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martedì 21 maggio 2013

Il Bene, il Vero, la ricerca della Libertà e i diritti dell'uomo

DALL'ENCICLICA DEL PATRIARCA BARTOLOMEO, APPELLO PER I VESCOVI DI ALEPPO

Un appello accorato per i due vescovi di Aleppo della Chiesa greco-ortodossa di Antiochia Boulos al-Yazij e della Chiesa siro-ortodossa Youhanna Ibrahim rapiti il 22 aprile scorso e di cui non si hanno più notizie. È contenuto nella Enciclica patriarcale e sinodale diffusa dal Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I in occasione del 17° centenario della promulgazione dell’Editto di Milano. Un tema ed una commemorazione che sono stati in questi giorni al centro delle attività del Patriarca Bartolomeo prima con un viaggio a Milano e subito dopo con un seminario di studio promosso in collaborazione con il consiglio delle Conferenze episcopali europee. Ora il Patriarcato presenta un’Enciclica dedicata all’Editto di Milano in cui di nuovo esprime la sua profonda preoccupazione e angoscia per “le persecuzioni ancora dilaganti nella terra e in particolare di recente contro le popolazioni cristiane del Medio Oriente”. “Omicidi, rapimenti, minacce e azioni legali” contro i cristiani: “Condividiamo – si legge nella Enciclica del Patriarca Bartolomeo - il dolore, l’afflizione e le difficoltà che affrontano i cristiani in Medio Oriente e in Egitto, in particolare l’antico e venerabile Patriarcato di Antiochia”. 

“Senza prendere alcuna posizione politica, condanniamo senza esitazione e ancora una volta ogni forma di violenza contro i cristiani, facendo appello ai potenti della terra perché facciano rispettare i diritti fondamentali dell’uomo, il diritto alla vita, la dignità e il diritto di avere un futuro, sapendo e lodando il loro comportamento pacifico e silenzioso, e il loro costante sforzo a stare lontano da ogni violenza e conflitto”. Da parte sua, “il Patriarcato ecumenico non cesserà mai di sostenere con tutti i messi spirituali a sua disposizione, gli sforzi di dialogo pacifico tra le diverse religioni per una soluzione pacifica dei conflitti e la creazione di un clima di tolleranza, di riconciliazione e cooperazione tra le persone di ogni religione e di ogni origine etnica”.


Pubblichiamo l'ultima parte del DISCORSO DI SUA SANTITA’ IL PATRIARCA ECUMENICO BARTOLOMEO IN OCCASIONE DEL 1700° ANNIVERSARIO DALLA PUBBLICAZIONE DELL’EDITTO DI MILANO (Milano, 15 maggio 2013)





La preoccupazione che l’uomo sia sostenuto di fronte a ogni ingiusta oppressione e privazione della sua libertà - espressa anche dopo la Rivoluzione Francese con la “Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo” – per il Cristianesimo non è nuova cosa ma è contenuta nell’insegnamento divino-umano sulla terra, di duemila anni fa, di Cristo e dei suoi Santi Apostoli (nei Sacri Vangeli e negli scritti dei Padri Teofori).
E questa preoccupazione non può che avere l’approvazione della Chiesa.
         Ma la democrazia per la Chiesa è legale solo quando dice la partecipazione del popolo alla nomina dei capi e del governo, rispettando i diritti di Dio e le leggi divine. La pretesa della nazione di auto-determinarsi come il supremo fondamento dei canoni che ispira e istituisce le leggi, non può essere accettata dalla Chiesa, ma viene bocciata come pretesa luciferina che conduce l’uomo alla sua auto-distruzione.
         Per la Chiesa ogni sforzo per l’acquisto della libertà deve essere rivolto in primo luogo verso l’uomo interiore e dopo essere esteso agli altri. Per la Chiesa Ortodossa l’uomo reca intera la responsabilità di lottare per la realizzazione dell’aspetto positivo della libertà nella sua persona, di diventare ogni giorno autenticamente libero, negando sé stesso e la sua tendenza al peccato.
         Tutti i movimenti umani che hanno tentato di raggiungere la libertà fuori da Dio, senza Cristo, alla fine non solo sono falliti, ma hanno avuto anche conseguenze catastrofiche per l’umanità.
         Non si deve dimenticare che alla Rivoluzione Francese del 1789, con le sue dichiarazioni progressiste, hanno fatto seguito le stragi degli anni 1792-94 e i milioni di morti delle guerre napoleoniche. Non si deve dimenticare che alla Rivoluzione d’Ottobre in Russia sono seguiti milioni di vittime delle persecuzioni staliniste e dei terribili campi di concentramento in Siberia.
         Purtroppo non sono solo il fondamentalismo e l’odio religioso a privare l’uomo dei suoi basilari diritti. E’ anche la sete di libertà senza Cristo, la libertà immorale che alla fine diventa prigione. Questa sete di libertà non troverà il suo compimento se l’uomo Europeo non si ricollegherà con l’eredità cristiana di Costantino Magno, grande e santa personalità che ha tracciato un segno nella storia del mondo, come solo un santo poteva fare. Quando i popoli dell’Occidente cercano fondamento alla morale e al diritto solo nell’uomo e nella nazione dimenticando Dio, allora anche i diritti dell’uomo rimarranno semplici dichiarazioni sulla carta.
         La stessa cosa succede anche oggi in Medio Oriente. Rivoluzioni, rovesciamento di regimi, guerre per richiedere più libertà e l’instaurazione della democrazia. Malgrado ciò i risultati non sono positivi e alcune volte molto scoraggianti.
         La violenza religiosa, l’odio, la mancanza di tolleranza di fronte ai cristiani, continuano a dominare in Paesi teatro di rivoluzioni. Gli eventi politici che accadono nel Medio Oriente - luoghi attraversati da Dio - le catastrofi naturali, l’insicurezza verso il futuro, minacciano i cristiani, la loro vita loro e quella delle proprie famiglie. In Siria i cristiani di ogni confessione, chierici e laici, malgrado i grandi sforzi che compiono per rimanere neutrali nel conflitto civile, malgrado la loro vita tranquilla e pacifica, vengono provati e minacciati quotidianamente con sequestri e omicidi.
         Il Patriarcato Ecumenico condanna senza dubbi queste e analoghe situazioni. Lontano da ogni posizione politica riproviamo - come capo spirituale e Patriarca Ecumenico - l’uso della violenza e le persecuzioni dei cristiani soltanto e solamente in quanto cristiani.
         Non abbiamo timore di quelli che usano la violenza contro i cristiani, perché la Resurrezione del Signore ha vinto anche la morte. Come cristiani non abbiamo paura delle persecuzioni, perché le persecuzioni sono la pagina d’oro della storia della nostra Chiesa, hanno esaltato santi, martiri ed eroi della fede. Ma anche non cessiamo di esprimere verso la Comunità Internazionale la nostra protesta, perché 1700 anni dopo la concessione della libertà religiosa con l’Editto di Milano, continuano in tutto il mondo, sotto molteplici forme, le persecuzioni.
         Facciamo quindi appello a tutti affinché prevalga la pace e la sicurezza tanto nel Medio Oriente - dove il Cristianesimo tiene i suoi più venerabili e antichi santuari e dove la tradizione cristiana è tanto profonda e collegata con la vita del popolo - quanto in tutto il mondo, dove viene calpestata la libertà della fede in Cristo con il pretesto del terrorismo, delle guerre, delle oppressioni economiche e in molti altri modi. Situazioni che si correggono solo con personali autocritiche, con la Grazia dello Spirito Santo. Tutto questo condanniamo, proclamando la libertà in Cristo. La libertà è per il cristiano modo di vita. La più elevata libertà è la purezza della nostra mente e perfetta libertà è la purezza del cuore. Questa è la libertà di Dio che ha le sue radici, la sua pienezza e la sua perfezione nella libertà dell’uomo. La libertà dell’uomo è la libertà di Dio.
         L’Editto di Milano costituisce un momento culminante nella vita dell’umanità e per il nostro travagliato mondo è speranza per un domani migliore. Ed è al tempo stesso un suggerimento affinché il mondo comprenda che può raggiungere la sua reale libertà soltanto in Cristo. Testimonia San Giovanni Crisostomo, Lui che ha servito nella libertà: “Chi non cerca la gloria, già da ora riceve il premio; di nessuno è servo, ma libero nella vera libertà” (A Giovanni, 73, P.G. 59, 349).
               

lunedì 20 maggio 2013

Cristiani in terra d'Islam: Tibhirine vive!

21 maggio : memoria dei 7 Trappisti martiri di Tibhirine


“Uomini di Dio” a Midelt


Il film Uomini di Dio (Des homme et des dieux) del regista X. Beauvois, premiato a Cannes nel 2010, ha reso nota anche al grande pubblico la vicenda dei sette monaci trappisti di Tibhirine, in Algeria, rapiti e uccisi nel 1996 dai terroristi del “Gruppo islamico armato”, e dei quali furono fatte ritrovare soltanto le teste.
La piccola comunità di N. S. dell’Atlas, a Midelt, in Marocco, quattro fratelli dell’Ordine Cistercense della Stretta Osservanza (detto dei “Trappisti”), e due postulanti, arrivati proprio dopo aver visto il film, è l’erede di quella di Tibhirine, trasferitasi, dopo quei fatti, prima a Fés, in Marocco, e poi a Midelt, 200 km. a sud di Fés, in un vasto altipiano chiuso dalla catena del Medio-Atlante, a 1500 m. di altezza.
Qui vive anche P. Jean-Pierre Schumacher, 89 anni e una vitalità mite e tenace che brilla nei suoi occhi color del cielo, occhi di bambino, a dispetto dell’età, che traboccano di pace, gioia e serenità, come il sorriso che s’apre sul suo volto alla consegna generosa di un dono e di un segreto. È, ormai, l’ultimo sopravvissuto di Tibhirine, dopo che l’altro fratello, scampato con lui miracolosamente, e per chissà quale disegno di Dio, al rapimento, la notte fra il 26 e il 27 marzo del 1996, P. Amedée, è morto nel 2008, e, dunque, il testimone vivente di quegli avvenimenti e di una speranza che nelle sue parole, come nei suoi occhi e nel suo sorriso, ha la forza e la solidità della roccia.
Ma perché mai, ancora, una comunità trappista in terra d’islam, in uno stato confessionale come il Marocco, dove non è consentito professare una fede diversa da quella insegnata da Maometto, se non a chi è straniero, e in mezzo a una popolazione berbera, come qui, a Midelt?
Eppure che abbia la fortuna di incontrare e di conoscere questa splendida comunità non può che ringraziare Dio, e i fratelli stessi, di questa presenza. Una presenza silenziosa e nascosta, prima di tutto orante, segno gratuito e trasparente di una più grande Presenza.
“Essere uomini di preghiera in mezzo ad altri uomini di preghiera”, questo lo scopo dichiarato e perseguito dai fratelli, tanto che, in certe ore del giorno, si resta stupiti (meglio dire letteralmente commossi) al sentire come al canto dei monaci, nel piccolo coro, facciano eco, di lontano, le voci dei muezzin dai loro minareti.
Questi “uomini di Dio”, che vivono, oggi, qui, a Midelt, secondo la Regola di S. Benedetto e le costituzioni dell’Ordine di Citeaux, si dedicano al servizio e alla lode di Dio nella celebrazione liturgica e al lavoro manuale, in uno stile di vita semplice e fraterno, segnato fortemente dal timbro inconfondibile della carità.
“Ospiti” del popolo marocchino - come amano definirsi loro stessi - , musulmano nella sua totalità, essi intendono anche testimoniare come la pace è dono di Dio a tutti gli uomini di tutti i luoghi e di tutti i tempi e in particolare compito affidato a tutti i credenti.
L’apertura e lo spirito di comunione fraterna sono certamente il tratto distintivo di questa comunità, come si tocca con mano nell’accoglienza calda e premurosa riservata ai tanti visitatori, per la maggior parte stranieri, che passano per il monastero per sentire ancora parlare di Tibhirine, così come nei legami di collaborazione e di aiuto che la uniscono alla popolazione locale, come e forse più che a Tibhirine.
Ma non c’è solo Tibhirine, oggi, a Midelt. In una cappella dell’ampio cortile interno del monastero, riposa il corpo del P. A. Peyriguère (1883-1959), discepolo di Ch. de Foucauld morto in concetto di santità, e con lui un pezzo di storia e di fede della presenza cristiana in Marocco, una presenza che, oltre che con i fratelli, continua oggi, a Midelt, anche con un piccolo gruppo di sorelle francescane, che svolgono un’importante opera assistenziale e formativa anche nei villaggi vicini e che fanno riferimento al monastero le vita liturgica e spirituale.
Un tesoro davvero prezioso, dunque, la piccola comunità trappista di Midelt, per la Chiesa del Marocco e per tutta la Chiesa universale, in tempi in cui sempre di più ha bisogno di testimoni autentici del Vangelo.
Sr. Patrizia (Trappiste di Valserena)
(pubblicato su ToscanaOggi)


















E  PERCHE’ PROPRIO UN MONASTERO IN SIRIA?
Il nostro abate generale dom Bernardo Olivera, in una sua visita a Valserena, aveva chiesto che venisse raccolta l’eredità dei nostri fratelli di Thibirine, uccisi in Algeria nel 1996.
L’appello è stato raccolto da due nostre sorelle che si sono sentite chiamate a questa nuova esperienza, alle quali poi se ne sono aggiunte altre due.
In Algeria non si poteva andare a causa dell’intolleranza verso i cristiani, che esiste tuttora, così è stata scelta la Siria. La Siria è una terra a prevalenza islamica, ma dove convivevano, in pace, ben 23 minoranze religiose ed etniche.
La Siria è soprattutto una terra di antichissima tradizione cristiana e monastica, ed è la terra della conversione di S.Paolo. Lì c’è bisogno di sostenere le comunità cristiane, sempre più isolate, creare una presenza cristiana e uno spazio di incontro fraterno anche fra religioni diverse. La conoscenza sempre più approfondita della realtà della Siria e dei suoi giovani assetati di una parola vera, spinge le nostre sorelle all’accoglienza che possa introdurre alla preghiera, alla liturgia, al dialogo.


IN UN PAESE A MAGGIORANZA MUSULMANA, COME SIETE STATE ACCOLTE DALLA POPOLAZIONE?
La gente è ospitale, sono state aiutate da tante persone, sono nate amicizie semplici e belle anche con i musulmani.
I villaggi vicini le hanno accolte con simpatia, c’è collaborazione con il parroco, e poi la costruzione del monastero ha portato lavoro per parecchi operai dei villaggi che circondano il monastero.

COME VIVETE LA VOSTRA GIORNATA IN QUESTO MOMENTO DI FORTI TENSIONI?
Le giornate si vivono seguendo  la Regola: preghiera, meditazione, ascolto della Parola di Dio; lavoro, servizi della comunità. Certo la tensione è sempre alta, gli spari da noi avvengono quasi sempre di notte. Qualche volta si assiste da lontano a spari e bombardamenti che avvengono di giorno soprattutto nella Valle dei Cristiani. Ma nonostante tutto si è sempre cercato di celebrare la liturgia, anche in modo solenne, nelle grandi festività, come a Pasqua, in cui si è celebrata la veglia Pasquale a mezzanotte con l’accensione e benedizione del fuoco e dell’acqua, nonostante avessero iniziato a mitragliare durante il pomeriggio, ma era importante non lasciarsi condizionare.
 
PERCHE’ LE SUORE RESTANO IN SIRIA IN UN MOMENTO COSI’ DIFFICILE?
Quando una comunità fonda un nuovo monastero, lo fa per restarci stabilmente, sia nel bene che nel male.
Se le nostre sorelle in questo momento lasciassero il monastero in Siria per un posto più sicuro, sarebbe una contro-testimonianza verso la gente del villaggio che non ha questa possibilità. Alle nostre sorelle è stato proposto di tornare, ma rimangono, anche per solidarietà con i Siriani, dai quali stanno imparando tanto: coraggio di resistere, amore per la propria nazione, fede di fronte alla morte ed alla vita. Vivono con loro nel desiderio di un ritorno alla vita normale, dove si possa lavorare, spostarsi e pregare nelle chiese senza temere per la propria vita.

           suor Annunciata, del monastero Azeir,  ora rientrata a Valserena
           

sabato 18 maggio 2013

Mussalaha: la riconciliazione è la sola speranza


Dichiarazione conclusiva della Delegazione Internazionale di Mussalaha in Siria, maggio 2013


di padre Dave Smith

La Siria presenta il degrado generale e terribile della umana decenza e rispetto. Ci sono milioni di vittime innocenti e tanti singoli atti di eroismo, ma tra i potenti vediamo un grado spaventoso di violenza, ipocrisia e corruzione. Decine di migliaia sono morti, milioni sono sfollati, e quasi tutta una popolazione di 23 milioni vive nella paura. La comunità internazionale ha affermato e ci conferma che la tragedia siriana è forse la peggiore dalla Seconda Guerra Mondiale.


Stati, organizzazioni politiche e combattenti sono le cause principali della miseria, che essi perseguono per il proprio vantaggio, seminando il terrore e la manipolando le sofferenze per addebitarle negativamente sui loro avversari, mentre troppo spesso rifiutano ogni  compromesso o addirittura di parlare tra di loro.

Queste sono le conclusioni della nostra Delegazione, composta da 16 attivisti per i diritti umani provenienti da sette paesi. Nel corso di nove giorni abbiamo visitato i campi profughi, le comunità colpite, leader religiosi, combattenti, rappresentanti di governo e molti altri - autori e vittime - in Siria e Libano.

Eravamo già inorriditi da ciò che sapevamo prima di venire, ma ciò che abbiamo scoperto nella delegazione ha provocato vergogna a quasi tutte le persone coinvolte.

Chiediamo alla comunità internazionale di proteggere l'integrità territoriale della Siria e di rispettare i diritti fondamentali della Siria come Stato sovrano. Deploriamo qualsiasi intenzione di violare l'integrità delle frontiere della Siria o di danneggiare l'unità e la ricca diversità del popolo siriano.

Noi riconosciamo la legittimità delle aspirazioni dei cittadini siriani per il cambiamento, per le riforme, lo sradicamento della corruzione di Stato e l'attuazione di una vita democratica che rispetti e protegga i diritti fondamentali di tutti i cittadini e delle minoranze, ma crediamo che le riforme efficaci e durature debbano essere raggiunte attraverso mezzi non violenti.

Il nostro appello principale è che tutti i Paesi fermino la loro ingerenza negli affari siriani - più specificamente, che arrestino la fornitura di armi e di combattenti stranieri da entrambi i lati del conflitto. Se i Paesi stranieri decidono di eliminare l'afflusso di armi e combattenti, siamo certi che i Siriani possono  trovare le proprie soluzioni ai loro  problemi e raggiungere la riconciliazione.

Ci opponiamo in modo inequivocabile ad  ogni aggressione e all'intervento straniero contro la Siria sotto qualsiasi giustificazione. Allo stesso tempo, facciamo appello a tutte le parti, compreso il governo, a dar prova di moderazione in risposta alle provocazioni che mirano ad aumentare la violenza e allargare il conflitto.

Riteniamo che sia fuori discussione che il popolo siriano ha il diritto di determinare il proprio governo e il proprio futuro. Interferenze straniere attualmente impediscono  al popolo siriano di esercitare il proprio diritto all'autodeterminazione. Siamo preoccupati che tale pernicioso intervento stia lacerando il tessuto del Paese stesso, con conseguenze a lungo termine che si possono soltanto  immaginare.

L'esempio ammonitore dell'Iraq serve a ricordarci delle conseguenze disastrose di tale follia internazionale. Questa crisi umanitaria si sta già riversando nei Paesi vicini. Un collasso della società siriana  sarà destabilizzante per  l'intera regione. Facciamo appello alla comunità internazionale per dimostrare che si può imparare dalla storia e fare nel caso della Siria scelte migliori, che risparmieranno un'ulteriore tragedia per il coraggioso popolo siriano.

In secondo luogo, ci appelliamo ai media internazionali per fermare il flusso di disinformazione per quanto riguarda il conflitto siriano. Noi crediamo che ad ogni siriano, sia all'interno che all'esterno del Paese, dovrebbe essere dato il diritto di essere ascoltato e non vediamo rispecchiato questo diritto nella copertura internazionale di questa crisi.

In terzo luogo, mentre noi sosteniamo totalmente l'embargo sulle armi, chiediamo alla comunità internazionale di rivedere e riconsiderare le sanzioni paralizzanti che stanno avendo un così penalizzante peso sul comune popolo siriano.

In quarto luogo, esortiamo la comunità internazionale a prendere sul serio il vasto numero di rifugiati e delle persone sfollate internamente per questo conflitto.

Auspichiamo la cessazione di ogni violenza, di modo che queste persone potrebbero essere autorizzate a tornare alle loro case. Nel frattempo, però, gli sforzi di aiuto umanitario devono essere ampliati per soddisfare le esigenze di base di tali persone.

Il nostro rapporto precedente, la "Dichiarazione della Delegazione Mussalaha in Siria sulla situazione dei rifugiati in Libano", delinea l'inadeguatezza dei programmi attuali per i profughi . Apprezziamo il fatto che varie autorità di governo hanno tentato di rispondere alla crisi dei rifugiati. Riconosciamo però che al Comitato internazionale della Croce Rossa e le sue affiliate, così come ad altre agenzie umanitarie, deve essere consentito di istituire centri all'interno della Siria per la cura degli sfollati interni, in modo da evitare che questi profughi debbano  fuggire verso l'estero .

Questo lavoro richiede il finanziamento immediato e significativo da parte della comunità internazionale. Anche se questo sarà un'impresa costosa, riteniamo che i costi saranno in realtà solo una frazione dell'importo attualmente speso per distruggere la Siria.

Infine, facciamo appello a tutte le parti coinvolte a porre fine ad ogni forma di violenza e violazione dei diritti umani - le azioni che hanno come obiettivo e  terrorizzano i civili innocenti e prigionieri, gli attacchi terroristici indiscriminati contro la popolazione civile, l'ingiustificato  sistematico prendere di mira le infrastrutture statali vitali, le installazioni civili, le zone industriali, fabbriche, servizi di comunicazione, riserve agricole, centri sanitari e ospedali, scuole e università, e i punti di riferimento religiosi e culturali – tutto ciò provoca la trasformazione delle aree residenziali in zone di guerra, con la conseguente fuga della popolazione  civile.

Ci opponiamo allo stesso modo all'uso di decreti religiosi che incoraggiano, banalizzano e giustificano  la barbarie, lo stupro e il terrorismo. Facciamo appello ad ogni  comunità religiosa per chiamare i fedeli alla nonviolenza e alla  pace, e per  respingere ogni forma di violenza e discriminazione.

Esprimiamo la nostra ammirazione e rispetto per i tanti leader religiosi siriani che hanno rifiutato di approvare l'uso della violenza e hanno dedicato la loro vita a lavorare per una soluzione pacifica a questo conflitto, e facciamo appello particolarmente per il rilascio immediato dei due Vescovi Cristiani rapiti , entrambi i quali si sono dedicati al lavoro di pace e di riconciliazione, come facciamo appello per la liberazione di tutti i religiosi cristiani e musulmani e altri cittadini siriani rapiti.

Concludiamo elogiando l'opera di Madre Agnes Mariam e l'iniziativa Mussalaha. Abbiamo assistito al loro lavoro all'interno di diverse comunità in tutta la Siria. Offriamo il nostro sostegno inequivocabile e continuo a queste persone coraggiose, e ci impegniamo a continuare a lavorare al loro fianco fino a quando la Siria sarà veramente in pace.

Ringraziamo il Patriarca Gregorios III Laham, per il suo gentile invito e il suo sostegno continuo per Mussalaha. Allo stesso modo ringraziamo il signor Jadallah Kaddour per la sua generosità che ha reso possibile la nostra visita ed  esprimiamo la nostra gratitudine a tutti coloro che hanno facilitato il nostro percorso, in modo particolare il Comitato Organizzatore della visita della delegazione e del Consiglio Popolare per la Riconciliazione Nazionale.
Damasco, il 10/ 05/ 2013

  (traduzione di FMG)

venerdì 17 maggio 2013

Quella sottile linea rossa


ARMI CHIMICHE IN SIRIA


di Francesco Mario Agnoli
da: Identità Europea

Archiviati la sbornia elettorale, l’elezione/rielezione del presidente della Repubblica e perfino il varo del nuovo governo (anche se quest’ultimo continua a essere soggetto a poco rassicuranti scosse sismiche), è possibile cambiare argomento. Tornare per esempio alla politica estera, a quanto sta avvenendo in Africa e in Medio Oriente, a così breve distanza dalla Sicilia, cioè da casa nostra. Da ultimo (ma già in precedenza non sarebbero mancate le occasioni) mi sollecita a farlo l’articolo “Siria nel caos Obama decida” pubblicato dal Resto del Carlino di domenica 12 maggio.

La politica estera interessa poco agli italiani, ma appunto per questo offre a un nutrito gruppo di protagonisti della politica e dell’informazione ottimi spunti senza rischio di eccessive contestazioni per esibire, sotto forma di rispettoso rimbrotto/esortazione, da consiglieri del principe, la propria fedeltà a Washington, mostrandosi più americani dello stesso presidente americano.
Tutti questi signori non vedono l’ora che gli States ripetano in Siria quanto accaduto in Iraq e in Libia e si preoccupano perché Obama non ripete più che “Assad se ne deve andare” e addirittura ha “fatto una imbarazzante marcia indietro quando il Pentagono gli ha confermato l’uso delle armi chimiche”. Già la famosa “linea rossa”, superata la quale l’America avrebbe rotto gli indugi e autorizzato l’intervento militare. In effetti a inizio maggio Obama aveva dato l’impressione di stare per premere il bottone, dichiarando che l’impiego di armi chimiche in Siria è ormai un fatto accertato. Aveva sì aggiunto di non avere ancora l’assoluta certezza sugli autori del crimine, ma anche lasciato capire che tutti i sospetti puntano su Assad e l’esercito governativo.
I consiglieri del principe si stavano già fregando le mani quando, il 5 maggio, a rompere le uova nel paniere è intervenuta l’ex-magistrato svizzero Carla Del Ponte, autorevolissima componente della Commissione ONU incaricata di indagare sulla violazione dei diritti umani in Siria. La Del Ponte, celebratissima in Italia e in tutto l’Occidente quando sosteneva l’accusa davanti al Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia e al Tribunale penale internazionale per il Ruanda, ha dato ragione ad Obama sull’avvenuto utilizzo di armi chimiche, ma ha aggiunto che le testimonianze attribuivano l’impiego del micidiale gas Sarin non ai governativi, ma ai ribelli. Difficile immaginare qualcosa di peggio di queste dichiarazioni per i sostenitori dell’intervento Usa contro Assad, proprio perché confermano le dichiarazioni del presidente quanto all’avvenuto impiego di armi chimiche, ma “sbagliano” colpevole. Difatti, una volta superata la “linea rossa”, o si mantiene l’impegno e si interviene contro gli autori del crimine o non si potrà farlo contro l’altra parte del conflitto, qualora decidesse di replicare con le stesse armi.
I collaboratori più responsabili e preparati degli States se ne sono immediatamente resi conto e non hanno esitato a smentire non solo la Del Ponte, ma (con qualche cautela) lo stesso Obama a proposito del “fatto accertato”, cioè dell’avvenuto impiego di armi chimiche. Anders Fogh Rasmussen, segretario generale Nato, si è affrettato a dichiarare che “la Nato ha avuto indicazione dell’impiego di armi chimiche in Siria, ma non ha prove consolidate né sulle circostanze né su chi ne abbia fatto effettivo uso”, aggiungendo di ignorare “su quale base Carla Del Ponte abbia fatto le sue dichiarazioni”. A sua volta la Commissione dell’ONU, di cui è componente il magistrato svizzero, ha diffuso una nota per affermare di non avere “prove conclusive in grado di determinare l’uso delle armi chimiche, né dall’una, né dall’altra parte”.

Insomma il “fatto accertato” è soltanto un’ipotesi o al massimo un sospetto.
In Italia gli aspiranti consiglieri del principe possono concedersi qualche parola critica per sollecitare il presidente americano a superare le proprie esitazioni, ma mai si permetterebbero di smentirlo. Per loro resta indiscutibile che le armi chimiche sono state usate e, dal momento che il sospetto del principe è per i cortigiani certezza, che ad impiegarle è stato il tiranno Assad e non le anime belle dei salafiti, degli islamisti e dei mercenari sauditi.



La "partita" delle armi chimiche può spaccare il Medio Oriente          



da Il Sussidiario , venerdì 19 aprile 2013
INT. A  Gian Micalessin 

Il primo ministro, Benjamin Netanyahu, ha dichiarato alla BBC che Israele ha il  diritto di fare quanto è in suo potere per impedire che le armi chimiche siriane  cadano nelle mani sbagliate. Per il premier, se i terroristi dovessero  sequestrare armi anti-aeree e chimiche, diventerebbero l’ago della bilancia del  Medio Oriente. Il Sussidiario.net ha intervistato Gian Micalessin, inviato di  guerra de Il Giornale.

D: Che cosa ne pensa dello scenario delineato dal premier Netanyahu?
R: E’ uno scenario che potrebbe verificarsi. Esistono effettivamente dei depositi  di armi chimiche e si trovano in zone che potrebbero essere raggiunte dai  ribelli. Un intervento israeliano però esaspererebbe la già drammatica  conflittualità in cui vive la Siria, e potrebbe avere un effetto assolutamente  devastante per l’intero Medio Oriente.  Sarebbe più opportuno un intervento  americano o europeo, come è stato delineato più volte in passato, con  l’obiettivo specifico di evitare il diffondersi delle armi chimiche. Resterebbe  comunque una scelta pericolosa e con molte controindicazioni, ma pur sempre meno disastrosa di un blitz israeliano che rischierebbe di minare dalle fondamenta  quel poco che resta della stabilità mediorientale.

D: Quanto sono realmente pericolose le armi chimiche siriane?
R: Le armi chimiche siriane, finché restano nelle mani di Assad che non le ha mai usate né intende usarle, sono relativamente poco pericolose. Diventano  estremamente pericolose se cadono nelle mani di gruppi come Al-Nusra, che formalmente appartengono alla galassia della rivolta jihadista in corso contro  Assad. Queste formazioni agiscono autonomamente e si dichiarano addirittura  schierate su posizioni vicine ad Al Qaeda. Quindi è chiaro che le armi chimiche,  se cadessero in mano loro, potrebbero essere usate non solo per fare cadere  Assad o per combatterlo, ma anche nello scenario globale per mettere a punto  attacchi terroristici contro quello stesso Occidente che ritiene di dover  sostenere la rivolta.

D: Quanto è forte ancora Assad e perché la situazione è così bloccata?
R:  Perché non c’è un Paese contro Bashar Assad, ma una nazione divisa in due. Il 50  per cento della popolazione è composta dalla minoranza cristiana, dagli alawiti,  ma anche da buona parte dei sunniti che continuano a restare con Assad. Molti  generali e ufficiali dello stesso esercito sono sunniti e continuano a sostenere  il regime.

 D: Quanto conta l’influenza delle potenze straniere?
R: Chi lotta contro Assad ha il sostegno di potenze regionali quali Qatar, Arabia  Saudita e Turchia, oltre all’appoggio occidentale. Dall’altra ci sono alleati  come Pechino e Mosca, importanti dal punto vista economico e del rifornimento di  armi, e la compartecipazione all’attività bellica dell’Iran e di Hezbollah, che  ritengono fondamentale per il mantenimento dell’asse sciita la sopravvivenza di  Bashar Assad e dell’attuale regime siriano.

D: Lei è stato più volte in Siria. Che cosa ha visto?
R: Quel che balza di più agli occhi quando si viaggia a Homs, Aleppo e altre città siriane è la sostanziale difformità tra i resoconti giornalistici che riceviamo  in Occidente e quel che accade sul terreno. Esiste effettivamente una situazione  di guerra. In particolare Aleppo, almeno nella parte che si affaccia verso la  Turchia, è una città circondata dai ribelli, ma al suo interno esiste una vasta  parte della popolazione che continua a vivere normalmente e a sostenere la  necessità di battersi con Assad.

D: Per quali motivi?
R: Considerano il regime comunque più legittimo di un’opposizione armata,  foraggiata da Stati stranieri, come il Qatar e l’Arabia Saudita. I ribelli sono  inoltre ritenuti pericolosi, incontrollabili, disorganizzati, privi di una guida  politica e soprattutto colpevoli di massacri efferati e di attentati che mettono  a rischio la popolazione civile. Attentati che sono descritti da chi vive a Homs  e Aleppo come terrorismo puro e non come ribellione e lotta contro il tiranno.

(Pietro Vernizzi)
© Riproduzione Riservata. 

http://www.ilsussidiario.net/News/Esteri/2013/4/19/SIRIA-Micalessin-la-partita-delle-armi-chimiche-puo-spaccare-il-Medio-oriente/384891/

giovedì 16 maggio 2013

Le “tangenti per la rivoluzione” delle milizie anti-Assad




Agenzia Fides , 16/5/2013

Hassakè  – “Le milizie del Free Syrian Army e i gruppi jahidisti fanno pagare pesanti pedaggi a tutti i mezzi provenienti dalle aree di Damasco e di Aleppo che trasportano merci. Dicono che quei soldi servono per comprare le armi, sono come 'tangenti per la rivoluzione'. Per questo adesso i prezzi dei viveri nelle nostre città e nei nostri villaggi sono quasi decuplicati”.

Così riferisce all'Agenzia Fides l'Arcivescovo Jacques Behnan Hindo, titolare della arcieparchia siro-cattolica di Hassaké-Nisibi, nella provincia mesopotamica di Jazira. Nella regione – che comprende i centri urbani di Hassakè e Kamishly – il confronto militare tra esercito governativo e milizie anti-Assad vive una fase di stallo. Ma le aree circostanti sono controllate dai gruppi dell'opposizione, e le vie di comunicazione verso Aleppo e Damasco sono interrotte.
 “Al momento, anche qui la piaga dei rapimenti è quella che causa più sofferenza per tante famiglie. Negli ultimi mesi tra Hassakè e Kamishly ci sono stati più di cento rapimenti. Ad un certo punto io stesso ho smesso di tenere il conto. Molti dei rapiti sono ancora nelle mani dei sequestratori” racconta preoccupato a Fides Mons. Hindo.

Nonostante tutto, l’Arcivescovo mantiene viva qualche speranza nelle recenti iniziative internazionali, messe in campo per tentare una soluzione politica del conflitto siriano: “Adesso – dichiara a Fides – tutti mettono sul tavolo pretese esagerate. Mi auguro che col tempo si trovi la via del compromesso. Una soluzione può arrivare solo se gli agenti internazionali, a partire dagli Stati Uniti e dalla Russia, sapranno mettere tra parentesi i rispettivi interessi e terranno conto delle attese e delle sofferenze reali vissuti dal nostro popolo”.

http://www.fides.org/it/news/41528-ASIA_SIRIA_L_Arcivescovo_Hindo_le_tangenti_per_la_rivoluzione_delle_milizie_anti_Assad#.UZTrSm1H45s

Il Vescovo Audo: “I sequestri sono una piaga: lo scopo è il denaro”


Agenzia Fides - 24/4/2013

Aleppo – Più che la religione, il motivo è il denaro. In un colloquio con Fides, il Vescovo caldeo di Aleppo, mons. Antoine Audo, sostiene che “la piaga dei sequestri”, che affligge la nazione, ha come fine soprattutto “la ricerca di denaro da parte di bande armate”, disseminate sul territorio. Una spina in più, che inquina il quadro eterogeneo delle forze in campo: per molti il conflitto siriano è, dunque, un “buon affare”, che ha riguardato almeno 2.000 casi di sequestri a scopo di estorsione.

Il Vescovo Audo racconta a Fides: “Un cristiano armeno, George, rapito per tre settimane, mentre andava da Damasco ad Aleppo, e liberato dopo il versamento di un riscatto di 15mila dollari mi ha detto che l'emiro del gruppo voleva solo soldi, non badava a ideologia o religione. In un altro caso, un sacerdote rapito nel Sud, p. Hasan, è stato liberato dopo 11 giorni, quando i parenti hanno raccolto, a fatica, 100mila dollari. Prima di essere rilasciato ha detto agli aguzzini: ‘Vi perdono tutti e, se ho fatto qualcosa di male, vi chiedo perdono’. A quel punto l'emiro - cioè il capo del gruppo - ha iniziato a bestemmiare Allah. Dunque questi stessi gruppi islamici non sono sinceri, sono fanatici che usano la religione e hanno l’unico fine di fare denaro”.

Mons. Audo, che è presidente di Caritas Siria, non teme di essere rapito? “Non ho paura, sono prudente, uso la mia intelligenza. Non mi reco in zone troppo pericolose. E quando giro per i centri Caritas o visito i profughi, molti giovani mi accompagnano, di loro spontanea volontà , perché dicono che ‘tutto è cambiato’ e che vogliono proteggermi”.
Di fronte alla distruzione della Siria, si può cadere nello sconforto: “Sono da 25 anni Vescovo in Siria: abbiamo costruito chiese, centri di catechesi, centri pastorali…ora si ricomincia da zero. Siamo nella precarietà ma dobbiamo restare saldi. Solo la fede impedisce ai fedeli di ribellarsi a Dio. Ma ci chiediamo: quando avremo la pace?”.
“In Siria – prosegue il Vescovo – abbiamo un patrimonio di valori a difendere, soprattutto l’unità nella diversità di culture e religioni. Il conflitto non è settario o confessionale. Oggi c’è lutto e violenza. Anni fa c’era l'oppressione del popolo e la gente aveva una libertà solo di facciata. I valori che desideriamo sono libertà e democrazia, ma ci vuole il tempo per farli maturare, per educare la popolazione alle dinamiche democratiche e incentrare la vita sul concetto di cittadinanza. Dobbiamo uscire da tranello di vede l'altro o come ‘kafir’, cioè ‘infedele’, a livello religioso; oppure come ‘traditore’ a livello politico. Dobbiamo ribaltare questo approccio. La Chiesa indica la strada del Concilio Vaticano II che promuove ecumenismo, libertà religiosa, dialogo, il servire la verità nell’amore. Il mio desiderio più profondo è che la Siria non perda la fiducia”. 

mercoledì 15 maggio 2013

SALE DALLA TERRA SANTA L'URGENZA DELLA PREGHIERA A COLUI CHE TUTTO PUO'

e dalla Siria implorano: unitevi tutti alla nostra preghiera per la liberazione dei sequestrati.

Sabato 18 maggio a Gerusalemme: X Preghiera straordinaria per la Pace


VIDEO: 


In questi tempi di cambiamenti e di sfide in Oriente come in Occidente, l'urgenza di una preghiera di intercessione per il nostro tempo è più evidente che mai.
Con la decima edizione della Preghiera Straordinaria di tutte le Chiese, che si terrà sabato 18 maggio 2013, alle ore 18 di Terra Santa, nella chiesa siro-cattolica di San Tommaso a Gerusalemme, la "Chiesa Madre" di Gerusalemme chiama nuovamente tutte le Chiese e comunità cristiane nel mondo a pregare per la riconciliazione, con Dio e gli uni con gli altri, per l’unità e per la pace.

Chiedono la liberazione dei due Vescovi rapiti in Siria i capi chiesa di Gerusalemme, uniti nella vicinanza al popolo siriano ma anche nel condannare il comportamento della Polizia israeliana a danno di alcuni fedeli locali nel giorno di Sabato Santo ortodosso, a Gerusalemme...

La Preghiera Straordinaria del 18 maggio 2013 è organizzata dalla Chiesa siro-cattolica in stretta collaborazione con la Chiesa sorella siro-ortodossa. Attingerà ai riti di Pentecoste profondamente spirituali dell’antica tradizione siriaca e verrà tenuta in aramaico, la stessa lingua usata da Cristo, nonchè la lingua liturgica ancora utilizzata dalle Chiese Siriache. Alcune invocazioni della preghiera saranno preparate da Cristiani della Syria, la regione dalla quale, a partire dal Patriarcato di Antiochia, la Chiesa Siriaca si sviluppo’ originariamente: affideranno in questo modo le grandi difficoltà del tempo presente alla preghiera di tutta la Cristianità. La Preghiera Straordinaria sarà anche una occasione per invocare la riconciliazione ed esprimere perdono reciproco; sarà una invocazione piena di fede allo Spirito Santo e alla Divina Misericordia, alla Santissima Trinità, per il nostro tempo, cominciando da Gerusalemme.

http://it.lpj.org/2013/05/03/sabato-18-maggio-a-gerusalemme-x-preghiera-straordinaria-per-la-pace/


Una marcia silenziosa dei cristiani per invocare la liberazione dei vescovi siriani rapiti



Agenzia Fides 15/5/2013

Amman  - Martedì 21 maggio i cristiani di Amman daranno vita a una marcia silenziosa con le candele per chiedere la liberazione dei due vescovi di Aleppo Mar Gregorios Yohanna Ibrahim (siro ortodosso) e Boulos al-Yazigi (greco ortoosso) a un mese dal loro rapimento per mano di sequestratori ignoti.
“Alla marcia” spiega all'agenzia Fides l'Arcivescovo Maroun Lahham, Vicario patriarcale per la Giordania del Patriarcato latino di Gerusalemme ”hanno aderito tutte le Chiese cristiane. Partiremo dalla cattedrale ortodossa di Amman per giungere a quella siriaca, passando per la cattedrale cattolica di rito latino. In questo modo anche i cristiani di Amman e della Giordania vogliono unirsi alla preghiera che sale da tutti i cristiani del mondo arabo, affinchè vengano presto rilasciati i nostri fratelli vescovi e tutte le altre vittime dei rapimenti”.
La marcia silenziosa è stata convocata dall'Assemblea dei capi delle Chiese in Giordania. Già nel gennaio 2009 una marcia analoga era stata organizzata a Amman per chiedere la fine della campagna militare “Piombo Fuso” sferrata dall'esercito israeliano nella Striscia di Gaza.

http://www.fides.org/it/news/41520-ASIA_GIORDANIA_Una_marcia_silenziosa_dei_cristiani_per_invocare_la_liberazione_dei_vescovi_siriani_rapiti#.UZSQym1H45s

martedì 14 maggio 2013

Aleppo, in hac lacrimarum valle

Emergenza acqua per 90 disabili musulmani soccorsi dai cristiani



Agenzia Fides , 11/5/2013

Aleppo  – Novanta disabili costretti a fuggire dal quartiere aleppino di Cheikh Maksoud – un'area conquistata nelle settimane scorse dalle milizie anti-Assad – hanno ricevuto accoglienza in un ostello di proprietà del Vicariato apostolico di Aleppo, ma ora la loro condizione è messa a rischio dalla mancanza d'acqua divenuta cronica nella metropoli martoriata dalla guerra civile.

“I disabili, tutti musulmani” riferisce da Aleppo all'Agenzia Fides padre David Fernandez, missionario cattolico dell'Istituto del Verbo Incarnato “sono dovuti fuggire dalla casa che li ospitava, come hanno fatto quasi tutti gli abitanti del quartiere di Cheikh Maksoud. Cercavano un posto dove trovare rifugio, e il Vicariato apostolico ha messo a disposizione una residenza per studenti al momento disabitata. Ma adesso manca l'acqua, aumenta il caldo e quei poveri disabili si trovano in grave difficoltà. Molti di loro sono infermi. I volontari che li aiutano passano tutto il tempo a cercare autobotti per far arrivare loro quel bene indispensabile per vivere”.

si raccoglie l'acqua piovana
Oltre ai disabili rifugiati nella residenza studentesca, altri anziani e infermi, nelle stesse condizioni, sono accuditi dalle Suore di Madre Teresa. “Nella tragedia della guerra” commenta padre Fernandez “i gesti della carità appaiono come un dono ancora più luminoso e commovente”.

 Il missionario conferma a Fides che la settimana scorsa numerosi missili e colpi di mortaio sono stati lanciati dalle milizie anti-regime sul quartiere di Sulaymaniyah, abitato da molti cristiani. L'obiettivo degli attacchi era un presidio dell'esercito governativo, ma molti colpi sono caduti sulle abitazioni civili.

E' stata danneggiata anche la sede della metropolia siro-ortodossa dove risiede solitamente Mar Gregorios Yohanna Ibrahim, uno dei due vescovi di Aleppo (l'altro è il metropolita greco-ortodosso Boulos al-Yazigi) da quasi 3 settimane nelle mani di ignoti rapitori.

http://www.fides.org/it/news/41497-ASIA_SIRIA_Emergenza_acqua_per_90_disabili_musulmani_soccorsi_dai_cristiani#.UY4fZ21H45s

Questi sarebbero coloro che vogliono il bene del popolo. Coloro che vogliono dare al popolo la libertà?  



Da Aleppo:  Siamo da giorni senza acqua. I ribelli, per ridurre la popolazione alla sete, hanno tagliato i canali di approvvigionamento della diga Tishreen. La temperatura esterna è di 37 gradi. Chiudere l'acqua in queste condizioni, non è un atto criminale? Atto di pressione o di atto di distruzione di massa? Ad ognuno giudicare. Né i bambini né gli anziani, né le donne sono risparmiati in questa  guerra di Aleppo. Ecco una foto della vita quotidiana in città in questi giorni . Questi sono i vigili del fuoco che distribuiscono acqua. Per quanto riguarda la bottiglia di acqua minerale, ha visto la salita di prezzo in pochi mesi da 35 lire siriane a 150 LS. ... 

Tornando al rapimento dei Vescovi Ortodossi, il restare senza notizie ci getta quasi nella disperazione.
Le preghiere della Pasqua degli Ortodossi sono state celebrate senza i loro Vescovi, sia presso i greci che tra i siriaci. Questo lascia, forse, indifferenti i non cristiani, ma l'assenza dei Vescovi, eredi diretti degli Apostoli, è vista come un grande dolore da parte dei fedeli di queste Chiese
Non avevamo mai visto questo, ma le celebrazioni pasquali ortodosse sono state segnate da lacrime e rabbia. Ovviamente, i luoghi di culto erano meno pieni del solito. Le famiglie non hanno neppure potuto ritrovarsi, dopo le celebrazioni, per festeggiare insieme la Resurrezione di Cristo Redentore;  ciascuno è rimasto a casa per paura dei cecchini, ma anche per il prezzo dei taxi.


Continuate a pregare per noi.

http://www.leveilleurdeninive.com/search?updated-max=2013-05-07T15:06:00%2B02:00&max-results=2



PADRE ABOU KHAZEN : 

“BISOGNA IMPEDIRE L' ARRIVO DI ARMI”


da AgenS.I.R. 

“Impedire l’arrivo ed il flusso di armi all’interno del Paese, istituire un coprifuoco in vista della ripresa del dialogo tra le parti in lotta per giungere il più presto possibile alla pace”. A chiederlo è padre Georges Abou Khazen, nominato da Papa Francesco amministratore apostolico sede vacante et ad nutum Sanctae Sedis del Vicariato apostolico di Aleppo, in sostituzione di monsignor Giuseppe Nazzaro, che ha presentato le dimissioni per raggiunti limiti di età. 

“Più armi ci sono in giro, più morti vedremo. Ci sono Paesi che si arricchiscono con il commercio di armi, ma non si può costruire la propria fortuna a scapito della vita degli altri. Qui è in gioco la vita di decine di migliaia di persone”.

 

“La popolazione di Aleppo, la città - dichiara al Sir - è allo stremo, così come tutta la Siria”. 

“È difficile muoversi, spostarsi, comunicare, reperire cibo. Quasi impossibile arrivare ai cimiteri per seppellire i morti. La gente cerca di industriarsi come può per andare avanti, chi può parte per altre destinazioni. Una situazione che mina la speranza di molti, anche tra i nostri cristiani, che tuttavia non si arrendono e cercano di ricostruire relazioni e ponti di amicizia”. 

Per il nuovo amministratore apostolico, infatti, “una delle priorità per la Siria è la ricostruzione morale, la riconciliazione tra il popolo. Ricostruire coi mattoni è più semplice” afferma al Sir il francescano. “La popolazione, sia di fede islamica che cristiana, è messa a dura prova dalla violenza di tante bande fondamentaliste. Una sofferenza comune che - conclude l’amministratore apostolico - potrebbe unire anziché dividere. Preghiamo perché la speranza di pace non ci abbandoni mai”.

Da Gerusalemme un appello per i due Vescovi rapiti in Siria

Attualmente sono prigionieri dei ribelli fondamentalisti 2 Sacerdoti e 2 Vescovi di Aleppo




Comunicato stampa: Un appello dei Patriarchi e Capi delle Chiese di Gerusalemme riguardante il rapimento dei due Vescovi Metropoliti avvenuto in Siria – Maggio 2013
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Noi, i Capi delle Chiese di Gerusalemme, abbiamo in preghiera seguito la violenza in corso, lo spargimento di sangue e il conflitto in Siria, iniziati nel marzo 2011. Tutti i giorni decine, o a volte centinaia di persone vengono uccise a causa del conflitto in corso, e migliaia sono rimaste senza case o ricoveri continuando a muoversi senza meta in cerca di sicurezza, cibo e cure.

Un paio di settimane fa, due dei nostri Vescovi Metropoliti di Aleppo, Mar Gregorios Ibrahim della Chiesa siro-ortodossa e Paolo Yazigi della Chiesa greco-ortodossa di Antiochia, sono stati rapiti e il loro autista è stato assassinato mentre stavano consegnando aiuti umanitari ad alcune famiglie di sfollati nella regione. Questo orribile atto di rapire due anziani sacerdoti è un ulteriore segno della tragica situazione in Siria ed è un fenomeno estremamente pericoloso e nuovo nella nostra regione.

I nostri cuori e le nostre menti vanno a tutto il popolo siriano, in particolare alle nostre comunità cristiane e ai loro capi spirituali, che subiscono la sofferenza, la violenza e i maltrattamenti. E facciamo appello a tutte le persone che sono coinvolte nel conflitto affinché cerchino la pace e la stabilità per il bene di tutti i Siriani e pongano fine a questo ciclo di violenza e di spargimento di sangue. Sollecitiamo inoltre l’immediata liberazione dei Vescovi Ibrahim e Yazigi e il loro ritorno sicuro alle loro Chiese e al loro popolo fedele.

Uniamo anche le nostre voci a quelle delle nostre Chiese sorelle in Siria e chiediamo alle nostre antiche comunità cristiane di rimanere salde nella loro fede e nella speranza, preghiamo con loro e per loro, in questo momento di tumulto e caos, per la loro sicurezza, la continua presenza e testimonianza.
Come S. Paolo scrive ai Romani: “Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore”. (Romani 8,38-39)

I Capi delle Chiese di Gerusalemme:
+Patriarca Theophilos III, Patriarcato Greco-Ortodosso
+Patriarca Fouad Twal, Patriarcato Latino
+Patriarca Norhan Manougian, Patriarcato Armeno Apostolico Ortodosso
+P. Pierbattista Pizzaballa, ofm, Custode di Terra Santa
+Arcivescovo Anba Abraham, Patriarcato Copto-Ortodosso, Gerusalemme
+Arcivescovo Swerios Malki Murad, Patriarcato Siro-Ortodosso
+Aba Fissiha Tsion, Locum Tenens del Patriarcato Etiope-Ortodosso
+Arcivescovo Joseph-Jules Zerey, Patriarcato Greco-Melchita-Cattolico
+Arcivescovo Moussa El-Hage, Esarcato Patriarcale Maronita
+Vescovo Suheil Dawani, Chiesa Episcopale di Gerusalemme e del Medio Oriente
+Vescovo Munib Younan, Chiesa Evangelica Luterana in Giordania e Terra Santa
+Vescovo Pierre Melki, Esarcato Patriarcale Siro-Cattolico
+Mons. Joseph Antoine Kelekian, Esarcato Patriarcale Armeno-Cattolico

http://it.lpj.org/2013/05/13/un-appello-per-i-due-vescovi-rapiti-in-siria/

lunedì 13 maggio 2013

Il cuore spezzato esige riconciliazione

“La preghiera di un cuore spezzato”: il cuore spezzato è quello della Siria dilaniato da oltre due anni di guerra civile che ha provocato anche l’annientamento di una tradizione, lunga secoli, di convivenza e armonia tra le sue diverse fedi ed etnie.



 Parla Gregorios III Laham. Si spera in un vertice risolutivo tra Putin e Obama. Grande preoccupazione per i due vescovi rapiti


S.I.R. - 13 Maggio 2013


Più di una dozzina di differenti denominazioni cristiane in Siria hanno invitato le Chiese del mondo intero a mobilitarsi nella preghiera sabato 11 maggio. “La preghiera di un cuore spezzato” è stata battezzata l’iniziativa, che va considerata molto importante, perché la prima promossa da tutte le comunità cristiane del Paese. Quattro sono state le intenzioni di preghiera: il ritorno della pace, la liberazione di tutti gli ostaggi, aiuto e sostegno ai bambini traumatizzati dalla guerra, aiuti umanitari per i profughi siriani. Gregorios III Laham, patriarca di Antiochia dei greco-melkiti, in Siria, ribadisce che “la pace in Libano, in Siria e in Terra Santa è un requisito per la pace regionale e mondiale, che realizza la convivenza e rende possibili le libertà che si propongono per l’umanità”.

“Percuotere il pastore e disperdere il gregge”. Alle sofferenze che la guerra civile infligge a tutto il popolo, per le comunità cristiane siriane si aggiunge anche la preoccupazione per la sorte di Mar Gregorios Yohannna Ibrahim e di Boulos al-Yazigi, i vescovi siro-ortodosso e greco ortodosso di Aleppo, finiti nelle mani di sequestratori non identificati, da molti giorni. Stessa sorte anche per due sacerdoti rapiti ormai da tre mesi e dei quali non si sa più nulla. “Ho fatto visita, nei giorni scorsi, al Patriarcato greco-ortodosso di Antiochia e a quello siro-ortodosso di Antiochia a cui appartengono i confratelli vescovi rapiti e purtroppo non c’è nessuna notizia - dichiara al Sir Gregorios III Laham - la stampa riporta notizie contrastanti sulla loro sorte, difficile dare il giusto valore a queste informazioni. Non dimentichiamo che ad essere stati rapiti sono anche tantissimi nostri fedeli”. “Quella dei rapimenti è una vera piaga della Siria di oggi che - per il patriarca cattolico - assume una valenza dal chiaro valore simbolico poiché si collega al possibile futuro della Siria senza cristiani. Rapire due vescovi, dei sacerdoti ha un significato religioso e richiama il passo delle Scritture: ‘Percuoti il pastore e sia disperso il gregge’. Il rischio che la Siria perda la sua componente cristiana esiste ma dobbiamo nutrire la speranza di ricostruire il nostro Paese su basi di tolleranza, convivenza, rispetto reciproco. Vogliamo dare da cristiani il nostro contributo alla rinascita religiosa, morale, sociale e materiale della Siria”.

Il popolo soffre. Intanto da Aleppo, Damasco e altre città del Paese arrivano notizie di gravi sofferenze del popolo, i cui bisogni crescono ogni giorno di più. “Le nostre comunità locali, come anche il resto della popolazione, vivono in grande difficoltà e necessitano di aiuto e assistenza in ogni forma - spiega Gregorios III -. La Caritas è attiva da tempo nel fornire aiuto ma ogni Patriarcato, ogni parrocchia, ogni sacerdote è mobilitato per venire incontro ai bisogni sempre crescenti della gente soprattutto dei bambini. Nel mio Patriarcato, per esempio, per poter provvedere alle necessità delle persone occorrono almeno 50mila dollari al mese. Le nostre attenzioni si rivolgono verso i bambini, che sono quelli che soffrono di più”.

Un cambio di visione? Sul futuro Gregorios III si mostra “speranzoso”: “Riponiamo molta fiducia nei colloqui tra il Segretario di Stato americano, John Kerry, e il ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov. Se troveranno un accordo, una piattaforma condivisa sulla crisi siriana, allora un buon passo verso la fine del conflitto sarà stato fatto. La stampa qui in Siria ne parla molto. Auspichiamo un incontro entro la fine del mese così che a giugno si possa tenere un summit tra Putin e Obama. La via negoziale, pacifica, diplomatica, lo ribadisco, è quella da perseguire e non quella delle armi e della violenza. Speriamo che i due Paesi possano accordarsi su come uscire dalla crisi e non su come ‘armare’ o ‘non armare’. Sembra che adesso se ne stiano convincendo i leader mondiali. Come Chiese sosteniamo da sempre questa visione e le parole del Papa ci confortano”.

Riconciliazione. La parola chiave per il patriarca melkita è “riconciliazione”, “mussalaha”, che è il nome di un movimento popolare non-violento nato nella società civile di Homs, una città martire. Esso ha saputo unire dal basso alawiti, sunniti, drusi, cristiani, sciiti, arabi: una riconciliazione di famiglie, di clan, di diverse comunità siriane che non parteggia per nessuna delle parti in lotta e che dimostra che una “terza via”, alternativa al conflitto armato è possibile. Un movimento appoggiato anche da tante personalità estere, tra queste anche alcuni Nobel per la pace come l’irlandese Mairead Maguire (1976). “La riconciliazione è la risposta della Chiesa alla violenza che bande armate straniere stanno seminando nel nostro Paese. La riconciliazione e il dialogo eviteranno che l’odio entri in maniera definitiva nei cuori della gente”, conclude Gregorios III.

domenica 12 maggio 2013

Usa e Russia organizzano una conferenza di pace, la Chiesa orientale una giornata di preghiera

 Le bombe di Israele, la bomba della Dal Ponte, le speranze di pace ( se qualcuno non boicotterà ad ogni costo)




da "La Perfetta Letizia" - di Patrizio Ricci

Nella situazione in Siria non c’è nessuno veramente super-partes se non la Chiesa siriana, che da tempo preme per la riconciliazione. Con l’aiuto concreto alla popolazione e con l’iniziativa “Mussalaha” ha unito alawiti, sunniti, drusi, cristiani, sciiti, arabi: una riconciliazione dal basso a partire dalle famiglie, dai clan, dalle diverse comunità della società civile siriana che non parteggia per nessuna delle parti in lotta. Sarebbe stato facile capire che la via della riconciliazione era l’unica soluzione possibile. Solo ora, ad un passo dal baratro, a distanza di più di due anni dall’inizio del conflitto e con quasi 90.000 morti alle spalle, i grandi della terra sembra comincino a rendersene conto.

La settimana scorsa gli eventi sembravano ulteriormente precipitare. L’argomento delle famigerate ‘armi di distruzioni di massa’ sembrava dovesse portare ancora una volta ad un passo dall’intervento militare unilaterale, con tutte le sue catastrofiche conseguenze per la popolazione. “L'uso delle armi chimiche in Siria sono una linea rossa invalicabile: se sorpassata, il gioco potrebbe cambiare”, aveva detto Obama. Il presidente americano si era dimenticato che una linea può essere oltrepassata anche all’inverso; lo abbiamo visto di lì a poco: dalla TV svizzera il commissario ONU Carla Del Ponte (membro della Commissione sui crimini di guerra) a proposito dei gas proibiti aveva raccontato un’altra verità: “Ci sono concreti sospetti, se non ancora prove inconfutabili, che è stato usato del gas sarin, per come le vittime sono state curate”, ed ha aveva aggiunto: “Abbiamo potuto avere delle testimonianze sull’utilizzo di armi chimiche ed in particolare il gas nervino, ma non da parte delle autorità governative, bensì da parte degli opponenti, dei resistenti”. La precisazione dell’ONU non ha cambiato la sostanza, anzi ha aumentato l’impressione di un conflitto globale: “Le prove non sono definitive né dall’una né dall’altra parte”, peccato che avesse taciuto prima, quando l’indice era diretto verso i cattivi.

Comunque mentre teneva banco il solito balletto delle interpretazioni e dei distinguo, i jet israeliani bombardavano il monte Qassiyoun a est di Damasco. Obiettivo: i missili iraniani destinati a Hezbollah. Quindi si colpiva la Siria ma si mirava all’Iran. Anche per questo il commento USA al raid è stato assolutorio: “Israele ha agito nel proprio interesse sovrano”. L’ambiguità di questa dichiarazione è estrema: è proprio il diritto di usare le armi per salvaguardare il ’proprio interesse sovrano' che è causa del perdurare del conflitto. Ognuno ha armato i suoi nel proprio interesse. Se quest’idea fosse adottata su larga scala, non è difficile immaginare cosa succederebbe nel mondo.

E’ evidente che con tali prospettive c’erano ormai tutti i segnali visibili di un imminente allargamento del conflitto che avrebbe incendiato tutto il Medioriente. E’ con questa consapevolezza che a Mosca si è svolto il summit Usa-Russia fra il Presidente russo Vladimir Putin e il Segretario di Stato americano John Kerry. Al termine dell’incontro, le parole del ministro degli esteri russo Lavrov lasciano ben sperare: “Russia e Stati Uniti incoraggeranno il governo siriano e i gruppi d’opposizione a cercare una soluzione politica”. L’accordo è di organizzare al più presto una conferenza di pace, probabilmente a fine mese, “come seguito della Conferenza che si tenne a giugno dello scorso anno a Ginevra”.

Anche l’Europa plaude all’iniziativa, e il portavoce di Catherine Ashton ha così commentato: "L'Unione europea è molto soddisfatta. Abbiamo ripetuto all'infinito che la soluzione del conflitto viene solo con un accordo politico globale. Siamo pronti a dare il nostro contributo in qualsiasi forma e speriamo che la conferenza sia l'inizio di un processo di pace".

Sono quindi giorni decisivi per una cessazione della guerra in Siria. Per questo, rilanciamo con ancora più convinzione l'invito rivolto dalle Chiese Siriane (di tutte le confessioni) alle Chiese cristiane sorelle di tutto il mondo perché si uniscano al loro grido nella giornata di preghiera per la pace in Siria, sabato 11 maggio, che hanno chiamato "La preghiera di un cuore spezzato". Quattro le intenzioni suggerite: il ritorno della pace, la liberazione di tutti gli ostaggi, l’aiuto e il sostegno ai bambini traumatizzati dalla guerra e gli aiuti umanitari per i profughi siriani.

http://www.laperfettaletizia.com/2013/05/le-bombe-di-israele-la-bomba-della-del.html

"Noi speriamo davvero che ci sia un’iniziativa annunciata da Papa Francesco, dal Vaticano"


Proprio ieri si celebrava la Giornata mondiale di preghiera delle Chiese cristiane per la pace in Siria.

Un momento di forte unità di tutte le comunità cristiane presenti in questa terra, che si sono mobilitate insieme pregando secondo quattro intenzioni: il ritorno della pace, la liberazione di tutti gli ostaggi, il sostegno ai bambini traumatizzati dalla guerra e gli aiuti umanitari per i profughi.
La Giornata è stata battezzata “la preghiera del cuore spezzato”.
Salvatore Sabatino ne ha parlato con padre Ghassan Sahoui, gesuita libanese che vive a Homs, una delle città più colpite dalla guerra:RealAudioMP3

R. – In tutte le chiese si sono organizzate preghiere per far crescere la nostra consapevolezza di essere cristiani e per capire meglio la nostra vocazione in questa crisi, in questo dramma davvero brutale; sentiamo la nostra incapacità di risolvere i problemi e quindi non ci rimane altro che chiedere a Dio, che è nostro Creatore e che ci ha dato la pace, di darci questo dono: di cambiare i cuori.

D. – E’ la prima volta che tutte le comunità cristiane insieme prendono una tale iniziativa comune nel Paese: un segnale, questo, importantissimo di unità …
R. – Un passo che dà la gioia di vedere finalmente che noi cristiani siamo uniti nella preghiera, che è un dovere e una grazia allo stesso tempo, chiedere a nome nostro e a nome di tutti i siriani, certamente uniti con tutti i cristiani del mondo e tutti quelli che davvero amano la Siria, per pregare e chiedere a Dio la misericordia e la pace per questo Paese martoriato.

D. – Il Patriarca Gregorios III Laham ieri ha detto: “I cristiani in Siria non sono una Chiesa o una minoranza da difendere, ma un elemento costitutivo del popolo siriano”. Quindi, proprio all’interno del tessuto di questo Paese …
R. – La Chiesa è davvero nata a Gerusalemme, ma poco a poco e subito si è diffusa in tutta la regione, e i cristiani sono stati chiamati come tali ad Antiochia e Antiochia faceva parte della Siria, ora fa parte della Turchia … Siamo qui, quindi, fin dall’inizio della cristianità e questa è la nostra terra. Siamo radicati in questa terra, e sentiamo anche che è la nostra missione fare da ponte tra le fazioni in guerra che purtroppo non riescono a mettersi d’accordo o dialogare. E solo Dio può dare questa grazia: cambiare i cuori e le menti, per trovare finalmente una soluzione pacifica in dialogo, senza armi, senza questa logica della violenza che distrugge non solo il Paese, ma l’uomo come tale.

D. – Una sua personale speranza, per il futuro della Siria...
R. – Malgrado tutto, noi speriamo – io spero, in modo davvero personale – che questa crisi finisca, che la pace ritorni nei cuori di tutti i cittadini siriani, ma che si instauri un dialogo davvero fruttuoso e sincero tra le parti, e che la Siria torni a trovare la sua vocazione di un ponte di pace, di elemento di stabilità nella regione e nel mondo.

D. – In questa speranza siete supportati da Papa Francesco che molte volte ha lanciato appelli per la pace in Siria …
R. – Sì, grazie a Dio, sentiamo la sua vicinanza a noi, davvero. E rendiamo grazie a Dio per lui e per la sua preghiera; sappiamo che è un uomo delle sorprese, ci fa sempre belle sorprese. E quindi, noi speriamo davvero che ci sia un’iniziativa annunciata da lui, dal Vaticano.

Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2013/05/12/la_turchia_accusa_il_regime_siriano_per_gli_attentati_a_reyhanli/it1-691326
del sito Radio Vaticana, 12/05/2013