convento di Knayeh, un villaggio della valle dell'Oronte, nella Siria settentrionale. Per la prima volta ho percepito dalla sua voce che era triste e molto agitato. Mi ha raccontato che ieri notte sono caduti altri proiettili di mortaio sul convento e hanno causato molti danni. Tutto il convento è rovinato non ci sono più vetri alle finestre, i tetti sono tutti danneggiati, l'acqua penetra dappertutto, si vive nel terrore. Il governo, nel tentativo di colpire i ribelli asserragliati nel villaggio, bombarda ciecamente dappertutto, non fa distinzioni… Così muoiono tutti indistintamente. Le cose vanno malissimo...».

Pessime notizie arrivano anche dal monastero di Mar Elian, a Qaryatayn, una cittadina 60 chilometri a sud di Homs, dove vivono 35 mila abitanti, cristiani e musulmani. Il priore del monastero, abuna Jaques Mourad, ci ha raccontato che proprio negli ultimi giorni la situazione è precipitata: «Martedì scorso l'esercito ha bombardato la città e adesso, oltre alla povertà e alla fame in città è arrivata anche la distruzione. Ieri, domenica, ci siamo ritrovati in monastero tra gli 800 e i 900 profughi; per fortuna questa mattina molti se ne sono andati, cercando salvezza altrove e ne sono rimasti “solo” 400, metà cristiani, metà musulmani. Elettricità e telefoni vanno ad intermittenza. Per l'acqua, che avevamo praticamente finito, sono arrivate provvidenzialmente due autobotti... La situazione però rimane drammatica perché, in fatto di cibo, abbiamo solo due giorni di autonomia e poi avremo terminato le nostre riserve... Il centro di Qaryatayn adesso è in mano al Libero esercito siriano (gli insorti - ndr), mentre fuori città è l'esercito ufficiale a controllare la situazione con un posto di blocco. In città, le personalità più autorevoli - il muftì, il giudice, io stesso -, cercano di mantenere la pace, di tranquillizzare gli animi, ma non è facile... Quello che manca più di ogni altra cosa è la sicurezza, il cibo e l'acqua ci sarebbero, solo che oggi è troppo pericoloso uscire dal monastero e andarli a cercare. L'unica cosa che chiediamo a tutti ora è la preghiera».
La situazione pare ancora tranquilla, invece, nei due villaggi cristiani di Sadad e Hafar, vicino a Qaryatayn.
http://www.terrasanta.net/tsx/articolo.jsp?wi_number=5100&wi_codseq=SI001 &language=it

Colpita la chiesa cappuccina di Deir Ezzor in Siria

“C’è stata un’esplosione vicino alla nostra chiesa di Deir Ezzor, che l’ha distrutta” – ci scrive in un messaggio fra Antoine Haddad, Ministro viceprovinciale del Libano. La notizia è stata appresa dai media, perché i due fratelli cappuccini che vi risiedevano, con l’aiuto di Croce Rossa Internazionale, Libanese e Siriana e dei Nunzi del Libano e della Siria, hanno lasciato quel luogo insieme alle suore di Madre Teresa e una decina di anziani che abitavano nel nostro convento. Sono gli ultimi cristiani rimasti nella zona a lasciare il posto.
La chiesa è stata completamente distrutta, ma fin ora non è stato possibile sapere se il convento è stato colpito o meno, perché non ci sono più cristiani a Deir Ezzor, a parte uno che è ritornato perché abitava nella  zona ‘più tranquilla’ della città. I suoi tentativi di arrivare sul posto non sono riusciti a causa dell’intenso fuoco incrociato delle armi. La nostra chiesa di Deir Ezzor è stata fino a poco tempo fa l’unica rimasta quasi intatta. Infatti, qualche mese fa si è potuto vedere su You Tube un filmato in cui appariva la chiesa con la porta e il muro laterale sventrati e i militari che vi entravano.
“Deir Ezzor è una città ad Est della Siria, sull’Eufrate, tra Palmira e la frontiera Irakena – ci spiega fra Antoine - La nostra presenza vi risale agli anni trenta del secolo scorso, ma nella zona la nostra presenza risale ad un tempo molto più lontano. Abbiamo anche un’altra casa verso il Sud della Siria, Soueida, zona ancora tranquilla per il momento, dove vi sono due nostri fratelli. La nostra Vice-Provincia, in quasi quattro secoli di storia, ha sempre sofferto distruzioni, persecuzioni, martirio... Ma sempre, come dice la leggenda della fenice – quell’ uccello mitologico noto per il fatto di rinascere dalle proprie ceneri -, la nostra Vice-Provincia risorgeva con Cristo Risorto. Ultimamente, abbiamo recuperato, dopo trent’anni, un’altra proprietà (Abey) distrutta dalla guerra in Libano: ha cominciato a risorgere anch’essa… La chiesa di pietra si potrà ricostruire un giorno quando una primavera di pace ci sarà nel nostro mondo mediterraneo”.

http://www.db.ofmcap.org/home_ofmcap_it/news_e_attualita/00007095_Colpita_la_chiesa_cappuccina_di_Deir_Ezzor_in_Siria.html

E, per amor di verità... 

... non possiamo più dire che l'esercito protegge i cristiani se spara sui villaggi cristiani, dove non vi sono musulmani jihadisti , ma soltanto alcuni ribelli ...  E i capi militari pensano di sconfiggere i ribelli con le cannonate? Ciò è impossibile! I ribelli sono addestrati alla guerriglia urbana, per le strade, con le imboscate, ciò di cui non è capace l'esercito regolare.
Chi ne fa le spese? E' il povero popolo.
E' necessario protestare energicamente con le autorità del governo su questa situazione. 

Il Nunzio stesso chiese udienza al Ministero degli Esteri e consegnò un plainte scritta al Vice Ministro accompagnandola con parole forti.  Il Vice Ministro fece presente la questione ai vertici militari che immediatamente rimossero, dopo una tirata d'orecchi, il Responsabile della piazza a Gisser Choughour, capoluogo della zona dell'Oronte. 
Tra le cose che sono state riferite ai vertici di Damasco vi era anche il fatto che il Capo militare di Gisser Choughour non ha voluto ricevere il Padre Hanna perché era andato a fargli capire che non vi erano né armi e né ribelli in Convento, ma soltanto i religiosi e le religiose là rifugiatisi. 
Neppure una delegazione di cittadini fu ricevuta, quella addirittura fu mandata via in malo modo... 

  l'osservatore siriano   

venerdì 3 maggio 2013

Il patriarca cattolico Laham: ecco perché i terroristi ci attaccano

 “I miliziani colpiscono i cristiani perché rappresentano la risorsa più preziosa
per la coesione nazionale in una Siria lacerata dalle divisioni”. Ad affermarlo
è l’arcivescovo Gregorio III Laham, patriarca cattolico dei Melchiti con sede a
Damasco, dopo che due vescovi siriani sono stati rapiti vicino ad Aleppo. Per il
patriarca siriano, “il primo ruolo dei cristiani è quello di avvicinare le parti
tra loro, ribadendo che l’identità nazionale deve prevalere su qualsiasi motivo
di scontro”. Proprio per questo pochi giorni fa l’arcivescovo ha scritto una
lettera aperta sulla Siria a tutti i capi di Stato arabi e mondiali, invitandoli
ad abbandonare la via delle armi e a ripercorrere quella del dialogo e della
riconciliazione.



 da Il Sussidiario - 24 aprile 2013

Qual è stata la sua reazione di fronte alla notizia del rapimento dei due vescovi?
 Siamo senza parole dinanzi a questa situazione, con rapimenti che colpiscono donne, anziani, bambini, sacerdoti e perfino due vescovi. Uno dei due rapiti, Boulos al-Yaziji, è fratello del patriarca greco-ortodosso di Antiochia, Youhanna al-Yaziji, la massima autorità dei cristiani ortodossi. L’altro invece, Yohanna Ibrahim, è molto conosciuto in tutto il mondo per il suo impegno come rappresentante di pace e di riconciliazione. Di fronte a quanto è avvenuto non possiamo che sottolineare nuovamente l’importanza della pace, della saggezza, del consenso internazionale per porre fine a questa tragedia.

La pace è più importante della stessa libertà e democrazia?
 Condivido le richieste di democrazia e libertà, ma il metodo con cui si sta cercando di perseguirle in Siria sono inumani. 
Esiste una via migliore, fatta di amicizia, di amore, di dialogo e di riconciliazione. I rifugiati siriani si contano ormai a milioni, si tratta di persone che non hanno nulla da mangiare né un posto dove dormire, gente che ha perso tutto. Dobbiamo quindi essere apostoli della riconciliazione e del dialogo, è questo il nostro scopo come cristiani, come capi e come pastori. 
I due vescovi sono stati rapiti vicino ad Aleppo.

Com’è la situazione in questa zona della Siria?
 Aleppo è un caso molto speciale, la sua situazione è la più difficile perché questa città si è trasformata in una grande prigione. I suoi abitanti sono intrappolati al suo interno, e quindi fuggono da un quartiere all’altro perché non hanno alternative. Quando una zona è in pericolo, si recano in un'altra parte della città. Aleppo però ha una sola uscita molto pericolosa, che nessuno osa varcare.

Com’è il clima all’interno della città?
 Gli abitanti di Aleppo si trovano in una grande difficoltà, che riguarda tanto i cristiani quanto i musulmani. Nella Città vecchia di Aleppo si trovano infatti cristiani e musulmani insieme, dunque la situazione è uguale per tutti. Le parrocchie di Aleppo sono solidali con tutti e forniscono ogni giorno quasi 15mila pranzi gratuiti a chi è rimasto senza più nulla. C’è quindi una solidarietà straordinaria, pur nella tragedia che sta vivendo la città.

Dietro il rapimento dei due vescovi c’è anche un progetto per cancellare la presenza dei cristiani in Siria?
 Il progetto non è solo quello di colpire i cristiani, ma di mettere tutte le parti l’una contro l’altra per trasformare la crisi siriana in un conflitto interreligioso. Il primo obiettivo è quello di aizzare gli odi tra sunniti e sciiti, ma anche tra musulmani e cristiani. E’ una strumentalizzazione della religione per fomentare l’odio nel Paese. 
Di fatto quindi, anche se l’obiettivo non è quello di colpire i cristiani in quanto tali, quanto sta avvenendo li porta a fuggire dalla Siria. E il risultato è che si contano quasi 400mila profughi cristiani, sia all’interno della Siria sia all’esterno del Paese, soprattutto in Libano e Giordania.

La Chiesa cattolica è impegnata solo sul fronte dell’assistenza ai bisognosi, o anche sul piano degli sforzi diplomatici?
 Il primo ruolo dei cristiani è quello di avvicinare le parti tra loro, sia quindi l’opposizione sia il governo. Siamo convinti che il nostro scopo non sia quello di dichiarare che siamo a favore del regime o dei ribelli, ma di ribadire che noi cristiani siamo siriani animati dal desiderio di aiutare tutti i nostri connazionali, a prescindere dal fatto che siano con o contro Assad. 
Si tratta di un ruolo fondamentale, che svolgiamo sia all’interno del Paese, sia a livello internazionale nei nostri rapporti con il Papa e le Conferenze episcopali di tutto il mondo. 
Proprio per questo dieci giorni fa ho scritto una lettera aperta a tutti i capi di Stato arabi emondiali, invitandoli a dire basta alle armi, alla violenza e al terrorismo e a scegliere la via evangelica del perdono e del dialogo. 
Infine, desidero chiedere a tutti gli italiani di pregare per la Siria: in questo momento è l’unica cosa che può salvarci.

(Pietro Vernizzi)


Il Metropolita siro-ortodosso Kawak: la Turchia ci aiuti a liberare i vescovi rapiti


Agenzia Fides 3/5/2013

  “La Turchia è importante per risolvere la vicenda dei nostri due fratelli vescovi di Aleppo rapiti. Tutto il nord della Siria ora è in qualche modo sotto il controllo turco, quindi è fondamentale parlare con loro. Ogni iniziativa diplomatica e umanitaria dovrebbe puntare in quella direzione, coinvolgendo anche i governanti turchi”. 
Così dichiara all'Agenzia Fides il Metropolita siro-ortodosso Jean Kawak, incaricato dell'Ufficio patriarcale a Damasco, in merito al rapimento del Metropolita siro-ortodosso Mar Gregorios Yohanna Ibrahim e di quello greco-ortodosso Boulos al-Yazigi, nelle mani di ignoti sequestratori dallo scorso 22 aprile. 

Il Metropolita Kawak riferisce a Fides che “non ci sono novità sulla sorte dei rapiti e sulla identità certa del gruppo dei sequestratori. C'è chi assicura che i due vescovi stanno ancora bene e che si è riusciti a far arrivare a Mar Gregorios le medicine di cui ha bisogno ogni giorno. Ma sono voci che provengono in maniera indiretta da fonti diverse, e che è impossibile verificare. Oggi” conclude il metropolita siro-ortodosso "le nostre Chiese celebrano il Venerdì Santo, e il cuore dei cristiani è afflitto. Tutti i cristiani pregano perchè i due vescovi siano liberati nei prossimi giorni. Sarebbe per tutti anche questo un segno di Resurrezione, dopo la passione che stiamo vivendo”.