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lunedì 21 gennaio 2013

Padre Hanna: «I cristiani vogliono restare qui»

«Noi cristiani di Giordania vogliamo restare in Medio Oriente. Ma temiamo Qatar, Francia e America»

Intervista al sacerdote di Giordania esperto di Medio Oriente p. Hanna Kildani: «La Primavera araba è diventata un inverno. Qatar e Arabia Saudita non parlino di democrazia, perché sono teocrazie. Solo il Papa ci conforta».

TEMPI 14 gennaio 2013,  di Leone Grotti


È un sacerdote giordano, ma ha studiato (dottorato e diversi libri pubblicati) e vissuto anche in Palestina e Libano. Il Medio Oriente è la sua casa e padre Hanna Kildani (nella foto), intervistato da tempi.it, conosce a fondo i problemi dei cristiani in questa terra travagliata, definita dal patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal «la chiesa del Calvario. La Giordania è finora l’unico Paese dove c’è stabilità e dove i cristiani e i non cristiani possono rifugiarsi. È il caso di tanti iracheni, tanti siriani, è il caso di tanti egiziani che vengono a cercare lavoro, sono tutti da noi in Giordania. La mia domanda, che non è bella è: ma se capita qualche cosa in Giordania, dove vanno questi cristiani? In Arabia Saudita?».

Padre Hanna, che cosa risponde alla domanda di Twal? La Giordania è accerchiata da conflitti, verrà contagiata?
Per ora la Giordania è stabile. Con la Primavera araba, che alla luce dei fatti non si può definire Primavera, Siria Egitto Libia e Tunisia hanno avuto problemi ma in Giordania le cose vanno bene. Le proteste sono pacifiche e il 23 gennaio ci saranno le elezioni del Parlamento. Molte persone protestano contro la Costituzione, ma la maggioranza vuole queste elezioni. Certo c’è il problema dell’economia che va male: noi importiamo il gas dall’Egitto, ma da quando i Fratelli Musulmani hanno preso il potere, le importazioni sono diventate più difficili. La Primavera araba ci ha già fatto perdere 5 miliardi di dollari solo per il gas egiziano, che fatica ad arrivare.

E i cristiani?
La condizione dei cristiani, 200 mila circa, è come quella di tutti gli altri giordani, che soffrono per l’economia. Per il resto, la Giordania è un paese musulmano ma c’è la libertà di culto, non siamo in Arabia Saudita, i cristiani qui vivono in pace. Le chiese sono aperte, abbiamo scuole e ospedali. Ha ragione il patriarca Twal quando dice che la Giordania è il polmone del Medio Oriente, diciamo che è l’oasi del Medio Oriente. È l’unico posto dove si possono svolgere dei raduni: molti cristiani non possono andare in Palestina, in Iraq, in Siria, molti neanche in Egitto, allora si viene in Giordania, l’unico paese in grado di accogliere tutti. Speriamo che i giordani, il governo e il re lavorino insieme, mano nella mano, per mantenere stabile la situazione. Non sarà facile però sorpassare questa crisi economica, causata dalle guerre che ci circondano.

Il patriarca Twal si è detto preoccupato per tutti i cristiani del Medio Oriente. Condivide la sua preoccupazione?
Sì, temiamo che ora tocchi alla Giordania quello che progressivamente è avvenuto in tutto il Medio Oriente. Nel secolo 19esimo, nel 1860 sono stati massacrati i cristiani in Libano e Siria, per questo molti cristiani sono emigrati in America. Nel 20esimo secolo, la presenza cristiana nella Galilea è stata danneggiata a causa di Israele, molti cristiani della Galilea sono venuti in Giordania. Con la Guerra dei sei giorni molti cristiani hanno lasciato Gerusalemme e Betlemme. Nel 1967 c’erano 40 mila cristiani a Gerusalemme, oggi sono 10 mila. Dopo c’è stata la guerra civile del Libano, che ha fatto scappare tantissimi cristiani. Poi la guerra in Iraq con la fine del regime di Saddam Hussein, che ha ridotto i cristiani in quel paese da un milione di mezzo a 400 mila. Ora in Siria migliaia di cristiani stanno lasciando il paese per andare negli Stati Uniti e in Europa. In Egitto, anche se si dice poco, secondo le statistiche in un anno hanno lasciato il paese 10 mila copti.

All’elenco manca solo la Giordania.
Esatto, i cristiani in Medio Oriente patiscono una guerra dietro l’altra, una persecuzione dietro l’altra. Fino ad oggi, i cristiani della Giordania hanno vissuto in pace ma nel nostro cuore alberga la paura che il nostro turno arrivi adesso, nei prossimi anni.

Lei ha vissuto molto in Palestina, che di recente ha vissuto un altro conflitto con Israele. Gerusalemme è sempre la chiesa del Calvario?
Sì. Io sono giordano ma ho fatto i miei studi in Palestina. Da 14 anni non ci posso tornare perché ho bisogno del visto e prendere il visto israeliano per noi è una umiliazione. Andare all’ambasciata di Israele e ottenere il visto, poi, non è facile. Io come molti cristiani non possiamo andare a Gerusalemme, anche per questo la chiesa di Gerusalemme è la chiesa del Calvario, ma la Giordania resta il suo polmone per quanto riguarda le vocazioni sacerdotali e la stabilità.

Ha citato la situazione della Siria e dei suoi cristiani, che la comunità internazionale non sembra in grado di aiutare.
Una situazione drammatica. Io non credo mai, perché la storia lo dimostra, che un paese faccia guerra a un altro per la democrazia. I paesi fanno la guerra per interessi economici e politici. La Siria non è un paese democratico, c’è una dittatura, ci sono enormi problemi, il regime di Assad è corrotto ma i paesi come Qatar e Arabia Saudita che mandano in territorio siriano i fanatici e gli estremisti a fare la guerra non lo fanno per la democrazia e il popolo siriano ma per i loro interessi. Arabia Saudita e Qatar non sono paesi democratici e non fanno la guerra per la democrazia: se non rispettano i diritti dell’uomo nel loro paese, come possono parlare dei diritti dell’uomo in Siria? Io non accetto discorsi sulla democrazia da loro. Il governo siriano è totalitarista, è vero, ma almeno il regime di Assad è laico, non religioso come quello di Qatar e Arabia Saudita.

Che cosa pensa di Mohamed Morsi al potere in Egitto?
Sono preoccupato. In Egitto ci sono 10 milioni di cristiani. È straordinario che chi ha fatto la rivoluzione egiziana oggi non è al governo. I ragazzi egiziani, dopo avere cacciato Mubarak, hanno perso la rivoluzione perché il potere è stato preso dai Fratelli Musulmani. Questo è incredibile dal momento che i Fratelli Musulmani in principio erano contro la rivoluzione. È chiaro che non si può che essere preoccupati per il futuro.
  • ESTREMISTI ISLAMICI DEMOLISCONO UNA CHIESA COPTA
     AD AL FAYYUM 

Qual è quindi il suo giudizio sulla Primavera araba?
La prima parte della Primavera araba è stata positiva perché nata dai giovani che non credevano più ai loro governi, volevano diritti, lavoro. Purtroppo però non è finita così, i giovani sono stati usurpati dai Fratelli Musulmani che con il benestare di Stati Uniti, Francia ed Europa sono saliti al potere. Attitudine positiva, dunque, nello slancio iniziale ma poi la primavera si è trasformata in inverno, anche per colpa di Stati Uniti, Europa, Arabia Saudita e Qatar. Io ripeto: questi ultimi due paesi sono teocrazie e allora come possono parlare di democrazia? Non rispettano i diritti dell’uomo, la libertà di culto, che cosa possono esportare loro? Guardiamo alla Libia: oggi nessuno ne parla più, eppure quelle persone ora si ammazzano tra di loro, è in atto una guerra civile terribile di cui nessuno parla. Questa è la Primavera araba.

Qual è allora la speranza per i cristiani del Medio Oriente?

Prima di tutto abbiamo speranza in Dio, nel Signore, poi nei nostri contadini che hanno equilibrio politico ed economico. Per il resto, non ci resta che avere fiducia nel futuro perché è la sola cosa che possiamo fare, non c’è altro posto per noi. Noi non vogliamo andare via dal nostro paese, Europa e Stati Uniti non sono il nostro paese, la nostra vocazione di cristiani è stare in Medio Oriente, dare testimonianza della fede qui. Speriamo quindi che la Giordania resti in pace.

Il Sinodo del Medio Oriente vi ha aiutato?
Sì, è un piano di lavoro però che non dura un anno. È stato fatto un raduno a Roma ma per applicarlo ci vorranno 20 anni, come il Concilio vaticano II. C’è dunque bisogno di tempo.

Benedetto XVI è stato in questo pontificato quattro volte in Medio Oriente, l’ultima visita l’ha fatta in Libano. Siete confortati dalla sua presenza?
Quando il Papa è vicino, quando la Chiesa ci sta vicina, anche la Chiesa italiana, per noi è una grande gioia e un grande aiuto. Ma quando i politici come Sarkozy o Clinton vengono nei nostri paesi allora abbiamo paura. Loro infatti non pensano mai al benessere dei popoli del Medio Oriente, pensano al bene dell’Europa, di Israele ma non della Giordania o dell’Egitto. Invece quando il Papa viene da noi, cristiani e musulmani provano una grande gioia, la sua vicinanza umana e spirituale ci conforta. Quando arrivano certi politici invece proviamo angoscia nel nostro cuore ed è meglio che non si facciano vedere qui da noi: abbiamo paura di loro perché sono interessati solo al gas e al petrolio.

http://www.tempi.it/noi-cristiani-di-giordania-vogliamo-restare-in-medio-oriente-ma-temiamo-qatar-francia-e-america


domenica 20 gennaio 2013

Appello di Benedetto XVI all'Angelus

BENEDETTO XVI
ANGELUS
Piazza San Pietro
Domenica, 20 gennaio 2013
 
Cari fratelli e sorelle!
 
 
(...)
Cari amici, alla preghiera per l’unità dei cristiani vorrei aggiungere ancora una volta quella per la pace, perché, nei diversi conflitti purtroppo in atto, cessino le ignobili stragi di civili inermi, abbia fine ogni violenza, e si trovi il coraggio del dialogo e del negoziato. Per entrambe queste intenzioni, invochiamo l’intercessione di Maria Santissima, mediatrice di grazia.
 
Per chi desidera diffondere nella propria parrocchia o associazione o comunque fra conoscenti le notizie riportate da OraproSiria sulla situazione dei nostri fratelli cristiani in Siria, soprattutto in questa settimana in cui celebriamo la Settimana di preghiera per l'Unità dei Cristiani, abbiamo predisposto un piccolo foglio, facilmente stampabile in fronte/retro e piegabile per ottenere un agile pamplet, con una delle ultime notizie.
Lo potete scaricare qui.
 
In futuro speriamo di potervi fornire altro materiale simile per la sensibilizzazione di tutti coloro che conosciamo, perché davvero i nostri fratelli in Siria abbiano al loro fianco un grande numero di fratelli che almeno li sostengono con la loro preghiera.
 


sabato 19 gennaio 2013

Ci vogliono terrorizzare, per questo noi cristiani fuggiamo

Appello dalla popolazione della Mesopotamia, abbandonata a se stessa

Hassakè, capoluogo della Mesopotamia (Siria Orientale), è una città fantasma, isolata dal resto del mondo. La popolazione soffre il freddo, non ha carburante, l'acqua scarseggia, c'è solo un'ora di elettricità al giorno. Oltre 25mila cristiani (siro-ortodossi, siro-cattolici, caldei, armeni) assiepati nella città, molti dei quali rifugiati dalle aree circostanti, lanciano un allarme per la sopravvivenza tramite alcuni messaggi pervenuti all'Agenzia Fides. 


Agenzia Fides 17/1/2013

Dopo l’appello diffuso due mesi fa dai tre Vescovi della regione, che “lanciavano un SOS per evitare la catastrofe” (vedi Fides 23/11/2012), “nulla è stato fatto: nessuno si cura della popolazione stremata di Hassake, che ha urgente bisogno di aiuti umanitari”, ribadiscono i Presuli.
I Vescovi, come il siro-cattolico Mons. Jacques Behnan Hindo e il siro-ortodosso Mons. Matta Roham, stanno intensificando i contatti con gli altri leader cristiani siriani e con le organizzazioni umanitarie, ma la riposta che ricevono non lascia spiragli: “E’ impossibile portare aiuti ad Hassakè perchè è troppo pericoloso e mancano le minime condizioni di sicurezza”.
Dopo la città di Tall Tamr, la regione è infestata da gruppi islamisti e terroristi che impongono numerosi posti di blocco sulle strade. Si tratta dei militanti di “Jubhat el Nosra”, fazione salafita che anche gli Stati Uniti hanno di recente inserito nela lista nera dei “gruppi terroristi”. A loro si aggiungono banditi comuni che compiono rapine, razzie, sequestri, saccheggi, anche in città. La popolazione “sta morendo lentamente, abbandonata a se stessa”, nota a Fides p. Ibrahim, prete cristiano residente ad Hassakè.
Hassakè -chiesa armena
“La popolazione soffre la fame e vive nel terrore” racconta. “Ogni giorno, alle 3 del pomeriggio, scatta una sorta di coprifuoco, perchè per le strade scorrazzano gruppi armati. Si susseguono i sequestri, a volte con richiesta di riscatto, a volte no. Nei giorni scorsi due fratelli della famiglia Bashr e due giovani della famiglia Fram sono stati uccisi a bruciapelo per strada. I giovani cristiani sono minacciati e terrorizzati, al 90% sono fuggiti dalla città. Se i giovani se ne vanno, a cosa serviranno le nostre chiese?”, dice sconsolato.
Secondo quanto racconta all’Agenzia Fides" Georgius, studente universitario cristiano che ha la famiglia ad Hassakè e che da pochi giorni si è rifugiato in Libano, “i miliziani con le bandiere nere del gruppo Jubhat el Nosra hanno preso di mira tutti i giovani nati fa il 1990 e il 1992. Li cercano, li accusano di essere militari in servizio di leva, li uccidono a sangue freddo. Vogliono terrorizzare i giovani per impedire di arruolarsi”. La popolazione di Hassakè, allo stremo delle forze, riferisce Georgius, “teme l'assalto finale alla città che potrebbe causare l' esodo definitivo dei cristiani da Hassakè”

http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=40793&lan=ita

L'Arcivescovo siro-ortodosso Roham: per sopravvivere al freddo si bruciano anche gli antichi alberi della Mesopotamia


il fiume Eufrate

Agenzia Fides 16/1/2013

Hassaké (Agenzia Fides) - Tra i disastri che segnano l'inverno di guerra sofferto dalle popolazioni siriane c'è anche la distruzione progressiva dell'ambiente e in particolare delle esigue aree boschive, come quelle finora conservate nell'area protetta di Jebel Abdel Aziz, nella Mesopotamia siriana. A lanciare l'allarme su questo ulteriore effetto della tragedia siriana è l'Arcivescovo siro-ortodosso Eustathius Matta Roham, titolare della sede metropolitana di Jazira e Eufrate.
In un appello inviato all'Agenzia Fides, Mons. Roham racconta di aver constatato di persona gli effetti rovinosi della guerra sul patrimonio naturale, in un recente sopralluogo nel Parco nazionale. “I poveri beduini dei sobborghi di Hassaké” scrive nel suo appello l'Arcivescovo, “hanno tagliato tutti gli alberi antichi”. Un saccheggio avvenuto sotto gli occhi dei guardiani del Parco, che non se la sono sentita di fare resistenza davanti alle ragioni di chi cercava legna per sopravvivere al freddo, in un Paese dove nessuno trova più combustibile per riscaldare le case e i black out elettrici si susseguono senza tregua.
La deforestazione selvaggia e i danni all'ambiente – nota l'Arcivescovo Roham – sono un effetto collaterale della catastrofe siriana fatta di “morti, distruzione, inflazione, povertà, emigrazione, rapimenti”.

"1.500 unità di attrezzature farmaceutiche e industriali sono state smantellate, requisite e trasportate dalla città di Aleppo in Turchia ", ha detto l'Ambasciatore siriano Jaafari nel corso della discussione sulla lotta al terrorismo in seno al Consiglio di Sicurezza.
Nel suo messaggio, Mons. Roham riferisce anche dei saccheggi subiti dalle case dei cristiani fuggiti da Ras- Al- Ayn, la città ai confini con la Turchia che due mesi fa è stata al centro di scontri tra ribelli e truppe lealiste.

http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=40786&lan=ita


venerdì 18 gennaio 2013

Il Patriarca Ignace Joseph III Younan di Antiochia: Stati Uniti, Europa e Paesi del Golfo fomentano l'odio in Siria

  "In questa guerra, nata come una Primavera araba pacifica hanno una enorme responsabilità Stati Uniti, Unione Europea e Paesi del Golfo. Sostenendo la ribellione, che non ha un fronte unito, essi fomentano l'odio fra la gente. Noi cristiani siamo molto delusi dal comportamento di questi Paesi, che con il loro denaro e petrolio hanno comprato le coscienze del mondo, giustificando la violenza". 



ASIA NEWS 17/01/2013

È quanto afferma ad AsiaNews, mons. Ignace Joseph III Younan, dal 2009 Patriarca di Antiochia dei siri. Per il capo della comunità medio-orientale, "i cristiani rimasti in Siria sono gli unici che possono ancora testimoniare con la loro vita e i loro valori la possibilità di una riconciliazione, ormai esclusa a priori e dal regime e dai ribelli".

Il patriarca sottolinea che la Siria è ormai a un punto di non ritorno, la sua stessa esistenza potrebbe essere cancellata e finire sotto i bombardamenti: "La situazione si fa ogni giorno più dolorosa e difficile. Qui non siamo più di fronte a una Primavera araba, ma a un conflitto confessionale fra la minoranza alawita e la maggioranza sunnita".

Nelle regioni controllate dall'esercito continuano gli attacchi suicidi delle milizie al-Nousra, gruppo terrorista legato ad al-Qaeda, responsabili dell'attentato di due giorni fa all'Università di Aleppo. Il bilancio parziale è di 87 vittime e centinaia di feriti. 

Due kamikaze si sono fatti esplodere ieri a Idlib, la principale città del nord ovest della Siria, uccidendo 22 persone. Gli attacchi dei giorni scorsi hanno scatenato una dura offensiva dell'esercito, che sta utilizzando ogni mezzo a sua disposizione, comprese le bombe a grappolo, per riguadagnare almeno la provincia di Damasco. Testimoni raccontano che un'offensiva senza precedenti è in corso a Daraya, a Sud-Ovest della capitale. Fino a prima della guerra la città aveva oltre 200mila abitanti, ma ora è deserta e i pochi sopravvissuti rischiano di morire sotto i bombardamenti. 

Ieri, Maher al-Assad, colonello dell'esercito siriano e fratello del presidente Bashar, ha dato ordine di "liberare Daraya dai ribelli, a costo di radere al suolo ogni abitazione". L'offensiva dell'esercito continua anche ad Homs, dove secondo l'Osservatorio siriano per i diritti umani, i militari avrebbero compiuto un nuovo massacro della popolazione, uccidendo oltre 106 persone, fra cui molte donne e bambini.

Mons. Ignace Joseph III Younan sottolinea che negli anni passati la Chiesa ha più volte invitato il regime a cambiare il sistema di governo totalitario, favorendo la democrazia. "Io stesso - dice - ho espresso questa opinione alla televisione di Stato siriana. Il cambiamento deve avvenire, ma non con la violenza, frutto dell'odio confessionale, che potrebbe durare decenni anche a guerra finita". Per questa ragione il prelato indica che l'unica strada è una riconciliazione vera anche con la partecipazione di membri del regime. "Non si possono fare accordi - spiega - con delle precondizioni. In caso di una salita al potere dei ribelli, che vogliono la testa di Assad, la comunità alawiti scomparirebbe e forse anche le altre minoranze. Lo stesso rischio vi è con le condizioni imposte dal presidente che vuole cacciare dal Paese tutti i sunniti".

"Guardando ai fatti accaduti in Iraq - aggiunge - e alle conseguenze della guerra siriana in Libano, noi cristiani del Medio oriente siamo di fronte alla sfida più grande della nostra storia: restare nelle nostre città e parrocchie e convincere i nostri giovani a non fuggire. Il nostro ruolo è fondamentale per la riconciliazione di popolazioni divise dall'odio. Come ci ha indicato il Papa dobbiamo pregare e lavorare per la pace, il dialogo, la riconciliazione e la difesa dei diritti umani di tutte le comunità presenti in Siria".
Damasco: quartiere cristiano di Bab Touma

La comunità dei siro cattolici è presente in tutto il Medio oriente. La maggior parte dei fedeli vive in Iraq (42mila) e Siria (26mila), dove la comunità più importante risiede proprio ad Aleppo. Come il resto delle chiese mediorientali, la chiesa siro-cattolica soffre la diaspora dei suoi membri. Secondo le stime sono oltre 55mila le persone rifugiate nei Paesi occidentali.  

http://www.asianews.it/notizie-it/Patriarca-siro-cattolico-di-Antiochia:-Stati-Uniti,-Europa-e-Paesi-del-Golfo-fomentano-l'odio-in-Siria-26896.html

Al- Nousra, la brigata jihadista che fa paura ai ribelli siriani . Messaggio dai Fratelli Maristi di Aleppo

Vicina ad al-Qaeda, essa è legata all'attentato all'università di Aleppo. Al-Nousra e altri gruppi islamisti stanno imponendosi con la forza su tutti gli oppositori. Essi sono disposti a uccidere chiunque ostacoli uno Stato islamico in Siria.

AsiaNews  18/01/2013-

Il Free Syrian Army, l'esercito di disertori che combatte Bashar al-Assad, ha un nuovo nemico: le milizie estremiste giunte in Siria per costruire uno Stato islamico. Una volta caduto il regime, l'opposizione rischia di essere il nuovo obiettivo delle brigate al-Nousra, movimento vicino ad al-Qaeda e dei suoi affiliati.
 In questi giorni gli estremisti hanno rilasciato varie interviste ad al-Jazeera e alla Bbc dove dichiarano che il loro principale obiettivo è la costruzione di uno Stato islamico in Siria e che sono pronti a combattere contro i loro alleati rivoluzionari.
Alcuni affiliati al movimento avrebbero rivendicato l'attentato all'università di Aleppo dello scorso 15 gennaio che ha fatto 87 morti e centinaia di feriti. Al momento il gruppo più numeroso si trova proprio ad Aleppo dove vi sarebbero centinaia di combattenti islamisti. Ma per paura di ritorsioni, gli stessi ribelli negano tali voci. Tuttavia nella città la presenza islamista non si può più nascondere. Per le strade si vedono di continuo auto e pick-up che espongono bandiere nere con iscrizioni religiose. Il nero è il colore di al-Qaeda e delle altre formazioni jihadiste.
Fino ad ora, al-Nousra ha agito al fianco delle decine di gruppi ribelli attivi nella lotta contro il regime, ma come afferma Sakr Idlib, 24 anni del Free Syrian Army, essa impone a tutti il suo punto di vista. Secondo il giovane combattente, dopo la caduta del regime "gli islamisti faranno di tutto per prendere il potere. Il loro obiettivo è fare della Siria uno Stato islamico basato sulla sharia. "L'Fsa - aggiunge il giovane - è contro queste persone e si batte per la libertà e la democrazia e non vuole una nuova dittatura".
Arrivate in segreto sul campo di battaglia siriane, le milizie jihadiste sono ormai uscite allo scoperto. Nonostante il loro inserimento nella lista dei gruppi terroristi stilata dagli Usa, esse rilasciano interviste e filmati alle reti internazionali, La loro principale aerea di influenza è la provincia di Idlib, ma gruppi affiliati sono presenti ad Aleppo, Damasco, Homs e in altre aree del Paese. In un'intervista rilasciata lo scorso 10 gennaio ad al-Jazeera, uno dei loro leader di nome Mustafa, sottolinea che "questo conflitto è una grande opportunità per chi cerca l'onore del martirio".
Fra i membri di al-Nousra, tutti musulmani sunniti, vi sono siriani, ma anche stranieri provenienti da Tunisia, Egitto, Libia, Turchia e Afghanistan. Alcuni miliziani non parlano arabo e hanno bisogno di interpreti per comunicare con i propri commilitoni.
 In un reportage pubblicato da Reuters sulla presenza dei gruppi islamisti ad Aleppo, Khattab, combattente afghano, afferma che "la Siria sarà uno Stato islamico in cui la sharia prevarrà e non accetteremo nient'altro. Rifiutiamo democrazia e laicismo". L'uomo parla poco l'arabo ed è giunto ad Aleppo nell'estate del 2012. "Combatteremo - aggiunge - anche se si tratterà di sparare contro gli stessi rivoluzionari".

http://www.asianews.it/notizie-it/Al--Nousra,-la-brigata-jihadista-che-fa-paura-ai-ribelli-siriani-26901.html




Kurds demand support from Syria opposition as rebels attack

Read more: http://www.dailystar.com.lb/News/Middle-East/2013/Jan-19/202956-kurds-demand-support-from-syria-opposition-as-rebels-attack.ashx#ixzz2IQsTjW00
(The Daily Star :: Lebanon News :: http://www.dailystar.com.lb)



ULTIMO AGGIORNAMENTO DA ALEPPO, 18 GENNAIO 2013:
NUOVO ATTACCO POCO DISTANTE  DALLA CASA DEI FRATELLI MARISTI 

Per tutti i fratelli Maristi e amici in tutto il mondo: Grazie a tutti per l'interesse con cui accompagnate la nostra situazione. Abbiamo appena vissuto un momento di paura e di angoscia ... Nel nostro quartiere, la morte, l'odio, il terrore è venuto a stabilirsi, distruggendo, uccidendo persone che andavano a riposare in questo giorno di vacanza, Venerdì 18 gennaio 2013. E' vero che siamo sani e salvi, ma gli altri: bambini, donne, uomini, tutti coloro che si preparavano per andare alle preghiere del Venerdì, la gente comune, i volti di tutti i giorni ...
Signore per quanto tempo? Abbi pietà, abbi pietà, abbi pietà ... il tuo popolo sta soffrendo, le persone sono in lutto, la tua gente è terrorizzata ... La nostra lampada vacilla, Signore, ascolta la nostra preghiera ... e tu, Maria, nostra Buona Madre, che invochiamo ancora una volta questa mattina: Salve Regina, Maria,  nostro rifugio e  nostra speranza, eccoci qui, in questa valle di lacrime ... Maria, aiutaci, rafforza la nostra speranza che vien meno, prega per noi.

Fratel Georges Sabe





mercoledì 16 gennaio 2013

Ultime, tristi, notizie dalle Monache Carmelitane di Aleppo



Mercoledì 16 Gennaio 2013 ore 15

        Infine, Internet è tornato dopo due settimane di sospensione ...
Ultime notizie, molto tristi. Ieri, due esplosioni violente si sono verificate appena fuori del Carmelo (per chi conosce il sito, si trova all'incrocio di fronte al Convento di Gesù Operaio prima delle suore di Madre Teresa e del Vescovado latino). Per noi, il danno è abbastanza significativo: una cinquantina di finestre rotte e vetri quasi interamente andati. Nella cappella, le due finestre ai lati del tabernacolo si sono rotte e il grande cancello di ferro dell’ingresso letteralmente strappato e gettato dentro. Abbiamo trovato pietre dappertutto, anche nei chiostri in basso. Grazie a Dio, noi abbiamo avuto solo un lavoratore che lavorava con noi in casa che è rimasto ferito e ustionato. Ci auguriamo che  non sia troppo grave. Noi non sappiamo ancora il numero delle vittime o la causa dell'attacco. Siamo profondamente ferite. Grazie per pregare con noi per tutte le vittime.!

          Ultime notizie : ore 16 del pomeriggio

Infine: l'attentato è stato rivendicato da un gruppo di "Qa'ida" proprio nel giorno in cui avrebbe dovuto iniziare la sessione degli esami universitari ...
Sarebbero due missili inviati sull'Università. Il numero delle vittime sale a oltre 200, con innumerevoli feriti. L’ Università ospitava un gran numero di famiglie sfollate, c'è una gran folla in questo quartiere, oltre agli studenti.
Una grande prova per le nostre sorelle vicine di « Jésus Ouvrier » : una delle sorelle, suor Rima (anni quaranta) è scomparsa. Dovrebbe essersi trovata di fronte al convento al momento dell'esplosione. Ma non c'è modo di trovare alcuna traccia di lei, né tra i morti né tra i  vivi. Questo è un colpo molto duro per tutti noi che ci sconvolge, tanto più che le Sorelle avevano già dovuto lasciare un altro convento di Aleppo, nel quartiere povero e pericoloso di Midan (e tutto ciò che c’era nella casa è stato devastato...) ; e ormai erano solo in due al « Jésus Ouvrier », non avendo potuto aprire quest'anno il pensionato delle studentesse. Suor Paola poverina piange tutte le lacrime che ha in corpo .... Ha dovuto rifugiarsi nella casa delle nostre vicine, le Suore del Verbo Incarnato.
 

              Carissimi amici,
              Ci scusiamo per questa lettera collettiva, ma questo è l'unico modo per noi di arrivare a voi .... prima della Quaresima che sarà ben presto quest'anno! Siamo molto "handicappate" per le interruzioni di corrente e la connessione internet! Per più di una settimana sono stata bloccata,  ed ero già in ritardo! E non c'è ancora internet. Ho tuttavia preparato questo messaggio per ringraziarvi tutti per le vostre preghiere ferventi per la Siria e per la nostra comunità. Siamo molto toccati da quanto prendete a cuore la nostra prova. Questa è una grande consolazione per noi. E credetemi, la nostra gratitudine va a ciascuno di voi personalmente. Perciò coloro che ci hanno scritto ci perdoneranno di non rispondere in modo personale. Nella nostra preghiera, hanno tutti e ciascuno un posto molto speciale!

 -Troverete allegata una circolare che vi darà qualche notizia di qui. Da allora, la situazione purtroppo non è migliorata, ma noi vorremmo mantenere la speranza ....

                Grazie per continuare a portarci nel vostro cuore e nella preghiera. Questo è il più grande aiuto che ci potete offrire. Vi presentiamo i nostri migliori auguri per un santo anno nella Fede e nella Speranza (senza dimenticare la Carità che le unisce  e illumina!)

                Sr A-Françoise de la Nativité, a nome della Priora e di ciascuna

La "Primavera Araba" di Aleppo

Cari amici, 
Soltanto un paio di righe per raccontarvi che stiamo bene però che sono già tanti i giorni senza elettricità, senza telefono né collegamento a internet. Abbiamo perso il conto dei giorni senza questi servizi! 
Fa tanto freddo e in questi giorni addirittura ha iniziato a nevicare.

Ieri è esplosa una bomba alla Università di Aleppo, molto vicino a casa nostra. Le vittime e i feriti sono stati tante. Ricordatevi di loro nelle vostre preghiere.

Vi lasciamo un caro saluto e vi chiediamo che continuiate a pregare perché la guerra finisca.

Padri e Suore missionari IVE ad Aleppo.

È salito ad almeno 82 morti accertati e a oltre 160 feriti il bilancio del duplice attentato dinamitardo che in pieno giorno ha colpito l'Università di Aleppo, massima istituzione culturale nella Siria settentrionale: lo ha reso noto il governatore della seconda città siriana, Mohamed Wahid Akkad, il quale ha confermato che le esplosioni sono state due. Sembra siano avvenute in un'area intermedia tra i dormitori studenteschi e la sede della facoltà di Architettura. "È stato un attacco terroristico, che ha preso di mira gli studenti nel loro primo giorno di esami", ha aggiunto Akkad. Dopo mesi di furibondi combattimenti quotidiani, il confronto tra lealisti e insorti nella capitale economica del Paese è giunto a un punto morto, e ciascuna fazione ne controlla soltanto una parte: l'ateneo si trova comunque nel territorio presidiato dall'Esercito governativo

http://www.avvenire.it/Mondo/Pagine/siria-bombe-a-università-aleppo.aspx


martedì 15 gennaio 2013

PROFUGHI PERCHE'


Si susseguono in questi giorni le struggenti notizie relative alle miserevoli condizioni dei rifugiati siriani nei campi profughi in Giordania, in Turchia e in Libano. Ci provoca ad una riflessione il titolo dato da "Il Sussidiario.net" ad una bella testimonianza del volontario della ONG Italiana AVSI che opera in un campo profughi siriano in Libano: "I bimbi che fuggono da Assad vanno a scuola nel Sud del Libano" ...

 


PROFUGHI
Durante la guerra nella ex Jugoslavia mi sono recato diverse volte nelle regioni orientali della Croazia per portare a destinazione aiuti umanitari (medicinali, viveri, generatori elettrici...) che consegnavamo ai parroci di alcuni villaggi posti lungo il fiume Sava, fiume che segna il confine con la Bosnia Erzegovina. Uno dei ricordi più vivi di quei giorni è quello dell'arrivo dei profughi dalla Bosnia che attraversavano il fiume su grossi barconi e sbarcavano in terra croata per fuggire dagli orrori della guerra che, in quei giorni drammatici, infuriava in molte città bosniache.
Due particolari mi avevano allora colpito più di tutto. Il primo: il silenzio. Malgrado sui campi a fianco della sponda del fiume si ammassassero centinaia e talvolta migliaia di persone non si sentivano né grida né rumori. Per ore l'unico suono percepibile era lo sciabordio dell'acqua che sbatteva contro il legno dei grossi barconi. Il secondo: lo sguardo dei vecchi. Non vi era odio, come nei giovani, né disperazione come in molte donne, direi che vi era solo stupore. Si intuiva una domanda che però nessuno poneva: “perchè? Perchè mi avete costretto a lasciare la mia casa, i miei campi, le mie abitudini, i ricordi di sessanta, settanta anni di vita? Non sapete che troncando così le mie radici mi avete condannato ad una sorte peggiore della morte?”.
A me, legatissimo come sono ai luoghi dove sono nato, alla mia casa, ai miei animali ed al mio orticello, quegli sguardi, quelle interrogazioni mute, ma di una eloquenza impressionante, provocavano un'angoscia che ancora adesso non è svanita. Questa è la ragione per cui mi sento particolarmente coinvolto, anche emotivamente, ogni volta che sento parlare di profughi. Perchè so quale spaventosa tragedia umana si nasconde dietro questa parola che noi pronunciamo con troppa facilità. Per questo mi sento particolarmente indignato quando vedo qualcuno letteralmente sfruttare a scopi politici e propagandistici la tragedia di chi è stato costretto a  fuggire dalle proprie case per cercare rifugio in un'altra città o, peggio, in un Paese straniero.
Purtroppo è quello che invece sta succedendo in Siria.
Centinaia di migliaia di persone sono fuggite dai loro villaggi e sono ospitate in approssimativi centri di accoglienza all'interno del Paese o nella nazioni confinanti, in particolare Turchia e Giordania. Le ragioni per cui sono fuggite sono le più diverse: molti sono famigliari dei rivoltosi che temono le vendette delle forze di sicurezza, altri sono Cristiani e Alauiti cacciati dalle loro case dalle bande di integralisti e di salafiti, altri ancora semplicemente fuggono le violenze della guerra. Per i mass media occidentali però tutti sono utilizzati esclusivamente come argomento di polemica contro il Presidente Assad, come se fosse stato lui a volere la guerra che sta distruggendo la Siria e che forse alla fine segnerà anche la sua sorte. Questo è il solo aspetto che viene colto da molti organi di informazione, compresi, ma non è una sorpresa, quelli cosiddetti cattolici. Invece di preoccuparsi a come lenire (e soprattutto abbreviare) le sofferenze dei profughi sono invece impegnatissimi a studiare come utilizzarli nella guerra di propaganda scatenata a sostegno di una delle parti in guerra.
Mi ricordo un episodio della guerra in Kossovo. Allora i cattivi per definizione erano i Serbi ed i buoni gli Albanesi, in difesa dei quali gli aerei Nato stavano sganciando tonnellate di bombe su tutto il territorio della Repubblica di Serbia. Un giornalista (mi pare, ma non ci giurerei, di RAI 1) chiese ad alcuni profughi cosa stavano facendo di così tremendo i Serbi per provocare la fuga di tante persone. “Ma quali Serbi” fu la risposta “ noi stiamo scappando perchè gli aerei della Nato bombardano le nostre case”.
Bisognerebbe imparare, davanti a tragedie come quelle dei profughi, a mettere da parte polemiche e propaganda, ed a pensare ad una sola cosa: aiutarli.
Mario Villani



GIORNATA MONDIALE DEL RIFUGIATO
 Angelus del Santo Padre:
 "Cari fratelli e sorelle! Celebriamo oggi la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato. Nel Messaggio di quest’anno ho paragonato le migrazioni ad un «pellegrinaggio di fede e di speranza». Chi lascia la propria terra lo fa perché spera in un futuro migliore, ma lo fa anche perché si fida di Dio che guida i passi dell’uomo, come Abramo. E così i migranti sono portatori di fede e di speranza..."

 



Migliaia di bambini profughi siriani costretti a vivere al freddo in accampamenti precari


4/1/2013 Agenzia Fides

A Dalhamieh, un piccolo villaggio della Valle della Bekaa, circa 30 chilometri ad est di Beirut, i rifugiati siriani sono sparsi in un accampamento informale dove le tende si moltiplicano di giorno in giorno. Fino a qualche giorno c’erano 698 persone, tra queste 86 bambini con meno di 2 anni, giunti dalla Siria senza niente e che ora si trovano a dover far fronte alle rigide temperature invernali. Le tende sono fatte di cartone, plastica e sassi e non sono sufficienti per il clima rigido della zona. Quando piove l’acqua filtra all’interno, i piccoli per proteggere le gambe dal fango quando camminano mettono ai piedi buste di plastica. Secondo le ultime statistiche dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, i profughi registrati o in attesa di registrazione in Libano sono oltre 160 mila. Tuttavia, il numero reale è notevolmente superiore visto che molti per timore preferiscono non registrarsi. Nelle regioni libanesi del Nord e Bekaa si calcolano circa 35 mila bambini siriani con meno di 14 anni che vivono in condizioni meterologiche estreme. La priorità è mantenere i piccoli al caldo, al sicuro e sani. La scorsa settimana circa 270 rifugiati sono stati ricoverati in ospedale. C’è anche il pericolo di epidemie di epatite e colera. Le latrine sono inondate e non ci sono i mezzi per mantenere strutture igieniche adeguate. Nel piccolo villaggio di Adous stanno aumentando i ricoveri negli ospedali. ...

http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=40684&lan=ita









I Vescovi maroniti: l'afflusso dei profughi dalla Siria rischia di destabilizzare il Libano 

Agenzia Fides 10/1/2013

Beirut . L'ospitalità verso i profughi che fuggono dalla Siria dilaniata dalla guerra è un atto meritorio che va incentivato. Ma con l'aumento inarrestabile del numero dei rifugiati crescono anche le insidie alla stabilità politica e all'ordine sociale “che il Libano non è in grado di sostenere”. Così ieri, nella consueta riunione mensile convocata preso la sede patriarcale a Bkerké, il Sinodo dei Vescovi maroniti ha preso atto dell'inquietudine che attraversa il Paese, i cui fragili equilibri sono messi a dura prova dalla crisi economica e dagli effetti della guerra civile nella vicina Siria. I Vescovi maroniti hanno anche auspicato che le forze politiche trovino un accordo proficuo e ampiamente condiviso per varare una nuova legge elettorale, denunciando nel contempo il rischio di paralisi e di collasso a cui porterebbe inevitabilmente il perdurante accaparramento in chiave privata o settaria delle istituzioni nazionali.
Nel comunicato finale, pervenuto all'Agenzia Fides, l'Episcopato maronita affronta con avveduto discernimento pastorale i nodi politici e istituzionali della crisi libanese, richiamando tutti a servire la pace in quella parte del mondo - il Medio Oriente - “che Dio ha scelto per rivelare il mistero della salvezza e della redenzione”. I Vescovi della più rilevante comunità cristiana libanese esaltano le iniziative caritatevoli messe in campo a favore dei profughi provenienti dalla Siria. Ma esprimono anche inquietudine “per l'aumento quotidiano del numero dei rifugiati, e tra loro per la presenza dei palestinesi. I soccorsi umanitari, che esigono la convergenza di tutti gli sforzi – osserva il sinodo maronita - esigono anche, accanto all'empatia, che l'autorità libanese prenda le misure necessarie affinché l'ospitalità offerta ai profughi tenga conto delle minacce politiche, sociali e connesse con la sicurezza che il Libano non è in grado di sostenere”.

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L'Arcivescovo Maroun Lahham: apriamo le nostre chiese ai profughi siriani del campo di Zaatari


Amman (Agenzia Fides) 12/1/2013

 Davanti alla catastrofe umanitaria che incombe sul campo profughi di Zaatari – dove le tempeste di neve e la pioggia gelida negli ultimi giorni hanno spazzato via centinaia di tende – l'Arcivescovo Maroun Lahham, Vicario patriarcale per la Giordania del Patriarcato latino di Gerusalemme, apre le porte delle chiese e dei complessi parrocchiali per accogliere i rifugiati siriani. “Tutte le nostre chiese e le sale parrocchiali, a partire dai locali del centro Notre Dame de la Paix di Amman – dichiara all'Agenzia Fides – sono pronte a accogliere i nostri fratelli siriani cristiani e musulmani, finora tenuti nel campo di Zaatari. Ci prenderemo cura di tutti quelli che riusciremo a ospitare”.
Proprio ieri, alcuni rappresentanti della comunità assira legati all'Assyrian Human Rights Network avevano chiesto di aprire le porte delle chiese presenti in Giordania per accogliere i profughi di Zaatari, dove le piogge torrenziali e il gelo di questi giorni – riferisce l'appello – avrebbero già causato alcune vittime tra i bambini, gli anziani e le donne. L'appello era stato sottoscritto anche da esponenti dell'opposizione siriana, come l'attivista curdo Abdul Basit Sida e il businessman siriano Adib Shishakly, residente in Arabia saudita.
Nei giorni scorsi, il direttore di Caritas Giordania Wael Suleiman, contattato dall'Agenzia Fides, aveva auspicato la chiusura del campo profughi di Zaatari, dove le tormente hanno reso insostenibili le già precarie condizioni di vita, provocando rivolte tra i 60mila profughi che vi si trovano ammassati. I profughi siriani che hanno trovato rifugio in Giordania sono già oltre 280mila. L'Arabia Saudita ha annunciato ieri di aver stanziato 10 milioni di dollari in loro favore, per finanziare iniziative d'emergenza davanti alle ulteriori difficoltà provocate dal maltempo.
I profughi siriani registrati dall'Onu nei Paesi del Medio Oriente sono più di 600mila. Secondo le proiezioni fornite dall'Onu, se il conflitto continuerà, da qui a giugno diventeranno oltre un milione.  

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domenica 13 gennaio 2013

Estorsione, settarismo si diffondono nella Siria settentrionale senza legge

La perdita di controllo del regime siriano sulle zone settentrionali ha creato un vuoto di potere che alimenta estorsione e  settarismo, esponendo i civili ai criminali e agli estremisti: il racconto dei residenti e degli attivisti. I Cristiani in trappola



 Una preoccupazione di molti dei residenti sono i posti di blocco presidiati da milizie armate di appartenenza sconosciuta.
  "Siamo passati attraverso molti punti di controllo dell’ Esercito Siriano Libero (FSA) nei villaggi sulla strada da Homs a Hama senza alcun problema. Ma fuori Saraqeb, ci siamo ritrovati in un posto di blocco strano", ha detto un testimone a AFP, dando il suo nome solo come "Mark ".

 "Di solito la ricerca dei ribelli è per i soldati, ma questa volta era diverso. Tre uomini armati sono saliti a bordo del bus e ha detto ai cristiani di alzare la mano."
 A nove uomini cristiani, tra cui sette armeni, è stato ordinato di scendere dal bus, mentre gli uomini armati controllavano i Documenti di Identità, secondo Mark, che è stato scambiato come assistente del conducente e risparmiato dagli interrogatori.
A un uomo curdo che ha cercato di intervenire "Scendi. Sei troppo con Bashar ", hanno detto , riferendosi al presidente siriano Bashar al-Assad.
 Mark, 26 anni, ha detto che un uomo barbuto che indossava un abito tradizionale è salito a bordo del bus e ha ordinato alle donne senza velo per coprire i capelli, chiamandole puttane.
 "Indicò una donna che indossava una croce e le disse di consegnarla. L'ha afferrata e ha cominciato a  calpestarla."
 A quel punto una donna velata è intervenuta: "Figlio mio, non abbiamo mai usato parlare o pensare in questo modo in Siria. Queste persone sono i nostri vicini e non hanno nulla a che fare con la politica.".
 "Tu non conosci queste persone. Sono kuffar (infedeli)," ribatté.
 Dal suo punto di osservazione, Mark ha detto di aver visto gli uomini armati fermare un altro autobus e tirare fuori due donne per i capelli.
 Un attivista siriano per i diritti, che ha parlato a condizione di anonimato temendo ritorsioni, ha detto che gli uomini armati erano membri della formazione estrema islamista Al-Nusra .
 "Al-Nousra è responsabile. Hanno preso gli uomini perché erano cristiani e il curdo, perché ha protestato per quello che stavano facendo." 


Il giorno dopo, un uomo sulla sessantina è stato liberato e inviato a Aleppo, malmenato, per garantire un riscatto di 3,3 milioni di lire siriane ($ 48.000 / € 37.000), solo per avviare i negoziati per la liberazione degli uomini rimasti.
 Gli fu detto che gli ostaggi, tra cui suo figlio, sarebbero stati uccisi se la richiesta non fosse stata soddisfatta.
 Una fonte informativa nella comunità armena di Aleppo ha detto che i negoziati erano in corso per ottenere il rilascio del gruppo, che a loro avviso si otterrà da Jund Allah, o "soldati di Dio", che è vicino a Al-Nousra.
 Gli uomini sono stati trattenuti in Taftanaz, a circa 15 chilometri (nove miglia) a nord di Saraqeb, ha detto l'attivista per i diritti.
 Gli osservatori dicono che, mentre l'estorsione è diventata dilagante in Siria, anche il settarismo è in ascesa in un paese a maggioranza sunnita nettamente diviso dal regime al potere, che è dominato dalla comunità di minoranza alawita di Assad.
 L'attivista per i diritti ha detto che i combattenti islamici stanno diventando sempre più influenti nelle zone di fuori del controllo del regime. "Queste persone sono molto pericolose per la rivoluzione siriana, perché non capiscono cosa sia la democrazia. Non è per questo che sono qui ... vogliono solo combattere la kuffar". Ha previsto uno scontro tra la FSA e Al-Nusra frontale, il gruppo dominante islamista, nelle prossime settimane.
 Altri dicono che, mentre una dimensione islamista esiste, non deve essere sopravvalutata, soprattutto quando appare a fianco della criminalità.
 "Alcuni gruppi armati sono rivoluzionari, altri gruppi armati sono solo criminali, e alcuni rivoluzionari usano metodi criminali," ha detto l’attivista della opposizione Abu Hisham di Aleppo alla AFP.
 "Non si tratta di religione, questo è business", ha detto un membro della comunità armena di Aleppo. "Sanno che i cristiani hanno il denaro e pagheranno", ha detto, parlando in condizione di anonimato, aggiungendo che Saraqeb è noto per i sequestri di persona. "Chiaramente c'è un colore islamista nella rivoluzione, ma questa non è tutta la storia."
 Dopo gli attacchi contro posti di blocco dell'esercito regolare in Saraqeb , è apparso un video pubblicato su Internet per mostrare l’esecuzione dei soldati che si erano arresi da parte dei combattenti dell'opposizione
 Per i siriani ordinari, la distinzione tra ladri e islamisti è irrilevante.

Maria, una vicina di casa di uno degli ostaggi dei bus, ha detto che stava progettando di lasciare Aleppo prima del rapimento. "Non riesco a dormire la notte a causa del rimbombo dei colpi di mortaio. Ho programmato di andare a Latakia (sulla costa), ma dopo il rapimento ho paura di viaggiare ovunque."
 Anche la strada per l'aeroporto di Aleppo è troppo rischiosa. "Siamo intrappolati in una prigione."



Una comunità cristiana intrappolata e ridotta allo stremo a Nord di Aleppo

Circa mille fedeli cristiani, fra greco-ortodossi e cattolici latini, sono intrappolati nel piccolo villaggio di Yaakoubieh, tutto cristiano, a Nord di Aleppo. Ridotti allo stremo, senza cibo, senza elettricità, in mancanza dei beni di prima necessità, si trovano nel bel mezzo di pesanti combattimenti fra forze lealiste e gruppi di opposizione. Sono impossibilitati a lasciare il villaggio e “sono in condizioni disastrose, dove rischiano l’estinzione”.
.......
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=40737&lan=ita

Le minacce  si estendono anche ai tre sacerdoti  del villaggio,  Padre Jallouf, parroco cattolico di Qnayeh,  Padre Rizk, sacerdote greco-ortodosso di Jdaydeh ed il curato armeno-ortodosso di Ya'coubieh.


venerdì 11 gennaio 2013

Il Vescovo di Hassaké : Il nostro grano saccheggiato e venduto ai turchi

Appelli dell'Arcivescovo Hindo al Premier irakeno al-Maliki e alla Fao

 Due appelli urgenti sono stati rivolti alla Presidenza della Fao - l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura, con sede centrale a Roma – e al Primo Ministro irakeno, Nuri al-Maliki, con la richiesta di un intervento immediato davanti all'emergenza umanitaria che sta stritolando centinaia di migliaia di siriani nella regione di Jazira, nell'Alta Mesopotamia siriana. 

Agenzia Fides 2/1/2013 
 A richiamare di nuovo l'attenzione su uno dei tanti versanti oscurati del dramma siriano è l'Arcivescovo Jacques Behnan Hindo, titolare della arcieparchia siro-cattolica di Hassaké-Nisibi: le cose si aggravano in fretta, e la situazione – avverte l'Arcivescovo siriano - “potrebbe presto diventare catastrofica”.
Nel testo dell'appello alla Fao, inviato anche all'Agenzia Fides, il deterioramento delle condizioni di sopravvivenza della popolazione dell'area è delineato nei dettagli. All'inizio dell'inverno, ogni attività economica appare paralizzata. Le strade per i rifornimenti in direzione ovest sono interrotte da più di un mese, e ciò provoca il progressivo esaurimento dei beni di prima necessità e un aumento vertiginoso dei prezzi di tutte le derrate. 

La mancanza di carburanti impedisce il riscaldamento delle abitazioni e ha portato al blocco totale di tutte le attività agricole, proprio mentre inizia la stagione della semina. “I silos di grano - riferisce in particolare l'Arcivescovo Hindo - sono stati saccheggiati e il frumento è stato venduto a commercianti turchi che lo hanno convogliato in Turchia, sotto lo sguardo dei doganieri turchi. Il nostro grano è stato venduto a un prezzo molto basso”. La regione di Jazira era rinomata per la produzione di grano di ottima qualità. Nei decenni scorsi, a prelevare sottocosto il frumento pregiato dell'area, erano le politiche agricole del governo centrale di Damasco. 

Oltre al grano saccheggiato, l’Arcivescovo Hindo denuncia la progressiva scomparsa di altri prodotti vitali, come il latte per i bambini e le medicine, a partire dagli antibiotici. L'unica rotta di collegamento con l'esterno rimane la strada internazionale diretta in Irak, che collega l'Alta Mesopotania siriana a Mossul. Nel testo del suo secondo appello, rivolto al Premier irakeno Al-Maliki, Monsignor Hindo pone al leader politico del Paese confinante una richiesta concreta: “Vi preghiamo di soccorrerci il più in fretta possibile, inviandoci 600 cisterne di carburante, 300 cisterne di benzina e alcune tonnellate di farina”. L'Arcivescovo siriano, nel messaggio inviato anche a Fides, accomuna le sofferenze vissute adesso dal suo popolo con quelle che gli iracheni hanno provato nel loro recente passato: 
Noi - scrive Monsignor Hindo ad al-Maliki - soffriamo ciò che ha sofferto il popolo irakeno per l'imposizione dell'embargo. Le prime vittime sono stati i bambini. Voi avete provato nei vostri corpi, nelle vostre anime e nei vostri bambini, tutta l'ingiustizia che ne deriva. Perché ad essere punito è solo il popolo, e non il governo. Gli Stati così pongono i loro interessi al di sopra degli interessi degli uomini, e anche al di sopra dei diritti che Dio ha su ciò che è opera Sua”.
La regione di Jazira, con i centri urbani di Kamishly e Hassakè (capoluogo dell'omonimo governatorato) contava un milione e mezzo di abitanti, ai quali dall'inizio della guerra civile si sono aggiunti almeno 400mila profughi provenienti da Aleppo, Homs, Deir-Ez-Zor e Damasco.


giovedì 10 gennaio 2013

L’Arcivescovo Nassar: “A Damasco profughi palestinesi costretti all'esodo, come la Sacra Famiglia”

In questi giorni del tempo di Natale “non è insolito vedere famiglie palestinesi aggirarsi per le strade di Damasco. Genitori con in braccio i bambini, seguiti da altri figli più grandi che si portano dietro pacchi e bagagli. Lacrime negli occhi delle donne, rabbia negli occhi degli uomini, tristezza negli occhi dei bambini”.


Agenzia Fides 8/1/2013

Damasco -  In un messaggio inviato all'Agenzia Fides, l'Arcivescovo di Damasco dei Maroniti, Samir Nassar, delinea il doppio dramma dei profughi palestinesi travolti dalla guerra civile siriana, paragonando il loro penoso vagare a quello vissuto da Gesù, Giuseppe e Maria. “Migliaia di palestinesi - riferisce l'Arcivescovo - hanno dovuto lasciare i campi nei quali vivevano dal 1948”. Alcuni cercano di raggiungere il Libano. Ma per la gran parte, il secondo esodo si trasforma presto nell'angosciosa ricerca di un qualsiasi rifugio di emergenza nei centri urbani, a partire da Damasco.
Nella desolazione del momento, l'Arcivescovo Nassar descrive con commossa gratitudine l'arrivo nella capitale siriana del nuovo Patriarca greco ortodosso, Ioann X Yazigi: “in un tempo in cui tutti stanno lasciando la città, il nuovo Patriarca greco ortodosso Yohanna X è arrivato a Damasco il 20 dicembre, giorno della festa di Sant'Ignazio di Antiochia, del quale lui è successore... I suoni delle campane si mischiavano con le esplosioni dei bombardamenti”. In mezzo a segni così contraddittori, il Patriarca – fa notare monsignor Nassar “è accorso per essere in mezzo al suo popolo che vive nel tumulto da 22 mesi, per confermare la loro fede, la loro missione, la loro identità e testimonianza, invitando nel tempo di Natale tutti al perdono, alla riconciliazione e al dialogo, unici strumenti di pace in un Paese straziato dalla violenza”.

http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=40706&lan=ita


Il direttore della Caritas Giordania: rivolta nel campo di Zaatari, devastato dalla tormenta; per fuggire i profughi scelgono di tornare in Siria


Agenzia Fides 9/1/2013
Le tempeste di neve, vento e pioggia gelida abbattutesi sul Regno hashemita hanno avuto effetti devastanti sul campo profughi di Zaatari, nel deserto giordano, dove vivono ammassati in una situazione sempre più intollerabile 50mila dei rifugiati fuggiti dalla guerra civile siriana. “Le tormente - riferisce all'Agenzia Fides Wael Suleiman, direttore di Caritas Giordania - hanno distrutto almeno 500 tende del campo. In mezzo al deserto, i profughi vivono una condizione ormai insostenibile, in cui c'è da diventare pazzi. Non abbiamo ancora notizie di morti, ma certo in molti si sentiranno male e avranno bisogno di essere curati. Alcuni hanno ripreso la via della Siria. Preferiscono i rischi di un Paese dilaniato della guerra alla prospettiva di veder morire i propri bambini nell'inferno del campo profughi”.
Dopo tre giorni di pioggia e neve, il fango ha travolto le tende che ospitano i rifugiati, comprese quelle dove vivevano bambini e donne incinte. Nel pomeriggio di martedì 8 gennaio, alcuni profughi esasperati hanno attaccato con pietre e bastoni il personale dell'Onu e delle organizzazioni locali coinvolto nella gestione del campo. “La situazione è esplosiva. Da tempo sosteniamo che il campo di Zaatari andrebbe chiuso. Ma l'apertura di una nuova struttura nell'area di Zarqa, data sempre per imminente, viene di volta in volta rinviata” spiega a Fides Suleiman.

La Caritas, che non è coinvolta nella gestione diretta del campo di Zaatari, davanti alla drammatica situazione climatica ha distribuito negli ultimi giorni coperte, stufe e cibo caldo a 30mila famiglie di profughi. Ma le iniziative di soccorso messe in campo in Giordania appaiono in affanno davanti a un'emergenza umanitaria che si dilata di giorno in giorno. “Se parliamo con quelli del governo - racconta a Fides il direttore di Caritas Giordania - ci dicono che la questione dei rifugiati non è di loro competenza diretta. Se andiamo dai funzionari dell'Onu, ci dicono che le risorse sono limitate e non si può operare meglio di così. Intanto le cose peggiorano, e rischia di saltare tutto”. I siriani espatriati in Giordania sono più di 280mila. E la cronicizzazione del conflitto lascia prevedere un nuovo afflusso massiccio di profughi nei primi mesi del 2013 appena iniziato

http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=40725&lan=ita

mercoledì 9 gennaio 2013

" I CRISTIANI PAGANO IL PREZZO DELLA PRIMAVERA ARABA"

MONS. CHACOUR (ISRAELE):  “Siamo profondamente preoccupati per l’avvenire della Chiesa in Siria. I cristiani di lì hanno davanti lo stesso avvenire di quelli iracheni, dispersi e spariti. Chiedo a tutto il mondo cristiano di avere un’attenzione speciale all’avvenire della chiesa siriana, è dalla Siria che il cristianesimo si è diffuso”



S.I.R. 8 gennaio 2013

Da Betlemme, dove questa mattina ha incontrato i vescovi europei ed americani dell’Holy Land Coordination in visita alle comunità locali, è mons. Elias Chacour, arcivescovo di Akka, San Giovanni d'Acri, Tolemaide dei Greco-Melkiti (Israele), a lanciare un appello per i cristiani di Siria. In una dichiarazione resa al Sir, l’arcivescovo afferma che “i cristiani mediorientali stanno passando momenti difficili. Stiamo pagando il prezzo di questa primavera araba, che lo vogliamo o no”. “I cristiani – sottolinea - sono in pericolo di dispersione ma non di sparizione, noi resteremo qui. Ma in quanti resteremo?”. 
Riferendosi in modo particolare alla Siria mons. Chacour ricorda che con Assad “i nostri fratelli siriani vivevano molto bene, rispettati. Non avevano certo libertà di espressione come tutti i siriani, ma quantomeno si sentivano a casa. Ora ci si chiede: se Assad cade, cosa ne sarà dei cristiani oppure, se Assad rimane al potere sarà possibile per lui governare un popolo che gli si è rivoltato contro? Questo è il vero dilemma”. 
Quartiere cristiano di Bab Touma, Damasco
 La situazione peggiora giorno dopo giorno e dalla Siria arrivano sempre più richieste di aiuto, come quella del patriarca greco-cattolico melkita di Damasco, Gregorios III Laham: “Ci ha scritto chiedendo aiuto per i cristiani siriani, servono soldi e accoglienza. Io speravo di poter accogliere mille, duemila siriani, avrei aperto le nostre case, le nostre scuole, le nostre chiese ma non si può farli entrare in Israele, è impossibile”. 
Da qui l’appello al mondo cristiano ad avere attenzione al futuro della Chiesa siriana. Mons. Chacour non rinuncia, poi,  a dare una stoccata alla comunità internazionale che, afferma, “ha preso posizione contro il regime di Assad ancora prima che la crisi cominciasse. È per questo che i Paesi arabi del Golfo hanno pagato i volontari per andare a combattere contro il regime siriano. I problemi in Siria sono cominciati a causa degli stranieri. La comunità internazionale, se si considerano paesi come l’America e l’Europa, ha deciso di stare contro il regime, il perché non si sa. Assad non è peggio di tanti altri regimi. Egli sarebbe stato pronto ad aprirsi di più se non del tutto alla democrazia. Gli Usa, però, non sono con lui e per questo è necessario che cada”.

http://www.agenziasir.it/pls/sir/v4_s2doc_A.a_pagina_tipo

ritaglio da "LA STAMPA" 9 gennaio 2013



martedì 8 gennaio 2013

Dove andranno i Cristiani? In Arabia Saudita??

Il patriarca latino di Gerusalemme: cristiani del Medio Oriente sul Calvario



La situazione è sempre più difficile per i cristiani in Medio Oriente: è quanto afferma il patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal, che lancia un appello alla solidarietà internazionale verso queste piccole minoranze religiose mediorientali. In questo contesto non si ferma l’esodo dei cristiani. Sulla situazione, ascoltiamo il patriarca Twal al microfono di Luca Collodi:RealAudioMP3

R. – La situazione è peggiorata. D’altra parte, tra gli aspetti negativi dell’anno 2012, noi abbiamo registrato anche numerosi attacchi vandalici contro chiese e conventi cristiani, atti compiuti da musulmani ed israeliani. Abbiamo sempre denunciato i fatti presso le autorità israeliane, sottolineando l'importanza di promuovere una corretta educazione. Io mi chiedo come mai queste persone sono state educate a odiare l’altro. E’ un problema di educazione dei bambini, nelle scuole. E’ vero che anche le autorità israeliane hanno condannato tali atti però, al di là delle parole, non ho visto un seguito e questi colpevoli non sono stati fermati.


D. - Il patriarcato latino di Gerusalemme guarda con preoccupazione anche alla situazione siriana e ai profughi...

R. – In passato io dicevo che noi di Gerusalemme siamo la Chiesa del Calvario, ma ormai tutto il Medio Oriente è chiesa del calvario, anzi la situazione in Siria è peggiore della nostra. Noi non possiamo dimenticare la Siria, non possiamo dimenticare i nostri cristiani che vivono lì. Non possiamo tacere. La violenza in se stessa è da condannare. Poi la cosa peggiore in Siria è l’incognita di quello che verrà dopo. Non sappiamo quello che verrà dopo. C’è un piano internazionale per cambiare la situazione, ma su ciò che verrà dopo c’è sempre un silenzio totale. Sarà peggio? Non lo so … C’è l’esempio dell’Iraq, l’esempio dell’Egitto, di fronte a noi ... e ora la Siria: sarà la stessa cosa, chiaramente. Noi, certo, speriamo che non sarà lo stesso, magari! Ma cambiare tanto per cambiare non serve né ai diritti umani, né al rispetto della persona, né alla pace in medio Oriente!

D. – Nel territorio del patriarcato latino di Gerusalemme - quindi pensiamo anche alla Giordania - ci sono profughi siriani. Voi che cosa state facendo?

R. - Non posso dimenticare la Giordania che è il polmone del patriarcato. La maggioranza dei nostri preti viene da lì, la maggioranza dei seminaristi viene da lì. La Giordania è finora l’unico Paese dove c’è stabilità e dove i cristiani e i non cristiani possono rifugiarsi. E’ il caso di tanti iracheni, tanti siriani, è il caso di tanti egiziani che vengono a cercare lavoro, sono tutti da noi in Giordania … La mia domanda, che non è bella è: ma se capita qualche cosa in Giordania, dove vanno questi cristiani? In Arabia Saudita? Dove andiamo? Sì, sono preoccupato.

D. – L'Anno della Fede quale Chiesa trova in Medio Oriente?

R. – Quest’anno dobbiamo sottolineare bene la nostra fede, perché francamente ne abbiamo bisogno, considerando il contesto in cui viviamo, che è difficile, complicato: abbiamo bisogno di più fede per poter resistere alle difficoltà e continuare e dare testimonianza con più entusiasmo.
http://it.radiovaticana.va/news/2013/01/03/il_patriarca_latino_di_gerusalemme:_cristiani_del_medio_oriente_sul_ca/it1-652500



I frati della Custodia: "Se dobbiamo morire è meglio morire in chiesa che a casa". Nonostante le sofferenze, i cristiani non hanno perso la fede 


Non sono rassicuranti le notizie che giungono dalla Siria. Padre Halim, frate libanese della Custodia di Terra Santa e ministro regionale della Regione San Paolo, segue con apprensione l’evolversi della situazione. E’ quanto riferisce lo stesso religioso, in stretto contatto con i confratelli siriani, ai microfoni del Franciscan Media Center. Nel riferire la situazione che stanno vivendo i cristiani nella guerra civile - riporta l'agenzia Sir - il francescano afferma: “i cristiani dicono sempre di non avere altra speranza se non in Dio. Nessuno li può salvare se non un miracolo dall’alto. Un frate mi ha detto che la gente ha visto che le chiese - nonostante tutte queste difficoltà - durante la messa e le celebrazioni eucaristiche sono piene. E qualche volta anche di più dei tempi normali”. Motivo di così tanta affluenza sta nella frase riferita da padre Halim: “Se dobbiamo morire è meglio morire in chiesa che a casa. E quindi nonostante tutto c’è ancora uno spiraglio di fede, di gente che tenta ancora e ha una fede forte in Dio. É solo lui che potrebbe salvarli. Il Principe della Pace di cui celebriamo il Natale, che porti la pace nei cuori di tutti i siriani, che ci sia la pace dappertutto”. (R.P.)