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giovedì 14 marzo 2013

"Puntare sulla vittoria militare dei ribelli appoggiati dagli jihadisti internazionalisti come soluzione alla crisi, come fanno gli “Amici della Siria”, è incoscienza o cinismo."



(ANSA) - PARIGI, 14 MAR - Francia e Gran Bretagna chiederanno di anticipare la prossima riunione del'Ue sull'embargo sulle armi alla Siria, e in caso di assenza di unanimita' forniranno da sole, a titolo nazionale, armamenti ai ribelli. Lo ha affermato il ministro francese degli Esteri, Laurent Fabius, alla radio France Info. ''Non possiamo accettare - ha detto - che ci sia questo squilibrio con da un lato l'Iran e la Russia che forniscono delle armi a Bachar e dall'altro lato dei ribelli che non possono difendersi''           


da TEMPI - 11 marzo 2013
di Rodolfo Casadei

ORECCHIE MOZZATE. Le atrocità nella guerra civile siriana non stanno tutte da una parte sola. Cercare di farlo credere da parte del nostro e di altri governi equivale a manipolare l’opinione pubblica e a offendere l’intelligenza dei cittadini. Fatti come il massacro di donne e bambini a Houla da parte di forze paramilitari, l’eccidio di persone in fila al forno di Hama, l’arresto e la detenzione in condizioni tremende di migliaia di oppositori veri o presunti, l’uso dell’artiglieria, dei cacciabombardieri e di missili terra-terra in condizioni nelle quali la sicurezza dei civili presenti nelle aree interessate dalle operazioni militari non viene presa minimamente in considerazione, sono atti e decisioni che pesano come macigni sulla coscienza e sulla credibilità delle forze governative. Ma immaginare che dall’altra parte della barricata viga un grande senso di umanità, è la fantasia di qualcuno che o ci è, o ci fa. In Occidente ha avuto molta eco il filmato in cui si vedono soldati dell’esercito siriano tagliare le orecchie ai cadaveri dei ribelli caduti in combattimento e mostrarle a una telecamera; meno nota è la storia di una battaglia nella regione dell’Idlib, terminata con la cattura di alcune decine di soldati da parte di ribelli salafiti; questi ultimi, prima di passare i loro prigionieri per le armi, hanno provveduto a mozzare loro le orecchie da vivi. In questo momento all’ospedale di Qamishli, nel nord-est della Siria, sono ricoverati soldati che hanno avuto la vita risparmiata dopo essere stati catturati dai ribelli, i quali però prima di liberarli hanno inflitto loro crudeli tormenti: hanno tagliato dita delle mani e orecchie, perché non siano più in grado di combattere.

MENTIRE SULLA FEDE PER VIVERE. Chi avesse letto il reportage che Le Monde dedicò qualche tempo fa alla presa dell’accademia militare di Aleppo da parte dei ribelli, troverà senz’altro la cronaca della disintegrazione confessionale e settaria dell’iniziale unità fra ufficiali e cadetti, provenienti da tutte le etnie e religioni della Siria, man mano che l’esito infausto dell’assedio si approssimava. Ma troverà anche la storia dei genitori e parenti di un ribelle caduto nell’assalto che si recano in auto al campo dei soldati fatti prigionieri, si fanno consegnare un cadetto alawita scelto a caso e lo trasportano legato dentro al bagagliaio della loro auto. Giunti a casa lo estraggono dal vano e, per compiere la loro vendetta, a turno sparano sul loro ostaggio inerme, finchè muore. Molte immagini di prigionieri delle forze armate siriane uccisi a sangue freddo dai ribelli, in particolare da quelli di Jasbat Nusra ma non solo, si trovano in video caricati su Youtube. Per esempio nel video intitolato “Syria: Jihadists torture, kill prisoners in Ras Al Ayn” si vede un guerrigliero che tiene sotto la minaccia della sua arma dieci uomini sdraiati ventre a terra, fra i quali dei feriti. Alcuni di essi implorano di aver salva la vita dichiarando di essere musulmani sunniti, come i loro aguzzini. Dopo tre minuti di suppliche il combattente scarica il suo kalashnikov sui prigionieri sdraiati, e non si sentono più voci. Naturalmente si possono trovare anche filmati di forze pro regime che compiono atti di brutalità simili. La verità essendo che la guerra in Siria diventa ogni giorno più spietata e gli uomini sempre più crudeli.

ATTENTATI E RAPIMENTI. La parzialità di fronte ai crimini di guerra e alle sofferenze dei civili non è l’unica cosa da rimproverare agli “Amici della Siria”. Una dichiarazione come quella rilasciata a Roma da Moaz al-Khatib, il presidente della Coalizione nazionale siriana, non può essere passata sotto un silenzio complice: «Guardate al sangue dei bambini siriani, che ora è mescolato al pane dei forni bombardati, invece che alla lunghezza della barba dei combattenti ribelli». Il problema che al-Khatib snobba eccessivamente sono le cattive abitudini dei «combattenti dalla barba lunga». I quali non si limitano a passare per le armi i prigionieri disarmati. Ma si ingegnano di far esplodere autobombe in zone densamente abitate, addirittura col rinforzo di una seconda autobomba destinata a rendere più raccapricciante la strage, che giunge sul luogo della prima esplosione quando si è raccolto un assembramento di soccorritori: è quello che è successo a Jaramana (novembre 2012, 50 morti) e che non è successo per un soffio a Damasco il 21 febbraio scorso (52 morti comunque). E si dedicano pure a rapimenti effettuati sulla base della fede religiosa, sequestrando sacerdoti cristiani e altro personale ecclesiastico per il cui rilascio pretendono poi esosi riscatti. Le parole di al-Khatib non sono quelle di un leader all’altezza della situazione: possono scivolare come acqua sui sassi alle orecchie degli occidentali, ma sono causa di sconforto e prostrazione per una quota importante della popolazione siriana, che conosce sulla propria pelle quotidianamente le controindicazioni del contatto con le milizie jihadiste e salafite, non compensate a sufficienza dalle distribuzioni gratuite di alimenti per accattivarsi la simpatia popolare. E nemmeno dal pagamento di veri e propri stipendi ai siriani che si arruolano a combattere con loro (non ce lo inventiamo noi, lo ammette persino al-Arabiya, tivù saudita che fa il tifo per i ribelli).

POPOLAZIONE ESAUSTA. Qui si introduce un altro tema delicato e poco compreso, quello delle lealtà politiche dei siriani. I risultati delle elezioni organizzate in passato dal regime sono evidentemente inattendibili: nessuno può credere che Bashar el-Assad goda del 97 per cento dei consensi, come attestarono le elezioni presidenziali del 2007. Ma che oggi la maggioranza dei siriani gli sia contraria, è tutto da dimostrare. La popolazione è innanzitutto esausta, dopo venti mesi di combattimenti che hanno prodotto lutti, distruzioni, 800 mila profughi all’estero e 2 milioni di sfollati interni. In un certo senso, accetterebbe qualunque soluzione pur di tornare a vivere normalmente. Se fosse chiamata alle urne domani mattina probabilmente si spaccherebbe a metà, ma concedendo ancora un leggero vantaggio al presidente uscente. L’opposizione può contare su tutti coloro che hanno patito ingiustizie a causa del sistema a partito unico che per cinquant’anni ha retto il paese e che ha alimentato l’immunità di pubblici ufficiali civili e militari che hanno abusato del loro potere incontrastato; può contare anche sul fatto che il 60 per cento dei siriani è costituito da musulmani sunniti arabi, mentre la presidenza della repubblica, gli alti gradi delle forze armate e i gangli chiave dei servizi di sicurezza sono appannaggio della minoranza alawita (l’11 per cento della popolazione).


SUNNITI E ALAWITI. Ma quest’ultimo argomento conta solo fino a un certo punto ed è a doppio taglio. Conta solo fino a un certo punto perché il regime ha sì collocato esponenti alawiti in posizione egemonica nelle forze armate e nei servizi di sicurezza, ma in tutti gli altri ruoli della funzione pubblica ha praticato una politica di unità nazionale che fa sì che insegnanti, impiegati statali, addetti alla sanità pubblica, eccetera, provengano da tutte le religioni ed etnie del paese senza discriminazione alcuna; delle riforme liberiste dell’economia attuate dopo il 2000 da Bashar el-Assad, subentrato al padre Hafez, hanno beneficiato soprattutto i ceti urbani commerciali e imprenditoriali, entro i quali i sunniti sono ampiamente rappresentati. Non è un caso che nei centri governativi per l’assistenza ai profughi che fuggono i combattimenti i sunniti siano particolarmente numerosi.

PERCHE’ ASSAD DURA. È a doppio taglio perché il revanscismo sunnita che molti percepiscono nella Coalizione nazionale siriana – che pure si presenta come un fronte di unità nazionale – e che appare in filigrana nei programmi di Fratelli Musulmani, salafiti e jihadisti avversari dell’attuale governo, è forse il più potente fattore di coesione del fronte filo-governativo. Alawiti e sciiti (insieme il 13 per cento della popolazione) combattono spalle al muro, nella certezza che in caso di sconfitta per loro non ci sarà alcuna pietà; cristiani e drusi (un altro 13 per cento della popolazione) meditano la fuga dal paese, temendo che un nuovo governo di tendenza più o meno islamista non garantirà loro la dignità e il rispetto di cui finora hanno goduto; i curdi (9 per cento della popolazione) sia in caso di sopravvivenza del regime sia della sua caduta non accetteranno un sistema in cui la loro autonomia non sia finalmente riconosciuta.

DOVE INIZIA LA SALVEZZA. In una situazione del genere, puntare sulla vittoria militare della Coalizione nazionale siriana che non può avvenire senza l’indispensabile supporto dei combattenti jihadisti internazionalisti come soluzione alla crisi, come stanno facendo gli “Amici della Siria”, è pura incoscienza, oppure è cinismo travestito di ideali democratici. La salvezza per la Siria sta soltanto in un vero negoziato fra le parti, e questo può avvenire solo riprendendo i tentativi di mediazione che in passato sono stati condotti da Kofi Annan e da Lakhdar Brahimi. Bisogna convincere la Coalizione nazionale siriana a rinunciare alla sua richiesta che il presidente Assad non si presenti alle elezioni previste per il 2014 e convincere il presidente Assad ad accettare che le elezioni siano organizzate e supervisionate dalla comunità internazionale. Ma prima di tutto questo, è necessaria e indispensabile una tregua che permetta ai siriani di ritornare a sperare e a vivere secondo un sembiante di normalità. Solo un po’ di pace adesso può permettere di sperare in una pace reale a medio termine.

http://www.tempi.it/scordatevi-buoni-e-cattivi-la-salvezza-della-siria-non-viene-dalle-armi-reportage-da-damasco

mercoledì 13 marzo 2013

Le Chiese orientali festeggiano l’elezione di Papa Francesco

Dalla Siria all’Egitto, fino all’India, le prime reazioni all’elezione del Papa. Il nunzio a Damasco: “Abbiamo un nuovo punto di riferimento”. 





Roma (AsiaNews) -
Le Chiese dell'Asia sono in festa per l'elezione del nuovo papa Francesco I. La notizia ha fatto il giro del continente asiatico, tanto che i maggior i quotidiani di tutti i Paesi aprono con la sua foto. D'altra parte il nuovo vescovo di Roma è stato, nel suo Paese d'origine, l'Argentina, anche ordinario per i riti orientali. AsiaNews ha raccolto alcune testimonianze.

P. Rafic Greiche, portavoce della Chiesa cattolica egiziana
Il nuovo Papa proviene da un Paese che ha vissuto la povertà e sono convinto che capirà i problemi e i bisogni dei poveri dei bisognosi del mondo, soprattutto in Africa e Asia.

Mons. Mario Zenari, Nunzio apostolico a Damasco (Siria)
In Siria ci siamo sentiti in queste settimane di sede vacante un po' sospesi, perché in questa situazione di guerra il Papa è sempre stato per noi un punto di riferimento. Lui è il Papa per un miliardo di cattolici, per tutti i cristiani e per tutto il mondo, quindi posso dire che qui in Siria la gente si sente parte di questa Chiesa cattolica universale. Penso sia stata però anche seguita da tutta la popolazione. Soprattutto in questi due anni di guerra civile il Papa è sempre stato ascoltato e seguito da tutti in questo Paese. Quando si tratta di ricostruire la riconciliazione e la pace gli occhi sono tutti puntati sul Papa, anche da parte di altre religioni. Adesso abbiamo un nuovo punto di riferimento e porteremo a lui le nostre attese, le preghiere e le sofferenze di tutta la popolazione siriana. Il card. Bergoglio è stato ordinario per i cattolici di rito orientale, quindi conosce bene la nostra realtà in Medio Oriente.


http://www.asianews.it/notizie-it/Le-Chiese-asiatiche-festeggiano-l%E2%80%99elezione-di-Francesco-I-27387.html


Gli auguri del Patriarca Gregorios Laham al Santo Padre Francesco  e l'invito a visitare presto la terra Santa per promuovere la riconciliazione del Medio Oriente

البطريرك لحام دعا البابا الجديد لزيارة المشرق:الكنيسة تحتاج إلى بساطته

أشار بطريرك أنطاكية وسائر المشرق للروم الملكيين الكاثوليك غريغوريوس الثالث لحام إلى أنه "تعرف على البابا الجديد فرنسيس الأول قبل سنتين خلال زيارته للأرجنتين، وهو يتحلى بالتواضع والقرب إلى الناس كما سمعنا في خطابه الأول البسيط وهو كلام الإيمان خاصة أنه طلب بركة الله عليه من خلال الشعب".
وعن إختيار أول بابا من خارج أوروبا، قال لحتم في حديث تلفزيوني: "الكنيسة الكاثوليكية الأكبر في العالم هي في أميركا اللاتينية"، آملا أن "يكون البابا الجديد يأتينا بإيمان قوي، إيمان الشعب الأميركي اللاتيني الجنوبي الذي هو شعب تقي جدا ونأمل أن يأتي بهذه التقوى كما رأينا"، مشددا على أن "الكنيسة تحتاج إلى هذه البساطة الروحية التي يتحلى بها البابا الجديد"، لافتا إلى أن "الإيمان هو ما يحتاج إليه العالم اليوم".
وتوجه إلى البابا بالقول: "أسلافك زاروا هذه البلاد المقدسة وأرض المشرق وندعوه ليزور بلادنا المشرقية، أي فلسطين والقدس ولبنان وسوريا ويأتي إلينا بهذه الإطلالة الجميلة حاملا السلام والمصالحة وداعيا إلى التواصل والتفاهم بين أبناء المشرق العربي ليعود السلام إلى أرضنا ومنها يذهب إلى العالم أجمع"، متمنيا أن "يكون بابا الإيمان في عام الإيمان وندعو كل العالم للإنضمام إلى إيمان الكنيسة ونحن مدعوون كي نسير في مسيرة الإيمان".

Il Patriarca Latino di Gerusalemme, Mons. Fouad Twal, con i suoi vicari, i sacerdoti, le comunità e i fedeli della Diocesi del Patriarcato Latino accolgono con tutto il cuore il nuovo Papa Francesco.



Come Chiesa Madre di Gerusalemme, gioiamo profondamente per l’elezione del nuovo Pastore della Chiesa cattolica, scelto dai cardinali in conclave, ma soprattutto dallo Spirito Santo. Benediciamo il Signore e lasciamo sgorgare dal nostro cuore un fervido “Deo gratias!”
Al nuovo Papa esprimiamo le nostre felicitazioni “Alf Mabrouk” con la nostra totale e completa adesione e al tempo stesso assicuriamo il nostro affetto e la nostra preghiera filiale.
La nostra comunione è profonda. Grazie in anticipo, Santo Padre, per tutto quello che farà per la Chiesa, per il mondo e per la sollecitudine pastorale che avrà per il nostro Patriarcato nel corso del Suo Pontificato. Ci auguriamo anche che possa continuare a lavorare per la pace e la giustizia in Medio Oriente, in particolare in Terra Santa. Fin d’ora Le assicuriamo che lavoreremo al Suo fianco, così come abbiamo fatto con i suoi predecessori, per favorire progressi concreti nel dialogo interreligioso nella nostra regione.
Carissimo Santo Padre, la Terra Santa attende con emozione e con impazienza di avere l’onore e la gioia di accoglierLa nella Terra in cui si è compiuta la salvezza. Sia il benvenuto: “Ahlan wa sahlan!”

http://it.lpj.org/2013/03/14/habemus-papam/


martedì 12 marzo 2013

Maaloula non si tocca!

Maaloula, dove si parla ancora la lingua di Gesù: il piccolo villaggio siriano di appena seimila abitanti è un patrimonio per tutta la Cristianità


I primi di marzo le notizie di agenzia hanno riferito di un attacco di bande armate contro un posto di blocco militare all'ingresso del villaggio di Maalula. Fortunatamente gli aggressori sono stati respinti e né le case né gli abitanti del villaggio hanno riportato danni. Una vera fortuna perchè se Maalula avesse subito la sorte che è stata riservata ad altri villaggi cristiani posti sulle montagne a cavallo tra Siria e Libano sarebbe stata una sciagura per l'intera Umanità, in quanto non sarebbe stato distrutto solo un paese, ma una testimonianza storica e religiosa di straordinaria importanza.

Le case di Maalula sono arroccate su una montagna chiamata Al Qalamoun ad un'altezza di circa 1500 metri a pochi chilometri dal confine libanese e sono abitate da una popolazione interamente e fieramente cristiana. Le abitazioni del villaggio hanno delicati colori pastello, ma alcune sono dipinte in azzurro, è il segno che chi vi abita è stato in pellegrinaggio a Gerusalemme.

Nel villaggio sorgono due antichissimi conventi fortificati (segno di quali prove debbano aver subito in passato gli abitanti di Maalula per poter difendere la propria Fede): il primo è il convento di Santa Tecla dove alcune suore greco-ortodosse si occupano dell'assistenza agli orfani e dove custodiscono una grotta reliquiario della santa, il secondo è quello di San Sergio, retto invece da monaci greco-cattolici (i Basiliani del Santissimo Salvatore) ed è un vero e proprio nido d'aquila posto sulla cima di un monte dove anticamente sorgeva un tempio pagano. I due conventi sono collegati tra di loro da una lunga e spettacolare fenditura nella roccia, chiamata Faij Takla, che la tradizione racconta sia stata aperta dal Signore per permettere la fuga dai suoi persecutori a Santa Tecla. Entrambi i conventi sono ricchissimi di icone antiche ed il Convento di san Sergio ha l'Altare principale con una strana forma semicircolare. La spiegazione sta nel fatto che i Cristiani che lo costruirono cercarono di utilizzare alcune strutture dell'antico tempio pagano ( i portali in legno, per esempio, hanno oltre duemila anni) e di conservare l'antica forma anche dell'altare solo eliminando il foro che serviva a far defluire il sangue degli animali sacrificati e levandone le immagini dai bordi.

Tutto intorno ai due conventi le apre rocce della montagna sono traforate da centinaia di grotte di ogni dimensione che per secoli sono servite da abitazione e rifugio ai monaci ed agli abitanti.




Nella notte tra il 13 e il 14 settembre di ogni anno le cime che attorniano Maalula sembrano prendere fuoco. E' l'effetto prodotto da centinaia di falò accesi per celebrare la festa dell'Esaltazione della Croce, considerata la festa del paese. Si tratta di una tradizione antichissima, la cui origine merita di essere ricordata: quando Sant'Elena (la madre dell'Imperatore Costantino) trovò a Gerusalemme una reliquia della Croce di Gesù fece pervenire la notizia a Costantinopoli attraverso una ininterrotta catena di fuochi accesi sulle cime dei monti, dalla Palestina fino al Bosforo. La catena passava anche dai monti del Qalamoun, posti ai piedi dell'Antilibano, e questo ha spinto, nel corso dei secoli, gli abitanti di Maalula a mantenere viva la tradizione ed il ricordo di quel fatto straordinario incoronando di luci i monti che la circondano in occasione della festa dell'Esaltazione della Croce.

Questo ammirevole attaccamento alle tradizioni è peraltro comune a molte altre comunità cristiane della regione mediorentale. Quello che fa di Maalula ( e dei vicini villaggi di Jabadin e Bakhah) un “unicum” è la lingua parlata dalla maggior parte dei suoi abitanti. Maalula infatti è l'unico posto al mondo dove, ancora oggi, è usato l'aramaico occidentale, vale a dire la stessa lingua parlata da Gesù. Nelle Chiese di Maalula quindi si può vivere l'emozionante esperienza di ascoltare il Padre Nostro recitato con le stesse parole con cui Nostro Signore lo ha insegnato agli Apostoli.

Dobbiamo pregare e sperare perchè la guerra che oggi sta sconvolgendo la Siria non tocchi Maalula. La fierezza dei suoi abitanti è leggendaria e possiamo essere certi che preferirebbero farsi uccidere piuttosto che lasciare le loro case e soprattutto le loro Chiese nelle mani di chi, spinto da ideologie fanatiche ed estremiste, sta dimostrando di non aver alcuno scrupolo a distruggere le stesse radici storiche e religiose della Siria. I Cristiani di tutto il mondo dovrebbero, una volta tanto, far sentire la loro voce in modo chiaro e deciso pronunciando una parola d'ordine: “Maalula non si tocca!”

Mario Villani


lunedì 11 marzo 2013

Quale destino per i cristiani siriani?




da TEMPI - 3 marzo 2013
di Rodolfo Casadei

Dentro la grande tragedia siriana, la condizione dei cristiani si va rapidamente degradando. Questo era forse il paese mediorientale dove godevano del maggiore grado di uguaglianza civile coi connazionali musulmani. Anche ora, 5 dei 27 ministri con portafoglio del governo sono cristiani, come pure molti alti gradi dell’esercito. La sicurezza era accettabile. Non più. Dimah è un giovane studente universitario cristiano assiro, ed è appena arrivato all’aeroporto di Damasco da Kamishli, nell’estremo nord-est. Sta cercando di trasferirsi a studiare in Germania, e spiega subito il perché: «Due mesi fa stavo andando in corriera ad Aleppo, dove frequentavo l’università, quando siamo stati fermati dai combattenti di Jasbat Nusra. Sono saliti sull’autobus armati e hanno intimato: “Tutti i cristiani devono scendere, sono nostri prigionieri”. Eravamo un bel gruppetto e ci siamo messi a discutere con loro, nonostante ci puntassero contro i kalashnikov. Ci chiamavano “kaffir” e ci dicevano che saremmo andati tutti all’inferno. Hanno detto di essere libici. Alla fine hanno preso in ostaggio un solo studente, un ragazzo di Aleppo, e a noi delle altre città hanno detto: “Tornate da dove venite e non fatevi più vedere qui”. Per liberare il prigioniero ci sono voluti 20 mila dollari, mentre molti degli altri studenti hanno deciso come me di trasferirsi all’estero».

SIRIA COME L’IRAQ. Il destino dei cristiani siriani sembra ripetere la stessa parabola di quello dei cristiani iracheni dopo la caduta di Saddam Hussein. Nonostante il regime sia ancora pienamente in grado di combattere i ribelli, in moltissime località c’è stato un tracollo dell’ordine pubblico, e le prime vittime della criminalità dilagante sono stati i cristiani perché rappresentano un’élite sociale: ricchi commercianti e professionisti appartengono a questa minoranza. Per esempio ad Hasakeh, nel nord-est del paese, dopo un’ondata di rapimenti con richieste di riscatto superiori ai 100 mila dollari caratterizzata dall’evidenza che 9 rapiti su 10 erano cristiani, nel giro di poche settimane 50 famiglie di medici cristiani hanno abbandonato la città. Da pochi mesi i rapimenti e le aggressioni hanno assunto un esplicito connotato confessionale, del quale la storia di Dimah e dei suoi compagni è soltanto un esempio. Michel Kayyal e Maher Mahfouz, i due sacerdoti rispettivamente cattolico armeno e greco ortodosso rapiti il 9 febbraio mentre viaggiavano su un autobus fra Damasco e Aleppo, sono stati sequestrati da una milizia salafita di combattenti non arabi (in Siria sono presenti anche afghani, pakistani e ceceni) che li ha riconosciuti come religiosi cristiani. Un salesiano che viaggiava con loro è sfuggito al rapimento per non essere stato identificato come prete e ha svelato l’identità non araba dei sequestratori. Pochi giorni dopo lo stesso destino è toccato all’ex segretario del vescovo armeno di Aleppo, unico viaggiatore preso prigioniero dai salafiti che hanno controllato accuratamente i documenti dei passeggeri dell’autobus e intuito l’identità armena dell’uomo dal suo cognome. Per lui come per i due sacerdoti catturati in precedenza, sono stati richiesti riscatti equivalenti a 160 mila dollari statunitensi.

ASSALTO ALLE CHIESE. È rimasta su una pagina di Facebook solo per un paio di giorni un’orribile immagine proveniente da una località rurale della provincia di Latakia: una giovane donna spogliata col petto squarciato e una croce da parete infilata nella bocca, con la didascalia “se voi cristiani continuate a sostenere il regime, le vostre donne faranno questa fine”. Alla Coalizione nazionale siriana che coordina precariamente le componenti non salafite della guerriglia aderiscono pochi cristiani isolati; la quasi totalità diffida di una ribellione le cui iniziali richieste di democrazia appaiono ogni giorno di più soppiantate dai progetti di stato islamico delle componenti salafite e jihadiste in piena espansione.

GRUPPI JIHADISTI. Nelle località investite dai combattimenti le chiese sono state inizialmente razziate a scopo di bottino, come mostrano per esempio le foto delle chiese di Deir Ez Zor private dei loro arredi sacri trafugati. Cominciano ora a registrarsi episodi di profanazione gratuita. Per esempio la cappella dei martiri armeni a Margadà, non lontano da Hassakeh, che raccoglie ossa delle vittime del genocidio del 1915, lasciata fino alla settimana scorsa in pace sia dai ribelli del Libero esercito siriano sia da quelli di Jasbat Nusra, è stata vandalizzata da un nuovo gruppo straniero arrivato da poco nella regione.

BASTA ARMI. Il numero complessivo dei cristiani, che prima dell’inizio della crisi era di circa 1,8 milioni (in costante diminuzione da 40 anni a causa dell’emigrazione), è sceso ora a 1,4 milioni principalmente per l’esodo dei benestanti e di chi ha parenti all’estero. «Per favore, dite all’Europa di non procurare altre armi ai terroristi!», implora un sacerdote siro ortodosso del nord-est di passaggio nella capitale. Impossibile dargli torto.

http://www.tempi.it/le-bombe-i-rapimenti-dei-cristiani-le-chiese-attaccate-reportage-dalla-siria

sabato 9 marzo 2013

Appello di Sua Beatitudine il Patriarca Gregorios III per la protezione dei civili in Siria


Facciamo appello a tutti i leader locali e internazionali perché compiano ogni sforzo per proteggere i civili in Siria.



Le Comunità in varie parti della Siria da tempo sono diventate il bersaglio di bombardamenti indiscriminati e di abusi diretti a persone anziane, donne, bambini e disabili. Arbitrari rapimenti a scopo di un riscatto esorbitante,  l'intimidazione e la coercizione si sono sviluppate in una piaga crescente . Il numero delle vittime innocenti di popolazioni remote e indigenti è inesorabilmente in aumento. Recentemente, il villaggio di Rableh, vicino al confine con il Libano, è stata teatro di gravi incidenti di questo genere.

Noi imploriamo vivamente che questi ingiustificati attacchi gratuiti verso una pacifica popolazione innocua siano fermati. La comunità internazionale non dovrebbe sottovalutare questi crimini che violano la dignità umana in contrasto con le convenzioni internazionali.

Questo appello nasce dalla nostra preoccupazione per il futuro delle tante città siriane i cui abitanti,  benchè sottoposti a ogni genere di privazioni, abusi e minacce da mesi, restano attaccati alla loro terra d'origine. Vorrei loro esprimere la mia solidarietà paterna e condivisione nelle loro sofferenze.

I miei ringraziamenti vanno agli operatori di pace, in particolare ai rappresentanti di Musalaha, che si dedicano a salvare vite umane innocenti in tutta la Siria, a calmare gli animi in modo da disinnescare le controversie e alla diffusione dell’armonia, al fine di risparmiare ulteriori spargimenti di sangue in Siria. Ciò è inestricabilmente connesso con la principale preoccupazione del nostro ministero pastorale e patriarcale: chiediamo a tutti di rispettare e proteggere la popolazione civile e salvarla dall’ essere il bersaglio di tali orrori.

Io supplico la Misericordia del Cielo sulle vittime, la pazienza e il conforto per i loro parenti e saggezza e compassione verso gli aggressori.

Che il rispetto dei sacri diritti degli esseri umani, creati a immagine del Dio Misericordioso e amante degli uomini, risplenda in Siria!



venerdì 8 marzo 2013

Profughi siriani in Libano: appello dai più poveri


Notiziario di un gruppo di volontari libanesi membri di "Oui pour la vie", associazione di volontariato con sede a Damour in Libano, legalmente riconosciuta e operante in favore dei più poveri. 


La grande emergenza di questo momento riguarda i profughi della Siria che portano con loro le sofferenze per la distruzione delle loro case, l'incertezza sull'esistenza in vita dei parenti e il doversi nascondere in Libano per evitare ripercussioni e violenze su chi e' rimasto la'. Hanno subito torture, proposte indecenti di ogni tipo e soprattutto non hanno cibo (le mamme vedono i bambini dimagrire mangiando appena solo il pane) e fanno grande fatica a curarsi.
Il cuore della nostra missione consiste nella gioia, che Dio dona nonostante la povertà di condividere dando volentieri qualcosa per i poveri. Aiutare queste famiglie significa coinvolgerle con noi nelle visite a tutti quelli che hanno bisogno, per testimoniare la gioia del perdono che si rende visibile nella carità materiale. L'aiuto per un povero è un prestito a Dio, che guarisce il cuore e lo rigenera in mezzo a tante ingiuste ferite.
I profughi in Libano sono più di 200 mila. Alcuni esempi.

  a)   Famiglia di Ibrahima. E' venuta in Libano all'inizio del 2012 con i 2 figli. La guerra ha distrutto la sua casa; la sorella e i suoi 2 fratelli sono morti. La signora ha bisogno di un'operazione chirurgica (ulcera) ma non hanno soldi e i denti sono in condizioni miserabili e dal dolore non dorme la notte. Durante il giorno perde l'equilibrio e a causa di questo non trova lavoro. Mangiano solo pane da 2 settimane; non hanno nè frigo, nè forno, nè materassi per dormire. Ibrahima e' venuta con noi a visitare altri poveri appartenenti ai gruppi che hanno decimato la sua famiglia e depredato i loro beni.
  b)  Famiglia di Animar. E' in Libano da un anno e hanno ucciso sua moglie. Ha 4 bambini e vive con suo padre di 73 anni e sua madre di 69 in una capanna di  9 mq. Non ha toilette, non hanno acqua e spesso si addormentano saltando i pasti. Ammar ci ha dato qualcosa degli aiuti ricevuti per ricevere la forza del perdono.

  c)   Famiglia di Ibtihaj e' in Libano da 6 mesi. Hanno catturato suo marito e lei non sa se sia vivo. Ha 9 bambini: non hanno frigo, forno, niente materassi. Lei vuole morire, ma è solo per i bambini che va avanti. Tra i piccoli c'è chi soffre di polmonite a causa del dormire all'aperto. Uno dei bambini è paralizzato alle gambe e non ha aiuti. Due dei loro figli sono venuti con noi in questa Quaresima a offrire un po' delle cioccolate che avevamo loro donato, ai bambini di un'altra capanna.
  d)  Famiglia di Nadia. Ha 40 anni con 10 bambini. Vive in una tenda vicino al mare di lOmq. Lavora l'agricoltura ma le danno poco (oltre che a proposte scandalose); con la pioggia e l'umido non può comprare per scaldarsi. 2 bambini soffrono di asma a causa del freddo, ma non ha i mezzi per le medicine. Spesso non riescono a comprare nemmeno il pane. Vivono in 2 materassi per 11 persone senza lenzuoli nè cuscini, frigo e forno. Lei è depressa e senza speranza perché vive in una stanza senza porte e finestre. Le nostre volontarie con il loro sorriso la incoraggiano.


Chi è interessato a maggiori informazioni o a conoscere le modalità per una testimonianza in Italia o un contributo in favore della nostra opera può inviare un sms al 333/5473721 o un email a:    info@ouipourlavielb.com
http://www.ouinourlavielb.com/en/mission

mercoledì 6 marzo 2013

Il Patriarca maronita Raï : il Conclave visto dal Medio Oriente

Il Collegio cardinalizio non può ignorare le sofferenze delle comunità cristiane mediorientali. 



È stato uno degli ultimi a sbarcare a Roma. Ma è subito entrato in partita. Il cardinale Bechara Boutros Raï, Patriarca di Antiochia dei Maroniti, ha già distribuito ai porporati in pre-Conclave un dossier informativo sulla condizione dei cristiani in Medio Oriente: «La Chiesa universale, e anche il prossimo Papa, non dovranno mai dimenticare che il cristianesimo ha la sua origine in Medio Oriente. E dovranno tener ben presente quello che sta succedendo alle comunità cristiane mediorientali. È una priorità che non può essere trascurata» 





da Vatican Insider . 6 marzo 2013
di Gianni Valente

Beatitudine, come capo di una Chiesa radicata in Medio Oriente, quali attese particolari registra tra i cristiani di quella regione rispetto al Conclave?
Forse non tutti hanno in mente quello che è accaduto negli ultimi anni. Dall’Irak del dopo-Saddam sono fuggiti un milione e mezzo di cristiani. Da Aleppo ne sono andati via almeno il 60 per cento. Non c’è più un cristiano a Homs. In Egitto la Chiesa copta è ancora forte. Ma con le nuove leggi ispirate alla Sharia tutto si farà più difficile. E poi ci sono i problemi in Terra Santa…
I cardinali, in Conclave, devono tener conto anche di questo. Se si parla solo dei problemi interni della Chiesa c’è il rischio di “avvitarsi”. Per questo ho distribuito a tutti un dossier sulla condizione attuale dei cristiani in Medio Oriente. I cristiani sono lì da duemila anni. Hanno contribuito a dar forma alla civiltà e alla cultura locale. Hanno trasmesso anche all’Islam il senso della moderazione. L’Islam autentico è quello moderato. Non quello dei radicalisti fondamentalisti foraggiati con armi e soldi da Paesi orientali e occidentali, per interessi politici ed economici.

Come è stata presa in Libano la rinuncia di Benedetto XVI?
Tutti l’hanno accolta come un atto di fede, forte, umile e di abnegazione. Una “Kenosis”. I musulmani sono rimasti pieni di ammirazione. Alcuni di loro si sono chiesti: ma cosa è mai il cristianesimo? Colui che nella Chiesa sedeva sul trono più alto, lascia volontariamente quella posizione! È stato visto come un esempio anche per tutti quelli che hanno incarichi rilevanti in ambito secolare: ha testimoniato con quale coscienza retta va assunto ogni genere di responsabilità.

Lei, prima di venire a Roma per il Conclave, è stato a Mosca. Quali attese vi ha trovato?
Sono andato su invito di Kirill, il Patriarca di Mosca. Abbiamo parlato per ore dei cristiani in Medio Oriente e degli spazi di collaborazione a livello culturale, religioso e sociale; come della promozione dell’unità tra le Chiese cattoliche e ortodosse in Medio Oriente, per il bene della regione e la testimonianza cristiana tra i musulmani. Ho ammirato la rifioritura della Chiesa ortodossa russa: hanno eretto nel mondo 184 diocesi, il Patriarca in pochi anni ha ordinato 60 vescovi. Poi ho incontrato anche il presidente della Duma Sergej Naryshkin e i suoi consiglieri: sul conflitto siriano ho elogiato la linea politica russa, che è contro la guerra e preme per far aprire negoziati tra il regime e l’opposizione.
 È bene che tutti lo sappiano, anche i cardinali: quello che oggi sta succedendo in Medio Oriente non ha niente a che vedere con l’avvento della democrazia. Gli interessi politici di forze esterne puntano a destabilizzare l’intera area fomentando i conflitti inter-confessionali tra musulmani. E i cristiani, quando c’è il caos, sono spesso vittime innocenti.

Lei è uno dei quattro capi di Chiese cattoliche d’Oriente che entreranno in Conclave. Quale contributo porterete? E uno di voi potrebbe essere eletto Papa, o ci sono ostacoli di carattere ecclesiologico?
Noi con la nostra presenza testimoniamo che la diversità è una ricchezza nella Chiesa. Uno di noi può diventare Papa? Il Papato è una vocazione divina. Il Signore sceglie la persona che Lui vuole. In quanto ai cardinali essi debbono unirsi nella preghiera e nella concertazione per identificare col suffragio la persona voluta da Dio.

Nell’elezione del Papa c’è un modo legittimo e pastoralmente opportuno di tener conto dei fattori geo-politici?
Di solito ci si augura che il Papa sia uno delle proprie parti, che conosca e sappia affrontare i problemi e le urgenze pastorali che si vivono nella propria area. Ma non possiamo avere un Papa per ogni Paese. L’importante è che il lavoro nelle congregazioni generali fornisca un quadro veritiero della condizione della Chiesa in tutte le aree del mondo. In modo che il nuovo Papa abbia conoscenza delle nuove sfide e attese e sia aiutato a esercitare un ministero che per sua natura è universale.

Ma i cristiani del Medio Oriente come vedrebbero un Papa statunitense?
Lo vedrebbero come il Papa, e basta. In Medio Oriente i cristiani e anche i musulmani hanno una venerazione verso la figura del Papa, chiunque egli sia. Critiche alla sua persona semplicemente non esistono. Il Papa è il Papa e non importa per loro che sia americano, spagnolo, italiano o altro.

http://vaticaninsider.lastampa.it/inchieste-ed-interviste/dettaglio-articolo/articolo/conclave-22923/



Il Patriarca maronita di Antiochia e di tutto l'Oriente, Béchara Boutros Raї:  i diritti dei cristiani in Medio Oriente e la pace in Siria 


R.- Con Kirill abbiamo parlato del significato della presenza dei cristiani in Medio Oriente, che si trovano in questi Paesi dal tempo di Gesù, 600 anni prima dell’islam! I cristiani non sono stranieri, hanno dato l’impronta del Vangelo, l’impronta della cultura cristiana, alle culture locali e, infatti, chi viene in Medio Oriente trova gli ambienti musulmani differenti da altri ambienti perché la cultura cristiana ha permeato la vita sociale, culturale, politica ed economica di queste regioni e poi anche la rinascita culturale e sociale in Medio Oriente è avvenuta grazie ai cristiani.

D. – Quindi, cosa avete detto durante questi incontri?

R. - La prima cosa da dire è che i cristiani sono cittadini che hanno tutti i loro diritti e quindi rappresentano una grande missione per il mondo, perché i cristiani fanno conoscere all’islam la realtà del cristianesimo, un cristianesimo aperto, che rispetta la persona umana, i diritti dell’uomo, le libertà. Vivendo con i musulmani, inviamo questo messaggio del cristianesimo. Dall’esperienza di convivialità noi faremo conoscere l’Occidente alla realtà dell’islam e i musulmani faranno conoscere ai musulmani la realtà del cristianesimo. Quindi la presenza cristiano-musulmana è necessaria per il mondo. 

D. - Alcuni parlano di conflitto di religione, conflitto di culture e di civiltà …
R. – Non viviamo un conflitto di questo tipo. Sì, ci sono problemi politici, problemi economici, però non esiste un conflitto tra le culture, anzi viviamo come componenti complementari. Purtroppo c’è una certa politica che fomenta il radicalismo, il fondamentalismo. Stati dell’Oriente e dell’Occidente sostengono gruppi integralisti e radicali con armi, soldi e sostegno politico. E’ questo che crea problemi in Medio Oriente. Quindi noi vogliamo insistere per dire al mondo che l’islam è moderato nella sua maggioranza, non è fondamentalista, non è integralista.

 
D. Cosa auspica?
R. – Bisogna che la pace nel Medio Oriente possa regnare perché musulmani e cristiani possano dare testimonianza questa al mondo. Noi non vogliamo chiedere protezione ma pace e stabilità, perché possiamo continuare a dire questo messaggio all’umanità: cristiani e musulmani vivono in pace nella terra dove Gesù si è incarnato, dove il Vangelo è partito.

Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/articolo.asp?c=669786
del sito Radio Vaticana

martedì 5 marzo 2013

Cristiani d'Oriente sacrificati

"MENTRE I MOVIMENTI ISLAMICI RADICALI SONO INDAFFARATI CON LA LORO PRIMAVERA POLITICA, I CRISTIANI DEL MONDO ARABO SONO ALLE PRESE CON UN INVERNO BURRASCOSO CHE RISCHIA DI DECIMARLI. CIO’ A CAUSA DI UN PROGETTO NEO-COLONIALE CHE PUNTA A ISOLARE L'IRAN"



da Nigrizia - febbraio 2013
di MOSTAFA EL AYOUBI

In passato non sono mancati conflitti e tensioni tra musulmani e cristiani d'Oriente, spesso a causa di strumentalizzazioni politiche interne (Egitto) e ingerenze esterne per scopi geopolitici (Libano). Tuttavia la situazione delle minoranze cristiane arabe non è mai stata cosi preoccupante come lo è oggi, in seguito all'affermazione degli islamisti come la più grande forza politica in quasi tutti i paesi arabi. Gli islamisti hanno "vinto l'appalto" per un ri-modellamento geopolitico del mondo arabo, nato dall'urgente necessità di arginare la crescente influenza dell'Iran nel Medio Oriente e in altre parti del mondo islamico, a scapito degli Usa e dei loro alleati. Diversi sono stati i tentativi per destabilizzare il regime sciita iraniano: dalle sanzioni e dagli embarghi che durano dal 1979 alla guerra affidata a Saddam (1980-1988), alla rivoluzione verde del 2009 per far cadere il regime. Tentativi non riusciti.
Si è passati quindi al piano B, ossia innescare un conflitto interconfessionale tra la maggioranza sunnita e la minoranza sciita: la logica di tale piano è la creazione di una regione con una forte connotazione confessionale sunnita in tutto il mondo arabo per isolare il regime sciita di Teheran. Il piano si basa su un fattore determinante, ovvero l'odio che i sunniti nutrono nei confronti degli sciiti considerati eretici. Il baricentro di questo conflitto oggi è la Siria.
Questo scontro intra-musulmano, studiato ad arte, ha gravi conseguenze sul presente e sul futuro delle storiche minoranze cristiane - ciò vale anche per altri gruppi di minoranza - sia in termini di sicurezza che di diritti. Si pensi agli attentati contro le chiese copte prima e dopo la "Rivoluzione del 25 gennaio" in Egitto o alla distruzione dei luoghi di culto cristiani in Siria negli ultimi due anni.
I jihadisti sunniti in Siria, oltre a voler gettare gli alawiti (sciiti) nelle bare, vogliono cacciare i cristiani verso Beirut. Interi quartieri cristiani a Homs e in altre città siriane sono stati occupati e devastati dai jihadisti. Tantissimi cristiani hanno dovuto lasciare le loro città per rifugiarsi all'interno o fuori dal paese. La violenza contro i cristiani in questa fase di trasformazione geopolitica araba ha raggiunto livelli inauditi: persino nella Libia "liberata" una chiesa copta egiziana vicino a Misurata è stata distrutta dai jihadisti il 29 dicembre scorso; l'attentato in cui sono morte due persone è passato sotto il silenzio assordante dei media mainstream.
Morsi, che si è dichiarato il presidente di tutti gli egiziani, non ha partecipato alla cerimonia di insediamento del nuovo patriarca copto ortodosso, Tawadros II, il quale, prima della sua nomina, aveva criticato la nuova costituzione egiziana, scritta in sostanza dai Fratelli musulmani e dai salatiti.
Di fronte a questo nuovo clima di insicurezza e di esclusione di cui sono oggetto i cristiani d'Oriente, qual è la posizione delle istituzioni cristiane d'Occidente? Diverse autorità religiose cristiane, come il patriarca di Mosca Kirill I, il patriarca maronita libanese Bechara Rai, il cardinale Filoni, ex nunzio a Baghdad, hanno spesso messo in guardia contro il rischio di un Medio Oriente che si sta svuotando della sua componente cristiana a causa della politica neo-coloniale dell'Occidente nella regione. A questo grido d'allarme il governo francese, sin dall'inizio della crisi in Siria, aveva risposto che «bisogna incoraggiare i cristiani d'Oriente a venire a insediarsi in Europa».
Dopo l'invasione dell'Iraq nel 2003, dei due milioni di cristiani arabi ne sono rimasti solo 800.000. Negli ultimi anni più di 100.000 copti hanno lasciato l'Egitto e oggi numerosi cristiani di altri paesi arabi stanno abbandonando la loro terra.
Le autorità religiose di cui sopra, insieme ad altre, come il patriarca di Antiochia, Gregorio III Laham, e il patriarca di Gerusalemme, Fouad Twal, chiedono con insistenza di fermare la guerra alla Siria per risparmiare la vita di cristiani, musulmani, drusi e altri ….

Una nuova Jalta, per superare la crisi siriana e poi le riforme




da Assadakah - 04-03-2013
di Raimondo Schiavone

Se non fosse per il rispetto che si deve agli Stati e, soprattutto alle vittime della tremenda guerra in corso in Siria, potremmo affermare che l’accordo di Roma promosso da John Kerry con alcuni paesi europei – fra i quali l’Italia – appare come un accordo fra clown. Per vari motivi. Primo perché 60 milioni di dollari sono davvero un ruscello in quel mare di desolazione e se ne perderà una buona parte per strada prima di arrivare alla gente. Gli stessi ribelli siriani hanno deriso questo impegno: si aspettavano un contributo fattivo con armi e addestratori, invece verranno accontentati solo i mediatori che si incaricheranno di portare le provviste. Secondo aspetto: John Kerry aveva un mandato limitato. Gli USA infatti non vogliono innervosire la Russia e hanno proposto solo di dare un contentino ai ribelli al fine di far emergere la fazione meno integralista dell’opposizione. Inoltre, in vista della chiusura di un accordo fra il governo di Assad e i ribelli, era necessario far aumentare il peso dell’opposizione nella prossima e imminente trattativa. Terzo aspetto: gli Stati europei sulla vicenda siriana hanno grande interesse: il pericolo è vicino geograficamente e l’integralismo alle porte del vecchio continente fa molta paura. Sotto il profilo economico, c’è da segnalare la chiusura dei mercati arabi, un danno enorme per le aziende europee.

Di diverso segno è la posizione degli Stati Uniti per i quali il caos in Siria è tutt’altro che un problema. La crisi siriana, secondo Washington, è un’occasione irripetibile per indebolire il “nemico” Iran e consentire ad Israele di controllare militarmente l’area mediorientale, anche in virtù dell’attuale pochezza del regime egiziano di Morsi. La parola che in questi giorni si pronuncia di più qui a Beirut – e anche a Damasco – è “accordo”. Oramai non è più solo un auspicio ma una certezza. Bisogna solo definire i termini e gli attori di questa nuova fase. Quasi certamente ci sarà una Yalta siriana.

   
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domenica 3 marzo 2013

Quelle bandiere di Al-Qaeda sotto le mura del nostro monastero.....


Qara, 1 marzo 2013  

All'inizio del 2013 la pace in Siria è stata molto vicina. Tutti sembravano rendersi conto che le forze straniere in Siria hanno attuato un terribile gioco. Tutti sembravano d'accordo per fermare questo e per cercare una soluzione politica. E, d'un tratto, in Siria ora ci sono terroristi più pesantemente armati e anche i più fanatici del gruppo di Qara sono qui raccolti... L’altra notte li abbiamo visti dal nostro tetto con la loro bandiera nera. E mentre tutto il mondo guarda al Papa, i trafficanti di armi si radunano a Roma  per decidere di dare più armi ai ribelli siriani . Il mondo intero adesso è impazzito?


Cari amici,

Domenica, 24 febbraio 2013, la seconda Domenica di Quaresima è la Domenica delle reliquie.  Dal momento che il sacerdote bizantino Abouna Georges ancora una volta non può venire, si celebra la liturgia latina con canti bizantini,  come di consueto. Dato che durante la Quaresima non si  guardano DVD o la TV,  questa sera siamo tutti intenti alla "lectio divina", finito di leggere la Scrittura ci raduniamo a pregare. E' un modo in cui tutti possono partecipare. Strano è che “la rinuncia" diventi il contributo più prezioso. Durante la Quaresima ascoltiamo durante il pranzo alcune letture bibliche dall'Ufficio o  altri testi interessanti.
Mentre allunghiamo lo sguardo verso la fine della guerra, la sicurezza per il monastero non è migliorata. Possiamo ora e anche più tardi vedere dal tetto della nostra torre romana gli uomini di Al-Nousra (Al Qaeda), con una mitragliatrice nel loro SUV e una bandiera nera. Sono proprio lungo la strada per il monastero. Preparano un attacco o un suicidio? Noi siamo, per così dire faccia a faccia con loro, per fortuna da un’altezza di 45 metri. Per noi non è ancora venuto il tempo di partire. 





Nel frattempo ci godiamo qualche giorno di un sole estivo quasi raggiante durante il giorno, ma con un vento freddo. Che meravigliosa vista e che sensazione al mattino, quando è tranquillo. Sopra potete vedere il cielo con alcune nuvole bianche, da un lato, si innalzano le montagne con le cime ancora con un po' di neve, come una porzione di crema fresca; d'altra parte, il villaggio di Qara, inondato dalla luce. Si ha l'impressione di essere arrivati nel paradiso della più bella vacanza. Nel pomeriggio, poi, improvvisamente il vento soffia forte e arrivano anche i temporali, dove tutto è incerto e viene trascinato via.



Naturalmente, viviamo questi giorni colpiti dalla notizia che ha sorpreso il mondo delle dimissioni di Papa Benedetto XVI. Si sentono tutti i tipi di commenti. Che cosa grande è questo Papa! E le sue dimissioni chiariscono che c'è Qualcuno più grande di lui. Le più forti riflessioni, tuttavia, provengono proprio dal giovane teologo Joseph Ratzinger. L'anno dopo la violenta rivolta del maggio 1968, disse che “stiamo vivendo una situazione simile a quella dopo la Rivoluzione francese, che ha segnato la fine del Medioevo e l'inizio del tempo moderno”. Papa Pio VI fu prelevato dai soldati francesi nel 1799 e morì in esilio. I beni della Chiesa furono confiscati e gli ordini religiosi soppressi. La Chiesa continuerà,  dice J. Ratzinger, come una minoranza, semplice, povera e bisognosa. Lei perderà i suoi privilegi sociali e le enormi proprietà. Da questi catarsi dolorosa sorgerà una Chiesa spirituale che avrà al centro  l'esperienza della fede. E 44 anni dopo, il 2 febbraio 2013, egli dice, tuttavia, come Benedetto XVI, a 190 studenti provenienti da vari Seminari romani: "... l'albero della Chiesa non sta morendo, ma è in costante crescita, nonostante le gravi battute d'arresto .. . Il futuro appartiene a noi. Se un pessimismo falso dice che il cristianesimo ha fatto il suo tempo, beh, si ricomincia ... ".

 In questo tempo di attesa, abbiamo deciso di rispondere alla richiesta del cardinale Bertone di pregare di più per la Chiesa e il nuovo Papa. Abbiamo un programma specifico che ogni giorno prevede tempi di silenzio, di preghiera e di culto, più intensi dal Venerdì alle preghiere di Pasqua. Il giorno allora si svolge così: 2 ore di preghiera al mattino e 2 ore nel pomeriggio, accanto a una lettura spirituale e quattro ore di lavoro ordinario. Il pranzo sarà consumato in cella. Giovedi si comincia: con una giornata tranquilla, un giorno di digiuno e  una giornata di preghiera e di culto. Poi c'è sempre un giorno di silenzio, il digiuno, la preghiera e l'amorosa adorazione. Anche se in Quaresima non guardiamo la TV o film , abbiamo tutte le notizie sulla pubblica ultima udienza del Mercoledì del Papa, che è stata massicciamente partecipata. Egli ha tenuto un discorso pieno di speranza. Ringrazia tutti e dice che si rende conto che si tratta di una decisione difficile rinunciare all'esercizio del suo ufficio, ma che le sue forze sono diminuite. Egli dice che la nave della Chiesa è di Dio e non affonderà, e lui ha sempre saputo che la Chiesa non era sua, ma la Chiesa è di Dio. Egli aggiunge che non tornerà a una vita privata, ma che egli rimane nella vita della Chiesa, nella preghiera e nel pensiero.

 Il nostro sito Internet è stato piratato da mesi e  siamo bloccati: il video, povero e bellissimo (30 '), che i frati avevano già preparato per il Natale, non è installato.
Sulla situazione in Siria io do questo messaggio:


Da due anni la Siria è nell'occhio di un uragano. Morte e distruzione non sono causati da una forza cieca della natura, ma da un disastro morale, da dominatori del mondo e  potenze mondiali che in Siria vogliono insediare i propri interessi. Per loro la vita del popolo siriano e la sovranità di questo Paese non ha nessun valore. I loro interessi sono di primaria importanza. Terribili attentati perpetrati dai terroristi, con decine di morti e feriti , e dalla stampa occidentale  elencati con compiacenza.  Non è nostro compito attraversare la Siria per interrompere gli attacchi terroristici e impedire di crollare nel caos che permetterà che ciascuno persegua i propri interessi.  Ma questa è una negazione radicale dei fondamenti della solidarietà e della pace: Robert Schuman, padre dell'Europa, ha costruito l'Unione Europea non solo per i suoi stessi Paesi, ma l’ ha anche intesa come un servizio a tutta la famiglia umana.

Anche tu puoi aiutare a smascherare questa follia e fermarla.

Nel frattempo i terroristi si radunano nel nostro villaggio di Qara. Sul tetto della torre romana del nostro monastero Mar Yakub, noi vediamo gruppi  di Al-Nousra con bandiere nere:  sembrano andare altrove per perpetrare attacchi.

I popoli che fanno spade, possono anche fare vomeri. Le persone che possono distruggere un Paese lo possono anche costruire. Nel prossimo futuro, il popolo siriano sarà lasciato dietro alle spalle, sanguinante come uno  gravemente ferito lungo la strada. Tu girerai l’angolo ? O sarai quello straniero, che si fa  "prossimo" per il popolo siriano che soffre?

Cominciamo la ricostruzione della Siria! Siate creativi e generosi. Se avete una  famiglia, parenti o amici in Siria, cercate di aiutarli. E perché non organizzare fraternità  tra la vostra città o paese, con una città o villaggio in Siria? Perché non entrare in fraternità spirituale tra la vostra parrocchia, la comunità religiosa, la vostra abbazia ... con una parrocchia o comunità religiosa o associazione cristiana in Siria?

 E’ immediatamente dare nuova vitalità alla vostra vita. 
In questo modo, un parroco francese ha già intrapreso la  fraternizzazione con la nostra comunità, e noi con loro, per la gioia di entrambi.
Sei religioso? Prega tutti i giorni che in Siria una pace duratura possa presto prevalere.
Vuoi con un gesto concreto dare un contributo? 
Vuoi sostenerci finanziariamente?, allora lavoreremo con il sacerdote bizantino in Qara, Georges Louis, e i cristiani della diocesi di Homs, per aiutare i bisognosi, di tutte le differenti confessioni, come abbiamo sempre fatto fino ad ora. 
Vi ringrazio,


Pater Daniël Maes o.praem., Mar Yakub, Qâra, Syrië 


sabato 2 marzo 2013

Confessioni di un inviato a Damasco





da TEMPI, 2 marzo 2013
di Rodolfo Casadei

Come si sente un inviato che torna dalla Siria dopo aver trascorso una settimana nel martoriato paese in aree controllate dalle forze governative e si imbatte nelle notizie che i media italiani danno della riunione degli “Amici della Siria” a Roma, in particolare le dichiarazioni del segretario di Stato americano John Kerry e del ministro degli Esteri italiano Giulio Terzi? Si sente male. Perché il quadro della situazione che queste persone disegnano e giustificano – un regime dittatoriale che opprime il suo popolo e si macchia di crimini di guerra contro la popolazione civile e un’opposizione che ha bisogno del sostegno della comunità internazionale per prevalere e portare la democrazia nel paese- è lontanissimo dalla realtà. L’idea che grazie a Usa ed Europa in Siria entrino altre armi – “non letali”, perché tanto a quelle letali ci pensano già i paesi arabi sunniti come Qatar, Arabia Saudita e Turchia – in aggiunta a quelle che già ci sono dall’una e dall’altra parte, dà semplicemente la nausea. Da quando in qua per spegnere un incendio si butta altra benzina sul fuoco? Forse da quando non si ha il coraggio -o più probabilmente l’interesse- a guardare in faccia la realtà nella totalità dei suoi fattori.

E allora è certamente vero che le forze governative -esercito, servizi di sicurezza, milizie di civili armati- si sono macchiate di crimini di guerra con esecuzioni sommarie, torture, violenze su civili, stragi gratuite, arresti indiscriminati e maltrattamenti nelle prigioni. Io questo non l’ho potuto accertare di persona, ma mi fido di Human Rights Watch e di altre organizzazioni che lo hanno attestato nei loro rapporti. Vorrei però modestamente aggiungere che una settimana trascorsa in Siria nelle aree più o meno precariamente controllate dalle forze governative mi ha consentito di toccare con mano il terrore in cui vivono le popolazioni di quelle zone, quotidianamente esposte alla minaccia di autobombe, colpi di mortaio e rapimenti – sia da parte di elementi criminali che di bande di ribelli -, che giorno per giorno si traduce in realtà.
Nel comunicato diffuso dalla Farnesina al termine dei lavori degli “Amici della Siria”, basato sulle dichiarazioni dei ministri degli 11 paesi presenti, si legge fra l’altro che «Il regime deve porre un termine immediato ai bombardamenti indiscriminati contro le aree popolate perché si tratta di crimini contro l’umanità e non possono rimanere impuniti».
Giovedì 21 febbraio sono arrivato a Damasco poche ore dopo che due autobombe, opera di ribelli jihadisti, erano esplose a Mazraa e Barzeh, nel cuore della città, uccidendo 52 civili. Nei giorni seguenti ho visitato alcuni dei feriti scampati all’eccidio. Fra loro una signora, madre trentenne divorziata con due figli adolescenti, che è rimasta sfigurata al volto dall’esplosione. Si tratta di una profuga, musulmana sunnita come tutta la sua famiglia, che ha dovuto abbandonare la casa dove abitava coi genitori nel sobborgo di Ein Tarma a causa degli scontri fra governo e ribelli. Era stata accolta in una moschea vicina al luogo dell’attentato. Il fratello ha protestato davanti alle telecamere della televisione, gridando «è questa la libertà che ci vogliono dare?», e subito gli sono arrivate minacce di morte da parte dei ribelli. In una stanza poco lontana dello stesso ospedale giace un ragazzo palestinese di 15 anni del campo profughi di Yarmuk, alle porte di Damasco. Un cecchino di parte ribelle gli ha aperto tre fori nell’addome, ai quali è miracolosamente sopravvissuto. È andata peggio a quattro suoi amici della sua stessa età, che nel giro di tre mesi hanno perso la vita per il fuoco dei cecchini. Il ragazzino, di cui taccio il nome per tutelare la sua incolumità, mi ha spiegato che dopo essersi limitati per qualche tempo a sparare agli uomini, adesso i cecchini dei ribelli sparano anche alle donne e ai bambini di certe aree del quartiere palestinese. A un bambino di 9 anni, suo compagno di stanza fino al giorno prima che io visitassi l’ospedale, è stata amputata una gamba ferita.

A Damasco non c’è stato giorno, dei quasi cinque che vi ho trascorso in due riprese, senza che cadessero sui quartieri del centro colpi di mortaio lanciati contro obiettivi governativi, ma in realtà non meno imprecisi delle bordate di artiglieria sparate dall’esercito contro i quartieri della periferia in mano ai ribelli. Quando mi sono spostato nelle province del nord-est, ho incontrato famiglie e studenti cristiani in fuga per le continue minacce di morte e di rapimento da parte sia di elementi della criminalità, scatenati a causa del quasi collasso delle istituzioni, sia di elementi jihadisti e salafiti intenzionati a fare piazza pulita della millenaria presenza cristiana in Siria. A Damasco come nel nord-est quasi nessuno di quelli che hanno parlato con me ha accettato di farsi fotografare; nessun profugo dei 15 centri di accoglienza di Damasco e nessuno dei giovani volontari che operano presso queste strutture ha accettato che io prendessi le loro immagini: tutti hanno paura di subire rappresaglie da parte dei ribelli.

CONTINUA A LEGGERE SU: 

http://www.tempi.it/blog/la-politica-americana-e-europea-in-siria-da-la-nausea#.UTG-fMoSvqQ


giovedì 28 febbraio 2013

Il vicario apostolico di Aleppo: "Mi chiedo spesso: ma l’Occidente capisce o non capisce? "

« I governi occidentali si rendono conto che stanno distruggendo la presenza cristiana in Medio Oriente? Perché la democrazia si “esporta” solo in Siria?»

a porre queste domande è monsignor Giuseppe Nazzaro, vicario apostolico di Aleppo, la città martire, dove più che altrove divampa l’incendio che sta consumando la Siria.





da PiccoleNote - 27 febbraio 2013
intervista di Davide Malacaria

Ci parli della situazione attuale
Ci sono città relativamente tranquille, altre in cui la guerra infuria. Ad Aleppo i combattimenti sono continui. Manca carburante, elettricità, acqua. Perfino l’acqua potabile scarseggia e pure il pane a volte. I ricchi hanno già abbandonato il Paese, ma anche tanta povera gente che ha perduto tutto: centinaia di migliaia di sfollati, fuori e dentro i confini nazionali. Noi cerchiamo di stare vicino alla popolazione come possiamo. I gesuiti hanno una mensa che fornisce 8.000 pasti al giorno. Ma ogni comunità cristiana cerca di fare qualcosa per aiutare la popolazione, sia musulmani che cristiani, ovviamente. Sono opere che nascono grazie ad aiuti diversi; anche i musulmani ci aiutano finanziariamente per portare avanti queste opere di carità. C’è una grande fraternità, non si tiene conto delle diversità religiose. Una caratteristica antica di questo Paese.

Già, sono tanti a parlare di una convivenza felice prima di questa guerra.
E dicono bene. Anni fa, quando ancora non c’era il regime di Assad padre, avevo sempre la polizia segreta alle costole. Quando abbandonai il Paese, andarono dalle suore che stavano con me a chiedere informazioni per sapere come avessi fatto a lasciare la Siria. Quando sono tornato era tutto cambiato. Si poteva stare fino a tardi per le strade tranquillamente. Ho potuto girare in lungo e in largo la Siria senza alcun impedimento. C’era libertà e rispetto reciproco. A maggio facevamo le processioni lungo le vie di Aleppo alle quali i musulmani guardavano con curiosità e rispetto. A Natale e a Pasqua i capi religiosi islamici venivano a farci gli auguri e noi ricambiavamo all’inizio e alla fine del Ramadan. Ma incontri simili erano frequenti ben al di là di queste occasioni. I diritti erano uguali per tutti, tanto che il governo annoverava ministri cristiani. Anche adesso il ministro della Difesa è un cristiano.

Poi è iniziata la rivolta.
Sì, sull’onda delle primavere arabe che tanto scompiglio hanno portato altrove. A ogni manifestante disposto a scendere in piazza a gridare contro Assad venivano corrisposti dieci dollari. E altri dieci per ogni persona che riusciva a portare con sé. Se portavi venti persone, potevi metterti in tasca duecento dollari, quanto un siriano medio guadagnava in un mese…

Dicono ci fosse un grande malcontento.
In tutti i Paesi c’è sempre un malcontento contro il governo. In Italia non c’è? Anche in Siria c’era, ma molto circoscritto, la gran parte del popolo stava con Assad. E anche adesso. Comunque di cose se ne sono inventate parecchie: c’è la favola secondo la quale in Siria fosse in vigore la legge marziale, che il regime avesse limitato la libertà con la scusa di uno stato di emergenza. Tutte invenzioni. C’erano leggi vecchie, forse, ma non sono mai state applicate. Nessuno qui le ha mai viste.

Veniamo alle ingerenze esterne.
Ingerenze, già. In Arabia Saudita gli imam chiamano alla guerra santa contro Assad. E poi c’è la rete di Al Qaeda che recluta in zone già teatro di guerra come Afghanistan, Libia, Iraq… Infine c’è l’Occidente che vuole portare la democrazia in Siria. Quale democrazia? In Italia c’è democrazia? E altrove? Cos’è la democrazia? Hanno iniziato con la guerra in Afghanistan, poi c’è stato l’Iraq, quindi la Libia… quale democrazia è fiorita? Mi pare che l’unica conseguenza di questo attivismo per “esportare” la democrazia siano state immani devastazioni e la progressiva diminuzione della presenza cristiana in Medio Oriente. Dopo tutte queste guerre i cristiani stanno sparendo dai Paesi arabi, ponendo fine a secoli di convivenza. Per i ribelli siriani gli alawiti [il ramo islamico cui appartiene Assad e la classe dirigente del Paese, ndr] e i cristiani sono la stessa cosa: un nemico da uccidere. Mi chiedo se in Occidente capiscono o non capiscono… (la ripete questa domanda e la scandisce).

Il regime ha consentito lo svolgimento di elezioni…
Al voto ha partecipato tanta gente. Bisogna fare i passi uno alla volta. La democrazia deve maturare poco a poco, dall’interno del Paese, non deve essere imposta da altri. D’altra parte, quando c’erano le elezioni in Egitto, Mubarak prendeva il 99% dei consensi e nessuno in Occidente diceva niente…

Distruzione di Dar Al-IFTA in Aleppo 
Si parla di guerra tra sciiti e sunniti.
L’Arabia Saudita, il Qatar, Paesi sunniti, tentano di far saltare Assad anche per indebolire l’Iran. A proposito di democrazia: in Bahrein una minoranza di sunniti governa sulla maggioranza sciita che è praticamente senza diritti. Da tempo ci sono scontri e repressioni. Perché nessuno ne parla? C’è poi l’Arabia Saudita, dove sciiti e cristiani non godono di alcun diritto. Non si può costruire una chiesa, celebrare una messa e c’è la polizia religiosa pronta a intervenire in caso di violazioni minime. Perché la democrazia si “esporta” solo in Siria?

La sua città sembra essere al centro di questa guerra.
All’inizio era tranquilla, poi otto o nove mesi fa il conflitto è arrivato anche da noi. Questo perché la gente di Aleppo non era scesa in piazza a protestare contro Assad. Ora lo fa, ma per protestare contro tutte e due le parti: chiede di essere lasciata in pace. Da tempo poi si è diffusa la piaga dei sequestri. Rapiscono povera gente e poi chiedono riscatti altissimi. Si fanno collette tra i cittadini, si tratta sulla cifra da offrire per il rilascio. È un modo criminale per finanziare la guerra di ribellione, anche se a volte a compiere azioni simili sono solo banditi comuni.

Sembra che ci siano alcuni spiragli per poter aprire un negoziato.
Per giungere alla pace occorre iniziare un dialogo senza pre-condizioni. Al momento tutti mettono pre-condizioni che per l’altra parte sono inaccettabili. Così non si va da nessuna parte: bisogna mettersi attorno a un tavolo e trattare. La pace è troppo importante…

In questa tempesta, lei rimane in Siria.
Sì e questo desta meraviglia tra la mia gente. Sono uno straniero, potrei andar via. Ma il Signore non ci ha detto di star comodi. Siamo lì per annunziare Cristo, anzitutto con la testimonianza e l’esempio. San Francesco diceva: non andate in giro a fare tanti discorsi, ma date testimonianza con la semplicità della vostra vita. Stare vicino al popolo, in questo momento, è dare testimonianza di Gesù.