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venerdì 19 aprile 2013

“Lancio un grido alla coscienza internazionale: interrompete la guerra!”




 Il patriarca maronita cardinale Béchara Raï rifiuta di schierarsi da una parte o dall'altra nel conflitto siriano, e invita i governi stranieri ad impegnarsi per una soluzione diplomatica. Esprime il suo auspicio di rafforzare i rapporti tra le diverse Chiese, ma anche con i musulmani, per opporsi al fondamentalismo.

Intervista al cardinale Béchara Raï*, a cura di François-Xavier Maigre

in “La Croix” del 15 aprile 2013 (traduzione: www.finesettimana.org)

Lei afferma che la primavera araba deve diventare una “primavera dell'uomo”. Che cosa
intende dire?
Noi viviamo con i musulmani in Medio Oriente da millequattrocento anni. Insieme abbiamo saputo trovare un modus vivendi. Abbiamo attraversato gioie e dolori, ma abbiamo portato avanti insieme questa società, con una certa complementarietà. I cristiani hanno esercitato una grande influenza sulla cultura e sulla vita sociale all'interno del mondo arabo, veicolando i valori della modernità.
Questo equilibrio oggi è minacciato: osserviamo un'ingerenza esterna che vorrebbe fomentare ad ogni costo la guerra, col pretesto di istituire la democrazia. Le riforme politiche, economiche e sociali sono una necessità in Siria e in tutto il mondo arabo. Ma non possono essere imposte
dall'esterno. La situazione attuale in Siria è disastrosa. Gruppi fondamentalisti uccidono e
distruggono, sostenuti dall'Oriente e dall'Occidente con le armi, il denaro, il sostegno politico.

Quale ruolo può svolgere l'Occidente nei confronti dei cristiani orientali?
Occorre sostenere moralmente e politicamente la presenza cristiana per arginare questa continua crescita verso l'integralismo. Se la “primavera araba”, la “primavera dell'uomo” perde influenza, aumenta la minaccia di vedere la maggioranza moderata dei musulmani passare dalla parte opposta.
I musulmani constatano che vi sono stati che sostengono i fondamentalisti. E poiché vogliono
vivere, per vivere rischiano di radicalizzarsi a loro volta. Questo rischio minaccia la pace mondiale.
Più precisamente rispetto alla Siria: chi parla di pace, viene accusato di sostenere il regime, come se non si volesse sentir parlare di dialogo. Le parole sono vaghe: alcuni parlano di soluzione politica, ma mai di negoziati! Lancio un grido alla coscienza internazionale: interrompete la guerra! Basta col commercio delle armi!

Il presidente Hollande le è sembrato più sensibile alla sua analisi di quanto non lo fosse stato
Nicolas Sarkozy?
Tendo a precisare che entrambe le visite sono state magnifiche. Purtroppo, sono state turbate. Anche questa volta, pur evitando di moltiplicare le dichiarazioni, qualcuno ha scritto cose false (1). Lo ripeto: i miei incontri con i due presidenti sono stati dello stesso livello, con la stessa chiarezza, la stessa preoccupazione e lo stesso linguaggio. Nicolas Sarkozy mi aveva ringraziato per la mia lettura geopolitica. Quanto a François Hollande, dopo l'incontro ufficiale, ha voluto che restassimo un quarto d'ora a quattr'occhi. Dopo otto secoli, l'amicizia tra la Francia e il Libano è sempre viva.

Quali sono i punti fondamentali del vertice dei responsabili religiosi del Medio Oriente di cui
lei ha annunciato la preparazione?
In due anni, abbiamo tenuto in Libano quattro vertici cristiano-islamici con i patriarchi, i vescovi cattolici, ortodossi, protestanti, e i capi sunniti, sciiti, drusi e alawiti. Il nostro obiettivo è di parlare ad una voce e di condannare la guerra. Si tratta anche di offrire un supporto morale ai cristiani e ai musulmani, di far sentire una lingua diversa da quella degli integralisti. Per questi motivi lavoriamo anche per organizzare un vertice dei capi di tutte le chiese d'Oriente. Ma la guerra complica questi preparativi.

Sette mesi dopo il viaggio di Benedetto XVI in Libano, l'esortazione apostolica ha portato dei
frutti nelle vostre comunità?
La sua visita ha dato molto coraggio sia ai cristiani che ai musulmani. Quanto all'esortazione
apostolica, ci siamo ritrovati con i patriarchi e i vescovi cattolici, ortodossi e protestanti della
regione per riflettere sulla sua applicazione. In seguito a quella visita, il papa ha avuto due iniziative forti: ha voluto che il patriarca maronita diventasse cardinale, e ha chiesto che fossero dei giovani libanesi a preparare le meditazioni per la Via crucis a Roma.

L'insistenza di papa Francesco a favore dei più poveri le sembra un segno positivo per i
cristiani d'Oriente?
Tutte le povertà sono nel cuore di papa Francesco. Gli ho inviato una lunga lettera che descrive la situazione in Medio Oriente, chiedendogli di intervenire, e lo ha già fatto per ben due volte. Il
nostro dovere, in quanto chiesa locale, è di informarlo. Sensibile alla miseria umana, che sia
materiale, spirituale, culturale, politica o sociale, è molto aperto nei confronti della nostra
situazione.

(1) Il patriarca ritiene che una giornalista aveva nuovamente deformato le sue affermazioni,
come nel 2011, dando l'impressione che egli sostenga il regime siriano, e creando una
polemica.
*Béchara Raï, un cardinale nella tormenta del mondo arabo
Nato nel 1940 a Hemlaya, a nord ovest di Beirut, Béchara Raï è ordinato prete della chiesa maronita nel 1967. Dal 1962 al 1975, il futuro cardinale studia a Roma, dove dirige per un certo periodo la sezione araba di Radio vaticana. Consacrato vescovo a 46 anni, diventa vicario patriarcale generale, prima di essere nominato, nel 1990, alla sede episcopale di Byblos, sulla costa mediterranea. Eletto 77° patriarca maronita nel marzo 2011, il successore del cardinale Sfeir assume le sue funzioni proprio nel momento in cui un vento di rivolta attraversa il mondo arabo. Sette mesi dopo la sua elezione, il patriarca Raï suscita una viva polemica in occasione della sua visita in Francia.
Interrogato sulla crisi siriana, non nasconde i suoi timori per il futuro dei cristiani in caso di caduta
del regime di Assad, provocando suo malgrado la reazione della maggior parte dei media. Creato
cardinale il 24 novembre 2012, si è imposto come personalità fondamentale in Libano e sulla scena
politica del Medio Oriente, dove la sua voce è ascoltata.

http://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/Stampa201304/130415raimaigre.pdf

mercoledì 17 aprile 2013

Rapito dai banditi e dimenticato dal mondo: la storia di padre Michael Kayal


Rapito e dimenticato: il 9 febbraio 2013, il sacerdote 27enne Michael Kayal di Aleppo, in Siria, è stato sequestrato dai ribelli estremisti islamici. A due mesi dalla scomparsa non si hanno più sue notizie, ma il mondo resta in silenzio.




da ALATEIA di Carly Andrews

Monsignor Georges Dankaye, rettore del Collegio Armeno di Roma e procuratore della Chiesa armena cattolica presso la Santa Sede, parla del rapimento di padre Michael e del terribile incubo che tormenta i cristiani siriani. È una realtà di spargimento di sangue, tortura e disumanità a livelli impensabili.

“Padre Michael è stato mio allievo in seminario per due anni ad Aleppo. Era molto gentile e intelligente”, racconta Dankaye, sorridendo tristemente. “Amava praticare lo sport, gli piacevano la musica e cantare. Era sempre pronto a dare una mano”.

I due sono stati anche più di un anno insieme al Collegio Armeno, quando Michael studiava Diritto canonico presso il Pontificio Istituto Orientale. È stato poi ordinato sacerdote il 2 novembre 2011.

Quando padre Michael è tornato in Siria, le sollevazioni erano già iniziate e la violenza si stava diffondendo nel Paese. Eppure, il suo “spirito, il suo entusiasmo e il suo zelo” hanno tuttavia conquistato il cuore sia del parroco che dei parrocchiani. Mentre la situazione peggiorava e i rifugiati affluivano dalle periferie di Aleppo, padre Michael, insieme a tre altri giovani sacerdoti, ha avviato una missione con i migranti. “Andavano ogni giorno nelle scuole in cui le famiglie musulmane stavano trovando rifugio e portavano loro da mangiare, assicurando sia il pranzo che la cena, e portavano anche altri aiuti, nonché medici”.

Sembra che padre Michael stesse seguendo la scia dei santi lavorando con spirito di servizio e compassione: “Mi ricordo di una telefonata in cui mi disse: 'Quello che posso fare sempre è servire, e nulla è più grande di questo'”, ricorda Dankaye. 

Il 9 febbraio, padre Michael ha lasciato Aleppo. Era previsto che si recasse a Roma, fermandosi in una piccola città lungo il cammino per Beirut prima di arrivare in Italia il 12 febbraio. Viaggiava da poco quando a uno dei tanti blocchi posti lungo le strade siriane, una banda di ribelli ha preso d'assalto l'autobus. “C'erano tre presbiteri a bordo, due in veste sacerdotale e un salesiano senza abito. Hanno visto i due con la veste sacerdotale e li hanno fatti scendere; al terzo non hanno detto nulla”.

“Mezz'ora dopo hanno parlato al telefono con suo fratello dicendo 'Vi contatteremo presto per giungere a un accordo'”, ha continuato monsignor Dankaye. “Da quel momento l'unico contatto è stato con suo fratello, mai con la Chiesa; e allora il fratello ha parlato con il vescovo... e sembra che il vescovo abbia informato il Governo”. La famiglia di padre Michael ha rivelato di aver ricevuto la richiesta di un riscatto di un milione di lire siriane e della liberazione di 15 prigionieri. Tuttavia, in seguito, i terroristi hanno rinunciato alla richiesta di rilascio dei prigionieri, accontentandosi solo del denaro. “Questo ci fa pensare che si tratti di un piccolo gruppo armato più che del Fronte di Liberazione Siriano, perché la liberazione di 15 prigionieri avrebbe fatto molto gola”. “Ci sono circa 2000 di questi piccoli gruppi. Non si organizzano o coordinano tra loro; ogni gruppo ha i propri obiettivi, i propri ideali”. La disorganizzazione è diventata evidente dopo il sì della famiglia al pagamento del riscatto, quando il gruppo non si è fatto più avanti per reclamarlo.

Qual è quindi la situazione ora? Padre Michael è ancora vivo? Dankaye afferma che “l'unica informazione che abbiamo è una telefonata del 20 febbraio; gli hanno permesso di parlare con la madre per meno di mezzo minuto, e ha detto 'Mamma, sto bene, ma prega per me'. Da allora non ci sono stati altri contatti. Non sappiamo nulla. Tutto è avvolto dal mistero”.

Siamo di fronte a una persecuzione evidente e crudele della Chiesa cristiana in Siria? La risposta, ovviamente, è affermativa, ma la situazione è complessa; Dankaye spiega che “all'inizio degli scontri l'opposizione ha affermato che voleva preservare la comunità cristiana. Ha detto 'Non abbiate paura di andare contro questo sistema; vi tratteremo bene', ma ovviamente non ha ottenuto la risposta positiva che si aspettava”. Per Dankaye, l'opposizione pensava che la comunità cristiana avrebbe imbracciato le armi e si sarebbe unita ai ribelli, “ma la comunità cristiana in Siria non sa come imbracciare le armi o entrare in guerra. È composta da cittadini normali che amano il proprio Paese, e per i quali è difficile prendere le armi contro chiunque... Non hanno quindi partecipato alle manifestazioni, né hanno preso le armi, e questo li ha fatti infuriare”.

E adesso, ha continuato Dankaye, “dicono 'Ci vendicheremo. Voi cristiani non partecipate alla guerra, e quindi dovrete pagare”. È un attacco dettato dalla vendetta più che una persecuzione specificatamente religiosa. Dankaye si è però riferito anche ad altri gruppi come i “jihadisti e nasrat, nel qual caso si può parlare chiaramente di persecuzione religiosa”. Menziona inoltre gli alawiti, aggiungendo che “una buona parte dei sunniti è a favore del Governo e commette massacri”.

“La comunità cristiana non ha alcuna via d'uscita, è circondata”, ha sottolineato Dankaye. “Si sta preparando per il martirio... non lo vogliamo, non lo speriamo; lo temiamo, ma è così”. Dankaye ha quindi ricordato le parole pronunciate da suo padre due settimane prima: “Mi ha detto 'Se senti che siamo morti, non venire al nostro funerale; non vogliamo che tu venga con noi'”.

Monsignor Dankaye ha poi condiviso un messaggio ricevuto da un amico qualche giorno fa, che incarna la scioccante gravità della situazione dei cristiani siriani: “Il lupo uccide i cuccioli che non ce la fanno da soli di modo che non vengano mangiati vivi da topi e formiche. È un atto di pietà. Non giudicare le mie parole troppo severamente. Parla con i tuoi genitori”. Quando i genitori arrivano a pensare a porre fine alla vita dei propri figli, si possono solo immaginare le atrocità che li attendono a pochi passi dalla loro porta.


Alla domanda finale su ciò che possono fare i cristiani di tutto il mondo, la risposta è stata: pregare. “Restate sempre in preghiera. È un momento che anche Nostro Signore ha vissuto nel Getsemani. C'è la tentazione di fuggire, o di gridare al Signore 'Salvaci!', ma poi, se questa è la sua volontà, dobbiamo essere pronti, come lo sono stati i martiri, ad affrontare la morte nella fedeltà... è nella preghiera che restiamo saldi nella fede e forti nella speranza, e fino all'ultimo momento restiamo nell'amore, anche di fronte a chi non sa quello che fa”.

Ci rivolgiamo quindi ai cristiani di tutto il mondo: pregate per padre Michael; pregate per la Siria, una terra insanguinata devastata da un'inesorabile ondata di male; pregate per gli uomini torturati e mutilati, per le donne e le ragazze violentate, per i cristiani perseguitati; pregate per quanti commettono queste indicibili atrocità, e soprattutto pregate che il mondo esca da questa insopportabile spirale di silenzio e accorra in aiuto dei suoi fratelli e delle sue sorelle.

Lanciamo infine un appello disperato all'umanità dei rapitori di padre Michael: fatelo tornare a casa. Per favore, lasciate che padre Michael Kayal faccia ritorno a casa.
http://www.aleteia.org/it/dal-mondo/news/rapito-dai-banditi-e-dimenticato-dal-mondo-986002

lunedì 15 aprile 2013

Siria: risultati di una ribellione nazional-islamista.

UNA (provocatoria) ANALISI DELLA NATURA E DEGLI ESITI DEL MOVIMENTO DI OPPOSIZIONE AL REGIME


di: Le Veilleur de Ninive

Nella notte lugubre e cupa della guerra siriana, piccoli barlumi di speranza appaiono all'orizzonte.  In realtà, questa ribellione, nata a Deraa, città del Sud, in cui è situata una università islamica finanziata  dall'Arabia Saudita, sembra aver dato alla luce due anni più tardi, un tentativo di rivoluzione nazionale-islamista con cui  i "demolicratici" Occidentali flirtano allegramente.

Qual è il risultato di questa tragi-commedia che ci infliggono i "pan-islamisti" ed i loro alleati regionali e Occidentali?

Militarmente, non siamo esperti per valutare la situazione;  ci basiamo sui risultati di altri più informati di noi, per dire che l'esercito arabo siriano ha cominciato a porre l'assedio a Damasco e Aleppo, mentre i ribelli sono all'interno delle due città.

E tuttavia, non saremmo arrivati ​​a questo punto del conflitto, se alcune delle offerte di dialogo del presidente Bashar Al-Assad fossero state almeno sondate dall'opposizione islamista e dai suoi sponsor, piuttosto che persistere nella politica del rifiuto.

Naturalmente, non siamo ingenui: con o senza Assad, sembra che l'obiettivo delle forze occulte fosse quello di distruggere la Siria. Bisognava anche far uscire allo scoperto i terroristi dormienti in Medio Oriente e in Europa, perché avessero possibilità di essere uccisi in un nuovo focolaio di guerra.

Due anni dopo, l'immagine si rivela. Abbiamo visto un susseguirsi di crescente violenza e di guerra feroce, alimentata dal blocco sistematico da parte della ribellione che poneva ad ogni offerta una condizione inaccettabile prima di qualsiasi negoziato, e questa condizione era la partenza del presidente Assad : non poteva esserci modo migliore di far deragliare le possibilità di successo. L'errore dell'opposizione è stato di personalizzare il problema e fissarsi sull'uomo, mentre era la struttura del Baath  quella da far evolvere e trasformare. Personalizzare una questione politica è sempre pericoloso, perché il rischio è poi di trasformare la vittima in eroe.

La continuazione della lotta armata, - a parte il fatto che ha portato alla distruzione del Paese - quello che sembrava essere un obiettivo in sé, ha condotto alla radicalizzazione dei movimenti. Radicalizzazione della lotta nazional-islamista, dal lato dei ribelli, la politica della terra bruciata, da parte del Governo.

Il quadro a cui ci avviciniamo ulteriormente, darà al lettore un senso di parzialità da parte nostra; ad essere sinceri, questo è un po' il caso, perché per noi, il confronto e il dialogo devono prevalere sulla lotta armata, la nostra opzione è quella di difendere i deboli e le minoranze. Ora, queste ultime hanno tutto da perdere nella lotta armata.

Per questo motivo, e senza voler cancellare i passati abusi del regime, la nostra analisi cerca di dimostrare che il metodo utilizzato da parte dei ribelli non poteva avere come intenzione la "democrazia", ​​ma solo la distruzione e il consolidamento degli estremisti, in Siria, per esservi distrutti.

Partendo dalla situazione degli ultimi giorni, cosa vediamo?

Ad Aleppo la recrudescenza dei bombardamenti della forza aerea siriana passa ad un altro livello. Tra i ribelli, le lotte fratricide, probabilmente a causa della persistente ambiguità sugli obiettivi di questa guerra, lentamente portano ad un indebolimento del movimento all'origine della contestazione. I segni di questo indebolimento possono essere letti, a differenza di quanto sostiene la stampa ufficiale occidentale, nelle inversioni che vediamo dalla parte della ribellione. All'interno della popolazione, i veri e propri sostenitori mettono più che in dubbio la validità di questa "rivoluzione".
Coloro che si erano uniti ai ribelli sperando di trovare più libertà e meno corruzione, scoprono una insicurezza persistente e crescente, delle minacce imminenti, e dei ladri che violentano le loro figlie e si installano nelle loro case.
Volevano sfuggire alla povertà, e ora le persone sono ridotte alla miseria, rimpiangendo la povertà di una volta quando i prezzi di mercato erano alti, mentre ora la legge del mercato nero li priva pure dei beni essenziali .
Sognavano  ospedali e assistenza sanitaria gratuita per tutti e di qualità, hanno ora  perso il generoso sistema che era stato costruito: le cure non erano delle migliori, ma erano gratuite per tutti i bisognosi .
Si lamentavano della repressione poliziesca, dei  Mukhabarat  (*polizia segreta), degli chabihhas (**squadristi fiancheggiatori del governo) , probabilmente a ragione, ma cosa hanno trovato? Ragazze e  donne rapite e violentate, e morti a decine di migliaia; case e fabbriche saccheggiate.

Il popolo potrebbe essere stato deluso di non avere abbastanza da mangiare e tuttavia i silos di grano erano pieni, ma ora questi silos sono stati rubati e venduti ai Turchi da questi stessi ribelli; i primi ad aver rimesso lo stesso grano sul mercato siriano, ad un prezzo al chilo dieci volte superiore. Oggi la popolazione rurale è assai più delusa, perché perfino gli animali muoiono di fame, e non ha più il cibo che lo Stato  cedeva in precedenza agli agricoltori a prezzi bassi.



Prima della ribellione, la qualità dei prodotti non era forse del livello di prodotti fabbricati altrove, in altri paesi, e tutti i dipendenti non erano ricchi come il capo della fabbrica, ma cosa si può constatare, dopo la guerra perseguita da parte dei ribelli e dei loro alleati? Migliaia di stabilimenti distrutti o derubati, quasi tutto il tessuto industriale di Aleppo e la principale produzione manifatturiera della Siria è annientata. Contro l'ingiustizia, di cui la popolazione poteva lamentarsi, la ribellione ha provocato in cambio la disoccupazione. Permettete una  battuta: se il Qatar in Siria avesse investito una piccola percentuale del proprio bilancio, per rendere prospera la Siria invece di finanziare la guerra, avrebbe abbellito il volto di questo bellissimo paese.

I ribelli, massacrando brutalmente i membri dell’ esercito arabo siriano e i funzionari, pretendevano senza dubbio di garantire la sicurezza in loro vece. Avrebbero dovuto "spazzare davanti alla loro porta polverosa", prima di pretendere. Non solo, si tratta di bande senza legge, ognuna conduce la sua politica, ma anche immorali, che vivono di stupri, rapine,  di barbarie gratuita, senza alcuna nozione di giustizia ed inoltre i cui obiettivi sono estremamente opachi.

La sicurezza che i ribelli rivendicano di portare, sono decine di migliaia di case distrutte e centinaia di migliaia di profughi fuggiti nei paesi vicini, ma la cui situazione non è molto migliore di coloro che sono rimasti nel paese.
La metodo di polizia dei ribelli sono le autobombe, come quella che è esplosa di fronte all'università di Aleppo o nel centro di Damasco o ancora nei pressi dell'università. Questo tipo di attacco è il migliore catalizzatore per un capovolgimento della popolazione, perché anche il sostenitore più irremovibile avrebbe potuto, lui o la sua famiglia,  trovarsi nel raggio dell’ dell'esplosione. In sostanza, nel tempo del regime al potere, non c'era nessuna autobomba: la sicurezza non era più sicura?

"Il successo della ribellione" è consistito nell’ avere permesso una generale perdita di controllo del paese;  un danno, questo, che va anche oltre le frontiere in quanto si stima che quasi 400 ragazze sono state violentate  finora dai soldati turchi. In Giordania ed Egitto, le giovani siriane sono vendute in un "finto matrimonio", ha detto Sutra Zawaj, a vecchi ricconi per la modica somma di $ 100 o $ 150.

Gli abitanti dei villaggi siriani possono essere diventati miserabili, ma non sono privi di buon senso, si sono resi conto che, se la Siria aveva bisogno di un cambiamento nella gestione pubblica, ciò non poteva passare attraverso l'annientamento . Chiedono ora ai ribelli di abbandonare i villaggi.

Di conseguenza, lo sguardo dei musulmani sui cristiani inizia a cambiare. Non andiamo troppo veloci .... diciamo solo che la popolazione, in generale, traccia un parallelo tra l'atteggiamento dei ribelli sunniti che cercano di eliminare tutto ciò che non è della loro religione e i cristiani con i loro enti di beneficenza e gli ospedali che aiutano senza discriminazioni .. . La popolazione musulmana  sentirebbe rimorso di aver mancato di proteggere le minoranze, la gente del Libro, come domanda il Corano?

Gli abitanti del villaggio di Deir Hafer, che sta attraversando feroci combattimenti tra i ribelli e l'esercito arabo siriano, hanno riconosciuto, davanti a noi, di essere stati ingannati dai ribelli e dai loro alleati. Dicono che non vogliono più la loro presenza e in particolare quella di Forsat al-Nosra che, nonostante tutte le distruzioni e le sofferenze di cui sopra, ha vietato alle donne di lavorare, agli uomini di fumare, ai bambini, e soprattutto alle bambine, di andare a scuola; essi hanno anche chiesto alle famiglie di accettare di far sposare senza dote, diciamo gratuitamente, le loro ragazzine di 14 anni, al capo di Forsat al-Nosra. In compenso, questo movimento accetta che si uccida, che si sgozzi, che si  taglino le teste .... e perfino le teste degli Imam che non la pensano come loro.

Le miserie da noi riportate non sono certo unicamente opera dei ribelli. I bombardamenti aerei decisi dal regime hanno contribuito in maniera uguale alle distruzioni e alle decine di migliaia di vittime innocenti.

Ciascuna delle parti ha le sue responsabilità. 

Per questo, se l'obiettivo della ribellione non è la distruzione della Siria e l'eliminazione di tutti i terroristi saltati fuori dai covi in Europa e in Medio Oriente, che essa dichiari una tregua e si metta al tavolo delle negoziazioni incondizionatamente, per esporre le proprie aspirazioni ed essere ascoltata oggettivamente. Al contrario, se continua la lotta armata, avremo quasi la prova firmata che l'obiettivo di questa ribellione non è mai stata la "democrazia".
 I Democratici "parlamentano in Parlamento" e non in scontri di piazza.


Speriamo che l'Occidente, che attualmente è il sostegno e il pilastro  dell'opposizione nazional- islamista, diventi consapevole del suo ruolo immorale, perché la sua politica estera inaccettabile sta sostenendo bande pericolosamente nazionaliste, espansionistiche, immature, manipolate, vendicative e barbare, e questo porta ad effetti che sono al di là di tutte le norme morali. In politica, come nella vita individuale, l’abuso di disposizioni  non sottomesse alla morale conduce all'auto-distruzione. "Chi semina vento raccoglierà tempesta."

Incoraggiando il movimento nazional- islamista, l'Occidente ha grossolanamente esacerbato i rapporti confessionali tra i gruppi sociali locali. Gli accenti della ribellione ad Aleppo sono quelli della purificazione religiosa. E’ troppo tardi per l'Occidente per staccarsi da questa politica e modificarla? Eppure, se le politiche sono state lente, non è mai troppo tardi: una conferenza regionale che coinvolga i paesi del Mashrek sotto l'egida delle Nazioni Unite potrebbe ridare delle responsabilità a tutti i governi in gioco ed alle minoranze preoccupate.

 Attraverso il dialogo, si preserva e rafforza la sicurezza dei popoli, la giustizia, le condizioni sociali ed economiche, la pace tra gli Stati e soprattutto il sogno, perché in Oriente, dove il cuore acutizza la ragione, il sogno fa parte del programma di governo. Dare il sogno , un sogno di pace e prosperità per il popolo siriano, iracheno, libanese, egiziano e israeliano, ecco ciò che ha probabilità di portare alla democrazia più che non gli intrighi delle cancellerie o la politica machiavellica del “ divide et impera”.

(traduzione dal francese a cura di FMG)
http://www.leveilleurdeninive.com/2013/04/syrie-bilan-dune-rebellion-national.html

domenica 14 aprile 2013

Patriarca Gregorios: Abbiamo disperato bisogno di una soluzione

"La sofferenza ha superato ogni limite..." : nuovo appello del Patriarca di Damasco









Damasco, 8 aprile 2013.


        Il Venerdì 29 marzo 2013, ho fatto appello a Sua Santità il Papa di Roma Francesco.
        Oggi, mi appello al mondo, specialmente ai Capi di Stato dei paesi arabi, dell’Europa occidentale e orientale, del Nord e Sud America, così come alle organizzazioni internazionali e ai titolari di Premi Nobel.
        Questo è lo stesso grido che innalzo come  cittadino arabo siriano, come cristiano e come Patriarca cattolico residente in Damasco.

        La Siria  vive un cammino di croce sanguinosa, dolorosa e prolungata, che si estende su tutte le strade del paese. Tutti i Siriani - cristiani e musulmani, il governo, l'opposizione, gruppi armati di qualsiasi provenienza ... - tutti portano la stessa croce da più di due anni.
        La sofferenza ha superato ogni limite. La crisi sta falciando migliaia e migliaia di soldati, di oppositori, di uomini civili, donne e bambini, sceicchi e sacerdoti, cristiani e musulmani.
        Tutta la Siria è diventata un campo di battaglia. E' diventata anche un luogo di commercio, di scambio di beni solo per il denaro e gli interessi di alcuni. Tutto ciò che è la democrazia, i diritti umani, la libertà, la laicità e la cittadinanza si è perso di vista, e non importa a nessuno. Ovunque, è la manipolazione, menzogna e ipocrisia.  E’ una guerra senza volto, con  combattenti senza volto.
        Nessun luogo è più sicuro in Siria. Si crede che vi sia la sicurezza da un lato e l'insicurezza dall'altro, ma in qualsiasi momento si può essere vittima di un'esplosione, di una granata, di un proiettile, oltre ai sequestri e alle prese di ostaggi a scopo di estorsione, gli assassini ... Il caos minaccia tutti, ovunque e in ogni momento.
        I pericoli sono in agguato per tutti i cittadini, soprattutto civili, a causa della destabilizzazione e del caos dei quartieri in molte aree (Homs e dintorni, Aleppo, la periferia di Damasco, la mia città natale Daraya, ...); a causa della strumentalizzazione, specialmente dei cristiani, ma anche di diversi gruppi religiosi.
       C'è anche il pericolo di essere presi come scudi: persone, case, chiese, moschee ... E il pericolo di disordini religiosi artificiali, soprattutto tra cristiani, musulmani e drusi.
        Questi pericoli minacciano tutti i cittadini, ma soprattutto i cristiani, che sono la cellula più debole, la più fragile.

        Davanti a tutti questi pericoli, a questa sofferenza, a queste disgrazie che affliggono tutti i cittadini, ci chiediamo: Non c’è nessun’ altra voce, altra via che la guerra, le armi, la violenza, l'odio, la vendetta?
        Abbiamo un disperato bisogno di una soluzione. Mesi fa abbiamo lanciato, nel mese di agosto 2012, la nostra chiamata: "La riconciliazione è l'unica salvezza per la Siria." Non smetteremo di chiamare all’amore, al dialogo, all'armonia e alla pace.
        Siamo certi che, nonostante tutti i nostri problemi, tutti i siriani - governo, partiti politici, musulmani sunniti e sciiti, alawiti, cristiani e drusi - siamo in grado di comunicare, di ricostruire un clima favorevole alla riconciliazione, per andare avanti insieme.
        Io, come Patriarca, e tutti noi, come cristiani, siamo chiamati a svolgere questo ruolo. Questo è il motivo per cui vi stiamo scrivendo .

        Forse è utile presentare, in particolare, la situazione dei nostri cristiani.
        Damasco è la sede del nostro Patriarcato melchita greco-cattolico, e anche la sede dei Patriarcati greco ortodosso e siriano ortodosso di Antiochia. La Siria ha tra il milione e mezzo e due milioni di cristiani di tutte le chiese. A parte l'Egitto,è il paese dove c’è il maggior numero di cristiani, anche più che in Libano.
        Il futuro dei cristiani in Medio Oriente è legato ai cristiani di Siria. Molti cristiani libanesi sono fuggiti in Siria, dal 1975 al 1992 e nel 2006. Allo stesso modo, i cristiani dell'Iraq si sono per lo più rifugiati in Siria, dove si trovano ancora molti di loro.
       Il futuro dei cristiani in Siria è minacciato, non dai musulmani, ma dalla crisi attuale, a causa del caos che essa crea e dell'infiltrazione di gruppi islamici fondamentalisti e fanatici, incontrollabili, e sono questi che possono essere la causa di attacchi contro i cristiani.
        La minaccia del peggio è forse più grave per i musulmani che per i cristiani, a causa dei sanguinosi conflitti secolari tra le fazioni e le sette dell'Islam.
        La situazione dei cristiani è già un doloroso bilancio: più di mille vittime (militari e civili,  sacerdoti, uomini, donne e bambini), e centinaia di migliaia di rifugiati e persone sfollate, all’interno della Siria stessa , e in Libano, Giordania, Egitto, Iraq e Turchia. Altri, un numero relativamente grande (ma non abbiamo le cifre esatte), sono fuggiti in Europa (soprattutto in Svezia), in Canada e negli Stati Uniti ..., in tutto, circa da 250.000 a 400.000 persone..
        Le perdite materiali sono molto gravi. Non abbiamo statistiche, ma sappiamo che ci sono una ventina di chiese danneggiate o parzialmente distrutte, e anche le istituzioni sociali (scuole, orfanotrofi, case per anziani), che sono da sempre al servizio di tutti i cittadini, cristiani e musulmani.
        Tutto ciò senza contare la perdita di posti di lavoro (fabbriche, negozi, edifici) e delle case dei nostri fedeli, che hanno dovuto lasciare le loro città, villaggi, quartieri in fretta, senza essere in grado di prendere con sè poco o nulla. In generale, queste case e proprietà sono state saccheggiate, distrutte o danneggiate. Tutto questo rappresenta perdite per un totale di diversi milioni di dollari. Interi villaggi sono stati svuotati di tutti i loro abitanti cristiani (come la mia città natale Daraya).

        I nostri concittadini musulmani sono in una situazione simile, con  perdite ancora più gravi, perché sono molto più numerosi di quanto siano i nostri fedeli.

        Ma il fatto più grave, per tutti, è il caos!

     La Domenica di Pasqua, Papa Francesco, ha lanciato un appello per  "la amata Siria, per la sua popolazione ferita dal conflitto e per i molti rifugiati che attendono aiuto e conforto. Quanto sangue è stato versato! E quante sofferenze devono ancora essere imposte prima che si riesca a trovare una soluzione politica alla crisi?”
        Preghiamo perchè il mondo  ascolti la voce del Papa Francesco!

        Noi preghiamo per tutti voi, Sovrani, Presidenti, Capi di Stato e di Governo dei Paesi di tutto il mondo.
        Possiate, cari Amici, ascoltare la voce di Cristo: "Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figlio di Dio". Preghiamo perchè siate degni di questa beatitudine,  perchè voi siate operatori di pace.

                                     + Gregorios III
                                     Patriarca di Antiochia e di tutto l'Oriente,
                                     Alessandria e di Gerusalemme

http://www.pgc-lb.org/eng/gregorios/view/Appeal-of-His-Beatitude-10-April-2013

  ( traduzione a cura di FMG)

sabato 13 aprile 2013

Morire o partire? Il dilemma senza risposte dei cristiani siriani

 I cristiani di Siria «devono scegliere tra due calici amari: morire o partire». Un dilemma che coinvolge tutta la realtà ecclesiale presente nel Paese martoriato


Agenzia Fides - 13/4/2013

Damasco - L'arcivescovo cattolico di rito orientale maronita di Damasco Samir Nassar 
 delinea i tanti modi con cui la morte ghermisce le vite di milioni di civili indifesi, cristiani e musulmani, nella Siria devastata dalla guerra: bombardamenti, auto-bomba, cecchini, mancanza di cure mediche (223 ospedali sono stati chiusi e i medici stanno fuggendo tutti, spiega mons. Nassar), malnutrizione e mancanza di cibi adeguati per i diabetici, i cardiopatici e le puerpere.
Davanti a questo disastro, tutti pensano di andar via, anche se la fuga in qualche modo «è un altro modo di morire» più lentamente. La Chiesa locale, pur nella sua fragilità, «diventa un muro del pianto», a cui tutti si rivolgono ogni giorno «per chiedere protezione e aiuto nella ricerca di un visto per partire».
I cristiani siriani – sottolinea l'arcivescovo maronita - «hanno visto l'ONU organizzare dal 2005 la partenza sistematica dei rifugiati iracheni verso i Paesi occidentali», e adesso provano angoscia anche per «l'indifferenza e il silenzio mondiale davanti al loro lungo e triste calvario... sono abbandonati, destinati alla morte senza poter fuggire... i consolati sono chiusi da un anno e mezzo».
 
Mons. Nassar descrive con cuore affranto di pastore la condizione dei cristiani poveri «che non trovano alcuna ragione per dover morire in questa guerra insensata»: loro hanno visto i propri fratelli più agiati lasciare la Siria, e ora guardano alla Chiesa come l'unica realtà a cui chiedere aiuto nel naufragio. «L'appello del nuovo Papa Francesco in favore dell'amata Siria risuona nei loro cuori.... La Chiese sorelle del mondo intero pregano e mostrano il loro affetto per questo piccolo gregge, senza poter placare la tempesta».
Questa situazione pone anche i pastori davanti a problemi di coscienza: «Consigliarli di restare potrebbe condurli alla morte come un agnello muto davanti al macellaio. Il nostro martirologio non fa che allungarsi... Aiutarli a partire significa invece svuotare la Terra Biblica dei suoi ultimi cristiani». Un dilemma che può trovare risposta solo affidandosi al «cuore di Dio», offrendo ai fedeli una prossimità pastorale che li aiuti a percepire la realtà delle parole di Gesù. Quelle che – nota mons. Nassar «non deludono mai: “Non abbiate paura... io sono con voi...”»

http://www.fides.org/it/news/41331-ASIA_SIRIA_Morire_o_partire_L_Arcivescovo_maronita_di_Damasco_racconta_il_dilemma_senza_risposte_dei_cristiani_siriani#.UWk5OEr7Dvk


Monsignor Audo: «L’anarchia della guerra fa percepire per contrasto in maniera ancora più forte la grandezza della dignità umana, proprio nel momento in cui essa appare così umiliata. In tutto questo molti cercano Dio e chiedono a Lui la pace del cuore, nella preghiera».


Altra emergenza è quella dei rifugiati cristiani siriani in Turchia, in fuga dalla guerra civile. 

In Turchia, riferisce la stampa locale, le autorità di Ankara hanno accettato di costruire un campo solo per loro nella provincia di Midyat vicino al monastero siriaco di Mor Abraham. Il nuovo insediamento potrà ospitare quattromila persone. Un altro campo, per profughi curdi e arabi, sarà allestito in un’altra area della provincia di Midyat. La Turchia accoglie ora circa 190.000 profughi siriani, per lo più musulmani sunniti, provenienti dalle regioni di Aleppo e Idlib.

 L’aumento dei profughi cristiani, secondo fonti della comunità cristiana siriana, è in buona parte legato alla progressione dei gruppi integralisti sunniti nella Siria settentrionale. Secondo l’agenzia Fides, negli ultimi tre giorni oltre cinquecento cristiani siriani hanno attraversato il confine turco, in fuga da violenze e discriminazioni.
 Fonti della Chiesa assira d’Oriente hanno indicato che i profughi si trovano soprattutto nella provincia di Gaziantep, a 50 chilometri dal confine nell’Anatolia sud-orientale. Le chiese e i monasteri della regione montuosa turca di Tur Abdin, culla storica del cristianesimo siriaco, ospitano già un numero di rifugiati superiore alle proprie capacità. Le comunità cristiane siriache del nord della Siria sono state colpite con particolare accanimento da violenze, rapimenti e spoliazioni di ogni tipo. Interi clan familiari hanno dovuto abbandonare le proprie case sotto minaccia di morte.

Prezioso il contributo di Caritas italiana, che ieri ha rilanciato l’appello per poter far fronte alle pressanti richieste. Quattro milioni le persone costrette a lasciare le proprie abitazioni nella speranza di trovare una sistemazione lontana dal conflitto. Con soli venti milioni di abitanti, la Siria si ritrova oggi con oltre il 25 per cento della popolazione in gravi condizioni di precarietà e a rischio vita. E tanti sono già fuggiti in Giordania, Libano, Turchia, Iraq ed Egitto.

da : L'Osservatore Romano, 13 aprile 2013.

giovedì 11 aprile 2013

Diamo ai cristiani del Medio Oriente una speranza nella loro terra





La visita di Papa Benedetto XVI in Libano, aveva a suo tempo attirato i riflettori dell’attenzione internazionale sulla situazione dei cristiani che vivono nella regione medio orientale, il cui numero si è ridotto considerevolmente in questi ultimi anni, ma l’impatto è durato poco . Certo uno dei fattori della diminuzione dei cristiani in questa parte del mondo è dato dal fatto che la radicalizzazione dei musulmani, guidata dalla proliferazione delle moschee wahabite, li ha resi incapaci di convivere con persone di altre religioni. Tuttavia, sebbene sia vero che i cristiani subiscono discriminazioni in alcuni paesi musulmani, sono più spesso la violenza e le guerre, come oggi in Siria e in Iraq, e le crisi economiche, non l’oppressione, che li spingono a rimpolpare i ranghi della diaspora. E pur tuttavia il silenzio sulle loro condizioni sui media occidentali è, per usare un facile ossimoro, assordante.

Ciò anche oggi mentre le drammatiche vicende della Siria, in primis, ma anche l’onda integralista che cresce in Egitto li vede in prima linea come candidati all’esodo dalle loro terre natali che, non dimentichiamolo, sono state le terre dove la fede cristiana ha visto le sue origini, dall’Egitto che ha dato rifugio a Cristo bambino, alla Palestina e al Libano che ne hanno visto la predicazione e la resurrezione, alla Siria che vide la conversione di S. Paolo, all’Armenia che vide la prima conversione di una intera nazione.

Come altre minoranze nel mondo, i cristiani mediorientali sono stati i primi a soffrire ogniqualvolta i loro paesi sono stati invasi da forze straniere o devastati da conflitti interni, e sono fra coloro che sono più colpiti in tempi di crisi economica.

Più della metà degli 800.000 cristiani che risiedevano in Iraq prima dell’invasione americana del 2003 è fuggita. Tantissimi cristiani palestinesi, come i loro concittadini musulmani, sono stati cacciati dalla loro patria, e coloro che sono rimasti sono costretti a sopportare le difficoltà fisiche ed economiche della vita sotto l’occupazione israeliana. Decine di migliaia di cristiani libanesi sono fuggiti dai molteplici conflitti del loro paese, o hanno lasciato la loro patria per inseguire migliori opportunità economiche. Allo stesso modo,la Giordania ha perso circa il 20% dei suoi cristiani, sebbene la comunità cristiana giordana goda dei pieni diritti e dell’appoggio ufficiale delle autorità. E oggi tocca alle variegate comunità cristiane della Siria, ivi compresa quella caldea già profuga, valutare, nella disperazione, la dolorosa ipotesi di fuggire dalle propria terra.

Le conseguenze di questo massiccio esodo di esseri umani dalla regione si estendono molto al di là dell’ambito religioso. Tra le fila di questi rifugiati figurano alcuni tra i professionisti più istruiti del Medio Oriente, e la loro assenza ha contribuito al declino economico dei paesi che hanno abbandonato. Inoltre, l’emigrazione dei talenti accresce le possibilità di futura instabilità, rendendo il problema della fuga dei cervelli e dei conflitti una questione ciclica e ricorrente.

Un osservatorio sulla condizione dei cristiani in Medio Oriente per rompere la congiura del silenzio.
         La Chiesa da sempre con le parole del Papa, dei patriarchi, dei presuli e dei pastori orientali, incoraggia i cristiani rimasti a perseverare, a dispetto delle continue difficoltà che essi devono affrontare. Ma, ciò per cui più soffrono i nostri fratelli del Levante è l’impressione che noi cristiani d’occidente ci siamo dimenticati di loro, che anzi siamo solidali coi loro persecutori e con coloro che ne rendono drammatica l’esistenza. Questo traspare dagli accorati appelli che ci vengono dai nostri fratelli orientali per bocca dei loro patriarchi,tanto che sua Eminenza Bechara Boutrus Rai, patriarca di Antiochia dei Maroniti,ha ritenuto di farne oggetto di discussione, con un documento distribuito ai cardinali elettori, nelle congregazioni per il Conclave.

Perciò dal nostro circolo è partita l’idea (subito raccolta da realtà cattoliche di varie regioni italiane) di costituire un Osservatorio sulle condizioni dei Cristiani nel Medio Oriente, per cercare di rompere la congiura del silenzio e promuovere, nei cristiani e negli uomini di buona volontà del nostro paese, la consapevolezza che le soluzioni richieste per far sì che questa comunità minoritaria non abbandoni i propri paesi di origine sono rimedi che andrebbero a beneficio di tutti i popoli della regione: la risoluzione dei conflitti, il raggiungimento della pace, e lo sviluppo economico.

di Massimo Granata


La presenza cristiana in un ambiente teocratico 


Conferenza del Card. Béchara Boutros RAI all' Institut Catholique Paris - 10 aprile 2013, all'interno del Convegno : « Christ et César, quelle parole publique des Eglises ? »

"Da un lato, la primavera araba è una rivolta reale contro sistemi totalitari. Pertanto, dei gruppi che sono stati precedentemente emarginati o perseguitati hanno potuto emergere a favore di un certo pluralismo democratico e cercano di lavorare in modo più efficace per una libertà di cittadinanza equa e rispettosa, e il diritto alla differenza. Il diritto dei popoli di decidere da soli il proprio destino trova così la sua prospettiva.. D'altro lato, più oscuro, il crollo dei sistemi totalitari ha aperto la strada all'estremismo islamico a volte con la scusa di adozione della democrazia e riforme politiche. Ma in realtà è l'anarchia, il caos, la violenza, il terrorismo e la guerra. In Siria non si riesce più a comprendere lo scopo della violenza e della guerra tra i belligeranti. Noi vediamo solo le stragi, la distruzione e l'emigrazione dei cittadini. Gli Stati di Oriente e Occidente non fanno che fomentare la guerra senza alcun appello alle parti in conflitto a favore della pace, del dialogo e dei negoziati. Noi sosteniamo che la riforma politica e la democrazia deve essere opera delle popolazioni interessate, secondo le loro aspirazioni. In questi paesi, la maggioranza cosiddetta "silenziosa" deve essere in grado di esprimersi liberamente. La moderazione è una necessità

I cristiani , come in passato, in cui sono stati i pionieri della rinascita arabaparte integrante della vita culturale, economica e scientifica delle diverse civiltà della regione, vogliono oggi, ancora e sempre, condividere con i musulmani le loro esperienze apportando il proprio contributo specifico. E' a causa di Gesù che il cristiano è sensibile alla dignità della persona umana e alla libertà religiosa che ne deriva. E' per l'amore per Dio e per l'umanità, glorificando così la doppia natura di Cristo e l'amore per la vita eterna, che i cristiani hanno costruito scuole, ospedali e istituti di tutti i tipi in cui vengono ricevuti tutti, senza discriminazioni  (cfr Mt 25, 31ss.). E' per queste ragioni che i cristiani prestano particolare attenzione ai diritti fondamentali della persona umana. Affermare pertanto che questi diritti sono i diritti dell'uomo cristiano non è giusto. Sono semplicemente i diritti esigiti dalla dignità di ogni persona umana e tutti i cittadini, indipendentemente dalle origini, le credenze religiose e le scelte politiche "(Ecclesia in Medio Oriente, n. 25).

http://www.bkerkelb.org/french/index.php?option=com_content&view=article&id=409:conference-du-card-bechara-boutros-rai-institut-catholique-colloque-iseo-avril-2013-&catid=46:homilies&Itemid=71


mercoledì 10 aprile 2013

Al-Qaeda guida i ribelli in Siria

Al-Qaeda rivendica pubblicamente la paternità del movimento di guerriglia siriano più forte e militarmente attivo e mette in imbarazzo tutta la coalizione che combatte il regime di Bashar Assad. Il “segreto di pulcinella” relativo all’identità ideologica tra la rete terroristica islamica e alcuni combattenti salafiti che combattono in Siria è stato svelato dallo stesso leader di al-Qaeda in Mesopotamia, Abu Bakr al-Baghdadi, che ha dichiarato in un comunicato diffuso sul web che il Fronte al-Nusra è la branca siriana di al-Qaeda in Iraq e ha come obbiettivo l’instaurazione di uno Stato islamico in Siria. 


da La Bussola Quotidiana  10-04-2013
di Gianandrea Gaiani 

Al-Baghdadi, secondo il quale i due movimenti sono ormai federati sotto la denominazione di “Stato islamico in Iraq e Sham”, si è detto inoltre disposto ad allearsi ad altri gruppi jihadisti siriani “a condizione che la Siria e i suoi cittadini vengano governati secondo i precetti di Allah”. Fino a oggi il Fronte al-Nusra era ufficialmente solo sospettato di essere legato ad al-Qaeda anche se il movimento si era inizialmente distinto anche per i sanguinosi attentati a Damasco e in altre città siriane identici per modalità a quelli effettuati dai commando qaedisti a Baghdad.
Grazie agli aiuti provenienti in buona parte da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti e alla presenza di centinaia di jihadisti stranieri il fronte al-Nusra è divenuta una delle milizie meglio armate e più efficienti. Quando nello scorso dicembre il gruppo è stato inserito nell’elenco delle organizzazioni terroristiche dagli Stati Uniti, molti gruppi ribelli (salafiti, Fratelli Musulmani e “laici”) insorsero giudicando la decisione di Washington ingiusta e affrettata. Gli stessi movimenti sono ora in grave imbarazzo dopo le dichiarazioni di al-Baghdadi e cercano di prendere le distanze dal Fronte al-Nusra ammettendo tuttavia che a volte esiste un coordinamento “tattico” sul terreno con i jihadisti imposto dalla situazione sul terreno.

“Al-Nusra esiste, è finanziata e armata e per questo alcune brigate del Libero Esercito Siriano (Les) cooperano in determinate operazioni”, ha spiegato il portavoce del Les, Luai Meqdad che ha ribadito di “non condividere l’ideologia di al-Nusra perché il nostro obiettivo è chiaro, rovesciare il regime per instaurare uno Stato democratico”. Che la coalizione dei ribelli siriani stia diventando sempre più islamista e sempre meno democratica lo dimostrano anche altri elementi che in un’Europa schierata acriticamente al fianco degli insorti passano inspiegabilmente (sarà l’imbarazzo?) quasi sotto silenzio.
Nei giorni scorsi è emerso che l’ala militare del movimento palestinese Hamas, ex alleato di Assad, sta addestrando i ribelli dell’Esercito siriano libero nella parte orientale di Damasco. Lo ha rivelato il quotidiano britannico Times citando fonti diplomatiche occidentali secondo le quali i membri delle Brigate Ezzedine al-Qassam stanno addestrando unità dell’ELS nei quartieri di Yalda, Jaramana e Babbila, controllati dai ribelli. Ciò confermerebbe che Hamas, gruppo radicale che controlla la Striscia di Gaza, ha rotto definitivamente ogni rapporto con il suo ex alleato, dopo essersi posto sotto la protezione del Qatar che sostiene diverse fazioni ribelli siriane e che avrebbe così “comprato” Hamas (fino a ieri filo siriano e filo-iraniano) con 400 milioni di dollari di investimenti promessi a Gaza. Una fonte palestinese in Libano ha detto che centinaia di miliziani di Hamas stanno combattendo insieme all’Esercito siriano libero a Damasco e ad Aleppo. Hamas ha smentito tutto ribadendo la neutralità del gruppo islamista palestinese nel conflitto siriano. La presenza di Hamas al fianco dell’ELS la dice lunga sulla “laicità” di quest’ultimo movimento composto da disertori che per primi presero le armi contro il regime grazie all’appoggio turco.
L’elemento più evidente della deriva islamica assunta dall’insurrezione siriana è rappresentato forse dalla fatwa emessa nei giorni scorsi dall’imam salafita siriano di origine giordana, Yasir al-Ajlawni, secondo la quale è lecito per gli oppositori del regime di Bashar al-Assad stuprare “qualunque donna siriana non sunnita”. Nel suo editto religioso pronunciato in un video pubblicato su YouTube, Ajlawni sostiene che in base ai precetti dell’islam è lecito “catturare e avere rapporti sessuali” in particolare con donne della setta alawita (la stessa di Assad) o cristiane, ma in generale con qualsiasi donna non sunnita. Per dare forza al suo pronunciamento, il religioso definisce le donne che autorizza a stuprare come “melk al-yamin”, espressione con la quale il Corano indica genericamente le schiave di fede non musulmana.

Al-Ajlawni non è il primo a emettere una fatwa che prende di mira le donne siriane. L’anno scorso il predicatore saudita Muhammad al-Arifi aveva invitato i “jihadisti” a “contrarre un matrimonio a tempo” con le prigioniere siriane, “in modo da poter giacere con loro a turno”. Una vera e propria istigazione allo stupro di branco. Non è la prima volta che i "nostri" amici e alleati della Coalizione siriana legittimano stupri, discriminazioni religiose e schiavitù. Nei mesi scorsi l’imam egiziano Ishaq Huwaini invitò a condurre le “prigioniere di guerra” presso un “mercato degli schiavi, dove si vendono le concubine”, definite anche come “ciò che la vostra mano destra possiede”.
Per il religioso (probabilmente un “faro” del pensiero islamico considerato che nessuno sembra averne censurato le dichiarazioni) basta l’atto dell’acquisto perché, per l’uomo, un rapporto sessuale non sia peccato, “anche senza un contratto, un guardiano o qualsiasi altra formalità, come è ampiamente condiviso tra gli ulema”. “In altre parole – ha aggiunto Huwaini, per non lasciare dubbi a quanti in Occidente saranno certo pronti a giustificarne le affermazioni adducendo la “diversità culturale” (che per definizione è sempre una ricchezza) – quando voglio una schiava sessuale, vado al mercato, scelgo quella che mi piace e me la compro”.
Vale la pena sottolineare che al- Ajlawani, al-Arifi e Huwaini non sono mai stati sconfessati né mandati a quel paese dalla Coalizione forse perché ben rappresentano il “nuovo che avanza” in Siria. Che avanza anche e soprattutto con l’aiuto dell’Occidente.

http://www.lanuovabq.it/it/articoli-al-qaeda-guida-i-ribelli-in-siria-6215.htm

martedì 9 aprile 2013

I Vescovi: "forze oscure" operano per disarticolare Stati e istituzioni.

Il rischio di conflitti religiosi nelle possibili derive oscurantiste della Primavera araba in Siria 

 "La crescita del fondamentalismo islamico minaccia i musulmani moderati, che sono la maggioranza". "Fra incudine e martello i cristiani non hanno scelta". Timori che il conflitto porti a inasprire l'antagonismo tra sunniti e sciiti libanesi.


da Asia News - 05/04/2013 
di Fady Noun



 Lo slancio democratico della "primavera araba" nasconde sempre meno il rischio, almeno in Siria, della discordia confessionale, che minaccia di estendersi ad alcune regioni libanesi, e la possibile deriva oscurantista. Alla viglia della sua partenza per la Francia il patriarca maronita, cardinale Béchara Raï, torna a ribadire la sua presa di distanza da un fenomeno che aveva suscitato tante speranze. 
"Forze oscure - ha detto in tono grave lunedì scorso, davanti all'ambasciatore francese Patrice Paoli - operano per disarticolare Stati e istituzioni, e cercano instancabilmente di accendere la 'fitna' tra le diverse confessioni religiose che, finora, coesistono pacificamente e questo, per ironia, in nome della democrazia e della 'primavera araba'".
Le riserve espresse dal patriarca nei confronti della rivolta araba, in particolare quella in Siria, chiaramente indicata dal capo della Chiesa maronita, sembrano essere state capite meglio di quelle che egli aveva indicato in occasione della sua prima visita nella capitale francese, nel settembre 2011.
In 18 mesi, in effetti, molte cose sono divenute più chiare sia per i libanesi che per i responsabili francesi. Questi ultimi, d'altro canto, non hanno appena deciso di rinunciare all'idea di armare l'Esercito libero siriano, nel timore che le armi finiscano nelle mani di gruppi fondamentalisti?
Per ciò riguarda la valutazione del patriarca, essa riguarda, a quanto sembra, sia i fondamentalismi jiahdisti di Jabhat al-Nosra, che consolidano la loro presa su alcune zone di conflitto in Siria, sia il fondamentalismo politico portato avanti dai Fratelli musulmani sul (cattivo) modello egiziano. Il fatto che egli parli di forze "oscure" può far pensare che questi gruppi siano manipolati.
"La Francia delle luci non sarà indifferente (...) di fronte alla crescita del radicalismo e del fondamentalismo e al proliferare di un oscurantismo rinforzato dalle contraddizioni politiche e dalle interferenze regionali e internazionali", ha affermato il capo della Chiesa maronita, davanti all'ambasciatore Paoli. E ha chiamato la Francia, per laica che sia, alla "chiaroveggenza", chiedendole di non ignorare il ruolo di "fermento democratico" che giocano i cristiani all'interno delle società arabe. "La crescita del fondamentalismo islamico minaccia i musulmani moderati, che sono la maggioranza. Essi rischiano di cadere nel pensiero fondamentalista, se i cristiani perdessero la loro presenza effettiva e la loro influenza benefica all'interno delle società arabe".
Evidenziando questo aspetto, il patriarca va contro alcune correnti che, per ragioni esclusivamente politiche, non perdono occasione per demonizzare l'islam e mettere musulmani moderati ed estremisti nello stesso fascio. Il cardinale cerca anche di mettere in guardia l'Occidente sulle conseguenze che potrebbe avere, anche per esso, la "desertificazione" della presenza cristiana in Oriente.
E' per questo che, d'accordo con tutti i capi religiosi cristiani cattolici e ortodossi, il patriarca torna a chiedere oggi, come aveva fatto per la prima volta nel settembre 2011, la fine immediata delle violenze in Siria e una soluzione politica del conflitto. A suo avviso, anche se non l'aveva mai espresso apertamente, non si è mai trattato di appoggiare un regime, ma di promuovere una soluzione politica che riduca il pericolo di un esodo dei cristiani dalla Siria. 
Fra incudine e martello, insistono a Bkerke, i cristiani non hanno scelta, preoccupati dall'impatto attuale dei combattimenti che rischiano di durare nel tempo, se non indefinitamente, più che dalle conseguenze storiche a lungo termine.
Per un libanese cosciente del rischio, questa richiesta è anche autodifesa. In diverse regioni libanesi, a cominciare da Tripoli, scontri sporadici oppongono fondamentalisti sunniti e forze filo-siriane. Sul piano nazionale, si inasprisce l'antagonismo tra sunniti e sciiti. 

http://www.asianews.it/notizie-it/Patriarca-maronita:-rischio-di-conflitti-religiosi-nelle-possibili-derive-oscurantiste-della-Primavera-araba-in-Siria-27578.html


"Europa, toccherà anche a voi se non combattete il terrorismo islamico che uccide i cristiani in Medio Oriente"  

All'interno del convegno “La responsabilità dell'Europa nella persecuzione dei cristiani in Siria”, il vescovo di Zahleh, Issam John Darwish, non ha usato mezzi termini per descrivere la drammatica situazione dei profughi cristiani in fuga dalla Siria: “Se non risolveremo la situazione dei cristiani in Oriente arriverà anche il turno dell’Europa. L’estremismo islamico sulla sponda meridionale del Mediterraneo colpirà inevitabilmente anche la sponda settentrionale.” 
Una considerazione severa che suona come un monito a tenere alta l’attenzione sulla condizione dei cristiani mediorientali. “In Siria non c’erano difficoltà di convivenza tra cristiani e islamici. Oggi dopo quella che voi in occidente chiamate ‘primavera araba’ – ha dichiarato monsignor Darwish - si sono deteriorate le condizioni della convivenza tra islamici e cristiani. In Siria oggi ci sono estremisti arabi provenienti da Qatar, Arabia Saudita, Libia, Pakistan e Cecenia uniti dalla volontà di uccidere i cristiani.”
“Dobbiamo dare speranza e futuro a queste popolazioni così gravemente colpite – ha proseguito il vescovo di Zahleh. Da due anni a Zahleh, dove vivono 160mila cristiani, accogliamo i cristiani in fuga dalla Siria: sono circa 700 le famiglie attualmente ospitate nella nostra diocesi. Siamo qui in Italia per far conoscere questa realtà e trovare il modo di aiutare queste famiglie, dal momento che i loro bisogni sono tanti.”

A chiusura del suo intervento monsignor Darwish ha chiarito che “L’unica possibilità per porre rimedio a questa tragica situazione è il dialogo: i potenti della Terra devono sedersi a un tavolo e negoziare con il Presidente Bashar Al-Assad, perché con le armi non si arriva da nessuna parte. Il Governo italiano deve farsi promotore di un incontro mondiale e svolgere un ruolo importante in questa mediazione, come protagonista del consesso europeo e come paese cristiano.” Il vescovo di Zahleh ha infine invitato i presenti a un incontro di preghiera per il Medio Oriente nel mese di ottobre a Cipro, cui prenderanno parte esponenti religiosi provenienti da 22 Paesi del mondo.

http://ioamolitalia.it/comunicati/vescovo-siriano-europa-tocchera-anche-a-voi-se-non-combattete-il-terrorismo-islamico-che-uccide-i-cristiani-in-medio-oriente.html

lunedì 8 aprile 2013

In Africa c’è la piaga dei ‘bambini soldato’, ad Aleppo li chiamano ‘combattenti’


Amhed, il combattente siriano di 8 anni

da La Perfetta Letizia, 6.4.13

di Patrizio Ricci

Il quotidiano britannico ‘The Telegraph’ ha diffuso, come tutte le principali testati on line, un video in cui, tra le rovine di Aleppo, nel quartiere Salahedddin, un bambino parla, seduto tra due ribelli siriani armati (uno è suo zio): un colpo di mortaio ha ucciso suo padre (combattente a seguito dell’Esercito Siriano Libero) e tutto il resto della famiglia. Amhed ha 8 anni; sigaretta in bocca e fucile AK7 in braccio, risponde alle domande e spiega: "Ho finito per aiutare mio zio ed i suoi compagni perché non ho altra scelta, non c'è scuola, la mia famiglia è morta, che scelta ho?".

Di fronte a questa vicenda i media italiani (compresi quelli cattolici) si sono mostrati come rassegnati  all’ineluttabilità dei fatti: i commenti sono stati univoci e in quelle immagini di bambino ‘combattente’ hanno visto solo la ‘spavalderia della giovinezza, la vulnerabilità giovanile e la tristezza delle guerre che costringe i bambini a crescere troppo presto’. E’ una spiegazione che non convince e alla quale, come uomini, non possiamo rassegnarci. 

Ci vuole un giudizio chiaro: bisogna dire forte che esiste una terza via ed è quella del bene. Papa Francesco l’ha gridato forte nel messaggio pasquale rivolto alla Siria: “Quanto sangue è stato versato! E quante sofferenze dovranno essere ancora inflitte prima che si riesca a trovare una soluzione politica alla crisi?”. Il messaggio del Santo Padre non è rivolto ai soli religiosi: è l’unico criterio ragionevolmente valido per la salvezza di Amhed e per la Siria. Per quel paese oltraggiato si dovrebbe usare la stessa tenerezza che si usa per un bambino, anzi per un bambino orfano (a chi ha visto solo brutture ed ha perso entrambi i genitori non metti in mano una granata come nel filmato e non dici di sparare ad altri uomini). 

Si tratta di cose semplici da comprendere, persino banali: è possibile allora che il Thelegraph e gran parte dei principali media italiani si siano dimenticati di come ci si prende cura di un bambino e si siano allineati alle giustificazioni della guerriglia? Improponibile riportare di ‘sana pianta’ esclusivamente le giustificazioni fornite dai ribelli: “I bambini sono usati solo per fare il tè, per i rifornimenti, per contrabbando e compiti logistici”. E’ noto che i dati sono di altro segno: secondo un recente rapporto di Human Right Watch, sono centinaia i bambini al di sotto dei 14 anni addestrati dall’opposizione armata e inviati a combattere. E’ prassi conosciuta, ma ‘silenziata’: la guerra non si combatte solo sul campo di battaglia ma purtroppo coinvolge (consapevolmente o inconsapevolmente) anche l’informazione, spesso usata per formare un’opinione pubblica favorevole alle decisioni dei governi.

Non è stato detto, ma bisogna dirlo e chiaramente: usare i bambini sul capo di battaglia è un crimine di guerra. Usare bambini al di sotto dei 18 anni è proibito dalla Convenzione sui Diritti dell’Infanzia, nonché dalla risoluzione 1261 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che accoglie interamente lo Statuto della Corte Penale Internazionale, secondo cui “è un crimine di guerra la coscrizione e l’arruolamento di bambini di età inferiore di 15 anni o la loro utilizzazione per la partecipazione attiva alle ostilità, sia in conflitti armati interni che internazionali e sia che essi vengano impiegati da eserciti regolari o da milizie armate”. Questo vuol dire che di fronte alla legge internazionale chi ha messo le armi in mano ad un bambino ha compiuto un reato perseguito severamente dalla giustizia internazionale. Al cospetto di un bimbo che di fronte alla violenza ed all’omicidio dice ‘non ho scelta’ un uomo adulto che tace, o addirittura insegna solo la via della vendetta , è colpevole di ‘disumanità’.

In Siria esempi di pace e metri di terra redenta e riconciliata ci sono ancora e sono esempi a cui guardare (come i maristi e le suore di Aleppo); sono tutte quelle realtà che offrono, pur con sempre con maggiore difficoltà, aiuto e sostegno ai profughi ed ai bambini come Amhed. Informati direttamente dal Vicariato cattolico di Aleppo abbiamo appreso che nella città la ‘Casa di Gesù operaio’ accoglie molti orfani e vittime di questa guerra fratricida; sono realtà che i governi occidentali (presi soprattutto a fomentare ulteriormente la guerra) dovrebbero sostenere direttamente e che dimostrano che un’altra via è sempre possibile. Abbiamo bisogno di simili esempi di carità e umanità nuova: non è vero che lo scempio e la rovina siano inevitabili. Anche un bambino orfano può trovare nuovi padri, se questi padri guardano ad una speranza più grande della vendetta e della sopraffazione. A molti, anche qui da noi, sembra essere sfuggito.


http://www.laperfettaletizia.com/2013/04/amhed-il-combattente-siriano-di-8-anni.html