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martedì 25 settembre 2012

Sequestrati 150 fedeli greco cattolici

Homs (Agenzia Fides) –
Un maxi sequestro di 150 fedeli greco-cattolici ha sconvolto la comunità cristiana nel villaggio di Rableh, situato tra il confine libanese e la città di Qusayr, nella provincia di Homs. Si tratta di operai e contadini, uomini, giovani e donne, che si trovavano a pochi chilometri dal villaggio, impegnati nei campi per la raccolta delle mele, una delle principali fonti di sostentamento per la popolazione locale. Il cattolico Abou Fadel, padre di una delle vittime, contattato da Fides, racconta che ieri, 24 settembre, la gente del villaggio ha sentito spari e raffiche, “dunque siamo andati a vedere cosa stava succedendo. Abbiamo visto molti furgoni e pick-up che hanno portato via le persone. Nei campi sono rimaste solo le scatole con le mele raccolte”.
Abou Fadel riferisce che “questa regione è da mesi completamente sotto il controllo di bande armate che spadroneggiano. Nelle ultime settimane non potevamo prenderci cura degli alberi nei campi per mancanza di sicurezza. Poi, grazie a una trattativa avviata dal governatore di Homs, la situazione sembrava migliorata”. L’uomo prosegue: “Sono molto preoccupato. Mio figlio è tra i rapiti e molti giovani della nostra famiglia sono scomparsi. Perché? Cosa vorranno i rapitori? Siamo in angoscia per la loro sorte. Noi siamo un villaggio tranquillo, vicino al santuario del profeta Sant’Elia, luogo venerato da cristiani e musulmani. Desideriamo solo vivere in pace con tutti”.
Raggiunto da Fides, il Patriarca greco cattolico di Damasco, Gregorios III Laham, informato dell’accaduto, “implora Iddio perché aiuti gli innocenti e i poveri”. Il Patriarca lancia un appello: “Chiedo a tutti i belligeranti di rispettare i civili e risparmiare vite innocenti”. Alcuni leader cristiani locali stanno cercando di contattare Ong e organizzazioni internazionali per chiedere assistenza in tale tragica situazione. (PA) (Agenzia Fides 25/9/2012)

Si allarga il “rastrellamento” dei cristiani di Rableh: 280 in ostaggio
Homs (Agenzia Fides) – Il rastrellamento dei fedeli cristiani nell’area del villaggio di Rableh, situato al confine con il Libano, nella Siria occidentale, si allarga: dopo il maxi sequestro avvenuto ieri, di 150 persone (vedi altro articolo Fides del 25/9), oggi altri 130 civili sono stati fermati e rapiti nella zona da bande armate, in un rastrellamento che è giunto a creare un gruppo di ben 280 ostaggi. Come riferiscono fonti locali di Fides, gli ostaggi sono stati ammassati in una scuola nella località di Gousseh, mentre i sequestratori hanno rilasciato le donne fermate in precedenza. I rapitori armati hanno reso noto che intendono aspettare il loro capo e poi trattare un eventuale riscatto.
Nella comunità cristiana di Rableh c’è molta paura in quanto ieri tre cristiani, che erano stati sequestrati nel villaggio di Said Naya nei giorni scorsi, sono stati ritrovati uccisi sul bordo di una strada. Secondo un sacerdote locale, che chiede a Fides l’anonimato, “non si tratta di una persecuzione, ma di una manovra per diffondere sospetto e diffidenza e istigare alla guerra confessionale”. Il comitato locale della “Mussalaha”, l’iniziativa popolare di riconciliazione dal basso, sta cercando una soluzione dialogica e pacifica alla vicenda. Il punto è che “si tratta di bande armate non identificate e fuori controllo, che agiscono in modo indipendente e non fanno riferimento all’Esercito di Liberazione Siriano (Free Syrian Army). Questo rende ogni trattativa molto più difficile”, osserva la fonte di Fides. Secondo fonti di Fides, in Siria vi sarebbero attualmente circa 2.000 gruppi armati non riconducibili al FSE, con una propria agenda, che cercano di inquinare il conflitto in corso fra ribelli e lealisti. (PA) (Agenzia Fides 25/9/2012)
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39923&lan=ita

Aggiornamento da S.I.R.:
Ogni minuto è prezioso per salvare 240 cristiani rapiti oggi a Rableh mentre raccoglievano mele

“Una notizia sconcertante che getta nella paura la comunità cristiana del Paese” dichiara senza mezzi termini il patriarca greco-cattolico di Damasco, Gregorios III Laham, contattato da Daniele Rocchi per il Sir. È lo stesso patriarca a riferire l’accaduto: “Sono arrivati e hanno portato via solo gli uomini, quelli di fede cristiana, lasciando le donne ed i fedeli musulmani. Non sappiamo chi siano gli autori del gesto, se criminali comuni, jadhisti. Non abbiamo ricevuto rivendicazioni né tantomeno abbiamo avuto modo di intavolare dei contatti. Non sappiamo i motivi di questo grave gesto”.

Vogliamo vivere in pace.  “Da circa tre settimane - spiega Gregorios III - il villaggio di Rableh, è posto sotto assedio da parte dell’Opposizione militare. La popolazione locale è impedita dal recarsi nei campi per raccogliere frutti e prodotti, per irrigare. Gli operai, i contadini, i giovani, uomini e donne, hanno voluto ugualmente fare qualcosa per non perdere tutto e sono andati nei campi dove poi sono stati catturati”. “Per fare fronte ai bisogni della popolazione assediata di Rableh - rivela il patriarca greco-cattolico - ho disposto l’invio da Damasco di mille pacchi con generi di conforto. Ho dovuto attendere quindici giorni per inviarli in tutta sicurezza perché l’Opposizione attaccava il convoglio di aiuti. Mille pacchi donati a famiglie cristiane e musulmane senza distinzione. Purtroppo questa è la situazione sul campo”. Gli stessi testimoni confermano che "la regione è da mesi sotto il controllo di bande armate che spadroneggiano. Nelle ultime settimane non potevamo prenderci cura degli alberi nei campi per mancanza di sicurezza. Poi, grazie a una trattativa avviata dal governatore di Homs, la situazione sembrava migliorata".

La rivoluzione non si impone. “Rapire così tante persone non è facile. Siamo davanti ad un gesto premeditato?”, si chiede il patriarca. “Forse siamo davanti al tentativo di fare pressione sui cristiani affinché entrino nella spirale della violenza e di opposizione. La rivoluzione non si può imporre a nessuno. Ognuno, nella propria libertà, può scegliere da che parte stare e questo vale anche per i cristiani che sono liberi di esprimersi come credono. Noi vogliamo essere ponti di riconciliazione, di tolleranza, di pace e non fautori di guerra e violenza. Questa è la nostra posizione. Noi non appoggiamo la violenza. La Siria ha bisogno di riconciliazione e non di divisione. È urgente lavorare per ricomporre il tessuto sociale del nostro popolo. Oggi assistiamo ad un ‘tutti contro tutti’. Noi cristiani lavoriamo con tutti coloro che hanno il desiderio di trovare una via comune di riconciliazione”.

Appello ad Onu e Croce Rossa. “Chiedo a tutti le fazioni in lotta di rispettare i civili e risparmiare vite innocenti. Alcuni leader cristiani locali stanno cercando si contattare Ong e organizzazioni internazionali per chiedere assistenza in questa tragica situazione. Davanti a crimini del genere bisogna, inoltre, sensibilizzare la stampa internazionale e organizzazioni internazionali, come Onu e Croce Rossa, affinché cerchino una mediazione, trovino un contatto per avviare dei colloqui per la liberazione degli ostaggi. Ho parlato con il ministro della Riconciliazione, Ali Haidar, che mi ha garantito di monitorare attentamente la situazione per vedere cosa si può fare a riguardo”, conclude Gregorios III.
http://www.agensir.it/pls/sir/v3_s2doc_a.a_autentication?target=3&tema=Anticipazioni&oggetto=246849&rifi=guest&rifp=guest


Aggiornamento S.I.R. ore 18
LIBERATI GLI OSTAGGI: "CON IL DIALOGO SI PUO' FARE MOLTO. La riconciliazione è la parola dell’avvenire per tutti, per tutta la Siria". 

Sono stati tutti liberati i 240 i fedeli cristiani greco-melkiti, rapiti oggi nel territorio circostante il villaggio di Rableh, situato tra il confine libanese e la città di Qusayr, nella provincia siriana di Homs (Siria). A riferire la notizia è la Radio Vaticana che ha sentito il patriarca greco-cattolico di Damasco, mons. Gregorios III Laham (clicca qui). “Sto apprendendo ora la notizia che sono stati liberati, tutti - sono state le parole del patriarca - grazie al dialogo tra la gente del villaggio di Rableh e i rapitori armati. Si tratta di un nuovo esempio per dire che con il dialogo si può fare tutto, o meglio si può fare molto”. Secondo il patriarca greco cattolico “gli abitanti sapevano che i rapitori erano persone che stavano intorno al villaggio da 20 giorni e che volevano alimentare il fuoco tra i differenti gruppi religiosi, cristiani, musulmani. Però, le persone sul posto si conoscono tutte e hanno saputo dove cercarli, hanno seguito una pista e hanno potuto sapere chi erano. Sono andati da loro e le persone hanno detto: siamo anche noi cittadini siriani, dobbiamo vivere insieme, non possiamo fare così, e sono riusciti a convincerli che si deve vivere come fratelli”.
ascolta l'intervista al Patriarca Gregorios (in francese)  http://media01.radiovaticana.va/audiomp3/00335530.MP3
 
http://www.agensir.it/pls/sir/v4_s2doc_A.a_autentication?tema=Quotidiano&oggetto=246917&rifi=guest&rifp=guest&target=3



"Per una soluzione politica della crisi siriana, anteponiamo il dialogo alla guerra civile, la democrazia alla teocrazia, la laicità all'islamismo".

SOPRASSALTI  DI  PACE?
 
Damasco, sabato 23 settembre
Riunione del Congresso nazionale di Salvezza della Siria
 

 
Le Forze di Cambiamento e di diversi partiti di opposizione ( circa 20) si sono riuniti domenica 23 settembre, a Damasco, in presenza degli ambasciatori di Cina, Russia e Iran e alcuni rappresentanti indiani, egiziani, algerini e di altri paesi, nonostante l'assenza dei tre leader del Comitato di Coordinamento delle Forze di Cambiamento Democratico Nazionale : Abdel-Aziz al-Khayyer, Iyas Ayyach e Maher Tahhan, sequestrati due giorni prima sulla strada  dell'aeroporto di Damasco di ritorno da un viaggio in Cina. A questo congresso hanno preso parte 200 membri dei movimenti d’opposizione.

Le richieste:
-cambiamento politico verso la democrazia, deciso dai siriani, con i siriani e per gli interessi siriani
-stop alla violenza da tutte le parti.
- sarà a carico della missione di Brahimi organizzare una conferenza internazionale sulla Siria per un trasferimento di potere politico senza interferenza straniera.
- dialogo con l'opposizione ma negoziando solo con il regime per un trasferimento di potere.

L’oppositore Haytham Manaa ha ribadito: " Questa guerra è molto sporca, va quindi posto fine alla violenza, e mettere a tacere le armi per ricercare una soluzione politica”.
Radjaa Nasser, uno degli organizzatori della Conferenza per la Salvezza della Siria, ha chiesto «un arresto immediato di sparatorie, la cessazione dei bombardamenti brutali e di ogni barbarie, una tregua e una pausa tra i combattenti . Chiediamo la caduta di questo regime, una soluzione politica per una transizione politica del potere verso un regime democratico pluralista, che garantisca l'unità e la sovranità della Siria...»

sabato 22 settembre 2012

23 settembre: SANTA TECLA DI MAALULA, PRIMA DONNA MARTIRE DEL CRISTIANESIMO


Takla nacque nella città di Antiochia in Turchia, da famiglia di religione pagana; suo padre era il governatore di Antiochia. La predicazione dei Santi Paolo e Barnaba nella città "dove per la prima volta i discepoli di Gesù furono chiamati cristiani" la conquistò alla fede ardente in Gesù Cristo, il Figlio unigenito di Dio. Fu consegnata ai tormenti del fuoco, legata a due tori che avrebbero dovuto squarciarla, gettata in una buca piena di serpenti velenosi, ma a tutto sopravvisse, piena di grazia e di dignità.
Lasciata libera, sfuggita ai persecutori attraverso un percorso in una stretta gola (un canyon prodotto dall'erosione delle acque) trovò rifugio in alcune grotte. Lì visse per molti anni, avendo unicamente la Croce come fonte del coraggio e della testimonianza. Il suo corpo giace nel villaggio di Maaloula, a nord di Damasco, dove ancora oggi si parla l’aramaico, la lingua di Gesù; il Monastero in cui è sepolta fu costruito accanto alla sua tomba, è diventato un luogo di pellegrinaggio, frequentato da migliaia e migliaia di turisti e visitatori provenienti da tutto il mondo.
Non avendo potuto quest'anno essere venerate in Maalula per i minacciosi eventi in corso, in questi giorni le reliquie delle ossa di Santa Tecla sono state trasportate in Libano nel convento di Sant'Eloi, a 30 km da Beirut.
"E' questo il primo segnale di quello che avverrà a tutta la cristianità siriana? No - ha risposto Padre Pavel - i cristiani vivono in Siria da 2000 anni, grazie a loro il mondo ha conosciuto il cristianesimo. Qualunque sia la sorte della loro patria, i cristiani non l'hanno mai lasciata e mai lo faranno. Santa Tecla tornerà a Maalula con le sue ossa e  con la sua immagine che incarna lo spirito della libertà, i valori cristiani e il sacrificio in nome della fede. Ora Santa Tecla in Libano sta aiutando il nostro popolo a ritrovare la consolazione e la speranza".


Ascolta il Padre Nostro in Aramaico 
https://www.youtube.com/watch?v=KejGKjSYD6w



Il Signore che protesse Tecla, discepola di San Paolo, salvi e consoli le donne siriane rifugiate con i loro figli, indifese vittime di violenza nei campi profughi; fermi il mercato delle spose bambine,  che, 
“come denuncia il quotidiano degli Emirati The National, è la nuova frontiera dell’annichilimento umano nei campi profughi turchi, libanesi e giordani allestiti per tamponare la crisi siriana. «I genitori si sentono costretti a maritare le figlie agli stranieri perché è comunque un’alternativa migliore alla vita nel campo profughi» scrive il columnist saudita Mohammed al Osaimi. Oggi centinaia di minorenni siriane, spesso addirittura under 15, vengono di fatto vendute a facoltosi uomini d’affari arabi ....” 
(Francesca Paci su LaStampa)

venerdì 21 settembre 2012

«Noi siamo prigionieri della guerra, voi di messaggi distorti e parole false».

Cristiani siriani: «Non lasceremo questo inferno»                             

 di Gian Micalessin
Tempi- 21 settembre 21, 2012

«Siamo figli di san Paolo. Non abbandoneremo la terra che ha bevuto il sangue dei nostri martiri». La fede di padre Hanna Jallouf e dei cristiani dell’Oronte, assediati dall’esercito siriano e usati come scudi umani dai ribelli «integralisti»

È appena arrivato a Damasco. Stavolta ce l’ha fatta. Padre Hanna Jallouf ci provava da un mese. Ora asciugato il sudore, ripulita la polvere della sua odissea siriana può indossare i paramenti, alzare il calice, recitare messa nella cappella del Memoriale di san Paolo. Qui iniziò la predicazione cristiana. Qui è tornato oggi il pastore Hanna. È sceso dall’Oronte, il fiume ribelle che dal Libano risale la Siria verso nord disegnando le vallate al confine con la Turchia. Lassù ha lasciato la sua comunità accerchiata, i suoi fedeli prigionieri di guerra e paura. «Sono il parroco superiore di Knaye e di un’altra missione. Lassù nella provincia di Idlib – racconta – siamo quasi 2.000 cristiani divisi fra le comunità francescane della Custodia di Terrasanta e quelle greco ortodosse, armene e protestanti. Siamo i discendenti dei primi cristiani, i figli della predicazione di san Paolo. Siamo i discendenti dei primi convertiti sulla strada per Apame e l’Antiochia. Siamo una presenza millenaria».
Da mesi quella presenza vive prigioniera. Circondata da violenza ed orrore. «È incominciato tutto quando i ribelli scesi dal confine turco hanno massacrato 83 soldati. È stata una strage terribile e io l’ho vista con i miei occhi. Hanno tagliato la testa al comandante e l’hanno issata sulla terra dell’orologio, poi ne hanno tagliate altre cinque e le hanno deposte davanti alla sede del partito. Ho visto cose che non dimenticherò mai, ma ho anche dovuto badare alla mia comunità. Ho incontrato il capo dei ribelli, ho negoziato, l’ho fatto salire in macchina sono andato a cercare assieme a lui i fedeli di cui avevamo perso le tracce».
Da quei giorni però nulla è più lo stesso. L’esercito circonda la zona, chiude in una morsa le comunità cristiane controllate a loro volta dai ribelli. Quest’ultimi sembrano incapaci di governare il territorio, poco interessati a garantire ordine e sicurezza. «Come cristiani cerchiamo di restare neutrali, ma credimi, è difficile avere fiducia. Non sono un esercito di liberazione, sono delle bande che si muovono alla rinfusa. Più parlo con i loro capi più comprendo quanto i loro progetti siano confusi o pericolosi. Molti, moltissimi sono d’ispirazione integralista, almeno il 40 per cento sono dei fanatici mandati avanti e finanziati da paesi stranieri. Arrivano dai posti più caldi del medioriente come lo Yemen, l’Iraq e il Libano. Si danno appuntamento alla frontiera turca e da lì scendono verso i nostri villaggi. Questa è la nostra più grande sventura. In ogni villaggio musulmano c’è qualcuno che dopo il loro arrivo si proclama “emiro” e distribuisce ordini. Chi resta nelle campagne semina la paura. Nei nostri villaggi i rapimenti sono ormai all’ordine del giorno. I figli dei cristiani vengono catturati per strada e le famiglie ricattate. Ogni settimana dobbiamo fare delle collette per riuscire a riaverli. L’assurdo è che non rapiscono solo i cristiani, ma anche i musulmani moderati. La comunità di uno sceicco sunnita non lontana da noi ha versato diecimila dollari per riaverlo indietro vivo».
Il racconto di padre Hanna Jallouf sembra il controcanto di quel che italiani ed europei apprendono da giornali e dalle televisioni. Ma lui non si stupisce. Sorride. «Noi siamo prigionieri della guerra, voi di messaggi distorti e parole false. L’esercito è accusato di mettere a segno dei massacri, ma se succede è perché non riesce a distinguere, perché i ribelli vanno a rifugiarsi nei villaggi e si fanno scudo dei civili. Questa è una guerra e come in tutte le guerre il sangue non scorre da un parte sola».
A Damasco, rischiando la vita Dietro le barriere di questa tragedia i cristiani dell’Oronte attendono impotenti una via d’uscita, un ritorno alla ragione. «Ora le mie prime preoccupazioni – racconta padre Hanna – sono il pane per la mia gente, le medicine per le nostre donne, il latte per i nostri bambini, il lavoro per i loro padri. Per questo ogni tanto rischio il tutto per tutto e vengo a Damasco, tengo i contatti con la Custodia di Terrasanta. Ma questo è solo un modo per sopravvivere. La soluzione vera non passa da me e non è neppure all’orizzonte della politica. Quando parlo con i ribelli o con i capi dell’esercito spesso ascolto parole confuse», ripete rassegnato il pastore dell’Oronte. «Del resto neppure la diplomazia sembra capirci troppo. L’unica soluzione, non solo per noi cristiani, ma per tutta la Siria è il dialogo. La comunità internazionale dimentica che il sangue chiama sangue e l’uso della violenza alimenta l’odio. Pensare che la colpa sia solo da una parte è il peggiore degli errori. Senza misericordia, senza perdono, questa tragedia non finirà mai».
Ora per padre Hanna è tempo d’andare. Ripiegati i paramenti, risale dalla grotta del Memoriale di san Paolo e si prepara a tornare dai cristiani dell’Oronte. All’andata ha superato i posti di blocco dei ribelli, attraversato i villaggi delle milizie alawiste, visto la morte in faccia quando una trappola esplosiva ha dilaniato i soldati fermi lungo un tratturo. Il viaggio del ritorno sarà altrettanto difficile. Ma padre Hanna non si preoccupa. «Era la terza volta che provavo ad arrivare. Le altre due avevo dovuto rinunciare a metà strada. Ma due giorni fa mi è caduta sotto gli occhi una frase del Vangelo. “Io – recita il Signore – apro le vostre vie”. Allora ho deciso di riprovarci. In fondo la nostra vita è bella solo se possiamo realizzare la nostra missione e vivere in mezzo alla nostra gente. Per questo ho fretta di tornare al loro fianco. Siamo i figli di san Paolo, siamo la testimonianza della presenza cristiana. I nostri progenitori sono sono morti in quei villaggi e noi faremo lo stesso. Il cristianesimo non può abbandonare la terra che ha bevuto il sangue dei propri martiri».
http://www.tempi.it/cristiani-siriani-non-lasceremo-questo-inferno

mercoledì 19 settembre 2012

Nonostante la paura il Consiglio dei vescovi di Aleppo ha scelto di non armarsi.

Il fragore e il grido
 
SIR Prima pagina 18 settembre 2012

Non sono andati da Benedetto XVI, a Beirut, per restare a fianco delle loro comunità. Sono i vescovi di Aleppo, città da settimane al centro di gravi e violenti scontri tra le forze del regime di Bashar al-Assad e l’opposizione armata. Tuttavia hanno fatto recapitare al Pontefice una lettera in cui gli chiedevano di lanciare un pressante appello alle Nazioni per una soluzione pacifica della crisi che sta distruggendo la Siria. L’appello di Benedetto XVI è arrivato, puntuale, all’Angelus, al termine della Messa finale del 16 settembre a Beirut, quando ha affidato alla Vergine Maria gli abitanti della Siria e dei Paesi vicini implorando per tutti il dono della pace. “Il fragore delle armi - ha detto il Papa - continua a farsi sentire, come pure il grido delle vedove e degli orfani! La violenza e l’odio invadono la vita, e le donne e i bambini ne sono le prime vittime. Faccio appello alla comunità internazionale! Faccio appello ai Paesi arabi affinché, come fratelli, propongano soluzioni praticabili che rispettino la dignità di ogni persona umana, i suoi diritti e la sua religione! Chi vuole costruire la pace deve smettere di vedere nell’altro un male da eliminare”.

Esempio da seguire. Oggi, uno di loro, che per motivi di sicurezza chiede al Sir l’anonimato, ritorna sul viaggio apostolico e racconta: “Sono rimasto piacevolmente sorpreso nel constatare come i media siriani abbiano dato ampio risalto al viaggio di Benedetto XVI in Libano. Lo hanno descritto come apostolo della pace, che cerca di diffondere concordia tra i popoli. Domenica scorsa, alle otto di mattina, la radio governativa siriana ha realizzato un servizio di quattro minuti parlando del Papa come di un esempio di capo religioso da seguire per il suo servizio alla pace. Il giornalista islamico che ha redatto il servizio ha esortato i musulmani a essere, come il Pontefice, elementi di pace e di fratellanza”.

“No” alle armi. Purtroppo dal Paese non giungono belle notizie. Oggi è stata diffusa la voce che le comunità cristiane in Siria, dopo le ripetute violenze subìte da bande armate, spesso gruppi jihadisti, hanno iniziato a organizzare, in diverse località, “comitati popolari dissuasivi”, formati da giovani cristiani armati, che intendono prevenire il banditismo e la violenza e difendere i loro quartieri. Le comunità cristiane hanno subìto abusi, rapimenti, violenze, uccisioni, furti, violazioni di proprietà nella cosiddetta “Valle dei cristiani” (Siria occidentale), nel centro storico di Aleppo, nel quartiere di Damasco “Jaramana”, in altri villaggi come Qusayr e Rableh (nell'area di Homs). L’esponente della Chiesa cattolica locale non condivide la scelta anche se, spiega, “la comprende”. Questa decisione di armarsi, secondo la fonte del Sir, “riguarderebbe solo le comunità greco-ortodossa e armena”.
“Il vescovo armeno ortodosso di Aleppo ha spiegato che la scelta di armarsi non è atta a offendere ma a difendere la propria gente, a rassicurarla. Queste persone non hanno imbracciato le armi per attaccare, sono una sorta di sentinelle che vigilano sulle proprie famiglie e sulle proprie case. Gli armeni hanno mandato via da Aleppo i loro bambini, li hanno fatti tornare in Armenia, hanno paura per loro. Posso capirli, dal momento che il loro popolo ha vissuto esperienze sanguinose nel passato, con la Turchia”. Il leader religioso si dice “fortemente preoccupato” per la presenza nel Paese di combattenti jihadisti e di integralisti. “Sarà una catastrofe - dichiara - se dovessero prendere il potere, non solo per la Siria, ma anche per il Libano e per l’Europa. Spero che in Siria venga salvaguardata la libertà religiosa e il pluralismo. Abbiamo visto le proteste per il film blasfemo su Maometto, cosa potrebbe succedere se l’Islam integralista prendesse il sopravvento? Gli appelli del Papa al dialogo, contenuti anche nell’Esortazione ‘Ecclesia in Medio Oriente’, sono fondamentali”. Nonostante la paura “il Consiglio dei vescovi di Aleppo ha scelto di non armarsi. Non escludo, tuttavia, che vi siano fedeli cattolici che lo abbiano fatto, insieme a fedeli islamici, per scopi difensivi. Come cattolici non vogliamo armarci e non lo faremo anche se ciò può rappresentare un pericolo. Confidiamo nella Provvidenza e nella benevolenza degli uomini”.

Una spinta al dialogo. Una scelta ancor più significativa dal momento che ad Aleppo i combattimenti sembrano non cessare anche se, continua l’esponente religioso, “oggi sono meno intensi. Pochi giorni fa la situazione era molto tesa e gli spari non erano molto lontani da noi. La preoccupazione era palpabile. Buona parte della comunità cattolica di Aleppo ha lasciato la città per il Libano e altri Paesi. Chi è rimasto cerca rifugio da parenti o strutture lontane dai luoghi degli scontri”. La speranza adesso, “è che la visita del Pontefice possa dare una spinta verso il dialogo e la riconciliazione tra regime e opposizione. Mi auguro che i suoi appelli alla pace in Siria non rimangano inascoltati. In tanti Paesi europei ci sono moltissimi cristiani che, seguendo il richiamo del Pontefice, potranno fare pressione sui propri governi affinché si adoperino per il negoziato. Lo stesso può avvenire negli Usa dove i cattolici sono svariati milioni. È urgente fare pressione affinché non si mandino armi ma idee giuste per avviare negoziati e porre fine alla strage continua”. http://www.agensir.it/pls/sir/v3_s2doc_a.a_autentication?target=3&tema=Anticipazioni&oggetto=246460&rifi=guest&rifp=guest


Il Vicario delegato di Aleppo: i cristiani aiutano i profughi, non prendono le armi
 Agenzia Fides 21/9/2012

“Ci sono decine di migliaia di famiglie di sfollati nell’area metropolitana di Aleppo, fuggiti dai quartieri dove si combatte. Trovano riparo nelle scuole, nelle chiese, nelle moschee, negli edifici pubblici e in tante sistemazioni di fortuna. Devono mangiare, bere, dormire, vestirsi, curarsi. Tanti volontari delle nostre comunità si stanno occupando di loro, insieme ad altri gruppi di volontari siriani”. Così racconta all’Agenzia Fides il francescano p. Georges Abou Khazen, Ofm, Vicario delegato del Vicariato apostolico di Aleppo per i cattolici di rito latino. Gli interventi di prima assistenza sono, secondo padre Georges, le sole iniziative collettive che connotano le comunità cristiane in quanto tali rispetto al conflitto armato tra insorti e forze armate lealiste che due mesi dilania l’area della metropoli siriana, tra raid aerei e scontri strada per strada.
Davanti alle notizie circolate su gruppi di cristiani che avrebbero deciso di formare pattuglie di autodifesa armata per difendere le famiglie e le case dagli attacchi subiti da parte di miliziani stranieri, il francescano Abou Khazen reagisce con fermezza: “La Chiesa - dichiara a Fides - non fa altro che predicare l’amore e la pace per tutti, anche in situazioni tragiche come quelle che stiamo vivendo. Poi ognuno risponde alla sua coscienza. Ma l’immagine messa in circolo di gruppi cristiani che si armano può avere effetti tremendi. E’ come un segnale: sono armati, quindi andate lì e ammazzateli tutti”.
La prospettiva “libanese” di gruppi e fazioni che prendono le armi in uno scenario ormai impazzito non può trovare coperture ecclesiali. Proprio il flusso di armi provenienti dall’esterno è secondo padre Abou Khazen la riprova più eloquente delle responsabilità internazionali del conflitto siriano: “Gli altri Paesi dovrebbero costringere i contendenti alla tregua e poi a vedere insieme come si può uscire da questa tragedia. Invece da fuori non arrivano aiuti per i gli sfollati. Mandano solo armi, che alimentano morte e distruzione”.
Anche Benedetto XVI, sul volo che lo portava a Beirut, ha definito “peccato grave” il traffico di armi, individuandolo come fattore di alimentazione costante dei conflitti mediorientali. In quell’occasione, il Papa ha richiamato la necessità di “cessare l’importazione di armi: perché senza l’importazione di armi la guerra non potrebbe continuare”.
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39898&lan=ita

martedì 18 settembre 2012

Dal male presente può fiorire una nuova fraternità tra i cristiani e nel popolo siriano

Il Vescovo caldeo Antoine Audo: “Il conforto del Papa è arrivato fino ad Aleppo”
(Agenzia Fides 18/9/2012)
La visita di Benedetto XVI ha dato conforto anche ai cristiani di Aleppo, la metropoli siriana da due mesi al centro degli scontri armati tra i ribelli e l’esercito siriano.
Lo racconta all’Agenzia Fides il gesuita Antoine Audo, Vescovo caldeo di Aleppo e Presidente di Caritas Siria. Lui e gli altri Vescovi cattolici della città non hanno potuto recarsi in Libano per incontrare Benedetto XVI, rimanendo al fianco dei propri fedeli. Una rinuncia che, paradossalmente, ha permesso loro di sperimentare in modo particolare il vincolo di comunione che li unisce al Successore di Pietro: “Come Vescovi di Aleppo” nota mons. Audo, “avevamo inviato un messaggio a Sua Santità prima che iniziasse il suo viaggio in Medio Oriente. Ascoltando le sue parole e guardando ai suoi gesti, mi è sembrato che Benedetto XVI abbia letto la nostra lettera. Con le parole e con i gesti, ci ha voluto dire che condividiamo lo stesso suo sguardo sulle sofferenze del nostro popolo”.
Il Vescovo sta rileggendo i discorsi di Benedetto XVI in Libano, assaporandoli frase per frase. Confida a Fides: “Il Papa ha saputo parlare con semplicità evangelica. Non c’era complicazione, le sue parole sono state semplici e profonde, sgorgavano dal cuore della fede e per questo toccavano il cuore delle cose. Ha saputo parlare con grande affetto anche ai musulmani, ringraziandoli in maniera particolare per la riuscita della visita”.
Anche i riferimenti del Papa alla situazione siriana hanno rincuorato il Vescovo caldeo: “Benedetto XVI” dice a Fides mons. Audo “non parla come i media. Non si accoda alle frasi fatte che tutti ripetono. Dice una parola personale di fede e di libertà, questa è la sua forza. Quello che ha detto sul traffico di armi, definendolo un ‘peccato grave’, fa capire che è anche bene informato di quanto sta succedendo qui. E certo le sue sono le parole del Pastore. Non sono al servizio di una qualche potenza economica o militare”.
Il Vescovo difende i suoi confratelli, e tutti i cristiani del Medio Oriente, da chi li rimprovera di essere sottomessi ai regimi autoritari: “Si tratta di critiche ingiuste e infondate. Anche tra i cristiani ci sono tanti che sperano in un cambiamento che porti davvero a una maggiore libertà. I cristiani sono in gran maggioranza gente semplice, esposta a tutte le violenze. Conoscono la realtà del Paese e aspettano di vedere cosa accadrà. Come ha detto anche il Patriarca maronita Béchara Boutros Raï, non vogliono difendere nessun regime. Desiderano solo vivere nella pace, nella libertà e nel rispetto reciproco, lontano da ogni estremismo. Ma questo è un discorso che adesso molti non vogliono ascoltare”.
Il Vescovo Audo racconta di come il desiderio di una vita calma e tranquilla affiori anche in questi giorni tragici, con i raid aerei e gli scontri armati che si spostano di quartiere in quartiere: “Troviamo il modo di lavorare. Le celebrazioni continuano in tutte le parrocchie che si trovano fuori dalle zone di pericolo. In questa situazione tra i cristiani fiorisce un nuovo sentimento di unità, si mette da parte ogni divisione tra le diverse comunità. Lavoriamo tutti insieme nelle opere di assistenza per i più poveri e per i profughi che hanno trovato rifugio nelle scuole. Anche qui, nella chiesa dove risiedo, c’è ogni giorno la Messa alle 18, e vedo che poi tutti rimangono nel grande cortile, e si crea un ambiente familiare e fraterno. Mi accorgo che tutti hanno bisogno di trovarsi insieme, e di sentirsi protetti dalla Chiesa”.
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39864&lan=ita


I cristiani formano “comitati popolari” armati per prevenire le violenze
Le comunità cristiane in Siria, dopo le ripetute violenze subìte da bande armate, spesso gruppi jihadisti, hanno iniziato a organizzare, in diverse località, “comitati popolari dissuasivi”, formati da giovani cristiani armati, che intendono prevenire il banditismo e la violenza e difendere i loro quartieri. Le comunità cristiane hanno subìto abusi, rapimenti, violenze, uccisioni, furti, violazioni di proprietà nella cosiddetta “Valle dei cristiani” (Siria occidentale), nel centro storico di Aleppo, nel quartiere di Damasco “Jaramana”, in altri villaggi come Qusayr e Rableh (nell’area di Homs). Nonostante i ripetuti appelli dei Vescovi siriani, che hanno più volte invitato i fedeli a “non prendere le armi” e ad “avere pazienza”, tali gruppi difensivi hanno iniziato a formarsi soprattutto in seno alle comunità greco-ortodossa e armena, che “hanno avvertito la necessità di difendersi”. Come spiegano fonti di Fides in Siria, “non si tratta di milizie o gruppi combattenti, ma solo di gruppi di sentinelle che sorvegliano e garantiscono la sicurezza delle aree cristiane”.
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39871&lan=ita

 
Parole attese
Quelle di Benedetto XVI si sono saldate a quelle di quanti chiedono libertà ma rifiutano morte e orrore
 
SIR Prima Pagina - Riccardo Moro
“Perché tanti orrori? Perché tanti morti? Faccio appello alla comunità internazionale! Faccio appello ai Paesi arabi affinché, come fratelli, propongano soluzioni praticabili che rispettino la dignità di ogni persona umana, i suoi diritti e la sua religione! Chi vuole costruire la pace deve smettere di vedere nell’altro un male da eliminare.” Numerosissimi sono stati gli appelli alla pace, come questo dell’Angelus del 16 settembre, pronunciati da Benedetto XVI durante il viaggio in Libano appena concluso.
Il Papa è andato in Libano durante una lunga e delicata fase di trasformazione degli equilibri e del clima mediorientale. La primavera araba sta producendo frutti notevoli in Tunisia, incontra passaggi delicati probabilmente fecondi in Egitto e trova sangue, tanto sangue, in Siria. Con una coincidenza che potrebbe essere stata cercata, i giorni della visita sono coincisi con l’esplosione delle proteste intorno all’ennesimo e inutile intervento antislamico - una pellicola in questo caso - i cui trailer sono comparsi in rete nei giorni scorsi. Per quanto alcuni media europei abbiano parlato di movimenti di popolo a protestare contro il film e gli Usa accusati di avere ospitato la produzione, in realtà nelle capitali arabe si sono mossi solo poche centinaia di manifestanti. A differenza delle centinaia di migliaia di persone scese in piazza durante le proteste della primavera araba, in questo caso chi ha dato vita alle proteste aveva armi, obiettivi precisi e non è stato seguito dalla popolazione, come le testimonianze dirette da ogni capitale riportano. Sono state attaccate con precisione le ambasciate Usa e le polizie locali, colte impreparate, non sono riuscite a contenere le violenze. Il prezzo è noto: l’assassinio dell’ambasciatore Usa e di tre suoi collaboratori in Libia, morti e feriti negli altri Paesi.
Il viaggio papale si è sviluppato in questo clima, sotto gli occhi attenti di tutti. La maggior parte guardava al passaggio di Benedetto XVI come ad una opportunità preziosa per rilanciare parole di dialogo, ma non mancava chi era pronto a cogliere passi falsi per alimentare la tensione. In questa fase di ricomposizione dell’area mediorientale non vi è solo il fondamentalismo violento o terrorista che agisce. Vi sono molti gruppi, non classificabili facilmente con categorie politiche né etniche, che, privati dei legami con i poteri dittatoriali di ieri, oggi cercano anche attraverso il disordine di rioccupare gli spazi di potere - soprattutto economico - perduto. Ci si chieda, infatti, chi giova di queste violenze oggi in Tunisia o in Libia o chi può profittare del perdurare dello stato di guerra in Siria: non certo le organizzazioni politico culturali che partecipano alla vita pubblica.

lunedì 17 settembre 2012

"Pourquoi tant d’horreurs ? Pourquoi tant de morts ? J’en appelle à la communauté internationale ! J’en appelle aux pays arabes afin qu’en frères, ils proposent des solutions viables qui respectent la dignité de chaque personne humaine, ses droits et sa religion !": le Pape

 
 Histoire et évolution de la rébellion, le rôle de la presse, les joueurs et les perspectives du conflit, dans l'interview de Mère Agnès-Mariam de la Croix à RADIO NOTRE DAME, le 14 Septembre 2012 


http://radionotredame.net/wp-content/uploads/podcasts/interview-de-soeur-agnes-mariam/interview-de-soeur-agnes-mariam-14-09-2012.mp3




 Le siège de l’archidiocèse syro-catholique d’Hamidiyeh réduit en cendres


 
Maghreb Christians, citant l’Associated Press, nous informe que jeudi dernier l’archidiocèse syro-catholique d’Hamidiyeh, un faubourg chrétiens de la ville d’Homs contrôlé par l’Armée syrienne de libération (ASL), a été détruit par un incendie dont l’origine n’est pas établi. Un prêtre local, parlant sous couvert d’anonymat, a précisé que les habitants du quartier ont tenté de lutter contre l’incendie pendant près de quatorze heures, les camions de pompiers ne pouvant accéder dans cette zone sous occupation rebelle. Ce même prêtre a indiqué que ce quartier qui comptait 80 000 chrétiens avant le déclenchement de la rébellion en Syrie, n’en compterait plus que 85 ! C’est le deuxième bâtiment catholique détruit la semaine dernière en Syrie.

http://www.christianophobie.fr/breves/syrie-le-siege-de-larchidiocese-syro-catholique-dhamidiyeh-reduit-en-cendres




Un Patriarche fustige l'attitude de l'Occident à l'égard de la Syrie
2012-09-15 Radio Vatican
Depuis le début de son voyage, Benoît XVI presse les chrétiens de ne pas fuir la région, berceau du christianisme, en dépit de toutes les difficultés. La présence chrétienne "n'est ni nouvelle, ni accidentelle mais historique" écrit le Pape dans son exhortation post-synodale signée vendredi. « Un Moyen-Orient sans ou avec peu de chrétiens n'est plus le Moyen-Orient » souligne-t-il. Il invite les dirigeants politiques et religieux à éviter une politique ou une stratégie communautariste qui tendrait vers un Moyen-Orient monochrome.
Même si le Pape leur dit de ne pas avoir peur, les chrétiens sont inquiets de la poussée islamiste au Moyen-Orient. En Irak, ils étaient un million à l'époque de Saddam Hussein. Aujourd’hui, ils ne sont plus que 450 000, en raison des violences qui ont ensanglanté leur pays et les ont visés directement. C’est le scénario que tous les chrétiens redoutent.
Interrogé par Olivier Bonnel, Mgr Ignace Youssef Younan, patriarche syrien catholique d’Antioche, salue les encouragements du Pape mais il est pessimiste et accuse, en passant, les Occidentaux de ne pas comprendre la situation dans le monde arabe. Pour lui, ils sont soit naïfs, soit hypocrites : http://www.news.va/fr/news/mgr-younan-les-occidentaux-sont-soit-naifs-soit-hy

domenica 16 settembre 2012

"Ho saputo inoltre che ci sono tra noi dei giovani venuti dalla Siria. Voglio dirvi quanto ammiro il vostro coraggio. Dite a casa vostra, ai familiari e agli amici, che il Papa non vi dimentica. Dite attorno a voi che il Papa è triste a causa delle vostre sofferenze e dei vostri lutti. Egli non dimentica la Siria nelle sue preghiere e nelle sue preoccupazioni. Non dimentica i mediorientali che soffrono. E’ tempo che musulmani e cristiani si uniscano per mettere fine alla violenza e alle guerre."


La Siria nell'Angelus del Papa a Beirut,
16 settembre 2012

Cari fratelli e sorelle!
Rivolgiamoci ora a Maria, la Madre di Dio, Nostra Signora del Libano. A lei domandiamo di intercedere presso il suo Figlio divino per voi e, in modo particolare, per gli abitanti della Siria e dei Paesi vicini implorando il dono della pace. Voi conoscete bene la tragedia dei conflitti e della violenza che genera tante sofferenze. Purtroppo, il fragore delle armi continua a farsi sentire, come pure il grido delle vedove e degli orfani!
La violenza e l’odio invadono le strade la vita, e le donne e i bambini ne sono le prime vittime. Perché tanti orrori? Perché tanti morti? Faccio appello alla comunità internazionale! Faccio appello ai Paesi arabi affinché, come fratelli, propongano soluzioni praticabili che rispettino la dignità di ogni persona umana, i suoi diritti e la sua religione! Chi vuole costruire la pace deve smettere di vedere nell’altro un male da eliminare. Non è facile vedere nell’altro una persona da rispettare e da amare, eppure bisogna farlo, se si desidera costruire la pace, se si vuole la fraternità . Possa Dio concedere al vostro Paese, alla Siria e al Medio Oriente il dono della pace dei cuori, il silenzio delle armi e la cessazione di ogni violenza! Possano gli uomini comprendere che sono tutti fratelli! Maria, che è nostra Madre, comprende la nostra preoccupazione e le nostre necessità. Con i Patriarchi e i Vescovi presenti, pongo il Medio Oriente sotto la sua materna protezione. Che possiamo, con l’aiuto di Dio, convertirci per lavorare con ardore alla costruzione della pace necessaria ad una vita armoniosa tra fratelli, qualunque sia l’origine e la convinzione religiosa.
Ora preghiamo: Angelus Domini…


MONS. ZENARI: LE PAROLE DEL PAPA AI GIOVANI UN DONO PER I CRISTIANI
Forte l’emozione suscitata dalle parole di Benedetto XVI ai giovani siriani sulla drammatica situazione che il loro Paese sta vivendo. Lo conferma, al microfono del nostro inviato, Alessandro Gisotti, mons. Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria
R. - E’ stata una sorpresa emozionante, molto emozionante. Penso che abbia toccato il cuore dei giovani in Siria, dei cristiani, ma anche delle altre fedi; credo che abbia toccato anche le loro famiglie. Qui in Siria sto facendo l’esperienza di molti giovani, cristiani soprattutto, che si pongono l’interrogativo: “Qual è il nostro ruolo per uscire da questa crisi? Quale deve essere il nostro impegno?”. A livello parrocchiale ci sono anche begli esempi di impegno nel campo sociale con i profughi, così come anche a livello di associazioni varie. Credo che questo sia stata veramente - lo ripeto - una sorpresa molto, molto gradita e un dono del Santo Padre per i cristiani, i giovani in particolare, per le loro famiglie e per le loro parrocchie qui della Siria.
D. - Il Papa ha tenuto a sottolineare che è nel suo cuore, nelle sue preghiere e nelle sue preoccupazioni quello che succede in Siria e le sofferenze di tutti i siriani, cristiani e non cristiani…R. - Sì, sono nel cuore del Papa le persone di qualsiasi credo, che sono colpite da questa immane sofferenza, basta vedere le cifre dei rifugiati, degli sfollati; è gente che soffre così terribilmente in questi giorni e da un anno e mezzo in Siria. Credo che tutti loro abbiano un posto privilegiato nel cuore del Santo Padre. E’ stato bene che lo abbia anche espresso e detto, perché tutti lo sappiamo.

http://it.radiovaticana.va/news/2012/09/16/mons._zenari:_le_parole_del_papa_ai_giovani_un_dono_per_i_cristiani/it1-621605

sabato 15 settembre 2012

“ALEPPO, LA NOSTRA CITTA’, STA MORENDO”: la tragedia di un popolo e l’immensa gratuità dei volontari nelle lettere dei Fratelli Maristi di Aleppo

Proponiamo ai nostri lettori queste impressionanti testimonianze inviate negli ultimi mesi da Aleppo da un gruppo di religiosi , certi che la lettura di quanto stanno patendo i nostri fratelli siriani muoverà la nostra coscienza per domandare a Dio e agli uomini che si voglia trovare una soluzione pacifica e porre fine a un conflitto “che sta distruggendo il Paese e seminando dovunque miseria e desolazione”.

http://www.paroisse-anet.fr/Urgence-Syrie_a84.html
traduzione dal francese a cura della Fraternità Maria Gabriella

 
Lettera dell’ 11 settembre 2012, n ° 4

Che dirvi della nostra situazione, se non che peggiora di giorno in giorno. I combattimenti e gli attentati continuano giorno e notte e si diffondono in nuove aree della città finora risparmiate. Anche i Quartieri "sicuri" ricevono la loro quota di pallottole vaganti (ne raccogliamo tutti i giorni sui nostri balconi e marciapiedi) e obus  maldiretti (tra gli altri, due proiettili di mortaio che non sono esplosi: una sul tetto del Hôpital Saint Louis e l'altro nel cortile del convento dei Fratelli Maristi e due bombe che questa volta sono esplosi: uno sulla parte anteriore della Chiesa di San Michele Azizié nel centro della città e un altro su una scuola materna gestita dalle Suore del Perpetuo Soccorso: per fortuna nessuna vittima, essendo il sabato giorno di riposo).
 Benzina, carburante, pane sono prodotti praticamente assenti e il cibo (latte per neonati o bambini, lattine, ecc.) sono difficili da trovare e sempre più costosi. L'acqua è  completamente mancata  durante diversi giorni in alcune zone della città (compresi Djebel Al Saydé, dove si trovano gli sfollati dei quali noi ci occupiamo, ciò a causa del sabotaggio  di tubi di acqua molto grandi che alimentano la città abbiamo dovuto comprare cisterne d'acqua per riempire i serbatoi delle scuole).
La  vita in Aleppo è diventata molto difficile e molto pericolosa (incluso il rapimento quotidiano , tra cui 4 uomini (separtamente) dalle nostre famiglie in difficoltà e per il quale abbiamo dovuto pagare riscatti, tre sono stati rilasciati e il quarto si trova nella sua seconda settimana in cattività presso i "Ribelli").
L'intera economia è paralizzata: fabbriche, negozi e vari uffici amministrativi sono chiusi. La maggior parte dei medici hanno lasciato il paese.
Aumenta il numero degli sfollati e i loro bisogni pure. Continuiamo a sostenere 1200 sfollati alloggiati in quattro scuole Djebel Al Saydé (Sheikh Maksoud). Noi forniamo loro il pane e 2 pasti al giorno, pannolini e latte per bambini, sapone e prodotti di igiene e per pulire le loro stanze e i servizi igienici. Giovani medici volontari visitano tra i 50 e 70 pazienti al giorno e forniscono farmaci gratis. I giovani del nostro gruppo "I Maristi Blu " si prendono cura dei bambini e gli adulti accompagnano le madri.
Come previsto, le donazioni locali si sono quasi prosciugate con la fine del Ramadan e con la partenza dei ricchi, i potenziali donatori , per il Libano. Per contro, i nostri amici dall’estero continuano a mostrare la loro solidarietà per sostenerci finanziariamente.
Abbiamo affrontato una "rivolta" di famiglie cristiane non sfollate che vivono nello stesso quartiere degli sfollati e che non hanno più i mezzi per sopravvivere: piccoli impiegati o dipendenti il ​​cui stipendio (prima degli eventi) era quel tanto che basta per vivere poveramente e che non han più risorse (perché non sono più pagati) per comprare neanche il pane, quando è disponibile. Abbiamo avviato un nuovo progetto "Al Jabal Sallet = Il paniere della Montagna ", che consiste nel fornire un cesto (sufficiente per sfamare una famiglia ) di cibo una volta al mese a 280 famiglie cristiane per soddisfare la loro fame e questo insieme con alcuni vescovi e Caritas Siria. Abbiamo distribuito il primo cesto Domenica scorsa. Noi cerchiamo al meglio delle nostre capacità di fornire un minimo (ma proprio un minimo) di vitale importanza per la sopravvivenza. Purtroppo, i bisogni sono grandi e le nostre risorse scarse.
Nella misura delle nostre risorse umane e materiali e basandoci sulla Provvidenza e sugli  amici benefattori (che qui vogliamo ringraziare con tutto il cuore), cerchiamo di alleviare un minimo delle sofferenze dei nostri fratelli e sorelle, migliaia di persone (adulti, bambini e infanti) di cui siamo l'unico segno di speranza e l'unica speranza di sopravvivenza.

Gruppo di Aleppo con i Fratelli Maristi


LETTERA DEL 26 luglio 2012 del Fratello George Sabe - Aleppo

Qui ad Aleppo, ha fatto durante il giorno più di 40 gradi. Sulla via, ho sentito gli spari. Sono nella mia stanza, in comunità. Fratelli George e Hakim Bahjat Azrie, sono anche nella comunità.
Aleppo, la nostra città, la seconda città del paese, la capitale economica, il più grande centro del commercio e mestiere sta morendo. E’ soffocata da oltre una settimana. La guerra sta cercando di espandersi in vari quartieri. La gente fugge, si rifugia, vaga, entra nelle strade, nei parchi, scuole, ovunque. Le persone ricevono i loro parenti, le case sono aperte ... scarsità di pane, mancanza di energia elettrica, mancanza di carburante, mancanza di latte, farmaci mancanti, l'unico che non manca è il fantasma della guerra. Esso si aggira, è ovunque. Un fetore sale dalle strade ...
La città è circondata su tutti i lati. Si rischia di essere rapito e ucciso. La gente ha paura ... una paura che deprime, paralizza, uccide ...

IL GRIDO DEI CRISTIANI SIRIANI AL PAPA

I Vescovi di Aleppo, costretti a rinunciare all’incontro con il Papa, lanciano un appello a Benedetto XVI per il cessate il fuoco e la riconciliazione
Agenzia Fides 14/9/2012

Aleppo è da più di due mesi al centro degli scontri armati tra i ribelli e l’esercito siriano. Il Consiglio dei sei Vescovi cattolici della seconda metropoli della Siria ha dovuto rinunciare a malincuore a recarsi all’incontro con il Papa in Libano per rimanere al fianco dei propri fedeli. Ma dalla città devastata dal conflitto hanno lanciato un appello a Benedetto XVI, chiedendo al Papa di richiamare la comunità internazionale all’urgenza di trovare una soluzione pacifica e porre fine a un conflitto “che sta distruggendo il Paese e seminando dovunque miseria e desolazione”.
Nel loro appello, inviato all’Agenzia Fides, i Vescovi di Aleppo (greco-cattolico, siro-cattolico, armeno-cattolico, maronita, caldeo e latino) pregano ardentemente Benedetto XVI di sottoporre ai capi delle nazioni e agli organismi internazionali due richieste: “Esigere che cessino definitivamente i combattimenti sul suolo della Siria”, per poi “incoraggiare e appoggiare le parti in conflitto affinché giungano a un dialogo serio e efficace in vista di una riconciliazione nazionale”.
I Vescovi di Aleppo descrivono la condizione vissuta dal popolo siriano in termini angosciati: “Il Paese si distrugge, il numero delle vittime si moltiplica, e quello dei feriti aumenta di giorno in giorno. Molte abitazioni sono distrutte, e i poveri vedono le proprie risorse diminuire progressivamente. Tutto ciò fa precipitare le famiglie in uno stato di disperazione e spinge molte di esse a emigrare”.
L’ appello si conclude con il ringraziamento a Benedetto XVI “per tutte le iniziative che Voi prendete al servizio della pace”, e con l’augurio “che la Vostra voce arrivi alle orecchie dei popoli e raggiunga quelli che hanno il potere di decidere”.
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39839&lan=ita


“Fedeli, non lasciate la Siria!”: messaggio dei Patriarchi di Damasco, stretti attorno al Papa
(Agenzia Fides 14/9/2012)

“Con tutto il cuore chiediamo ai fedeli cristiani della Siria di non abbandonare il nostro amato paese, nonostante la violenza, le sofferenze, lo sfollamento”: è quanto chiedono i Patriarchi delle Chiese cristiane in Siria, da questa mattina in Libano per “stringersi attorno a Benedetto XVI, pellegrino di pace in Medio Oriente”. In un messaggio reso noto tramite l’Agenzia Fides, i leader cristiani, dando il benvenuto a Benedetto XVI, rimarcano il tema più caro alle Chiese locali: la presenza delle comunità cristiane in Medio Oriente. A condividere il messaggio sono quattro leader con sede a Damasco: il Patriarca greco-cattolico Gregorio III Laham; il Patriarca greco-ortodosso Ignatius IV Hazim; il Patriarca siro-cattolico Ignatius III Younan; il Patriarca siro-ortodosso Zakka I Iwas.
In particolare oggi in Siria c’è il pericolo di un esodo dei fedeli, molti dei quali sono già fortemente colpiti dalla povertà, sono stati costretti a lasciare le loro case per gli scontri armati, e vivono da sfollati interni o nei paesi limitrofi. In queste tragiche ore, i Patriarchi chiedono ai fedeli: “Abbiate pazienza, non fuggite”, invitando a “sopportare il dolore”, per amore di Cristo.
I leader cristiani in Siria deplorano l’atteggiamento di alcune Cancellerie occidentali che, esplicitamente o in modo implicito, stanno offrendo ai fedeli siriani l’opportunità di emigrare, notando che questo “costituisce una tentazione”, ma che non è la soluzione per i cristiani in Siria. Il rischio, notano, è una “libanizzazione del conflitto siriano” (oltre il 50% dei cristiani fuggì dal Libano, al tempo della guerra) o lo scenario iracheno (negli ultimi anni le comunità cristiane locali, sotto la pressione del terrorismo, sono notevolmente diminuite).
I Patriarchi sostengono con forza il recente appello del Santo Padre al dialogo e alla riconciliazione in Siria, definite dal Papa “prioritarie per tutte le parti implicate” e auspicano che il viaggio di Benedetto XVI possa lasciare “una profonda traccia di pace”.
Come riferito a Fides, simbolo potente della solidarietà e dell’amore verso il Papa è, in particolare, la presenza del Patriarca siro-ortodosso Zakka I Iwas che, nonostante la malattia e le cure di dialisi di cui necessita, ha voluto comunque essere presente accanto a Benedetto XVI.
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39840&lan=ita


Nunzio a Damasco: Benedetto XVI un faro per tutto il Medio Oriente
Damasco (AsiaNews) - "Il viaggio del Papa in Libano sarà un faro per tutto il Medio oriente, soprattutto per i cristiani della Siria. Mi auguro che la presenza del Pontefice incoraggi la comunità internazionale ad aiutare le parti in conflitto ad abbandonare le armi e sedersi sul tavolo dei negoziati per porre fine a questa carneficina". È la speranza di mons. Mario Zenari, Nunzio apostolico a Damasco, a poche ore dalla visita di Benedetto XVI che nel Libano, che inizia oggi e termina il 16 settembre.

"Il Papa - sottolinea Zenari - segue da mesi la situazione siriana e non ha mai smesso di far sentire la sua voce negli incontri pubblici. Egli conosce quali sono i desideri dei cristiani siriani e dei loro vescovi, che da oltre un anno tentano di testimoniare la pace nel Paese piegato dagli odi confessionali ed etnici".

Il Nunzio spiega che per le condizioni critiche vissute dal Paese la visita non ha avuto molta risonanza fra la popolazione, che in molte zone non ha accesso a giornali e televisioni. Tuttavia, parrocchie e diocesi stanno facendo di tutto per richiamare i fedeli a questo importante appuntamento. "La situazione ad Aleppo e in alcune zone di Damasco è drammatica - afferma il prelato - combattimenti fra ribelli ed esercito avvengono in ogni angolo del Paese". L'insicurezza delle strade e degli aeroporti civili, utilizzati da Assad come piste per i suoi aerei da guerra e tenuti sotto tiro dall'artiglieria del Free Syrian Army, non permetterà ai vescovi siriani di salutare di persona il pontefice. "I vescovi di Aleppo - racconta Zenari - hanno inviato una lettera di benvenuto, dove spiegano la loro situazione. Ma saranno presenti con la preghiera".
http://www.asianews.it/notizie-it/Nunzio-a-Damasco:-Benedetto-XVI-un-faro-per-tutto-il-Medio-Oriente-25812.html



 da TV7 del 14/09/12
Reportage di Gian Micalessin dalla Siria

"Voi occidentali vi siete dimenticati di noi, cristiani d'Oriente"
dal minuto 00.21.03 al minuto 00.27
http://www.rai.tv/dl/replaytv/replaytv.html#ch=1&day=2012-09-14&v=146500&vd=2012-09-14&vc=1
 

venerdì 14 settembre 2012

Benedetto XVI pellegrino di pace in Medio Oriente

Da http://www.youtube.com/user/vaticanit




Dall'Osservatore Romano del 15/09/2012

Il Papa spiega il significato della sua visita in Libano

Sotto il segno della fraternità e del dialogo

All'arrivo a Beirut l'indicazione del modello libanese quale esempio di convivenza per il Medio Oriente e il mondo

Mai pensato di rinunciare a questo viaggio. Benedetto XVI lo ha ripetuto senza esitazioni rispondendo alle domande postegli dai giornalisti questa mattina, venerdì 14 settembre, durante il consueto incontro a bordo dell’aereo che lo ha condotto a Beirut. Il Papa non ha mai esitato. Semmai l’aggravarsi delle tensioni e il complicarsi della situazione ha reso ancor più vivo il suo desiderio di offrire un segno di fraternità e un invito al dialogo a tutte le popolazioni mediorientali, la cui condizione di sofferenza non avrà fine — ha affermato — sino a quando non si impedirà il passaggio delle armi destinate ai belligeranti, come accade nel drammatico contesto della crisi siriana.
Messo un punto fermo su questo, il Pontefice ha affrontato questioni e argomenti divenuti di attualità scottante soprattutto in questi ultimi tempi. E ricordando due tragici avvenimenti che hanno segnato il recente passato della regione e del mondo — la strage avvenuta nel 1982 nei campi dei profughi palestinesi di Sabra e Chatila, proprio in Libano, e l’attentato alle Torri gemelle dell’11 settembre 2001 — ha parlato dell’inquietudine dinanzi alla crescita dei fondamentalismi e alle aggressioni di cui sono vittime numerosi cristiani. Ha poi accennato al rischio che nei Paesi dove è sbocciata la cosiddetta «primavera araba» proprio i cristiani, in quanto minoranza, possano soccombere, con un esplicito riferimento alla situazione della Siria. Infine ha sottolineato il valore dell’esortazione postsinodale che consegnerà domenica 16 e il ruolo che le Chiese d’Europa e delle Americhe possono svolgere per sostenere i loro fratelli del Medio Oriente.

L'audacia della fede

In una terra martoriata e divisa e a due passi da una guerra
Sir 13 settembre 2012
Lo ha voluto il Papa, lo vuole fortemente, questo viaggio in Libano. Per la Chiesa e per il mondo, non solo per i cattolici e i cristiani del Medio Oriente, che lo attendono con gioia, con ansia, con speranza. Lo ha voluto con il coraggio della fede e la serenità della testimonianza, al di là di tutti i pericoli, che pure sono ben presenti a tutti.
La Terra Santa, il Medio Oriente, hanno bisogno di pace e di speranza. Sono due beni grandi che nessuno può imporre, nessuno può fabbricare. Sono un dono, che reciprocamente, tutti sono chiamati a darsi, sono il frutto di un percorso, che è necessario sviluppare insieme. Con questo spirito, con questa convinzione, con questo sereno coraggio Benedetto XVI vola in Libano, una terra felice e martoriata, forte e divisa, a due passi da una guerra in corso e nel cuore di una regione che con la guerra fa drammaticamente i suoi conti tutti i giorni, da decenni. Proprio per questo bisogna andare al di là di quelle logiche di violenza e di potenza che si rincorrono, apparentemente senza fine, sulla pelle degli innocenti e dei poveri. Che pagano per tutti. E fra questi ci sono proprio anche i cristiani, spesso costretti all’emigrazione, ad abbandonare quelle terre di cui sono parte decisiva.
Venendo a confortare, incoraggiare, guidare i cattolici, il Papa viene a testimoniare una logica nuova e antica, con il coraggio e la serenità che gli conosciamo e che sa parlare a tutti. E proprio per questo può dare frutti abbondanti, e insperati.
http://www.agensir.it/pls/sir/v3_s2doc_a.a_autentication?target=3&tema=Anticipazioni&oggetto=246213&rifi=guest&rifp=guest


Dall'intervista in volo per Beirut: "deve finalmente cessare l’importazione di armi, perché senza l’importazione della armi la guerra non potrebbe continuare, invece dell’importazione delle armi che è un peccato grave si dovrebbe importare idee di pace, creatività, trovare soluzioni da accettare "

...
In Siria come tempo fa in Iraq molti cristiani si sentono costretti a malincuore a lasciare il loro paese che cosa intende fare o dire la chiesa cattolica per aiutare in questa situazione per arginare la scomparsa dei Cristiani in Siria e in altri paesi medio orientali?
«Bisogna innanzitutto dire che non solo i cristiani fuggono ma anche i musulmani ma naturalmente il pericolo che i cristiani si allontanino e perdano la loro presenza in queste terre è grande dobbiamo fare noi il possibile per aiutarli a rimanere. L’aiuto essenziale sarebbe la cessazione della guerra della violenza, questa crea questa fuga e quindi il primo atto è fare tutto il possibile perché finisca la violenza e che sia realmente creata una possibilità di rimanere insieme anche in futuro. Cosa possiamo fare contro la guerra? Naturalmente sempre difendere il messaggio della pace, coscienti che la violenza non risolve mai un problema, e rafforzare le forze della pace. Direi importante è che il lavoro dei giornalisti che possono aiutare molto per dimostrare come la violenza distrugge e non costruisce, non è utile per nessuno. Poi direi forse gesti nella cristianità, giorni di preghiera per il Medio Oriente, per i cristiani e i musulmani, mostrare la possibilità di dialogo e di soluzione. Direi anche deve finalmente cessare l’importazione di armi, perché senza l’importazione della armi la guerra non potrebbe continuare, invece dell’importazione delle armi che è un peccato grave si dovrebbe importare idee di pace, creatività, trovare soluzioni da accettare ognuno nella sua alterità e dobbiamo quindi nel mondo rendere visibili il rispetto delle religioni, gli uni degli altri, rispetto dell’uomo come creatura di Dio, l’amore del prossimo come fondamentale per tutte le religioni. In questo senso con tutti i gesti possibili, con aiuti anche materiali aiutare perché cessi la guerra la violenza e tutti possono ricostruire il paese».
....
http://2.andreatornielli.it/?p=4883

giovedì 13 settembre 2012

Messaggero di pace: Intervista del cardinale segretario di Stato a "Le Figaro"

da L'Osservatore Romano 13/09/12
<br>Alla vigilia della visita papale in Libano il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone ha rilasciato un'intervista al quotidiano francese "Le Figaro" che la pubblica nel numero di oggi, 13 settembre. La presentiamo in una nostra traduzione.
di Jean-Marie Guénois

Il viaggio di Benedetto XVI in Libano s’iscrive inevitabilmente nel contesto drammatico della guerra civile in Siria. È un viaggio a rischio?
La situazione drammatica nella quale vive il popolo siriano è seguita con molta apprensione dal Santo Padre. Da oltre un anno il Papa ha moltiplicato i suoi appelli pubblici a favore della pace, della riconciliazione, dell’unità del popolo siriano. Non ha neppure lesinato sforzi per una soluzione diplomatica. In Libano le nostre reti ecclesiali ci indicano che il Paese non si trova oggi in una situazione pre-conflittuale paragonabile alla crisi siriana. Alcuni episodi hanno potuto suscitare un’impressione diversa nell’opinione internazionale ma, ancora una volta, le informazioni che riceviamo sul posto ci assicurano che, al contrario, c’è grande attesa per la visita del Papa da parte di tutti i libanesi e di tutte le comunità socio-religiose del Paese.

L’ipotesi di un annullamento del viaggio è stata mai contemplata?

No, mai. Noi seguiamo la situazione molto da vicino. Incrociamo molteplici fonti d’informazione. Consideriamo seriamente tutti gli avvenimenti particolari, ma non abbiamo finora mai ricevuto dati sufficientemente gravi da far contemplare l’ipotesi dell’annullamento della visita.

Benedetto XVI ha mai esitato?

Il Santo Padre ha preso la decisione di visitare il Libano molto tempo fa. Vi si reca come un messaggero di pace. Bisogna capire bene questo per non sbagliarsi sul viaggio. Le crescenti tensioni in quell’area, lungi dallo scoraggiarlo, hanno dunque reso ancora più urgente il suo desiderio di visitare il Libano al fine di promuovere la pace e di esprimere a tutti la sua profonda solidarietà.

Sono state richieste particolari misure di sicurezza per il Papa, ma anche per le folle?

Ogni viaggio è oggetto di rigide misure per garantire la sicurezza di tutti. Nessuna richiesta supplementare è stata comunque formulata. A tale riguardo, restiamo in stretto contatto con le autorità.

La posizione della Chiesa cattolica sulla crisi siriana è stata spesso percepita come troppo prudente nei confronti del regime di Damasco. Che cosa pensa oggi la Santa Sede della crisi siriana?

Fin dall’inizio della crisi, il Papa ha condannato con tutte le sue forze le violenze e la perdita di vite umane. Con lo stesso vigore Benedetto XVI ha affermato le legittime aspirazioni del popolo siriano. Ha ripetutamente invitato tutti i responsabili ad astenersi da qualsiasi violenza e a impegnarsi sulla via del dialogo e della riconciliazione per risolvere questioni inevitabili per il bene del Paese e per quello di tutta la regione.

Ci sono oppositori musulmani che rimproverano ai cristiani siriani la loro «neutralità».

In Siria i cristiani cercano di vivere in pace e in armonia con i loro fratelli siriani. Temono l’aumento della violenza che mette in pericolo tutti i siriani. I cristiani sono un punto di riferimento, un ponte tra le comunità. Essi cercano di costruire la pace e l’unità tra tutti i cittadini, al di là della loro appartenenza etnica e religiosa.

Alcuni però vedono questa «neutralità» come una mancanza di coraggio...

La posizione della Chiesa non è neutrale, è semplicemente chiara e netta: la violenza porta solo a nuove violenze! La violenza porta la morte. Ferisce per sempre i corpi ma anche le menti. La violenza infligge ferite psicologiche profonde al cuore della nazione siriana che si faranno sentire per molti anni.

Benedetto XVI si pronuncerà su questa crisi durante il viaggio?

Il Papa intende essere una voce profetica e una voce morale. La Santa Sede chiede la cessazione immediata di ogni violenza per far prevalere il dialogo ed evitare qualsiasi nuova ferita alla popolazione.

Ma perché in questo contesto è stato scelto il Libano?

Benedetto XVI ha già visitato la Terra Santa, cioè Israele, i Territori Palestinesi, la Giordania, Cipro, la Turchia. Il Libano, Paese biblico, è apparso un luogo ideale per consegnare l’esortazione postsinodale a tutte le Chiese del Medio Oriente e per dire al mondo che vivere insieme tra culture e religioni diverse non è un’illusione, ma una realtà che esiste. Questo Libano nel quale Giovanni Paolo II vedeva, «più che un Paese», un «messaggio» di libertà, di convivialità e di dialogo.

Benedetto XVI ha inserito la novità geopolitica della primavera araba nel documento che renderà pubblico domenica a Beirut?

Il Papa non è un commentatore politico! Aspettarsi dall’esortazione post-sinodale una sorta d’interpretazione socio-politica della «primavera araba», o addirittura un programma politico specifico per i cristiani, sarebbe fraintendere il magistero del Santo Padre. L’esortazione post-sinodale sarà piuttosto un messaggio di speranza e un incoraggiamento per tutti i cattolici del Medio Oriente affinché possano offrire il loro prezioso contributo nelle società tanto diverse in cui vivono.

Questo testo inedito per il futuro di quei cristiani non rischia di essere già superato dagli eventi?

L’esortazione trae la sua ispirazione da un Sinodo che ha riunito a Roma per tre settimane tutti i vescovi e gli esperti del Medio Oriente. In quell’autunno 2010 sono state poste pubblicamente questioni molto precise — e a volte scomode— sulla libertà, la democrazia, la giustizia, lo Stato di diritto. Bisogna ammettere che le richieste del Sinodo, sostenute dai cattolici, hanno in un certo modo anticipato le aspirazioni della «primavera araba» del 2011.

Il Papa ha affrontato questi temi sociali nella stesura finale del documento?

Benedetto XVI ha seguito con molta attenzione l’evolversi della «primavera araba». È molto informato sulla situazione. Quando capi di Stato o primi ministri escono da un incontro con lui, sono sempre sorpresi dal suo livello di conoscenza delle diverse questioni. Per il Papa la promozione dei diritti dell’uomo è la strategia più efficace per costruire il bene comune, base della convivialità sociale. Ritiene che se la democrazia prenderà maggiormente consistenza nel mondo arabo, porterà a un maggiore rispetto dei diritti dell’uomo e a un migliore sviluppo della società a tutti i livelli. Ma allo stesso modo insiste nel dire che la religione e i suoi valori sono un elemento importante del tessuto sociale. La religione è anche un diritto fondamentale dell’uomo ed è per lui inimmaginabile che dei credenti si privino di una parte di se stessi — della loro fede — per essere cittadini attivi.

La primavera araba pone di nuovo la questione delle relazioni tra la Chiesa e l’islam; come vede oggi questo problema?

Conosciamo male la nostra storia comune! Le relazioni islamo-cristiane risalgono a molti secoli fa. Hanno conosciuto tutte le varianti, a seconda dei Paesi, andando dall’osmosi al rifiuto, in seno al mondo musulmano ma anche all’interno della Chiesa. Dal concilio Vaticano II, la linea direttrice è chiara: la comunità cristiana tende una mano aperta in segno di dialogo e di riconciliazione. Noi osserviamo, nel mondo islamico, i segni del desiderio di stringere questa mano e di camminare insieme. A Roma, il nostro Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso, sotto la responsabilità del cardinale Tauran, viene in proposito interpellato da ogni parte del mondo. Certo, si levano voci contrarie, ma le società sempre più multietniche, multiculturali e multireligiose impongono questa coabitazione. È una scelta senza appello per la libertà di coscienza, la libertà religiosa, il rispetto e il dialogo. Il problema oggi consiste nel trasporre, soprattutto attraverso la formazione, questa qualità del rapporto dal livello delle élite a quello delle popolazioni che sono talvolta sotto l’influenza dei gruppi fondamentalisti.

Alcuni scettici preannunciano però un inevitabile scontro islamo-cristiano...

Non siamo d’accordo, poiché ci troviamo all’opposto di uno scontro con l’islam! Una simile visione conflittuale non dà ragione né alla realtà sul terreno, né a una visione del futuro, né al credo profondo della fede stessa.

Nell’attesa, sempre più cristiani lasciano il Medio Oriente. Questa partenza è inevitabile?

Bisognerebbe rispondere Paese per Paese, per evitare generalizzazioni. E non dimenticare che il primo motivo della partenza è spesso economico e sociale, mentre il secondo è legato all’instabilità creata dagli anni di guerra. Al contrario, e noi lo constatiamo, quando il contesto sociale e culturale è favorevole, i cristiani si mobilitano, anche in Paesi musulmani, per la costruzione di società in cui ognuno deve avere il proprio posto, indipendentemente dall’appartenenza religiosa. Su questo piano il ruolo degli Stati è decisivo.

I cristiani del Medio Oriente, minoritari, hanno una vocazione particolare?

Per comprenderla, occorre ribaltare la nostra prospettiva: il cristianesimo è nato lì! I cristiani in Medio Oriente non sono arrivati come missionari dell’Occidente o sulle orme di imperi coloniali. Allo stesso tempo, il Medio Oriente attuale deve molto alla presenza cristiana. Questa ha modellato il volto delle società. Un solo esempio: la rinascita araba del secolo scorso che ha visto la partecipazione di eminenti figure cristiane. I cristiani contribuiscono dunque all’edificazione di una società libera, giusta e riconciliata. La loro presenza è auspicata dalla maggior parte dei Paesi. La posta in gioco è di lavorare insieme per fare di questa regione una nuova culla di civiltà, di cultura e di pace.

Questo viaggio di Benedetto XVI a Beirut s’iscrive in un contesto d’instabilità generalizzata: incertezza in Egitto, tensione tra Israele e Iran, Siria a ferro e fuoco, Iraq frammentato. Qual è la principale posta in gioco della visita?

Aggiungerei la questione palestinese che dura da diversi decenni e non ha ancora trovato una vera soluzione. In effetti, accordi parziali, anche se positivi, non possono garantire una pace duratura se altre questioni non sono state risolte. La sfida più grande è di trovare una soluzione condivisa da tutti i protagonisti locali con l’aiuto della comunità internazionale, che è corresponsabile. La presenza del Papa è dunque un invito a tutti i responsabili del Medio Oriente e della comunità internazionale a impegnarsi con una volontà ferma per trovare soluzioni eque e durature per la regione. Benedetto XVI non ha però la pretesa di essere un leader politico. Come responsabile religioso, viene per confermare i suoi fratelli nella fede in Gesù Cristo e intende esortare tutti gli uomini e le donne di buona volontà a far sì che la religione non sia mai un motivo di guerra e di divisione. Cercherà di toccare i cuori affinché ognuno s’impegni a cambiare la situazione.
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