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martedì 25 dicembre 2012

Santo Padre Benedetto XVI: "C’è speranza nel mondo"

MESSAGGIO URBI ET ORBI DI BENEDETTO XVI-  NATALE 2012

ancora un appello per la Siria

 
 
 
"C’è nel mondo una terra che Dio ha preparato per venire ad abitare in mezzo a noi. Una dimora per la sua presenza nel mondo. Questa terra esiste, e anche oggi, nel 2012, da questa terra è germogliata la verità! Perciò c’è speranza nel mondo, una speranza affidabile, anche nei momenti e nelle situazioni più difficili. La verità è germogliata portando amore, giustizia e pace.
 Sì, la pace germogli per la popolazione siriana, profondamente ferita e divisa da un conflitto che non risparmia neanche gli inermi e miete vittime innocenti. Ancora una volta faccio appello perché cessi lo spargimento di sangue, si facilitino i soccorsi ai profughi e agli sfollati e, tramite il dialogo, si persegua una soluzione politica al conflitto.
La pace germogli nella Terra dove è nato il Redentore, ed Egli doni a Israeliani e Palestinesi il coraggio di porre fine a troppi anni di lotte e di divisioni, e di intraprendere con decisione il cammino del negoziato."....
 

Il card. Sarah: in Siria la gente patisce sofferenze atroci. La Chiesa auspica che azioni militari come quelle che si sono effettuate in Iraq, in Libia, in Costa d’Avorio, non si ripetano.

"Un conflitto che non risparmia neanche gli inermi e miete vittime innocenti". Così il Papa ha definito, durante la preghiera dell'Urbi et Orbi di questa mattina, il dramma che da troppo tempo sta vivendo la Siria, invocando per essa la possibilità di "una soluzione politica". Sia la Chiesa locale, sia Benedetto XVI in prima persona non hanno fatto mancare alla popolazione della Siria sostegno e solidarietà concreta. Ne parla in questa intervista il cardinale Robert Sarah, presidente del Pontifcio Consiglio Cor Unum, di recente testimone diretto della crisi tra i profughi siriani in Libano:

R. - Ho visitato gruppi di profughi nella valle della Bekaa il mese scorso e già allora la situazione era estremamente grave. Le loro condizioni di vita erano estremamente precarie, senza acqua, elettricità, servizi sanitari e l’igiene era disastrosa. Nonostante ciò, sono stato profondamente colpito dalla grande dignità di quegli uomini e quelle donne, profughi in un Paese straniero, rifugiati, costretti a lasciare le proprie case, il proprio villaggio, la loro amata madre Patria, la Siria, dopo un pericoloso viaggio di centinaia, talvolta di migliaia di chilometri. Ora, dopo la mia visita, la situazione è ulteriormente peggiorata. L’inverno è ormai cominciato, con le sue inevitabili conseguenze e il conflitto si inasprisce sempre più, con tutto il suo carico di violenze, di sofferenze atroci e di morte. I dati che vengono resi pubblici da varie fonti paiono concordi nel rilevare che si sarebbero superate le 40 mila vittime, senza contare i due milioni di sfollati all’interno della Siria e i 500 mila rifugiati che cercano protezione, sicurezza e una vita decente nei Paesi limitrofi. I nostri continui contatti con le Chiese del Medio Oriente e con varie realtà caritative locali, impegnate soprattutto nell’assistenza ai profughi dentro e al di fuori del Paese, ci trasmettono informazioni allarmanti sui nuovi fronti di guerra, sulle condizioni materiali, psicologiche e spirituali, di insicurezza, igienico-sanitarie in cui è ormai costretta a vivere la gran parte della popolazione, sugli abusi di ogni genere che subiscono, rendendoli in tal modo spesso doppiamente vittime.

D. - Concretamente, cosa può fare la Chiesa in queste situazioni?
R. - Benedetto XVI in persona ha visitato il Libano in settembre, mantenendo un’attenzione a tutta la regione e non ha mancato di rinnovare le sue preghiere, i suoi richiami, la sua esplicita richiesta perché la pace torni quanto prima in Siria. In occasione del Santo Natale, con uno sguardo particolare ai bambini, non ha mancato di esprimere tutta la sua vicinanza spirituale e affettiva alle popolazioni e ha manifestato la sua preoccupazione per gli sviluppi e l’aggravamento della crisi siriana. Il rischio peraltro è che questo letale conflitto comprometta pericolosamente tutto il delicato equilibrio di una regione del mondo che gli sta particolarmente a cuore. Durante la mia visita in Libano e successivamente, mi sono convinto sempre più di quanto siano importanti le preghiere, le parole e le azioni. Gli appelli alla pace e alla riconciliazione, rivolti dal Santo Padre alle parti in guerra, alla comunità internazionale perché si attivi più efficacemente, sono stati sufficientemente chiari. La guerra e le distruzioni di vite umane e di infrastrutture non portano a una vera soluzione dei problemi socio-politici. Questo è possibile solo col dialogo e con la volontà di costruire insieme la Nazione nell’amore e nella solidarietà.

La Chiesa auspica che azioni militari come quelle che si sono effettuate in Iraq, in Libia, in Costa d’Avorio, non si ripetano. “Mai più la guerra”, ha gridato Paolo VI nel 1965 a New York. Benedetto XVI lancia oggi lo stesso grido. La Chiesa persegue le sue azioni umanitarie a favore delle vittime di questo conflitto attraverso l’attività eroica e generosa di numerosi organismi caritativi cattolici impegnati sul posto sin dal primo momento in cui il conflitto ha cominciato a mietere vittime innocenti. In qualche modo traducono la triplice missione della Chiesa in concretezza. Tutto quello che possiamo fare adesso concretamente per queste persone, dobbiamo farlo. Sia per il loro bene materiale, sia per il loro bene spirituale. Un aiuto aperto a tutti. Come ci insegna Papa Benedetto, nell’Enciclica Deus Caritas Est, l’amore del prossimo si estende alle persone che neppure conosciamo e questo può realizzarsi solo a partire dal nostro intimo incontro con Dio.

D. - Secondo lei, questa crisi è la punta di un iceberg molto più grande o è un caso a sé?
R. - Ogni guerra è diversa dalle altre e ha una storia, delle dinamiche specifiche di quella situazione. Anche gli attori che si mobilitano, locali e internazionali, hanno interessi propri. In questo senso anche la Siria è un caso unico, molto complesso, le cui cause e peculiarità vanno studiate e analizzate; e le azioni che mirano a ricostruire la pace, vanno condotte con la massima prudenza e attenzione. D’altro canto, non si può negare che in genere abbiamo raggiunto un livello di crisi umanitarie in tutto il mondo senza precedenti nella storia recente, sia per quanto riguarda il numero delle guerre e delle situazioni di conflittualità armata, sia per ciò che attiene alle calamità naturali. Sono circa 70 le crisi umanitarie in atto, un picco mai raggiunto dalla fine della Seconda Guerra mondiale fino ad oggi. Questo dato, confermato dalla testimonianza delle Chiese locali e dalle organizzazioni caritative cattoliche che quotidianamente si rivolgono a Cor Unum, con tutto il loro carico di sofferenze vissute accanto alle vittime di tali situazioni, risulta essere ancor più doloroso in un momento in cui il mondo dovrebbe invece gioire per la venuta del Signore Gesù, il “Dio-con-noi”. Lui è “la nostra pace”, distrugge le barriere che ci separano, e “sopprime nella sua carne l’odio”, come dice S. Paolo. Questa è la “bella notizia” che ci porta il Signore e che noi vorremmo offrire al mondo intero. Questo è il motivo per cui occorre alzare la nostra voce verso Dio, lanciarci, corpo e anima, in un impegno d’amore attivo e concreto verso ogni essere umano. E’ l’ora di una nuova “fantasia della carità” che si realizzi non solo con azioni pratiche ed efficaci, ma anche con la capacità di farsi prossimi, di essere solidali con chi soffre, è povero e debole, in modo tale che il gesto d’aiuto non umili, ma sia frutto di vera condivisione fraterna (Novo Millennio Ineunte, n. 50) ...

Così, in occasione della festa del Natale e in vista del nuovo anno, la carità delle opere darà una forza incomparabile alla carità delle parole. Buon Santo Natale e felice anno nuovo a tutti!
http://it.radiovaticana.va/news/2012/12/25/il_card._sarah:_in_siria_la_gente_patisce_sofferenze_atroci._la_chiesa/it1-650410

 

lunedì 24 dicembre 2012

...e pace in terra agli uomini di buona volontà! Chiamata alla riconciliazione dal Patriarca Gregorios

 
 

 Ave Maria in aramaico

 
 
 
Lettera di Sua Beatitudine Gregorios III, Patriarca di Antiochia e di tutto l'Oriente, di Alessandria e di Gerusalemme,

Per la festa della Natività di nostro Signore Gesù Cristo, Dio e Salvatore, 2012



 
Natale: chiamata alla riconciliazione
La Natività di nostro Signore Gesù Cristo, ritorna ancora una volta, in un clima di terrore, guerra, morte, abbandono delle case, emigrazione e  distruzione. Nonostante ciò, siamo determinati a cantare l'inno degli angeli nella notte di Natale , che ci chiama a glorificare il Creatore di tutti noi Dio: "pace sulla terra e buona volontà e gioia per tutti".
L’inno degli angeli nella notte di Natale è l'inno della riconciliazione tra Dio e gli uomini e le donne. La riconciliazione è il progetto di Dio per i suoi figli sulla terra. Nella notte di Natale, gli angeli hanno cantato questo inno, proclamando il contenuto del Vangelo: "Gloria a Dio nell'alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà." (Lc 2, 14)
Questo inno contiene davvero le espressioni di base del messaggio di Gesù Cristo, è un Vangelo in breve - una sintesi utile che rivela a chiunque voglia meditare su di esso dimensioni splendide, vasti orizzonti, visioni e spazi di luce e di bellezza, che ci permette di sperare una società più giusta, fraterna, solidale, un futuro comunicativo per l'umanità, aprendo la strada per la convivenza, il dialogo, il rispetto, l'accettazione degli altri e della loro dignità; alla carità.
Questo è il vero futuro dell'umanità, in cui Dio stesso è la grande buona novella per tutte le persone, nella molteplicità delle loro tendenze, le denominazioni, i partiti e paesi. Tutti sono figli e figlie di Dio, amico degli uomini, che è venuto sulla terra e si è fatto carne ed è nato nel tempo, in un punto particolare della storia e della geografia, in una piccola grotta nella piccola città di Betlemme, perché Egli ha tanto amato il mondo affinchè tutti i figli e le figlie della terra abbiano la vita e possano averla in abbondanza. (Gv 10, 10) Questa è la festa della Natività, la nascita del Vangelo. Questo è il Natale, la nascita del Vangelo! E' un invito per la riconciliazione, come l'apostolo Paolo dice: "[Cristo] è la nostra pace, colui che ha fatto dei due uno, e ha abbattuto il muro di separazione tra noi, avendo abolito nella sua carne l'inimicizia ..." (Efesini 2 : 14), e quindi dandoci il ministero della riconciliazione.
 
Visita di Sua Santità  in Libano: chiamata alla riconciliazione
I discorsi del Papa durante la sua visita in Libano (14-16 settembre 2012) ed i discorsi e gli atteggiamenti dei leader civili e religiosi hanno allo stesso modo confermato e considerato valori, valori di fede, libanesi, arabi, cristiani, musulmani e semplicemente universali evangelici valori umani. Questi valori possono comporre gli elementi di una carta spirituale per una vera e propria Primavera Araba, proclamando la salvezza al culmine delle crisi, guerre, rivolte, difficoltà, morti,  distruzione,  sentimenti di inimicizia,  vendetta ed egoismo che riempiono il nostro mondo arabo di sangue e diffondono davanti ai nostri occhi una nube di tristezza, sofferenza e dolore per milioni di nostri figli di diverse religioni e confessioni nei nostri paesi Arabi. Ciò rappresenta un pericolo reale per i nostri paesi, che sono giustamente chiamati la culla delle religioni e delle culture e persino la regione descritta nella Bibbia come il luogo del Paradiso dove Adamo ed Eva vivevano prima della loro trasgressione ed espulsione. Questo pericolo è in realtà la principale causa dell'emigrazione cristiana nell’ attuale tragico stato delle cose che minaccia la loro presenza e la convivenza musulmano-cristiana.
Sua Santità ha espresso il suo dolore per la situazione nella "regione che sembra sopportare dolori interminabili ... Perché la loro vita è così travagliata? Dio ha scelto queste terre, credo, per essere un esempio, per testimoniare di fronte al mondo che ogni uomo e ogni donna ha la possibilità di realizzare concretamente il suo desiderio di pace e di riconciliazione! "
Il Santo Padre ci ha ricordato i valori fondamentali del Vangelo: "Unità, d'altra parte, non è la stesso che uniformità ... [ma] il rispetto della dignità di ogni persona e la partecipazione responsabile di tutti ... L'energia necessaria per costruire e consolidare la pace esige pure che noi torniamo continuamente alle sorgenti della nostra umanità. ... Il nostro primo compito è quello di educare alla pace, al fine di costruire una cultura di pace ... la coesione sociale richiede il rispetto senza riserve per la dignità di ogni persona e la partecipazione responsabile di tutti nel contribuire al meglio dei loro talenti e capacità. ... L'efficacia del nostro impegno per la pace dipende dalla nostra comprensione della vita umana. Se vogliamo la pace, dobbiamo difendere la vita! Questo approccio ci porta a rifiutare non solo la guerra e il terrorismo, ma ogni attacco alla vita umana innocente, agli uomini e alle donne come creature volute da Dio ".
 
La via della riconciliazione è la via del Vangelo, l'ancora di salvezza
Vorrei rivolgermi ai miei concittadini nel mondo arabo, in particolare ai veri rivoluzionari, per dire loro che le loro giuste richieste sono anche dei cristiani, che le esprimono in maniera non violenta.
Non vogliamo essere manipolati da nessuno; nessuno ha il diritto di speculare su di noi, richiuderci in una fazione, armarci , o indurci ad adottare questo o quell’ atteggiamento. Noi siamo per richieste di riconciliazione e giustizia.  La logica del Vangelo, il metodo, i principi di comportamento, di spiritualità e di cultura, il pensiero evangelico di Gesù ispira la Chiesa in tutti i suoi atteggiamenti ed azioni.

Ho preso questo come punto di partenza nella mia condotta e ho intrapreso diverse iniziative per vivere il Vangelo nelle difficili condizioni che la regione sta vivendo. Ho fatto un tour europeo, visitando le capitali, ha partecipato a congressi, ha dato interviste, ha incontrato gli statisti arabi e non arabi cristiani e altri provenienti da vari paesi, anche alcuni che non condividevano il mio punto di vista.
Alla fine di tutto ciò, ho concluso che l'unico vero modo per uscire dalla crisi attuale del mondo arabo - in particolare in Siria, Libano, Egitto, Giordania, Palestina e così via - è la riconciliazione. Il 30 agosto 2012, avevo pubblicato un articolo intitolato "Per la Siria, la riconciliazione è l'unica possibilità di salvezza," e si è diffuso in tutto il mondo, presso cattolici e altri cristiani, i capi di stato arabi e gli altri,  istituzioni non governative (ONG ), parlamentari,  celebrità varie e così via.
In questo articolo ho descritto come la missione della Chiesa, fondata sul Vangelo, è un ministero di servizio della riconciliazione.
 

domenica 23 dicembre 2012

Tutto il male che sta intorno a noi fa spazio al Bambino


da IL SUSSIDIARIO 23/12/2012


Tempo di Avvento, ormai Natale. I quartieri cristiani di Aleppo, negli anni  passati, in questo periodo si riempivano di luminarie, di addobbi; le facciate  delle case e i balconi traboccavano di festa. Anche troppo, è vero. Ma era pur bello, nel vento pungente che sferzava le strade, lasciarsi scaldare il cuore da  quell’annuncio di luce.
Quest’anno la gente muore di fame, in molti quartieri non c’è acqua, non c’è pane, non c’è corrente, non c’è gasolio. Non c’è lavoro. Non c’è sicurezza. In tutta la Siria, i prezzi sono spaventosi, anche quelli dei generi di prima necessità. Grazie alle distruzioni della guerra e alle sanzioni internazionali, il paese è in ginocchio, la gente soffre davvero.
 Cosa vuol dire celebrare il Natale, quest’anno, in Siria? E’ possibile? Che senso ha?
Proviamo a dirvi come lo stiamo vivendo noi. Innanzitutto, sì: ci prepariamo alla festa. Perché il Natale non è un sentimento zuccheroso, la nostalgia del sentirsi buoni come quando eravamo bambini. La gioia del Natale è una gioia dirompente, è l’annuncio delle nostre solitudini riempite, è la luce che viene nella notte. Il Bambino che nasce è colui che viene per sconfiggere la morte. Non a caso nelle icone Gesù non nasce in una stalla, ma in una grotta, e il fondo è scuro, la greppia è come il sepolcro. Lì Dio si spoglia, per darci la vita.
Se ci pensassimo! Se davvero ci fermassimo e cercassimo di comprendere... Dio con noi! Un Dio che si fa carne, nella debolezza di un bambino. Questo è l’annuncio folle dei cristiani. Ma di tanta pazzia funesta che riempie il nostro mondo, quella cristiana è davvero la più deleteria? E’ forse più “realista” la promessa di vita che ci offre la politica internazionale? E’ curioso, ma già duemila anni fa l’Occidente di allora imponeva la sua politica. Si chiamava Pax Romana, con i suoi vantaggi e le sue schiavitù. Oggi si chiama libertà, diritti dell’uomo, democrazia. Con le sue conquiste e le sue schiavitù.

 Viene il Signore, fra l’indifferenza di alcuni, fra la povertà e la sofferenza di molti. Come duemila anni fa. I grandi banchettavano nelle regge, i poveri si davano da fare per guadagnare a giornata. Così ci racconta il Vangelo, così è la storia di oggi. Gesù nasce povero, fuori città… Non c’è posto per lui. Alla grotta di Betlemme vanno i pastori, i semplici, gli emarginati di quel tempo.
Quelli che non potevano neppure risiedere in città, perché impuri. E vanno i Magi, i sapienti, coloro che cercavano davvero il senso. E poi... ma sì, c’è posto anche per l’asino e per il bue: per far compagnia al Signore, per scaldarlo come possono, da povere bestie.

Certo, il Natale ci interroga. Non è una risposta facile, è una risposta di Vita che non elimina la morte. La vince, la redime, ma non ce ne toglie il carico. E questo frammento di storia della Siria è duro, duro da comprendere, duro da vivere. Pieno di morte. Troppi elementi in gioco, troppe verità e menzogne da tutte le parti, troppi interessi intrecciati l’uno con l’altro. Abbiamo nel cuore tante storie: donne e bambini, gente innocente, da una parte e dall’altra, uccisa nei bombardamenti, nelle esplosioni, nelle repressioni, nelle vendette.

Gente che ha perso tutto, che ha lasciato le case, i villaggi. Chiese distrutte, moltissimi cristiani fuggiti. Portiamo nel cuore le aspirazioni di libertà, di giustizia, di tanti siriani, i veri manifestanti pacifici, rimaste soffocate da un gioco internazionale più grande, che li ha esclusi di fatto poiché hanno rifiutato di prendere le armi e di invocare l’intervento armato dei paesi occidentali.

  Quest’anno per le strade non ci sono luminarie, ma fotografie dei tanti soldati morti, ragazzi, a centinaia, tacciati con disprezzo di “lealismo”, letteralmente fatti a pezzi se cadono nelle mani dei ribelli...
Davanti agli occhi abbiamo anche le immagini dei tanti mercenari, dei salafiti giunti da ogni parte per la jihad: anch’essi per la maggior parte giovani, ragazzi imbottiti di satellitari, di droga e di armi. Anch’essi morti a centinaia.
Pensiamo a tanti amici, costretti a lasciare le loro case, a tanti altri che ci hanno aiutato, e che non riusciamo più neppure a rintracciare. Pensiamo a George, 35 anni, rimasto senza lavoro: ha affittato una macchina, per trasportare merci, guadagnare qualcosa e dare da mangiare ai suoi figli. Ucciso da un cecchino nei territori vicini alla Turchia. Una storia fra infinite altre.
 Ma, oggi come allora, non dobbiamo farci ingannare: l’ultima parola non è questa, la storia vera non la fanno i potenti della terra. “Dio è il più grande”, è vero. Ma è il più grande nell’amore, per questo è il solo veramente libero, e che può liberarci.
 A noi è chiesto solo di comprendere, cioè “prendere tutto” e metterlo davanti alla mangiatoia. Anche le cose più atroci, più aberranti, le più dolorose e le più vili, dove va perduta la dignità dell’uomo, tutto dobbiamo accogliere, fare nostro, e portare ai piedi di questo Bambino. Perché Lui solo è la risposta.
A noi non è chiesto di capire ogni cosa, ma di allargarci per far spazio alla verità di Dio che sola può giudicare secondo giustizia e diventare misericordia per tutti.

Noi per più di cinque anni abbiamo vissuto ad Aleppo; dal 2010 ci siamo trasferite ai confini della provincia di Homs, in un piccolo villaggio cristiano dove stiamo cercando di costruire il nostro monastero, fornendo lavoro almeno a qualche persona povera di questa zona.
Siamo semplicemente qui, vivendo la nostra vita benedettina, pregando e lavorando, condividendo le vicende della nostra gente, la pena, la tristezza, il dolore, la violenza, l’impotenza.
Ma anche sentendo attorno a noi una sorta di indomita resistenza, una capacità di solidarietà che non si è spenta, un attaccamento alla vita che diventa in qualche modo speranza, senza nome, senza illusioni, ma tenace...
 E’ questa speranza che portiamo, per tutti, al presepio, per questa speranza preghiamo. Vieni, Signore Gesù.
Suor Marta, monaca Trappista, Homs.

Gesù è con noi in questa terra insanguinata. Tra le bombe e nel segreto della nostra stanza


Da: Avvenire 23 dicembre 2012
Dalle Sorelle Trappiste in Siria...

 
Lui nasce anche in Siria

Arriva Natale. Anche in Siria, ad Aleppo, a Homs. Nel nostro villaggio. Si può, quest’anno, con questa guerra fratricida, dirci buon Natale? Sì, più che mai. Non solo si può, ma è urgente. Prima di tutto perché ciò di cui facciamo memoria è la venuta di Dio fra gli uomini. Aldilà di ogni nostra vicenda umana, per quanto tragica sia, questa è la cosa inaudita: Dio è l’Imanu­El, il Dio con noi. 

Questo ci riguarda da vicino, ora. 

Non celebriamo il Natale come una favola o un buon proposito, per dirci quanto sarebbe bello volersi tutti bene. Non lo celebriamo per dimenticare i nostri morti, per avere almeno per qualche ora il cuore leggero. Celebriamo il Natale perché guardando quel Bambino in un presepe non dimentichiamo che proprio Lui è l’Uomo risorto che è disceso in tutti i nostri inferni. Per liberare tutti i morti senza luce. Per redimerli, e quanto bisogno di redenzione abbiamo, tutti! Chi uccide e chi è stato ucciso, chi odia, chi soffre, chi dispera, chi sfrutta, chi non riesce a perdonare, chi fa il furbo, chi vive solo in superficie. 

Celebriamo il Natale perché è già Pasqua, un passaggio, l’unica via di uscita dalle nostre schiavitù, perché non c’è altra luce vera, nel mondo, non altra salvezza. Il dolore non va perduto, risorge in vita nuova. È questa, la Pace sulla terra. 

È Natale, in Siria, e non riguarda solo i cristiani. Perché anche i nostri fratelli musulmani ricordano il Natale di Gesù. È nel loro Libro sacro, e se anche non lo riconoscono come Dio, lo venerano come profeta. E proclamano la verginità di sua Madre. Siamo strani, noi figli di Abramo. Così vicini, così separati. 

Si è posata una stella, è discesa. 

Mentre costruiamo stazioni spaziali, inviamo sonde a esplorare l’universo, lanciamo in orbita la nostra vita su twitter, sfuggiamo sempre di più questo orizzonte basso in cui paure, guerre civili, inflazioni, corruzione, intolleranza, catastrofi naturali sembrano soffocarci, Qualcuno ci viene incontro. Egli che fin dall’inizio della creazione si libra più alto di ogni nostra possibile speranza, è sceso e di nuovo discende in mezzo a noi. Possiamo invocare una No Fly Zone,  una qualche barriera per difenderci. Ma non è necessario: Egli è inerme. Non ci disturberà, se non lo vogliamo. 

Ma sarebbe bello se quest’anno ci procurassimo un Bambinello. 

Anche Piccolo, anche di plastica, non importa. Ma bello, perché Dio è bellezza. E poi, nel segreto della nostra stanza, lontano dalla vergogna del mondo, che ci vuole forti e sicuri di noi stessi, nel silenzio, nel mezzo della notte, appoggiassimo la fronte ai suoi piedi. Forse ne avremmo un tepore, una pace, che da tempo non conosciamo. Se questa follia che la fede cristiana proclama, un Dio fatto carne, provassimo una volta a guardarla da vicino, a considerarla senza pregiudizi o idee scontate... 

Forse viaggeremmo anni-luce... 

Cantano gli angeli. Cantano, e forse anche piangono. Perché lo sanno bene, loro: il mondo non si divide mai in buoni e cattivi. E se noi non possiamo proprio fare a meno di schierarci, almeno dobbiamo sapere che da qualunque parte guardiamo, piangendo i nostri morti, dall’altra parte ci sono altrettanti morti e pianti. Dobbiamo essere coscienti che da tutti i lati dell’umano ci sono speranze, ragioni, odii, sofferenza, coraggio, ingiustizie, e infine amore. 

Magari amore 'sbagliato': ma se c’è un uomo non può esserci altro se non questo impasto di grandezza e meschinità di cui tutti siamo fatti. 

Gli Angeli però, dall’alto, ci vedono anche belli, fatti a immagine del Dio Altissimo, fatti per l’Amore 'giusto'. 

Cantano, dunque, aldilà di ogni lacrima, la loro speranza: «Gloria nei cieli, e pace sulla terra agli uomini che Egli ama».

E allora felice anno nuovo. Che il 2013 porti a noi, in Oriente, la pace, la riconciliazione, il dialogo, il perdono reciproco. Che a voi porti stabilità, serenità, lavoro. Che a tutti porti una fede che nutra e trasfiguri la vita.

Le sorelle trappiste
 

sabato 22 dicembre 2012

«Natale nella nostra Aleppo sfigurata»

È un Natale che richiede una grande fede quello che si apprestano a vivere i cristiani della Siria. Ed è il Natale che ci racconta questa lettera inviata agli amici e sostenitori dalla comunità di Aleppo delle Suore di San Giuseppe dell'Apparizione, una congregazione francese che presta il suo servizio nell'ospedale Saint Louis, uno dei pochi rimasti aperti nella città sventrata da mesi dalla guerra.


Tratta dal sito dell'Oeuvre d'Orient , MISSIONLINE  la propone in una sua traduzione.

22-12-2012   Natale è ormai vicino ... E quest'anno è un Natale particolare in tutto il mondo, sembra quasi che ogni Paese sia segnato da disordine e violenza.

Qui in Siria viviamo una guerra senza nome che non finisce mai. Ed è da questo luogo sfigurato che vogliamo condividere la nostra vita di ogni giorno e offrirvi i nostri migliori auguri di Buon Natale, nella speranza che il nuovo anno porti pace e riconciliazione.

L'attesa è lunga nella notte in cui viviamo, ma è una notte che sperimentiamo riempita dalla Sua presenza. Avvertiamo il sostegno che ci state dimostrando con le vostre preghiere e la vostra vicinanza fin dall'inizio di questi eventi, e per questo diciamo un grande grazie a ciascuno di voi.

La situazione ad Aleppo sta diventando sempre più critica e sempre più difficile. Le parole non sono sufficienti per descrivervi l'orrore e la sofferenza che le persone vivono. La città è diventata irriconoscibile per la sua economia, la vita sociale, e ogni giorno nuove notizie ci rattristano profondamente: le aree industriali, le fabbriche, le attività che davano lavoro a migliaia di persone sono state bruciate, i negozi saccheggiati, diversi ospedali, uffici pubblici, chiese, moschee, monasteri devastati.... 

Nei rari momenti di calma, quando le armi da fuoco tacciono, speriamo che la situazione migliori, ma poi improvvisamente torna il rumore di mitragliatrici, mortai, attacchi a diffondere il terrore. I morti e feriti nelle strade sono stati soccorsi a rischio della vita, perché i cecchini continuano a sparare dai loro rifugi.

La povertà si sta trasformando in miseria e fame a causa del costo della vita che è quadruplicato, soprattutto per gli alimenti di base. L'elettricità si è interrotta a causa di un attacco alla centrale: tutta la città è rimasta al buio per tre giorni ed è stato impressionante. Black-out più brevi si susseguono tuttora e lo stesso vale per le linee telefoniche, quelle dei cellulari, le reti internet...

Il carburante e il gas sono difficili da reperire. Fortunatamente il nostro generatore riceve ancora il necessario per rifornire tutte le attrezzature dell'ospedale e il generatore d'ossigeno, altrimenti dovremmo bloccare l'ammissione dei pazienti. Il pane è scarso ed è distribuito a seconda dell'operatività dei forni, che dipende da quando riescono ad arrivare la farina e l'olio. L'acqua arriva solo poche ore al giorno, quando arriva... Potete immaginare la sofferenza della gente, soprattutto nei quartieri più a rischio.

L'assistenza sanitaria è in condizioni disastrose. I centri e gli ospedali che non sono stati colpiti (come il nostro) continuano a funzionare, ma con perdite enormi, buona parte dei medici hanno lasciato la città perché minacciati. E a questo va aggiunta la difficoltà nel reperire i farmaci... Problemi molto gravi toccano le migliaia di rifugiati, con l'arrivo dell'inverno si muore di freddo. Gli aiuti umanitari non vengono più distribuiti con continuità, e per i bambini non si trova il latte.

I cristiani sono presi di mira e minacciati, gli insorti distruggono le loro case per farli fuggire e prenderne possesso. Molti sono stati uccisi e altri sono sfollati altrove o hanno lasciato il Paese. Le strade sono ancora pericolose. La scorsa settimana due vescovi maroniti e armeni sono sfuggiti alla morte sulla strada per l'aeroporto, il loro autista Joseph al suo ritorno come tanti altri è stato arrestato e ucciso. I rapimenti sono senza sosta con richieste di riscatto ingenti. E quante auto rubate in pieno giorno. «Perisce il giusto, nessuno ci bada. I pii sono tolti di mezzo, nessuno ci fa caso. Il giusto è tolto di mezzo a causa del male» (Isaia 57,1).

In questa situazione dura e difficile noi continuiamo ad essere presenti per alleviare le sofferenze, ma siamo preoccupate per il futuro, perché ci chiediamo per quanto tempo ancora potremo andare avanti.
Noi crediamo alla Provvidenza, che fino ad ora non ci ha abbandonato per venire aiuto ai bisognosi, agli ammalati, ai feriti della guerra, al nostro personale che rimane qui da noi perché non può tornare a casa oppure una casa non ce l'ha proprio più; ma le risorse diminuiscono e la cassetta delle offerte per i poveri è vuota.

In questo contesto talvolta proprio molto duro ciascuna di noi è determinata a donarsi fino alla fine nell'amore e nella fedeltà al nostro carisma, finché il Signore vorrà conservarci in questa nostra missione.
Scrivendo questa lettera vogliamo dirvi che è il Signore a continuare a proteggerci. In teoria la nostra zona dovrebbe essere calma e iper protetta, dal momento che siamo circondati da barriere di difesa avendo una caserma della polizia accanto a noi. E invece ieri per la terza volta un obice di mortaio (una bomba da 35 chilogrammi di esplosivo) è caduto sul nostro terrazzo e come le altre due volte non è esploso. Si tratta di un miracolo di Dio!
San Giuseppe, sentinella disarmata, continua a proteggerci e a vegliare su di noi e lo farà fino alla fine.
Credeteci con noi!

Continuiamo a rimanere in comunione nella preghiera, in questo Anno della fede, perché l'Emmanuele, Dio con noi, ci rafforzi nella speranza e ci conceda pace e salvezza, per continuare la sua opera di misericordia.

Con tutto il cuore vi auguriamo un Buon Natale e un felice anno nuovo 2013

Le suore della Comunità di Aleppo
http://www.missionline.org/index.php?l=it&art=5196

Natale in Siria: cristiani e musulmani sfidano la guerra offrendo pasti caldi ai poveri

Mons. Mario Zenari, nunzio vaticano a Damasco, descrive l'attività delle parrocchie impegnate nella preparazione del Natale, nonostante le bombe e l'odio interconfessionale. In un istituto cattolico della periferia della capitale, decine di bambini ritagliano con gioia le figure del presepe. Nei saloni parrocchiali giovani cristiani e musulmani distribuiscono migliaia di pasti caldi senza distinzione di fede, fazione o etnia.


 
Asia News - 21/12/2012


 "Oltre 6.500 pasti caldi distribuiti ai poveri in un centro di aiuto a Damasco. La scarsità di viveri non ferma le parrocchie e gli istituti religiosi che ogni giorno sfornano pane fresco per migliaia di sfollati in fuga dalle bombe". È quanto racconta mons. Mario Zenari, nunzio cattolico a Damasco che descrive ad AsiaNews il miracolo della nascita di Gesù fra la popolazione siriana martoriata da 20 mesi di guerra civile.

"La gioia del Natale - afferma il prelato - si celebra anche in questo clima di conflitto e paura, ed è una sfida alle sofferenze e all'odio che ormai dilaga nel cuore della popolazione". Il nunzio sottolinea che diverse parrocchie a Damasco non hanno rinunciato a festeggiare il giorno più importante per la cristianità: "Lo scorso 16 dicembre ho visitato una piccola parrocchia nella periferia della capitale, dove da mesi si convive con le esplosioni dei mortai e gli spari di artiglieria pesante. Nel salone vi erano decine di bambini intenti a ritagliare nel cartone le figure del presepe. I più piccoli percepiscono più di noi adulti la gioia del Natale, anche attraverso questi gesti semplici. La loro letizia è il primo frutto del Natale in questo angolo di mondo martoriato dalla sofferenza, dove le famiglie cristiane vivono ogni giorno con fede profonda, andando alla radice del significato di questo Mistero: la solidarietà di Dio e di Gesù con noi. Egli stesso ha vissuto il dramma della fuga in Egitto per sfuggire alla strage degli innocenti. Tale episodio non è diverso da ciò che stanno vivendo oltre 500mila profughi che in questi mesi hanno attraversato il confine abbandonando tutto ciò che avevano".

Per mons. Zenari, lo spirito di questo Natale, non si ferma alle parrocchie, ma si diffonde fra i musulmani che insieme ai cristiani organizzano distribuzioni di viveri e beni di prima necessità agli sfollati. "Anche a Damasco - spiega - come nel resto del Paese, il pane è ormai una rarità, un bene di lusso, ed è per molti l'unico pasto quotidiano. Tuttavia, ho visitato decine di istituti religiosi che lavorano ogni giorno per donare alla popolazione il pane fresco o un pasto più sostanzioso se vi sono scorte". Il prelato indica in modo particolare l'attività di un centro di assistenza per i poveri della capitale, anonimo per motivi di sicurezza, dove si distribuiscono fino a 6500 pasti caldi al giorno. "Qui lavorano gratuitamente giovani cristiani e musulmani. Il cibo viene distribuito a chiunque ne fa richiesta, senza distinzioni di credo, fazione o etnia".

In questo clima di guerra, il nunzio nota che la carità e la condivisione si impongono in modo potente sull'odio e il risentimento che sono purtroppo le vere armi ad orologeria di questo conflitto. "Lo spirito del Natale - afferma - si mostra vivo in questi piccoli gesti".

Secondo un documento diffuso oggi dall'Onu il conflitto fra Free Syrian Army e il regime di Bashar al-Assad si è trasformato in una lotta interconfessionale fra sunniti e alawiti che ha ormai rotto ogni legame con la politica, e rischia di coinvolgere anche le minoranze cristiane e armene. Nei prossimi mesi si temono eccidi di massa, con la fuga oltre confine di intere comunità e minoranze etniche. Nel rapporto, si fa anche una nuova stima degli aiuti necessari per oltre 1 milione di sfollati, che ha raggiunto la cifra record di 1,5 miliardi dollari.

Invitando tutti i cattolici dell'occidente a pregare per la Siria, il prelato sottolinea che "una volta terminata la guerra i leader di tutte le fedi religiose avranno l'arduo compito di disinnescare queste 'bombe di risentimento e vendetta' annidate nei cuori della gente, testimoniando uno sguardo di amore e riconciliazione". (S.C.)
http://www.asianews.it/notizie-it/Natale-in-Siria:-cristiani-e-musulmani-sfidano-la-guerra-offrendo-pasti-caldi-ai-poveri-26695.html

venerdì 21 dicembre 2012

Finis Syriae

 
 
di Francesco Mario Agnoli - 17/12/2012

A quanto pare, in Siria il regime di Assad ha, se non le ore, i giorni contati se è vero che anche Mosca, pur avendo poi smentito, si appresta ad abbandonarlo. I mass-media occidentali hanno esultato. Per quello che conta (cioè niente) mi sono preoccupato. Da giurista e da cattolico.

Da cattolico ho ripensato al viaggio in Siria, compiuto una ventina di anni fa con la guida dell'archeologo domenicano, padre Bernardo Boschi, e allo stupore provato ad Aleppo, oltre che per le molte fontane sprizzanti alti getti d'acqua, per una grande croce luminosa posta sul sagrato di una chiesa cristiana e per il fatto che i cittadini di Aleppo non ci avessero nulla da ridire.

Temo forte che grazie alla primavera araba e ai presunti “patrioti” (in realtà forse ottimi musulmani, ma in gran parte per nulla siriani) non sia più così. Francamente non me la sento di andare a controllare di persona, ma presto fede ai siti cristiani che, a dispetto dei mercanti che si rifiutano di sentire, continuano a gridare le parole di padre Jules Baghdassarian, direttore delle Pontificie Opere missionarie, morto qualche giorno fa di un arresto cardiaco dovuto allo stress per il gravoso impegno nell'organizzazione degli aiuti e nella sistemazione di famiglie sfollate: “Non c’è guerra civile in Siria, ci sono tentativi di renderla una guerra civile, c’è un pressione per trasformare il conflitto in un conflitto settario, abbiamo vissuto questa esperienza in Libano, si è visto in Iraq e ora lo vediamo in Siria. La gente non vuole la guerra e la violenza: il mondo ci aiuti a ritrovare la pace. Chiediamo alla comunità internazionale e all’Unione Europea di aiutarci a ritrovare la pace, non di fomentare la guerra!”. Appello destinato a restare inascoltato, perché le bande di islamisti salafiti, armati e finanziati da Qatar, Arabia Saudita e Turchia, che vogliono una Siria esclusivamente sunnita e seminano il terrore al grido di “Cristiani a Beirut (cioè via dalla Siria), Alauiti nella tomba”, godono del pieno appoggio della Nato e delle principali potenze occidentali, Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna (anche l'Italia di Mario Monti – sarebbe comunque lo stesso con Berlusconi o Bersani - è schierata al loro fianco, ma, in miseria, si limita ad un sostegno politico-morale).

Da giurista mi sono chiesto cosa contino le Nazioni Unite e, ancor prima, che ne è stato del diritto pubblico internazionale, dal momento che uno dei suoi principi, essenziale per la coesistenza pacifica, è quello del rispetto della sovranità e della non ingerenza negli affari interni di altri membri della comunità internazionale. Principio tradizionale ribadito, nel 1945, dallo Statuto dell'Onu, e, di nuovo, nel 1975, nella Dichiarazione sui Principi che reggono le relazioni fra gli Stati partecipanti nell’Atto Finale della CSCE, con la precisazione che "gli Stati si astengono fra l'altro dall'assistenza diretta o indiretta ad attività terroristiche o ad attività sovversive o di altro genere volte a rovesciare con la violenza il regime di un altro Stato partecipante". L'esatto contrario di quanto accaduto appena ieri in Libia, ieri l'altro in Serbia, e sta adesso accadendo in Siria sotto il patrocinio della NATO, e di quegli Stati (in prima linea Usa, Inghilterra, Francia) che ben lungi dal condannare il continuo invio di uomini e armi da parte di Arabia Saudita. Turchia e Qatar, non solo approvano, ma forniscono a loro volta denaro e mezzi bellici, promuovono la formazione di un adeguato comando unitario e di una specie di governo subito riconosciuto come unico legittimo rappresentante del paese.

A sostegno di questa politica interventista alcuni giuristi hanno escogitato la teoria dell' “intervento umanitario”, che dovrebbe legittimare l'ingerenza armata negli affari degli Stati nei quali non si rispettino i valori democratici e vengano violati i diritti umani. Si tratta però o di politici malamente travestiti da giuristi o, peggio, di giuristi di servizio, sempre disponibili ad attaccare l'asino dove vuole il padrone. Difatti le violazioni che dovrebbero autorizzare interventi militari sono già previste dallo Statuto dell'Onu, che attribuisce in via esclusiva al Consiglio di Sicurezza tanto l'accertamento delle violazioni quanto la decisione sui rimedi da applicare.

Questi giuristi d'accatto nemmeno si sono accorti che in questo modo fanno della Nato il contraltare dell'Onu ai vertici della comunità internazionale. O forse lo sanno fin troppo bene. Dal momento che l'Alleanza Atlantica è armata fino ai denti mentre le Nazioni Unite debbono piatire dagli Stati membri l'invio di qualche battaglione di “caschi blu” è facile immaginare chi, in caso di contrasto, abbia più voce in capitolo.

Difatti, povera Siria e poveri cristiani siriani.
http://www.identitaeuropea.it/?p=968

 Faccio i complimenti al Dottor Agnoli per la puntuale e profonda analisi della situazione siriana. Solo su un punto ritengo di non essere completamente d'accordo: il Dott. Agnoli ritiene come certo il ritiro dell'appoggio russo ad Assad e la conseguente caduta del suo regime. Francamente io invece non vedo un reale mutamento della posizione russa. A fronte delle vere o presunte dichiarazioni di Bogdanov su una possibile vittoria dei ribelli vi sono atteggiamenti, come le programmate manovre navali della flotta russa davanti alle coste siriane, che fanno ritenere come i Russi siano ben lontani dal ritenere persa la partita. A maggior ragione se fosse vera la notizia che sta circolando della firma di contratti miliardari per la ricostruzione tra il governo siriano e imprese russe. Putin poi, nella sua conferenza stampa, non ha fatto che ribadire un concetto che esprime fin dall'inizio della crisi: solo il popolo siriano deve poter decidere del suo destino. Dovrebbe essere una regola aurea per tutti, ma evidentemente non è così... MARIO VILLANI

giovedì 20 dicembre 2012

Le minoranze siriane ora temono di più la fine dei combattimenti che la guerra in sé


 Nel suo ultimo report dalla Siria, Patrick Cockburn racconta da Maloula la situazione della minoranza cristiana del Paese, che teme la fine dei combattimenti più della guerra stessa
 
The Independent - 17 dicembre 2012

Due uomini mascherati e armati di fucili d'assalto Kalashnikov hanno tentato di rapire un uomo d'affari di nome George Alumeh nell'antica città cristiana di Maloula, a nord-ovest di Damasco, la settimana scorsa. Non era il primo tentativo di rapimento dei più ricchi membri della comunità cristiana qui, e il signor Alumeh era preparato. Ha resistito, prima estraendo una pistola, lanciando le chiavi della macchina a distanza così la sua macchina non poteva essere rubata, e poi cercando di fuggire. E' scappato, ma è stato colpito da una raffica di colpi di arma dei rapitori che lo ha mandato in ospedale con ferite allo stomaco, alle gambe e alla mano.
 Padre Mata Hadad, il sacerdote del Convento di Santa Tekla incorporato nella parete della montagna che sovrasta Maloula, racconta la storia per illustrare come la vita è diventata molto pericolosa per i cristiani, in particolare per coloro che si pensa abbiano soldi. Quel 10 per cento della popolazione siriana che sono Cristiani sta discutendo con trepidazione l'esito probabile della crisi siriana e il suo effetto su di loro.
I presagi non sono buoni. Ogni paese in Medio Oriente sembra diventare più islamico e più settario. I Cristiani siriani hanno visto, dal 2003, come il risultato dell'invasione dell'Iraq è stato la distruzione delle comunità cristiane in Iraq che erano sopravvissute per quasi 2000 anni. Se la Coalizione Nazionale, riconosciuta da 130 Paesi come il “legittimo rappresentante della Siria” prenderà il potere, allora, in ultima analisi, la sua forza di combattimento più efficace sarà Jadhat al-Nusra, con un'ideologia simile ad al-Qaeda. Si tratta di prospettive come questa che riempiono i cristiani siriani di allarme.

Maloula è un buon posto per parlare di queste paure. Si trova a un'ora di auto da Damasco, a circa 20 miglia dal Libano, ed è situata in un sito spettacolare in una fessura tra le montagne. Le sue gole rocciose sono sempre state un luogo di rifugio. Fu qui che Santa Tecla, fuggendo la milizia imperiale, si rifugiò in una grotta su in alto nella falesia.
L’isolamento di Maloula ha contribuito a conservare il suo cristianesimo e le ha dato anche l'onore di essere l'unico posto dove l’ aramaico, la lingua di Gesù, è ancora parlata dai cristiani.
C'è un clima di incertezza per il futuro. Finora ci sono stati quattro rapimenti, che la postazione dell'esercito siriano appena oltre l'ingresso della città non è stata in grado di fare granchè  per prevenire. Il turismo religioso è scomparso. "Solitamente vendevo guide e souvenir", dice Samir Shakti, gesticolando verso il suo piccolo negozio, "ma ora vendo frutta e verdura".

Un altro segno di nervosismo sono le esplosioni di rabbia contro gli stranieri, nel caso presente contro me stesso, come simbolo delle potenze europee accusate di armare i fondamentalisti islamici. Anche la Madre Superiora del Convento, Pelagia Sayaf, ha chiesto di sapere perché gli europei stanno aiutando "la gente che uccide con il coltello". Ha detto che molte persone stavano lasciando la città (anche se questo è stato negato da qualcun altro in Maloula).

La Madre Superiora Pelagia sembrava tesa. E'  al suo posto da 23 anni, guidando oltre 14 suore e 33 orfani provenienti da famiglie cristiane di tutto il Medio Oriente. Gli orfani indossano una divisa rossa e cappe in tartan, dando loro un aspetto sorprendentemente scozzese. "Sarà un Natale triste a Maloula," dice la Madre Superiora. "Le sanzioni stanno punendo il popolo, non il Governo".
I cristiani possono sentirsi più spaventati di altri siriani, ma tutti si sentono vulnerabili. Non c'erano combattimenti sulla strada da Damasco a Maloula, ma ci sono molti edifici distrutti dalle battaglie degli ultimi due mesi. Una volta, la strada principale per Homs era affollata di concessionarie d'auto, ma ora queste sono chiuse e le finestre in cristallo sono protette dai danni degli scoppi da pareti costruite sommariamente con blocchi di cemento.
I cristiani più agiati sono riusciti a fuggire all'estero, ma per chi ha pochi soldi questa è una scelta difficile. Un armeno, che non ha voluto che pubblicassi il suo nome, ha detto che "possiamo andare in Libano, ma stare lì è costoso, è difficile trovare lavoro e ai Libanesi non mi piacciono molto i Siriani perché il nostro esercito è rimasto lì per così tanto tempo". Egli stesso era alla ricerca di cittadinanza Armena.
Come per gli altri a Damasco, il grado di pericolo avvertito dipende dalla ubicazione in cui si trovano. Molti cristiani vivono nel quartiere Jaramana, che ora è pericoloso per via dei cecchini e degli attacchi con le bombe. Le parti cristiane della Città Vecchia sono più sicure, ma ci sono tagli di energia elettrica e  carenza di gasolio.
Finora le sofferenze dei Cristiani di Siria non sono peggiori di quelle dei Musulmani, ma essi sentono che qualunque sia l'esito della guerra civile, il loro futuro sarà molto probabilmente peggio del loro passato.
(traduzione FMG)
http://www.independent.co.uk/news/world/middle-east/persecution-of-the-christians-syrian-minority-fear-the-end-of-fighting-more-than-war-itself-8422977.html

mercoledì 19 dicembre 2012

Rinascere a Natale


La sofferenza e la speranza delle comunità cristiane mediorientali
 
S.I.R. Martedì 18 Dicembre 2012
 
Per le comunità cristiane mediorientali quello prossimo sarà un Natale attraversato da ulteriori tensioni e crisi. Alle già note e gravi situazioni politiche, sociali ed economiche che da decenni segnano la vita di questa strategica area del mondo, si aggiungono il conflitto in Siria, paese dove la presenza cristiana si è pressoché dimezzata, gli scontri a Gaza, le proteste in Egitto contro la nuova Costituzione di impronta islamista che preoccupa sia i cristiani che i liberali, la recrudescenza di attacchi in Iraq, altra nazione dove sono rimasti pochi cristiani. Urgenze politiche, sociali e umanitarie, vissute dai Paesi arabi nel tempo presente, che hanno spinto i Capi delle Chiese cattoliche mediorientali a lanciare un appello, agli inizi di dicembre, per chiedere di porre fine ai conflitti e alle violenze che stravolgono la vita dei popoli della regione, ponendo in atto cammini di riconciliazione e di pace che garantiscano a tutti la libertà e la tutela della propria dignità umana. Dai leader religiosi anche un pressante invito affinché i cristiani restino nelle loro terre di origine con una presenza attiva e efficace nelle società arabe. Ad una settimana dal Natale Daniele Rocchi per il Sir ha rivolto alcune domande al Custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa.

Padre Pizzaballa, alla luce di così tante crisi e violenze, che Natale sarà per i cristiani mediorientali? Con quale spirito sarà vissuto?
“Natale è una nascita ma come viverla, come lasciarsi scuotere da essa? Io credo che la risposta sta nell’essere capaci e disposti a ricominciare da capo, a rinascere. Per vedere qualcosa di nuovo dobbiamo essere nuovi anche noi. Non dobbiamo lasciarsi prendere dallo sconforto, dall’idea che tutto sia finito, che nulla cambierà. Si tratta di un atteggiamento che ha molte ragioni d’essere visto ciò che circonda ma non bisogna fermarsi. Riprendiamo la strada della speranza per essere pietre vive in questa terra in cui siamo stati chiamati a vivere”.

Pietre vive che stanno lasciando i loro Paesi, per cercare un futuro altrove. Forse che la speranza per i cristiani non abita più in Medio Oriente?“Di fronte a queste situazioni difficili che i cristiani del Medio Oriente si trovano ad affrontare ci sono due strade: o andarsene o restare. Andarsene non è una soluzione, il restare non è solo inteso fisicamente perché non c’è alternativa ma perché vogliamo restare. Rimanere in questa Terra passa attraverso una presa di coscienza ed una nuova consapevolezza, è una missione che ci invita ad inserirci maggiormente nella realtà. Natale vuol dire appunto rinascere e continuare il cammino con speranza”.

Ma come è possibile inserirsi in una realtà sociale in cui si è una minoranza sempre meno ascoltata ed esigua?
“Da soli è molto difficile ma lo sforzo da fare è quello di mettersi in dialogo con tutte le realtà sociali che pure esistono, moderate, non sono tutti fanatici, e con esse fare fronte comune sui temi della cittadinanza, dei diritti umani, della vita, della tolleranza, della libertà. Unire la nostra voce alla loro e a quella della comunità internazionale, senza esagerare in quanto un intervento eccessivo di quest’ultima potrebbe essere controproducente. Allearsi con tutte quelle frange serene, positive, libere e moderate delle nostre società è indispensabile. Non abbiamo alternativa”.

Di tutta la regione mediorientale la crisi siriana è quella che spaventa di più, anche i cristiani. Ha senso parlare di Natale per la Siria?
“Parlare di Natale in Siria, sotto le bombe, è davvero difficile. Ma farlo è un seme di speranza nel futuro. Sotto ogni rovina c’è sempre una rinascita. Allora occorre guardare al futuro almeno come un desiderio da coltivare, come voglia di rinascita. La situazione è complicata: gran parte del Paese, da quello che trapela, sarebbe sotto il controllo dell’opposizione nella quale militano frange dalle più moderate alle più integraliste ed anticristiane. Tutto ciò provoca paura nei nostri fedeli. Si stima che la metà abbondante della comunità cristiana si sia spostata sia all’interno che all’esterno del Paese. Le prossime festività natalizie saranno vissute all’interno di case, di chiese, in qualche villaggio, non essendoci le giuste condizioni di sicurezza. Ma è importante celebrare il Natale perché significa dire a tutti ‘ecco noi ci siamo, siamo qui’”.

C’è un messaggio particolare che dal Medio Oriente giunge al mondo intero per questo Natale?
“In questo periodo leggiamo il Libro delle Consolazioni di Isaia dove ci sono brani molto belli tra i quali i canti del servo sofferente. Consolazione e speranza non cancellano la sofferenza ed il dolore ma li rendono innocui, tolgono loro l’ultima parola. Il messaggio per tutti è: la sofferenza ed il dolore esistono ma dobbiamo starvi dentro sapendo che siamo figli di Dio che si è incarnato e che ci dona la forza di vivere questa situazione. Egli ci dona anche la serenità necessaria soprattutto per i giovani ed i bambini perché possano pensare ad un futuro diverso. La morte peggiore sarebbe vivere senza speranza credendo che un futuro migliore non è possibile”.
http://www.agensir.it/pls/sir/v3_s2doc_a.a_autentication?target=3&tema=Anticipazioni&oggetto=252425&rifi=guest&rifp=guest


VIDEO di Franciscan Media Center :
I cristiani siriani aspettano il Natale tra difficolta’ e speranza

lunedì 17 dicembre 2012

"La piccola speranza avanza tra le sue due sorelle grandi .."

Questo è quello che intendo quando ti auguro

Buon Natale



Aleppo, 12 dicembre 2012

Dalla nostra ultima lettera del 26 ottobre, la situazione militare sul terreno non è cambiata. Nonostante combattimenti strada per strada, attentati, autobombe, cecchini, omicidi e rapimenti, nessuna delle due parti del conflitto ha preso possesso di Aleppo.

Per contro, la situazione umanitaria è catastrofica. Tutto manca: pane, acqua, elettricità, benzina, gas e combustibili per citare solo bisogni di base. Questi prodotti sono disponibili in altre città siriane al prezzo normale. Ma il rifornimento di Aleppo è impossibile, tutte le strade che portano a o da Aleppo sono nelle mani dei ribelli che impediscono la consegna di questi prodotti. E quando si possono ottenere, il loro costo è insostenibile per la maggior parte delle persone: il pane 10 volte più caro, il prezzo della benzina salito 5 volte, combustibile (per il riscaldamento) a 12 volte, gas ( per cucinare) a 9 volte. Gli Aleppini hanno freddo (è inverno), sono affamati e disperati. Inoltre, l'elettricità è razionata, quando non è tagliata completamente come un paio di giorni fa, quando l'impianto di alimentazione principale è stata bombardato lasciando Aleppo nel buio più totale per 48 ore. Gli Aleppini non hanno avuto acqua (senza elettricità non funzionavano le pompe per l’ acqua ). In un freddo glaciale, la gente non poteva ricorrere alla stufa elettrica, nè acquistare combustibile per alimentare la stufa o per il riscaldamento centrale.

Le comunicazioni sono molto difficili: i telefoni cellulari, internet, le comunicazioni internazionali sono per lo più interrotti. Lasciare Aleppo è una sfida: per strada, potremmo essere rapiti o uccisi, e nel tentar di prendere l’aereo, il fuoco sulla strada per l'aeroporto ne ha ucciso più di uno.

L'aumento del numero di profughi: una statistica riassuntiva dei pazienti che mi consultano qui nello studio mi ha mostrato che l'80% non vivono più nella loro casa e si è trasferito a vivere con parenti o amici che vivono in quartieri ancora "sicuri". La vita è diventata così costosa che anche la classe media non può più sopravvivere. E che dire riguardo ai poveri e agli sfollati, di cui ci prendiamo cura?!

Con i "Fratelli Maristi Blu", continuiamo il nostro lavoro con gli sfollati. La mattinata è dedicata alla distribuzione di prodotti alimentari e sanitari e al "punto medico" dove abbiamo tra i 30 e i 50 pazienti al giorno. Nel pomeriggio, gli adulti nel nostro gruppo con i due fratelli Georges visitano le famiglie e i giovani insieme con Fratello Bahjat si occupano dei bambini. Il nostro progetto "Voglio imparare" è mirato all'alfabetizzazione dei bambini sfollati, insegnando loro le basi del leggere, scrivere e far di conto. Gli sfollati soffrono molto per il freddo, le aule in cui alloggiano non sono dotate di riscaldamento. Si accontentano  degli spessi maglioni e coperte che abbiamo loro fornito. Con contro, abbiamo installato in ogni scuola uno scaldabagno elettrico per consentire loro di prendere un bagno caldo (quando la corrente elettrica e acqua sono disponibili!)
Il nostro progetto "Carrello della Montagna" è nel suo quinto mese. Come si è detto nelle nostre precedenti lettere, il progetto mira a fornire un cesto di cibo (sufficiente per sfamare una famiglia completa) una volta al mese, per le famiglie cristiane prive di risorse in zona  Jabal Al Saydé per sovvenire alla fame fornendo loro un salario di sussistenza per sopravvivere. Domenica 2 dicembre si è svolta la quarta distribuzione del paniere mensile a 291 famiglie. Il quinto cestello è previsto per la vigilia di Natale e per la prima volta comprenderà un chilo di carne. Questo sarà un banchetto, il giorno della festa di Natale, per quelle famiglie che non hanno assaggiato la carne per 5 mesi!
Tutti gli Aleppini, compresi i nostri sfollati, i nostri poveri ed i nostri volontari sono in preda alla stanchezza e alla disperazione per la situazione che si protrae da cinque mesi in Aleppo e da 21 mesi in Siria. Non vedono la fine del tunnel. Sono stanchi del suono di bombe e fucili, della povertà, della miseria, della fame, del freddo, della distruzione, dello sradicamento e della morte che si annida in ogni momento. Soffrono di vedere la loro città e il loro paese distrutto, hanno perso ogni speranza per il futuro.
Quello che ci consola è la rete di solidarietà che si è creata intorno a noi. In primo luogo, i parenti e il siriani della diaspora, che non perdono l'occasione per dimostrare il loro attaccamento e l'amore per i siriani che sono rimasti sul posto e per il loro paese di origine. E poi, naturalmente, tutti voi, amici, conoscenti o amici di amici che ci hanno sostenuto e continuano a farlo in vari modi.
 
A tutti voi, a nome delle nostre squadre "Orecchio di Dio", i "Fratelli Maristi Blu" e "Paniere della montagna," vorrei dire grazie per il vostro sostegno, la vostra amicizia e l'amore. Vi auguriamo che per voi il Natale sia gioia e pace.
Che Nostro Signore, Dio dell'amore e della pace, faccia sì che finisca il nostro incubo e che resti viva in noi quella Speranza che permetterà che, dopo le tenebre, la luce possa  scaturire, perchè di nuovo siamo in grado di vivere in pace e sicurezza.

Per il 2013, vi auguriamo il meglio.

Nabil Antaki, per "I Maristi Blu"
 



Prima di concludere, vorrei condividere con voi un estratto del messaggio del Superiore Generale dei Fratelli Maristi a tutto il Mondo Marista in occasione del Natale:


Non è difficile, in questo Natale, immaginare lo stupore di Maria e Giuseppe, sorpresi nello scoprire che la vita è più che vita, che c'è sempre qualcosa che ci supera nel tessuto ordinario della nostra storia. Un apprendistato che  essi  hanno fatto per tutta la vita, segnata, come quella di molti dei loro contemporanei, da momenti di serenità e di pace, ma anche da altri di violenza estrema.
Apprendimento che stanno facendo i 3 fratelli della nostra comunità di Aleppo (Siria), a circa 600 km da Betlemme. Da diversi mesi, la popolazione civile di questa antica città è immersa in una situazione di forte violenza: lotta armata, attentati, scarsità di risorse ... Ciò che sorprende è come, in tali circostanze avverse, sia possibile anche lì l’emergere dello stupore.

In effetti, una profonda ammirazione nasce davanti a situazioni che si verificano, in modo imprevisto: un gruppo di laici, i Maristi, sfidando la paura, consegnano il loro tempo e le loro competenze per restare insieme alle vittime più vulnerabili, senza distinzione di culture o religioni: la collaborazione di volontari /e, anche musulmani, che partecipano all’opera dei Maristi Blu; la risata spontanea dei bambini, almeno per qualche ora; la rete di solidarietà che è stata tessuta, sia a livello locale che internazionale ... Sì, la speranza è possibile. Anche se tutto sembra indicare che la violenza e la morte hanno l'ultima parola, la piccola speranza, come la chiamava Peguy, si ostina a mantenersi salda nel cuore della gente semplice.
Come possiamo continuare a sostenere la speranza dei nostri fratelli e sorelle in Aleppo? Vi invito dal 18 al 25 dicembre a mettere in qualche parte privilegiata della nostra comunità o famiglia una candela e ad accenderla  ogni giorno per qualche momento, come simbolo della nostra comunione con loro, attraverso l'affetto e la preghiera.

 
Gregorio di Nissa, un cristiano vissuto alla fine del quarto secolo nella stessa regione del Medio Oriente, ha scritto che i concetti creano gli idoli, solo lo stupore conosce. Sì, i concetti creano idoli, e spesso malintesi, e persino guerre. Solo allo stupore è possibile attraversare la realtà come appare ai nostri occhi, e abbracciare la gioia di una vita piena, pur in mezzo alle condizioni più avverse.
 Questo è quello che intendo quando ti auguro Buon Natale.
Che lo sia davvero per te e per i tuoi cari,
H. Emili Turú, Superior General


Sostieni Maristi di Aleppo con una donazione a:
Fondazione Marista per la Solidarietà Internazionale Onlus
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domenica 16 dicembre 2012

Il Vescovo Audo: "Potenze internazionali, fate ai siriani questo dono della pace"

Per Mons. Antoine Audo, gesuita vescovo di Aleppo, presidente della Caritas Siria, il conflitto siriano è diventato internazionale: solo un accordo internazionale potrà ottenere la riconciliazione.



 
 
Intervista di La Croix - 14/12/12
 


Come descriverebbe la situazione ad Aleppo adesso?
Mons. Antoine Audo:  L’Insicurezza regna ovunque. Non possiamo più circolare e si è permanentemente minacciati da rapimenti (a scopo di estorsione), dalle imboscate dei cecchini, dalle bombe (da parte dell'esercito siriano o dei ribelli) e dagli attentati con autobombe. Questa insicurezza ha fatto sì che l'80% delle persone non lavora più, in modo che l'economia è bloccata e la povertà aumenta. Tanto più che il costo della vita è raddoppiato dall'inizio del conflitto. Le persone semplici che vivevano con poco devono ora essere supportate in  tutto, così si può dire che oggi il 70% dei siriani vive al di sotto della soglia di povertà.

Come fanno a sopravvivere?
M.A.: La gente ha dei risparmi e il sostegno della famiglia funziona ancora bene nelle nostre società tradizionali. E i siriani della diaspora (Nord America, Europa, Australia ...) riescono ad inviare da 300 a 500 dollari per le loro famiglie ogni mese. Ma le famiglie sfollate facilmente diventano un peso. In qualità di presidente della Caritas Siria da un anno, posso dire che tocco la miseria con le dita.

 Caritas Siria quali programmi  ha implementato?
M.A. : Nelle sei regioni organizzate dalla Caritas (Damasco, Aleppo, Homs, Jaziré, Horan e la costa), diamo la priorità all' aiuto alimentare con 4000 pacchi di alimenti (del valore di circa 20- 30 dollari ) distribuiti mensilmente in tutto il paese: un totale di 100.000 dollari finanziati principalmente dai nostri partner tradizionali (Catholic Relief Services, Caritas Germania, Svizzera e Lussemburgo ...). Sviluppiamo assistenza medica, in particolare a Damasco e Aleppo, per dare libero accesso alle cure sanitarie. E ad Aleppo, abbiamo aperto un contratto con il St. Louis Hospital gestito dalle Suore di San Giuseppe dell'Apparizione perchè tutti i feriti vi siano operati e curati gratuitamente e ho deciso di finanziare questo progetto per la somma di $ 50 000 al mese. Abbiamo anche un "programma invernale" ($ 300 000 fino a marzo 2013) per l'acquisto per 3.000 famiglie in tutta la Siria, di stufe e petrolio, coperte e vestiti caldi e di aiuto per pagare l'affitto.

 Come vede il futuro prossimo in Siria?
M.A. : La mia impressione generale è che non se ne esce. Questo conflitto siriano, inizialmente  locale, è diventato regionale (con il Qatar, Arabia Saudita, Iran, Turchia) ed è ora internazionale (con la Russia, gli Stati Uniti, la Cina e l'Europa). Quindi possiamo solo sperare che ci sia un accordo internazionale per risolvere il conflitto locale e raggiungere la riconciliazione e la pace. Ciò significa riconoscere la complessa storia dei rapporti tra alawiti e sunniti e parlarne con calma - che oggi è impossibile, perché si tratta di un argomento tabù nella società siriana. Ciò implica anche che ogni parte smetta di ritenersi depositario della verità e riconosca la dignità degli altri. A questo proposito, i cristiani possono contribuire a spezzare la spirale di umiliazioni, di violenza e di vendetta per avere l'audacia del perdono .

Quale appello Lei vorrebbe lanciare?
M.A. : Mi rivolgo a quelli che distruggono questo bellissimo Paese, così ricco di storia e cultura: invece di sfruttare i punti deboli confessionali, essi farebbero meglio ad aiutarlo a trovare soluzioni  politiche ed economiche. Miliardi di dollari sono già stati persi in questa guerra, per niente. Cerco di fare tutto il possibile per salvare la Siria e anche per salvare la presenza dei cristiani, perché più ci sarà distruzione in Siria, sempre più cristiani se ne andranno, e sarà una perdita per il paese e per tutta la regione! Contribuire alla riconciliazione e assicurare la pace alla Siria sarà vantaggioso per tutti, a livello nazionale, regionale e internazionale!
Chiedo pertanto alle potenze internazionali che ci facciano il dono della pace attraverso una mediazione politica ragionevole e razionale.

http://www.la-croix.com/Religion/S-informer/Actualite/Mgr-Audo-Je-demande-aux-puissances-internationales-de-faire-aux-syriens-ce-cadeau-de-la-paix-_NG_-2012-12-14-887927

 (traduzione FMG)

La "Campagna Tende di Natale" di AVSI per i profughi siriani




http://issuu.com/avsi/docs/bntende2012/9