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mercoledì 6 giugno 2012

“La graduale trasformazione dell'opposizione siriana in un movimento diretto da musulmani estremisti, ispirato, alleato e coordinato con al-Qaeda non serve gli interessi dell'opposizione stessa in quanto la maggioranza dei siriani non si identifica con quei radicali”.

EDITORIALE ANALISI DIFESA
di Gianandrea Gaiani 


STRAGE DI HOULA: CASUS BELLI PER LA GUERRA ALLA SIRIA?

Tre stragi di civili a Homs, Hama e a Houla dove sono stati massacrate 108 persone, per metà bambini. Una strage subito attribuita dai media internazionali (in testa le immancabili al-Jazira e al-Arabya, organi di propaganda e disinformazione di Qatar e Arabia Saudita) ) e dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu alle forze governative siriane. Tutto è possibile in una guerra civile sempre più cruenta nella quale però le nefandezze abbondano tra i governativi come tra i ribelli. Inutile sottolineare che Bashar Assad dovrebbe essere impazzito per ordinare ai suoi di massacrare centinaia di innocenti a due passi dagli osservatori dell’Onu e sotto i riflettori dei media internazionali. I rapporti degli osservatori col basco blu guidati dal generale norvegese Robert Mood riferirono subito di persone colpite dalle schegge di granata, altre uccise con colpi a bruciapelo o a coltellate. Più tardi però, dopo il montare delle accuse a Damasco, hanno corretto il tiro riferendo di almeno una parte delle vittime colpite dai cannoni dei carri armati governativi. Damasco nega ogni responsabilità per una strage compiuta in una zona abitata da sunniti ma circondata da villaggi alauiti che sostengono il governo. Ce n’è abbastanza per sospettare della strage l’esercito e le milizie filo-Assad ma anche le molte anime della rivolta e i combattenti di al-Qaeda sempre più attivi in Siria provenienti dal vicino Iraq e che hanno già compiuto attentati e massacri. La dinamica della strage di Houla assomiglia infatti alle “spedizioni punitive” compiute dalle milizie di “al-Qaeda in Mesopotamia” contro villaggi sunniti iracheni che sostenevano collaboravano con le truppe statunitensi e con il governo di Baghdad. Quando al-Qaeda effettuò i primi attentati in Siria, contro sedi dei servizi segreti ad Aleppo e Damasco i ribelli ne attribuirono la responsabilità al regime di Assad, versione che ebbe ampia eco sui media (al-Jazira in testa, ancora una volta) finché lo stesso Dipartimento di Stato di Washington ammise che i terroristi di al-Qaeda erano entrati in forze in Siria per combattere il regime divenendo di fatto “alleati” ingombranti e imbarazzanti non solo dei ribelli ma anche dell’Occidente. La strage di Houla rischia di diventare quindi il “casus belli” per l’intervento militare internazionale da tempo chiesto da Turchia, Lega Araba e soprattutto dal Qatar e dai sauditi, sostenuti dagli anglo-americani e dai francesi. Anche se la Nato ha finora negato i preparativi di azioni belliche contro Damasco negli ultimi mesi sono emerse molte indiscrezioni che indicano il contrario incluse voci di pre-allerta di alcuni reparti alleati pronti a venire rischierati in Giordania, Libano o nelle basi britanniche a Cipro. Allo stesso modo negli ambienti diplomatici da tempo si sussurra che il Piano Annan è destinato a non riuscire a risolvere la crisi siriana ma può creare il contesto per un’azione internazionale che il Consiglio di Sicurezza dell’Onu sembra pronto a varare. Indiscrezioni che trovano conferme anche in quanto rivelato dal Washington Post che ha sentito ribelli siriani e di funzionari statunitensi secondo i quali nelle ultime settimane gli insorti hanno ricevuto molte armi moderne fornite da Qatar e Arabia Saudita nell’ambito di un piano coordinato dagli Stati Uniti. Traffici gestiti da alcune basi alla frontiera con la Turchia (Idlib) e col Libano (Zabadani) senza dimenticare che in Giordania /dove l’Italia sta inviando un ospedale da campo) si è tenuta recentemente l’esercitazione internazionale Eager Lion che ha visto la presenza di 12 mila militari americani e alleati (anche qualche decina di specialisti italiani del 185° reggimento acquisizione obiettivi) che hanno simulato operazioni simili a quelle richieste da un intervento militare in Siria. Anche i Fratelli Musulmani siriani, come ha confermato il membro del comitato esecutivo della Fratellanza Mulham al-Drobi, si riforniscono di armi grazie ai fondi messi a disposizione da ricchi siriani o dai Paesi del Golfo. Sul regime di Assad sembrano sempre meno disposti a investire anche gli “sponsor” russi e cinesi se è vero, come racconta Haaretz che le forniture di armi e munizioni (anche nordcoreane) che arrivano via mare a Tartus e Latakia non godono più dei crediti agevolati di un tempo ma vengono pagate in anticipo da un fondo costituito dai petrodollari di Teheran, ormai l’unico vero alleato di Damasco. Ufficialmente Barack Obama ha chiesto la collaborazione di Mosca per gestire una “soluzione yemenita” con l’esilio di Assad e l’avvio di una transizione politica ma nei fatti Washington sembra puntare più a una “soluzione libica” e la strage di Houla potrebbe creare il contesto mediatico e sociale favorevole ad approvare un intervento bellico internazionale. Il Consiglio nazionale siriano (Cns), organo dei ribelli, chiede armi per difendere la popolazione e iniziative militari potrebbero venire presto varate dal Consiglio di sicurezza dell’Onu. Il presidente francese Francois Hollande pare deciso a emulare in Siria le gesta di Sarkozy in Libia e dopo aver sentito il premier britannico David Cameron ha dichiarato che “la follia omicida del regime rappresenta una minaccia per la sicurezza dell'area”. Il ministro degli Esteri italiano Giulio Terzi non esclude nessuna opzione contro il regime di Assad e il leader dei liberaldemocratici europei Guy Verhofstadt ha chiesto esplicitamente un intervento militare internazionale. Sono bastati poco più di un centinaio di morti, per metà bambini, per ventilare senza timidezze un intervento finora ufficialmente escluso dall’Alleanza Atlantica.
Eppure le truppe di Assad sono impegnate in veri e propri combattimenti contro ribelli appartenenti a gruppi diversi e spesso rivali ma che possono contare su armi sempre più moderne e che non si tratti di una guerra tra militari e civili indifesi lo si evince anche dal bilancio delle vittime redatto dall’Osservatorio dei diritti umani, emanazione dei rivoltosi, che ammette che su 13 mila morti oltre 3 mila erano militari di Assad e che molti dei più di 9 mila civili uccisi erano ribelli. Del resto non sarebbe la prima volta che eccidi e massacri, veri o “costruiti” ad arte, aprono la strada all’internazionalizzazione di un conflitto interno. Nel 1995 alla strage di Srebrenica seguì l’intervento dell’Alleanza Atlantica in Bosnia, nel 1999 le fosse comuni di Racak diedero il via all’intervento della Nato in Kosovo nonostante un team medico bielorusso avesse accertato che si trattava di cadaveri raccolti da più parti ai quali era stato sparato alla nuca post mortem. L’anno scorso l’intervento alleato in Libia è stato favorito dalle notizie, rivelatesi poi infondate, di fosse comuni, massacri di bambini e stupri di massa compiuti dai soldati di Gheddafi. Il parallelo con la Libia non è azzardato non solo considerando la mole di disinformazione diffusa mediaticamente in questi mesi dai ribelli siriani ma anche analizzando le ultime dichiarazioni politiche nelle quali la nota di linguaggio sembra essere “proteggere i civili”. La stessa motivazione che animò l’intervento della Nato in Libia battezzato Operazione “Unified Protector”. In quel caso vennero protetti a suon di bombe e missili anche i molti civili che sostenevano il regime di Gheddafi e anche in Siria pare che buona parte dei civili stia con Assad o quanto meno non abbia intenzione di lasciare il proprio Paese in mano a milizie armate, bande irregolari e jihadisti.
Difficile dargli torto guardando all’attuale situazione libica e alle leadership occidentali impegnate ai consegnare Damasco agli islamisti.
“Come già in Egitto, in Siria i Fratelli musulmani sono riusciti ad appropriarsi della rivolta, fino a costituirne ora la spina dorsale”: questa la valutazione espressa dall’esperto israeliano, Jacques Neriah, in una analisi pubblicata dal Jerusalem Center for Public Affairs (Jcpa). “Negli ultimi mesi - nota Neriah (in passato consigliere del premier Yitzhak Rabin) - sono scesi in campo i Salafiti e altre piccole organizzazioni islamiche ''in una sollevazione orchestrata ed alimentata da al-Qaeda”. Il principale gruppo di opposizione, guidato dal leader in esilio, Burhan Ghalioun, sembra entrato in “un processo di disintegrazione”. Ghalioun - secondo Neriah - non è riuscito ad imporre la propria autorità sull'Esercito della libera Siria (Fsa). Il carattere radicalmente islamico della insurrezione è nel frattempo divenuto più marcato, grazie anche - secondo Neriah - all'intervento di combattenti islamici accorsi da Afghanistan, Pakistan, Iraq, Libia, Tunisia e anche da Paesi europei.
“La graduale trasformazione dell'opposizione siriana in un movimento diretto da musulmani estremisti, ispirato, alleato e coordinato con al-Qaeda non serve gli interessi dell'opposizione stessa in quanto - secondo Neriah - la maggioranza dei siriani non si identificano con quei radicali”.

http://cca.analisidifesa.it/it/magazine_8034243544/numero129/article_456471347486735456425416671454_7505023515_0.jsp

lunedì 4 giugno 2012

A proposito di "sollevazione democratica"

Da Avvenire- 4 giugno 2012
Siria, i ribelli: «Abbiamo ucciso almeno 80 militari governativi»
I ribelli siriani hanno ucciso almeno 80 soldati delle forze fedeli al presidente Bashar al-Assad nel fine settimana in scontri e attacchi in diverse parti del Paese. Lo riferiscono gli attivisti anti-regime dell'Osservatorio siriano per i diritti umani basato a Londra.

Secondo gli attivisti, fonti mediche hanno confermato l'identità di 80 soldati uccisi sui 100 annunciati dai ribelli, che affermano di aver distrutto numerosi carri armati in varie zone, incluse quelle di Damasco e Idlib. Nei giorni scorsi, alcuni comandanti dei militari ribelli radunati nell'Esercito libero siriano (Esl) hanno affermato di sentirsi "liberi da ogni impegno" rispetto alla tregua prevista dal piano di pace di Kofi Annan se il governo di Damasco non avesse fermato le violenze. Rami Abdelrahman, il capo dell'Osservatorio, ha affermato che molti posti di blocco, almeno 4, delle forze governative sono stati distrutti nella provincia di Idlib.

Da Asia News 05/06/12
Damasco (AsiaNews/Agenzie) - I ribelli siriani non rispetteranno più il cessate il fuoco in vigore dal 12 aprile e lanciano un appello a tutti i Paesi islamici sunniti chiedendo di finanziare con ogni mezzo la "guerra santa" contro il regime di Bashar al-Assad. Intanto, il governo siriano caccia gli ambasciatori di Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Turchia.
Oggi, il generale ribelle Mustafa al - Sheikh ha annunciato la creazione della Military Coalition For Syrian Revolutionaries Front, nuovo fronte armato della guerra contro Assad che riunirà tutte le milizie di opposizione in unico esercito. Lo scopo è armare "tutti i combattenti islamici", creando un corridoio sui confini con Turchia e Iraq dove far passare armi e denaro. Tale strategia è in atto da mesi e vede fra i principali finanziatori dei ribelli Arabia Saudita e Qatar, ma è finora è sempre stata negata da entrambi i Paesi del Golfo e dagli stessi ribelli.
Ieri, il Syrian Nataional Council (Snc), gruppo politico che rappresenta parte dei ribelli siriani, si è dissociata dalla coalizione militare, sottolineando che l'unica strada percorribile è il piano di pace proposto da Lega Araba e Nazioni Unite. Ahmad Fawzi, portavoce del Snc accusa i Paesi occidentali e i media di aver decretato morto il piano di Kogi Annan già prima della sua applicazione. "In molti mi chiedono se anche secondo me il piano di pace in sei punti è superato, se è alla fine, se è morto. Senza avere una risposta vera tutti hanno già scritto il suo necrologio. Ma esso è per il momento l'unica opzione che consente di affrontare il conflitto in modo pacifico".
http://www.asianews.it/notizie-it/I-ribelli-siriani-per-la-guerra-totale.-Assad-espelle-alcuni-ambasciatori-24944.html

venerdì 1 giugno 2012

Il patriarca cattolico: cristiani usati come scudi umani dai ribelli

IL SUSSIDIARIO - INTERVISTA a GREGORIO LAHAM
venerdì 1 giugno 2012
Cristiani siriani usati come scudi umani dai ribelli negli scontri a fuoco con l’Esercito regolare di Assad. A denunciarlo è il patriarca Gregorio III Laham, massima autorità cattolica di Damasco Patriarca di Antiochia, di tutto l’Oriente, di Alessandria e di Gerusalemme dei Melchiti. Il patriarca racconta di rapimenti notturni dei fedeli della sua diocesi, con pagamenti fino a 200mila dollari Usa per il riscatto, case confiscate o fatte saltare per aria, continue incursioni armate di musulmani sunniti nei quartieri cattolici. Nel corso dell’intervista a Ilsussidiario.net, Gregorio III rivela i particolari della sua ultima udienza con Papa Benedetto XVIII, nel corso della quale si sono confrontati a lungo sulla crisi siriana. E sulla strage di Hula sottolinea: “E’ contro ogni logica che sia stata compiuta dal governo. L’artiglieria dell’Esercito si trovava fuori dal villaggio, mentre le esecuzioni sono state perpetrate da qualcuno penetrato nel centro abitato”.
Patriarca Gregorio III, com’è la situazione per i cristiani in Siria?
 La loro situazione è problematica non soltanto in quanto cristiani ma anche in quanto cittadini in difficoltà. I ribelli entrano nei loro quartieri, mettendoli in fuga dalle loro case: è successo a Homs, Yabroud, Rabli e altrove nella Valle dei Cristiani. Il risultato è un vero e proprio esodo dei cristiani siriani che non si sentono più sicuri nel loro Paese.
A chi appartengono i gruppi che cacciano i cristiani dalle loro case?
 Sono musulmani sunniti appartenenti alle fazioni ribelli, ma spesso anche terroristi o banditi. Bisogna dirlo chiaramente: in Siria non si fronteggiano più soltanto governo e opposizione, ma c’è anche un terzo elemento che punta soltanto a sovvertire la legge. I cristiani sono vittime del caos nel Paese che è stato causato dagli oppositori.
Che cosa fanno i “banditi” una volta entrati nei quartieri cristiani?
 La loro semplice presenza è già di per sé un elemento di insicurezza, perché crea un’atmosfera terroristica. Appena si insediano in un luogo hanno inizio gli scontri con l’Esercito regolare. I terroristi uccidono soldati o funzionari, come è successo a Homs e nei villaggi intorno alla città.
I ribelli aggrediscono i cristiani?
I ribelli usano i civili cristiani, i loro quartieri e le loro case come scudi umani negli scontri con l’Esercito. E allora accade quello che accade. Non capisco perché questi musulmani sunniti vengano in quartieri e villaggi che non sono i loro.
Quali altre violenze sono subite dai cristiani?
 I banditi estorcono denaro ai cristiani o li rapiscono nottetempo e li rilasciano dopo due o tre giorni in cambio di riscatti del valore fino a 200mila dollari. In alcuni casi questi gruppi hanno confiscato le case dei civili, magari per poi distruggerle.
Che cosa è possibile fare per proteggere i cristiani siriani?
 Se l’Europa vuole salvare i cristiani siriani, deve incoraggiare il piano di pace di Kofi Annan. Qualsiasi piano alternativo, come pure l’ipotesi di nuove sanzioni, indebolisce soltanto gli sforzi del mediatore Onu. La comunità internazionale ha affidato la missione ad Annan e bisogna lasciarlo lavorare. Il problema è che prima l’Europa gli ha affidato un mandato e ora è contro di lui. E’ questo che impedisce al piano Annan di fare dei passi avanti.
Chi è responsabile delle violazioni della tregua?
 La tregua è stata violata dai ribelli e non da Assad. Il regime non ha alcun interesse a fare fallire il piano Annan. Su 10mila morti dall’inizio della rivolta, si contano migliaia di vittime anche tra i soldati. Il governo deve proteggere l’intero Paese, e non soltanto i manifestanti che sono sempre armati. A nome anche degli altri vescovi siriani, posso affermare che non è mai avvenuto che una manifestazione disarmata fosse attaccata dall’Esercito. Il governo non attacca se non è attaccato. A Hula sono stati uccisi 15 soldati prima della strage, che non è stata compiuta dai fedeli di Assad.
Ne è davvero certo?
 Non riesco a immaginare che un governo e un esercito organizzato possano uccidere dei bambini così. Soprattutto in un momento in cui si trova sotto gli occhi del mondo intero.
In un primo momento a essere accusata è stata l’artiglieria dell’Esercito …
L’artiglieria si trovava fuori dal villaggio, mentre è più probabile che chi ha compiuto la strage siano state le forze dell’opposizione all’interno del centro abitato. Non ho elementi per affermarlo con certezza, ma è la cosa che mi sembra più logica.
I ribelli, che chiedono solo democrazia, avrebbero invece dei motivi per uccidere i bambini?
 La democrazia non c’entra, all’origine delle rivolte c’è la volontà internazionale e locale di distruggere le Siria. Noi abbiamo già abbastanza democrazia, anche se non al cento per cento, e siamo sulla via per rafforzarla. Negli ultimi dieci anni il clima del mio Paese è diventato più liberale e democratico, nonostante la presenza dei servizi segreti. Noi cristiani siamo i primi a chiedere un cambiamento, ma riteniamo che quest’ultimo non possa venire da una rivoluzione armata.
Perché i cristiani si sentono più sicuri con Assad che con l’opposizione?
 Perché non sappiamo chi siano questi oppositori. I cristiani sono protetti quando c’è sicurezza nel Paese. Attualmente invece la Siria è nel caos, e a provocarlo non è certo il governo.

Lei ha parlato con il Papa della crisi siriana? Mi sono incontrato con Papa Benedetto XVI il 15 marzo scorso. Gli ho confidato la mia convinzione che la Siria deve essere realmente un Paese libero, e che occorre che i siriani trovino una soluzione per il loro avvenire conquistandola con le sole loro forze. Mentre occorre dire no alle ingerenze dalle potenze straniere.
E il Papa che cosa le ha risposto?
 Il Papa mi ha ascoltato, come fa sempre in queste circostanze. Benedetto XVI del resto è intervenuto diverse volte a favore del dialogo in Siria: la sua voce è la più forte tra quanti cercano una soluzione pacifica. Non posso che ringraziarlo per questa posizione così positiva e oggettiva. Francia, Germania e Regno Unito invece sono capaci soltanto di scagliarsi contro Assad. Il Papa al contrario chiama al dialogo. Se l’Europa seguisse la linea del Santo Padre, la crisi siriana potrebbe raggiungere una soluzione.
 (Pietro Vernizzi)

giovedì 31 maggio 2012

Contro i tamburi di guerra....

Nunzio apostolico: L'Onu guardi i frutti del dialogo interreligioso non solo le cannonate
Damasco (AsiaNews) - "Onu e Paesi occidentali guardino i frutti del dialogo fra sunniti, alawiti cristiani, non solo le cannonate, i massacri e le violenze compiuti da regime e ribelli". E' quanto afferma ad AsiaNews, mons. Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco. Il prelato invita ancora una volta i Paesi occidentali e i cosiddetti "amici della Siria" a sostenere le iniziative di dialogo che stanno avvenendo in modo spontaneo fra la popolazione che tenta di cambiare dal basso l'attuale situazione. "Le immagini delle violenze di Houla - spiega - hanno scioccato tutti e hanno spinto i siriani al dialogo, soprattutto nelle aree più colpite dalla guerra".
Oggi, a Homs più di 20 leader religiosi cattolici, ortodossi, sunniti e alawiti si sono incontrati insieme ai rappresentanti del governo locale e nazionale per discutere in modo pacifico i problemi che da oltre un anno affliggono il Paese. In attesa di un comunicato ufficiale, mons. Zenari spiega che i capi religiosi e politici hanno condannato i massacri, per evitare un conflitto fra fazioni religiose e politiche. Ogni delegato è consapevole che il Paese sta andando alla deriva. Alle violenze si aggiungono atti di banditismo, furti, omicidi, regolamenti di conti fra famiglie rivali. "Fra i problemi più gravi - continua - vi sono le continue sparizioni di persone, rapite per estorcere denaro e utilizzate come merce di scambio". Ieri, i leader si sono scambiati le liste dei rapiti, impegnandosi a fare di tutto per fermare questa piaga, che in più di un'occasione è sfociata in massacri con morti e feriti.
"I cattolici - aggiunge mons. Zenari - sostengono queste piccole iniziative positive e cercano di lavorare su tutti i fronti". Il prelato spiega che in ogni città vi sono gesti e iniziative di carità, per soccorrere intere famiglie rimaste senza casa e cibo con cui sfamarsi, la speranza è che tale positività prevalga sull'odio e la violenza.
http://www.asianews.it/notizie-it/Nunzio-apostolico:-L%27Onu-guardi-i-frutti-del-dialogo-interreligioso-non-solo-le-cannonate-24891.html

I rifugiati siriani accolti dai Gesuiti nel convento di San Vartan
Famiglie di sfollati siriani, fuggite dal conflitto che infuri nell'Ovest del paese, hanno trovato accoglienza e ospitalità nel Convento di San Vartan, gestito dai gesuiti nel quartiere di Midan, nel cuore di Aleppo. Il convento, dedicato al Santo armeno, era un secolo fa una scuola armena, poi servita ad accoglier i rifugiati armeni. Nel novembre 2008 i gesuiti, tramite il “Jesuit Refugees Service”, dopo averlo restaurato, vi hanno aperto un Centro di accoglienza per rifugiati, con attività di dopo scuola per ragazzi e attività sociali. A beneficiarne sono stati rifugiati iracheni e bambini di famiglie povere siriane. Il Centro ha continuato ad accogliere fino al 2010 nuove famiglie dall’Iraq, che si sono gradualmente inserite nel tessuto sociale della città, stabilendosi n Siria. Oggi il Centro è aperto a sfollati e bisognosi, senza alcuna discriminazione di religione, gruppo etnico, provenienza. Data la violenza che prosegue in Siria, alcuni sfollati interni siriani sono arrivati al Centro e hanno trovato un'oasi di accoglienza e soldiarietà.
Il dramma dei rifugiati siriani continua: secondo l'ultimo rapporto Unicef, sono oltre 54.000 i rifugiati siriani in Giordania, Libano, Iraq e Turchia. Il 50% sono bambini che hanno lasciato le scuole, soffrono la povertà e traumi causati dalla fuga.
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39200&lan=ita

Il Gesuita p. Paolo Dall'Oglio in preghiera a Qusayr per fermare il conflitto confessionale
Il minareto lo sveglia nel cuore della notte ma, in tal modo, “lo aiuta nella preghiera prima dell’alba, quella dei monaci orientali”. Un'oasi di preghiera “nel bel mezzo della lotta, in una città circondata; un’orazione costante, turbata da colpi di mitragliatrice”. E’ il Gesuita padre Paolo Dall'Oglio il prete cattolico che si è stabilito a Qusayr, città a Sud di Homs, martoriata dalla violenza, per fare un'esperienza prolungata di digiuno e preghiera per la pace. Come rivelato nei giorni scorsi dall'Agenzia Fides, il suo vuol’essere “un segnale contro corrente”, un modo non violento di vivere e testimoniare la fede in Cristo nel bel mezzo del conflitto. “Ho scelto Qusayr perchè, con la mia presenza, voglio cercare di sanare la polarizzazione confessionale che si è verificata in città. Ho ascoltato la supplica di alcune famiglie cristiane che hanno visto i propri cari rapiti e vorrei fare del mio meglio, con la preghiera e con il dialogo, per ricomporre le fratture”, spiega a Fides p. Dall'Oglio. Nella città vi è stata crescente conflittualità fra musulmani e cristiani, con una lunga scia di rapimenti, vendette, omicidi.
Bande armate di miliziani fuori controllo, riconducibili alla galassia dell’opposizione siriana, hanno compiuto violenze sui cristiani. Il cristiano André Arbache, padre di famiglia di 30 anni, nel gennaio scorso è stato rapito e poi trovato morto. Molti altri cristiani sono vittime di sequestri. Qusayr è una città dove viveva un comunità greco-cattolica fra le maggiori della Siria, di circa 10mila persone, accanto a 15mila musulmani sunniti. “I cristiani – spiega p. Dall’Oglio – sono quasi tutti fuggiti dalla città, ne sono rimasti pochissimi”.
Il Gesuita è ospite di un famiglia cattolica, dato che la casa parrocchiale a Qusayr non è un luogo sicuro. “La mia preghiera e la mia presenza vuol'essere anche un segno di speranza, perchè questa primavera siriana possa sbocciare, verso un futuro di unità e dialogo all'insegna del pluralismo”, rimarca. Intorno alla sua persona si sta ricostruendo un tessuto di relazioni strappato dalle dinamiche della violenza, che facilmente sconfina in una spirale di odio e vendetta fra persone, famiglie, comunità di diversa religione. Le parole chiave sono “riconciliazione e perdono, fratellanza nel nome di Dio”. Nella speranza di costruire, anche con la preghiera, una Siria più umana, rispettosa della dignità e dei diritti di tutti. (PA) (Agenzia Fides 30/5/2012)
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39199&lan=ita


«La Siria rischia di diventare come l’Iraq. Per colpa dell’Occidente»
«L’Occidente rischia di farci diventare un nuovo Iraq» ha dichiarato ad Avvenire in un’intervista dell’11 maggio l’ex custode di Terra Santa e vicario apostolico di Aleppo, Giuseppe Nazzaro. Intervista di Luca Geronico
Ex custode di Terra Santa, Giuseppe Nazzaro è vicario apostolico di Aleppo dopo una vita intera spesa in Medio Oriente. Nessuna tentazione di fuga, ora che la violenza sembra dilagare: «Noi restiamo qui», afferma irremovibile.

Eccellenza, dopo il duplice attentato di Damasco siamo sull'orlo di una guerra civile?
No no. Non siamo sull'orlo di una guerra civile. Qui in Siria stiamo rischiando un'altra cosa.

Quale, eccellenza? Faccia attenzione a quello che le dico. In Iraq ora a cosa siamo arrivati? Me lo dica lei. Forse a una situazione di ingovernabilità?
Esatto. E chi l'ha causata?

Prego.
Devo dirlo io? È l'Occidente che ha portato a questo. E qui stiamo, più o meno, arrivando alla stessa situazione. È l'Occidente che vuole questo. Ma veramente l'Occidente, mi chiedo, vuole continuare un embargo contro un popolo che non ha alcuna responsabilità? Queste domande me le pongo io, ma anche tanti altri qui ad Aleppo. È stato l'Occidente a ridurre l'Iraq così, mentre ci sono tante altre strade per arrivare a discutere. I kanirkaze dove sono nati? In Giappone e poi in Palestina. E a chi facevano comodo?

Mi vuole dire che ci sono infiltrazioni terroristiche dall'estero funzionali a creare uno stato di tensione che giustifichi un intervento internazionale? Sarebbe tremendo se si verificasse un intervento internazionale?
Una coalizione internazionale in Iraq a che cosa ha portato? Ieri il capo della missione Onu qui ad Aleppo ha detto che, se si vuole discutere, gli attacchi non fanno bene a nessuno, né all'interno né all'esterno. Quindi cerchiamo di darci una regolata dall'esterno per poter intervenire anche dall'interno.

Una «regolata dall'esterno»? Più precisamente? I governi occidentali si chiedano in coscienza chi ha portato a questa situazione e perché si continua così.
L'Egitto, che il mondo ha tanto applaudito, ha ottenuto quello che voleva? Vediamo o non vediamo che gli interventi dell'Occidente, che con tutto il rispetto non capisce per nulla la psicologia di questi popoli, non portano a nulla? Chi pretende di portare la democrazia in Siria venga a vivere qua e allora si renderà conto con cosa hanno a che fare. Questo mi chiedo io, assieme a molta gente di buona volontà.

Per uscire da questa crisi sociale e politica, il piano Annan le sembra una buona possibilità o va contro il sentire profondo della Siria?  Ho già dichiarato che il piano Annan è buono, ma chi lo segue? L'Occidente colpevolizza solo una parte, i notiziari riportano solo i morti di una parte sola. Adesso si comincia a vedere che ci sono anche altri morti. Chi ha fatto questi 55 morti, il governo o l'esercito? E allora perché non si riesce a fare un discorso anche su chi ha provocato queste vittime? Chi li ha istigati, chi li sostiene? L'Occidente. E allora forti di questo appoggio si va avanti così. L'Occidente sta riducendo questo Paese come l'Iraq.

Quindi per lei bisogna dare credito al governo e alle riforme che Assad ha iniziato?
Certamente. Se non si prendono seriamente in considerazione entrambe le parti, non arriveremo a nulla. Se invece si impone una soluzione dall'esterno, l'effetto è controproducente. La minoranza cristiana teme che alla fine questo legittimi il fondamentalismo e riduca ulteriormente, la vostra libertà? Guardi, quanto a libertà qui io non ho alcuna restrizione. Qui nessuno ci costringe. Quale altro Paese vicino gode di tutta questa libertà? Invece c'è chi crede di sapere esattamente cosa avviene in tutti questi Paesi senza esserci mai stato.


martedì 29 maggio 2012

Da cristiani nell'inferno siriano

La solidarietà dei gesuiti verso tutte le vittime. Antidoto alle nuove divisioni create dal conflitto  di Giorgio Bernardelli 
DI FRONTE AL DRAMMA della Siria, che con il suo dolorosissimo carico di sangue va avanti ormai da mesi, c'è il rischio di fermarsi alle analisi. Perché effettivamente il contesto è complesso e le partite che si giocano sulla pelle di questo Paese sono molteplici (cfr. M.M. marzo 2012, p. 12). Ma non si capisce mai un conflitto fino in fondo se non si parte dalle sue storie. E una delle più emblematiche in questo senso è quella della comunità cristiani di Homs. Sì, proprio la città martire da tempo epicentro degli scontri tra l'artiglieria del presidente Bashar al Assad e le milizie sunnite è in realtà uno dei centri più importanti della storia cristiana della Siria. Nel secondo secolo ha addirittura donato un Papa alla Chiesa (Aniceto, il decimo successore di Pietro) e per alcuni secoli - secondo una tradizione antichissima - fu meta di pellegrinaggi perché qui sarebbe stata custodita la reliquia della testa di Giovanni il Battista. Ancora nel Novecento fu da Homs che la Chiesa siriaca si riorganizzò dopo gli anni durissimi del genocidio. Ma soprattutto si tratta di una città che fino a ieri - nei suoi quartieri di Bustan el-Diwan, Hamiddyyé e Arzoun - era abitata da oltre 90 mila cristiani.
Oggi invece a Homs non restano che una manciata di fedeli: prostrati dalle bombe che cadono su tutti, impauriti dalle minacce dei miliziani filo-qaedisti infiltratisi tra le file della «resistenza siriana», in decine di migliaia hanno abbandonato le loro case per cercare rifugio sulle montagne vicine, a Damasco o addirittura in Libano. Tra i pochi rimasti a Homs c'è la piccola comunità dei gesuiti, due padri olandesi e uno siriano, cui faceva capo la scuola di Bustan el-Diwan. «Nel quartiere non siamo rimasti che noi ad occuparci della nostra casa e di quelle di quanti sono partiti», hanno scritto qualche settimana fa in una lettera pubblicata dal quotidiano francese La Croix. Un messaggio in cui non hanno nascosto le difficoltà: i colpi di artiglieria non hanno risparmiato le loro mura. E poi ci sono state le tensioni create dallo spostamento di popolazioni da un quartiere all'altro: quando la battaglia infuriava più violenta dai quartieri sunniti molti musulmani si sono spostati nelle case lasciate vuote dai cristiani. E oggi non c'è più nessuno che a Homs sia in grado di ridare a ciascuno il suo. Il che sta creando nuove pericolosissime divisioni.

ANCHE IN UN CONTESTO così difficile, però, la comunità dei gesuiti di Homs ha scelto di spendersi al servizio di chiunque abbia bisogno. «All'inizio - hanno raccontato ancora - avevamo deciso di sostenere una sessantina di famiglie particolarmente bisognose. Ma sono diventate molto in fretta cinquecento. E adesso siamo a diverse migliaia». A sostenere questo impegno è l'Oeuvre d'O¬rient, storica ong francese attiva nell'aiuto alle Chiese d'Oriente; ma non è un compito facile: manca tutto e sotto i colpi dell'artiglieria le stesse comunicazioni diventano spesso impossibili. Del resto il volto della solidarietà è quello attraverso cui già da anni li conosceva la gente di Homs. Anche attraverso l'esperienza del progetto Al Ard, il centro realizzato negli anni Ottanta su una collina a qualche chilometro dalla città da padre Frans Van der Lugt, con l'obiettivo di far lavorare insieme cristiani e musulmani allo sviluppo rurale della zona. E dal 2000 si è affiancata anche un'opera ancora più significativa: un centro per ragazzi con handicap mentale, una quarantina provenienti dai villaggi vicini, anche loro coinvolti nelle attività agricole come attività di inserimento sociale. Luogo di incontro tra gli uomini e le donne delle diverse religioni, aperto alla voce dello spirito.
È chi ha vissuto come padre Frans questa esperienza che resta oggi sotto le bombe di Homs. Scommettendo su una fraternità più forte di ogni bagno di sangue. E provando ad ascoltare la voce di Dio anche dentro questa tragedia. Un racconto emblematico in questo senso la comunità lo ha affidato qualche giorno fa al sito dei gesuiti del Medio Oriente: la storia di un incontro con una famiglia di profughi, una quindicina di persone ferme a lato della strada, cariche delle loro borse. «Dove andate?», chiede loro uno dei padri. «A qualsiasi fermata dell'autobus verso Damasco». Il pulmino sarebbe omologato per otto persone, ma riesce comunque a ospitare tutti. «Da dove venite?». La risposta è quella più prevedibile: Bab Omar, uno dei quartieri più devastati dagli scontri. «Ci hanno cacciato via», precisa il capofamiglia. «Chi?», domanda il padre. Silenzio. La paura è ancora tanta, meglio non sbilanciarsi di fronte a uno sconosciuto.
«Avete parenti o amici a Damasco?». L'uomo scuote la testa. «E allora da chi andrete?», insiste il religioso. «Dovunque ci siano persone buone - risponde l'uomo -. Anche tu ti sei fermato e ci hai caricati sul pulmino senza che fossimo tuoi parenti». «"Dovunque ci siano persone buone": c'è rimasta nelle orecchie a lungo questa meta - hanno scritto i gesuiti di Homs -. Insieme alle parole del Vangelo di Giovanni: "Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati" (Gv 1,11-13)».
http://www.missionline.org/index.php?l=it&art=4667

Dopo l’ultimo grave attentato, al centro della scena ancora la violenza e non il bene comune
..... La realtà richiederebbe di essere raccontata con lealtà, invece nessun avvenimento sembra sia più sufficiente per portare gli uomini a riflettere, a pensare, a cambiare opinione. I paesi occidentali, in questa situazione, sembrano non sapere più che cosa sia la moralità, la pietà e il bene comune. E’ difficile comprendere come qualcuno possa ancora affermare che la pace si può costruire in questo modo. Pensare che il trionfo del bene e della giustizia possa solo avvenire sradicando il male identificato nel tiranno è un’illusione, e lo stiamo vedendo: si sta andando incontro a mali ben peggiori.....
Patrizio Ricci su http://www.laperfettaletizia.com/2012/05/quale-futuro-per-la-siria.html

lunedì 28 maggio 2012

La vérité sur Houlé

VOX CLAMANTIS – 26 maggio 2012
Traduzione dal francese a cura della Fraternità Maria Gabriella
Domandiamo agli nostri lettori di non lasciarsi impressionare dalla campagna mediatica a proposito del massacro di Houle. Contrariamente a quanto viene affermato dai media e dalle nostre prime informazioni raccolte, l’armata siriana regolare non si è posizionata e non ha bombardato Houlè.

Si tratta, da parte dei terroristi, di un colpo montato al quale l'opinione pubblica è già molto abituata e, da parte del governo di una dimissione inaccettabile, che lascia civili innocenti affidati alla sua protezione e forze dell'ordine in numero insignificante essere oggetto di impressionanti attacchi da parte di centinaia di miliziani feroci, pronti a tutto ed armati fino ai denti, con la pura missione di “creare” le  vittime per sfruttare mediaticamente il loro sangue.

Questo coincide con l'annuncio della prossima visita di Kofi Annan e lo scopo è quello di screditare questa missione, gettandone tutto il biasimo sulle legittime  autorità siriane. Le notizie che noi forniamo vengono da testimoni oculari che vivono sui luoghi. Essi non hanno per finalità quella di “proteggere” il regime ma di “proteggere” la popolazione civile, abbandonata dal governo e consegnata alla selvaggia furia dei terroristi.

La verità su Houle

Ecco ciò che noi abbiamo ricevuto da un testimone oculare di Kfar Laha, vicino a Houle:

“Le bande armate sono uscite da Rastan e da Saan, tra Homs e Hama verso le otto di sera. Hanno attaccato le barricate delle forze dell'ordine intorno all'ospedale e hanno ucciso e ferito circa 35 elementi tra le forze dell'ordine, poi sono penetrati nell'ospedale statale. All'interno dell'ospedale si trovavano i pazienti e le equipes sanitarie e alcuni familiari che accompagnavano i malati, circa 25 persone. Le bande armate hanno massacrato tutte le persone presenti poli hanno bruciato l'ospedale dopo aver trasportato i cadaveri. Sui canali video dei ribelli si vede che quelli che trasportano i cadaveri lo fanno su coperte sulle quali è scritto in arabo “ministero della salute”. Questo prova che essi sono gli autori del crimine. Le bande armate si sono in seguito dirette verso le case circostanti, hanno massacrato i loro abitanti, hanno bruciato cinque case dopo aver trasportato i cadaveri. Dei rinforzi sono arrivati da parte delle forze dell'ordine. Ci sono stati scambi di fuoco e nove terroristi sono stati uccisi.

Sulla via, essi si sono introdotti in una farmacia ed hanno fucilato il farmacista per punirlo di aver venduto dei medicinali a un membro del servizio dell'ordine ed hanno bruciato la sua farmacia.

Verso le 22 le bande armate si sono dirette verso il villaggio di Tel Do. Hanno investito il quartiere sud e hanno massacrato famiglie alauite, uomini, donne e bambini, poi hanno appiccato fuoco dopo aver trasportato i cadaveri.
I cadaveri raccolti sono stati ammassati  in una moschea per mostrarli agli osservatori dell'ONU come se fosse stato un massacro perpetuato dall'armata regolare.

Diverse notizie dalla regione di Homs e di Hama

A Salamiyeh, grosso villaggio a est di Hama, sulla strada di Aleppo, abitato da una maggioranza di ismaeliti di cui un gran numero sono oppositori ( comunisti e houranis) c'era un funerale e le persone venivano a presentare le loro condoglianze, bande armate vestite con degli “schmakhs”, copricapi dei beduini del deserto, senza dubbio per incitare gli abitanti di Salamiyeh a credere che questi fossero i loro vicini i beduini del deserto “badiyat” e fomentare la guerra civile. Le bande armate di PKC hanno aperto il fuoco sulla folla per cinque minuti, uccidendo sette persone e ferendone un gran numero.

Nel villaggio di Siphonyeh, presso Kattineh, a 15 km a nord di Homs, bande armate si sono introdotte in gran numero e hanno massacrato due famiglie: Abdallah Abdel Nabi e i suoi  6 bambini e anche il suo vicino e suo figlio. Hanno anche bruciato le case prima di ritirarsi,
Tutta la campagna di Kusayr è a ferro e  fuoco, in un vuoto di sicurezza spaventoso. Da due settimane  la guerra civile è cominciata tra i villaggi sunniti e i villaggi sciiti. E sunniti del villaggio di Saargi, contrabbandieri e banditi, hanno cominciato a uccidere e rapire civili dei villaggi sciiti di Safsafè, Zeytè, Hawik . Per proteggersi gli sciiti hanno dovuto prendere le armi perché i sunniti attaccavano con fucili, mitragliatrici e mortai e RPG. Gli sciiti sono stati presi di sorpresa perché essi non erano armati ma alcuni possedevano armi personali. Gli sciiti hanno rapito due sunniti della famiglia Hseykeh e fino ad oggi l'atmosfera è molto tesa. Un antico contenzioso opponeva questi due villaggi ma essi avevano celebrato una grande riconciliazione con la presenza dello Cheikh Naim Qassem, il vice presidente di Hezbollah. Erano stati invitati villaggi all'intorno e i notabili cristiani di Kusayr  erano stati invitati. Purtroppo la consegna delle bande armate è di accendere ad ogni costo il conflitto religioso e, nell'assenza di forze dell'ordine o davanti alla loro impotenza, non c'è altra alternativa per gli abitanti che proteggersi dalle bande armate prendendo essi stessi le armi.

Come abbiamo spiegato nel nostro articolo di ieri, le città e villaggi si organizzano verso un'autonomia di sicurezza a partire dalle alleanze e dagli equilibri tribali sottili e inimmaginabili, per esempio ,come noi dicevamo, l'accordo realizzato tra Nebek e Flitta: “non rapite più i nostri sennò noi interdiremo agli abitanti di Flitta di entrare a Nabek.”

Il regime sta per accettare la realtà di una disaffezione della sua presenza rispetto alla sicurezza, in virtù della quale il mosaico siriano si fratturi in una logica di affinità confessionali tribali o politiche, in base ad alleanze, a rifiuti, a tradimenti , per un riallineamento alla maniera libanese? Sinistra prospettiva….
Vox Clamantis
Vox Clamantis est un centre d’information du diocèse grec melkite catholique de Homs, Hama et Yabroud

AGGIORNAMENTO DA VOX CLAMANTIS 
31 maggio 2012 – Redatto da Frére Jean

 Il generale Suleiman, Presidente del tribunale militare, capo dell'investigazione sul massacro di Houlé (del 26 maggio 2012) ha dato questa sera i risultati preliminari, basati su dichiarazioni di testimoni oculari presenti sulla scena, ed anche sullo studio dei rilievi militari e penali:
Il Generale ha detto che dopo la preghiera del venerdì, 600-800 uomini armati hanno attaccato di sorpresa le 5 postazioni di controllo tenute dalle forze di sicurezza siriane nella regione di Taldo. Tutte le armi furono utilizzate in questo attacco, compresi cannoni di mortaio. Le forze di sicurezza hanno cercato di respingere questi attacchi. Allo stesso tempo delle bande armate si sono sparpagliate intorno alle posizioni del national hospital di Taldo e della piazza dell'orologio. Hanno massacrato famiglie parenti del Deputato Abdel Karim di Taldo che ha sfidato l'embargo dell'opposizione nelle ultime elezioni parlamentari. Le famiglie massacrate sono note per essere pacifiche e vicine al regime. I cadaveri sono stati trasportati su veicoli dei terroristi per essere riuniti nella moschea. Un altro gruppo armato si è diretto su Shumariyeh a pochi chilometri di distanza e ha massacrato famiglie appartenenti alla confessione di Sciita, anch’esse vicino al regime. Anche questi cadaveri sono stati anche ammassati nella moschea.
Il Generale Suleiman ha assicurato che l'osservazione dei morti mostra che essi furono tutti uccisi da vicino, o da arma da fuoco o da un strumento tagliente. Nessuno porta traccia di obus o schegge metalliche. Nessuno sembra essere stato colpito da un oggetto provocato da un bombardamento. Al momento del massacro di forze siriane stavano respingendo vari attacchi e non potevano disperdersi per un'altra missione. Più quartieri dove i massacri siano stati commessi sono sotto l'autorità dei miliziani ribelli ed è praticamente impossibile alle forze di ordine entrarvi.
 Mr Jihad Makdessi, portavoce del Ministero degli affari esteri ha segnalato che appena al  corrente degli eventi drammatici di Hula, le autorità siriane hanno contattato il Generale Mood, capo osservatore della Nazioni Unite, per chiedergli di recarsi sulla scena. I miliziani ribelli lo attendevano con i corpi delle vittime raccolte da loro.
 Mr Jihad Makdessi, dopo questo atto criminale gravemente condannato dal suo governo, sta cercando di dimostrare che la Siria soccombe a una guerra settaria.
 Anche Vox Clamantis i.D.D. ha saputo da un testimone oculare che il 29 maggio, h 5 del mattino, bande armate attaccarono la stazione di polizia nel villaggio di Dmeineh, sulla strada per Qusayr. Questo villaggio è interamente cristiano e conta circa 400 famiglie greco-cattoliche. Gli scontri sono durati più di due ore e due case hanno ricevuto tutta la forza di proiettili lanciati dai terroristi. La stazione di polizia ha respinto l'attacco in cui un ufficiale di polizia ha perso la vita, e molti sono rimasti feriti. Si sono registrati sette morti tra i miliziani.
 La città di Dmeineh, tagliata fuori come Kusayr del mondo esterno, vive difficili giorni e si prepara a sua volta a evacuare, come è avvenuto per Kusayr e i quartieri cristian di Homs.
 Vox Clamantis in Deserto Damasci è il centro di informazione delle diocesi greco-cattolica di Homs, Hama e Yabroud.


Syrien Eine Auslöschung
13.06.2012 · Das Massaker von Hula ist ein Wendepunkt im syrischen Konflikt. Die westliche Öffentlichkeit beschuldigt, gestützt auf die UN-Beobachter, die syrische Armee. Diese Version kann auf Grundlage von Augenzeugenberichten bezweifelt werden. Demnach wurden die Zivilisten von sunnitischen Aufständischen getötet.
Von Rainer Hermann
http://www.faz.net/aktuell/politik/arabische-welt/syrien-eine-ausloeschung-11784434.html


Ascolta il Messaggio del Nunzio Mons Zenari a Radio Vaticana
http://212.77.9.15/audiomp3/00317947.MP3
"Il massacro di bambini innocenti è un crimine insopportabile, che getta una nuova ombra su questa orribile guerra. Tuttavia, le reazioni indignate degli organi internazionali non bastano. L'Onu deve sostenere e dare voce alle iniziative delle comunità siriane, che tentano di reagire alle violenze in modo costruttivo e non con la vendetta". "Non importa chi sia l'autore di queste stragi - continua il prelato - la spirale di sangue e violenza deve cessare". "Gli osservatori Onu non stanno facendo molto - racconta mons. Zenari - e vi è poca fiducia fra la popolazione sui risultati concreti del piano di Kofi Annan. La popolazione sta tentando di organizzarsi da sola per trovare soluzioni alternative". In questi giorni a Homs, una delle città simbolo della rivolta contro il regime, i leader cristiani cattolici e ortodossi, alawiti, sunniti e rappresentanti della società civile, hanno organizzato una serie di incontri per cercare una soluzione non violente al conflitto. "L'idea - aggiunge il nunzio - è quella di dare un segno di speranza ai siriani e invitarli a mettersi in gioco e a reagire in modo costruttivo e pacifico, contro chi vuole distruggere il Paese". Tali iniziative continueranno nei prossimi giorni e saranno proposte anche in altre città della Siria.
http://www.asianews.it/notizie-it/Nunzio-apostolico:-contro-il-massacro-di-innocenti,-non-basta-la-condanna-dell'Onu-24866.html


Preghiera e digiuno nell’inferno della lotta: l’esperienza di un prete cattolico
Nel bel mezzo di massacri, violenze, spari, rapimenti, vendette, una piccola fiammella di fede e di amore si è accesa nella città di Qusayr (nei pressi di Homs), uno dei luoghi dove la guerra infuria più violentemente: come l’Agenzia Fides apprende da fonti locali, un prete cattolico, che per ora preferisce conservare l’anonimato, si è coraggiosamente stabilito in città, in una casa parrocchiale, con il solo scopo di fare un’esperienza di continua preghiera e digiuno, per implorare da Dio la pace e la riconciliazione.
Proprio laddove “si sta scatenando l’inferno”, la sua presenza, spiega il sacerdote, vuole essere un “segno forte di non violenza, una testimonianza di fede e di amore per il popolo siriano”. Il suo essere “segno di contraddizione”, sarà un’esperienza che i fedeli di tutte le religioni potranno comprendere, in quanto “le armi della preghiera e del digiuno sono importanti nel cristianesimo e nell’islam”. Vuole essere un modo, rimarca, “per ricordare a tutti gli uomini, a chi sta combattendo e uccidendo, che l’unica fonte di speranza è Dio: il Dio della vita, il Dio della pace, il Dio della riconciliazione, che ci rende fratelli e non nemici”.
Fonti di Fides non escludono che, mentre la sua esperienza si diffonde in città, fedeli cristiani e musulmani possano unirsi a lui, nonostante i pericoli, e che nella città martoriata dal conflitto possa accendersi un nuovo lume di speranza per la Siria, grazie a uomini e donne che rifiutano l’odio e scelgono la non violenza, in nome della loro fede. La religione e la fede – notano le fonti di Fides – sono infatti una componente importante della vita e dell’identità del popolo siriano e, in queste ore difficili di brutalità, occorre fare leva sulla componente spirituale, che restituisce all’uomo la sua vera dimensione, la sua autentica dignità. (PA) (Agenzia Fides 28/5/2012)
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39191&lan=ita


PATRIARCA GREGORIO III LAHAM, “FERMARE STRAGI, PIENO APPOGGIO AL PIANO ANNAN
“Fermare subito gli scontri e la violenza e dare pieno appoggio al piano di Kofi Annan”: dalla Germania, dove si trova in visita, a parlare è Gregorio III Laham, patriarca di Antiochia dei greco-melkiti. In una dichiarazione rilasciata al Sir il presule, commentando le ultime stragi a Hula, Hama, con molti bambini tra le vittime, torna ad invocare “la fine delle violenze che stanno gettando il Paese nel baratro. Con l’aiuto dello Spirito Santo prego che tutte le parti coinvolte possano trovare vie di dialogo. La comunità internazionale, l’Europa in testa, sappiano aiutare la Siria ad uscire da questa grave situazione. Il mondo aiuti tutti i siriani, Regime, militari, opposizione, donne e uomini a dialogare. Basta con le stragi, con la violenza - papa Benedetto XVI lo ricorda sempre - non si ottiene nulla. Come vescovi di Siria lo abbiamo detto più volte ed oggi lo ribadisco, diamo pieno appoggio al piano di pace di Kofi Annan”.
http://www.agensir.it/pls/sir/v4_s2doc_b.stampa_quotidiani_cons?id_oggetto=240632


DICHIARAZIONE DEL DIRETTORE DELLA SALA STAMPA DELLA SANTA SEDE, P. FEDERICO LOMBARDI, A PROPOSITO DELLA STRAGE DI HULA
La recente strage di Hula, dove ha perso la vita un centinaio di persone, tra cui numerosi bambini, addolora e preoccupa profondamente il Santo Padre e l’intera comunità cattolica, nonché la comunità internazionale, che ha condannato unanimemente l’accaduto.
Nel rinnovare il suo appello alla cessazione di ogni forma di violenza, la Santa Sede esorta le parti interessate e tutta la comunità internazionale a non risparmiare alcuno sforzo per risolvere la crisi attraverso il dialogo e la riconciliazione. Anche i leaders e i credenti delle diverse religioni, con la preghiera e la collaborazione vicendevole, sono chiamati a promuovere con grande impegno l’auspicata pace, per il bene di tutta la popolazione.
http://www.news.va/it/news/71656

sabato 26 maggio 2012

Houla, esercito siriano contro ribelli: 88 morti, decine di feriti. E un'altra versione...

Asia News: Gruppi attivisti denunciano le violenze delle truppe fedeli ad Assad. In rete circolano filmati di bambini uccisi; ma non vi sono conferme indipendenti. Ieri decine di migliaia di persone hanno manifestato al termine della preghiera del venerdì. Ban Ki-moon: situazione “estremamente grave”. (AsiaNews/Agenzie) - È di almeno 88 morti - fra cui molti bambini - e decine di feriti il bilancio delle violenze avvenute ieri a Houla, nella provincia di Homs, fra ribelli siriani e forze governative fedeli al presidente Bashar al-Assad. Gruppi attivisti parlano di "massacro" e, se le cifre verranno confermate, si tratta di uno dei più sanguinosi attacchi dalla firma nell'aprile scorso di una tregua nominale. Intanto il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon afferma che l'opposizione controlla "parti significative di alcune città" e, in una missiva inviata al Consiglio di sicurezza, conferma che la situazione resta "estremamente grave" e invita gli Stati membri a non armare i due fronti in conflitto fra loro.
Fonti locali riferiscono di altri 20 morti in episodi di violenza divampati ieri in tutta la Siria, al termine della preghiera del venerdì dopo che decine di migliaia di manifestanti hanno invaso strade e piazze.
Attivisti a Houla sottolineano che alcuni vittime sarebbero state "macellate" dalle milizie governative, altri uccisi nei bombardamenti o in esecuzioni sommarie. Su internet circolano fotogrammi e filmati relativi a bambini massacrati. I Comitati di coordinamento locale (Lcc) parlano di 88 morti, fra cui "molte donne e bambini". Il Consiglio nazionale siriano chiede l'intervento del Consiglio di sicurezza Onu perché intervenga a fermare le violenze.
Tuttavia, non è al momento possibile verificare in modo indipendente le notizie che arrivano dal Paese e nemmeno accertare l'autenticità dei video relativi ai massacri rilanciati dal web.
http://www.asianews.it/notizie-it/Houla,-esercito-siriano-contro-ribelli:-88-morti,-decine-di-feriti.-Attivisti:-un-“massacro”-24859.html

Damasco (Agenzia Fides)  Fonti di Fides raccontano un’altra versione: l’esercito regolare avrebbe colpito Houla, dove si sono rifugiati molti militanti salafisti e terroristi che avevano bruciato l’ospedale nazionale nella città, provocando molte vittime, e hanno poi usato i civili come scudi umani.
Il Nunzio Apostolico in Siria, S. Ecc. Mons. Mario Zenari, interpellato dall’Agenzia Fides, lancia un appello: “Questo massacro non è l’unico, speriamo sia l’ultimo. Chiediamo la fine di tali atrocità. Tutti i credenti, cristiani e musulmani, oggi sono chiamati a riscoprire le armi della preghiera e del digiuno, per riaccendere la speranza di un futuro di pace in Siria”.
Secondo fonti di Fides nella comunità cristiana,  bande armate fuori controllo continuano a imperversare e colpire civili innocenti. Terroristi hanno fatto saltare in aria la casa di un alawita nel quartiere meridionale di Rableh, nei pressi di Qusayr, sempre nell’area di Homs. L'esplosione ha causato la morte di Youssef Airouti, il ferimento di sua moglie e di suo figlio, ma anche di Shibli Hallaq e di sua moglie Niamat Saadiyet, una coppia di cristiani di Qusayr, rifugiati a Rableh. Intanto a Homs la chiesa armena apostolica e la scuola annessa nel quartiere di Hamidia sono state sequestrate e occupate dai militari dell’Esercito di Liberazione Siriano, che usa gli edifici come alloggi e ospedali.
P. Romualdo Fernandez, frate francescano del Santuario di Tabbaleh, dedicato a San Paolo, a Damasco, commenta all’Agenzia Fides: “La gente è confusa e disorientata. Notizie di massacri si susseguono ma i responsabili non sono certi. C'è pessimismo perchè non si sa qual sarà il futuro. Vi sono critiche al regime ma anche ai ribelli dell'opposizione . Come cristiani partecipiamo alle sofferenza del popolo, provato dal conflitto. Operiamo per la pace e la giustizia, senza aderire ad alcuna fazione politica”. (PA) (Agenzia Fides, 26/05/2012)
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39181&lan=ita

venerdì 25 maggio 2012

“Come aiutare i cristiani in Siria?”: si attendono le parole del Papa in Libano

Agenzia Fides 25/5/2012
 “Come aiutare i cristiani della Siria e i cristiani d'Oriente? Aspettiamo parole profetiche dall’Esortazione postsinodale che Papa Benedetto XVI consegnerà ufficialmente in Libano, nel settembre prossimo” spiega all’Agenzia Fides, p. Jules Baghdassarian, Direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie in Siria. P. Baghdassarian, che intende sensibilizzare gli altri Direttori nazionali delle Pontificie Opere Missionarie nel mondo, afferma: “I cristiani in Medio Oriente sperano che il messaggio del Papa abbia un impatto sia in Oriente che in Occidente e che possa aprire nuove strade senza rompere con il passato”. Infatti, nota, “è tempo che la Chiesa torni a respirare con entrambi i polmoni”, riferendosi ad una nota espressione di Giovanni Paolo II. I cristiani d’Oriente, continua, “sono cittadini di paesi in cui la maggioranza della popolazione professa l'islam. Il loro destino è legato al paese e al ‘tipo’ di islam, che governa il paese. L’islam dovrebbe riconoscere ai credenti di altre fedi il loro ruolo e la piena cittadinanza, e non appoggiare regimi in cui i cristiani sono, come nel Medioevo, dhimmi, cioè con diritti limitati”.
“Quello che ci aspettiamo dai nostri fratelli in Occidente non è tanto aiuto materiale, ma comprensione, rispetto, simpatia, preghiera” spiega p. Baghdassarian, soffermandosi poi sulla situazione che vivono i cristiani in Siria. “Qui i cristiani hanno la loro dignità e sono cittadini uguali ai cittadini musulmani, che sono la maggioranza. La Siria, insieme con il Libano, è il paese arabo dove i cristiani sono trattati meglio” dice, auspicando un futuro di pace per il paese.
Sulla sorte dei cristiani siriani, p. Baghdassarian è convinto che essi non abbandoneranno il paese, nonostante conflitti e difficoltà, presenti o future. Anche se alcuni potrebbero essere indotti a fuggire, se in Siria subentrasse un governo islamista, la soluzione di accoglierli all’estero, spiega, non è pensabile, poiché “priverebbe il paese della loro storica presenza e di una testimonianza di convivenza tra islam e cristianesimo. Questa soluzione sarebbe il colpo di grazia per i cristiani d'Oriente” ammonisce. Intanto oggi, conclude, “le sanzioni economiche e l'embargo ricadono sulla popolazione innocente”, di ogni religione e gruppo etnico.
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39166&lan=ita

giovedì 24 maggio 2012

Padre Gheddo: e' in corso la pulizia etnica dei cristiani

Padre Gheddo, contattato da IlSussidiario.net, non ha dubbi quando gli si chiede come giudica la situazione dei cristiani in Siria: "Posso solo ripetere quello che ha detto la chiesa ortodossa: ha definito la persecuzione dei cristiani in Siria una pulizia etnica in corso". Parole forti, che colpiscono ancora di più perché raramente i media occidentali parlano di questa situazione: "La comunità internazionale, sia europea che americana, fa ben poco per i cristiani non solo della Siria ma dell'intero Medio Oriente" dice Padre Gheddo. "Questo succede perché decenni di ateismo militante hanno fiaccato e spazzato via gli ideali che tenevano in piedi l'occidente stesso. Il mondo cristiano non è più unito perché manca quella cosa che dovrebbe unirlo, la fede in Cristo". A pagarne il conto, in definitiva, le comunità cristiane del Medio Oriente, là dove la fede cristiana è nata e ha mosso i suoi primi passi.

Padre Gheddo, altri cristiani uccisi in Siria. Come giudica la situazione?
La giudico con le stesse parole che ha espresso la chiesa ortodossa. Ha definito la persecuzione contro i cristiani in Siria una pulizia etnica in corso. Una pulizia etnica da parte dei militanti musulmani legati ad Al Qaeda. Il problema della rivolta in Siria, esattamente come successo in Libia, è che in essa sussistono due componenti. Una laica, indipendente e tollerante, e una corrente estremista musulmana tenuta a freno da Assad padre e Assad figlio fino a oggi.
I cristiani infatti hanno sempre goduto di libertà religiosa in Siria.
I dittatori che si sono succeduti in Siria appartengono alla setta dei musulmani alauiti, che è una setta islamica considerata non ortodossa ma che ha sempre difeso i cristiani perché erano anche loro perseguitati e non ben visti dalla maggioranza dei musulmani. Si pensi che i cristiani fuggivano dal Libano, dall'Iraq, a volte anche dalla Turchia per trovare rifugio proprio in Siria.
Oggi però è tutto il Medio Oriente a vivere una situazione del genere, i cristiani diminuiscono continuamente.
Ma per forza. In tutti i Paesi del Medio Oriente con l'esclusione forse del Libano dove i cristiani numericamente sono abbastanza, circa il 40% della popolazione, e hanno la fortuna di vivere nello stesso posto geografico, il nord del Paese, i cristiani si sentono minacciati e se possono fuggono. Non solo in Medio Oriente, ma anche in Egitto e in Libia.
Cosa ha portato storicamente a questa persecuzione, in Paesi dove prima si viveva in un clima di tolleranza?
Il problema dell'Islam in Medio Oriente è questo: dalla fondazione dei Fratelli musulmani in Egitto nel 1928 e poi dopo il trionfo di Khomeini nel 1979 i cristiani sono diventati vittima di persecuzione perché ha preso il sopravvento una visione intollerante ed estremista dell'Islam.
Secondo lei la comunità internazionale, l'occidente, cosa sta facendo per la Siria e per tutti i cristiani del Medio Oriente?
Sta facendo molto poco perché questa situazione di persecuzione dei cristiani è esplosa quando la comunità politica americana ed europea sono entrate in una crisi tremenda non solo economica, ma anche di ideali.
Cioè?
E' venuta a mancare quella unità del mondo cristiano che prima permetteva anche una reazione, una presenza a livello internazionale in difesa delle minoranze. Il mondo occidentale non è più unito perché manca quella cosa che dovrebbe unirlo: la fede in Cristo.
Quali le ragioni di tutto ciò?
L'ateismo militante e la secolarizzazione hanno fatto in modo che le società europee non sentissero più l'esigenza di difendere i cristiani.
Si può dire che le colpe dell'occidente ricadono sui cristiani della Siria e del Medio Oriente?
La colpa storica dell'occidente è quella di aver abbandonato Cristo e la vita cristiana lasciando che si affermasse un movimento di ateismo militante che ha tolto ai cristiani una unità di fede che invece hanno i musulmani.
Ci spieghi meglio questo passaggio.
Bisogna riconoscere che la fede islamica tiene uniti i musulmani, anche se poi hanno anche loro le loro divisioni interne, ma sul Corano sono tutti d'accordo. Dunque la colpa non è di questo e di quello, ma esiste una colpa storica dell'occidente.
La Chiesa continua a sostenere i cristiani perseguitati ovviamente. I missionari riescono ancora a raggiungere la Siria?
Senza dubbio, la chiesa continua a sostenere i fedeli, il Papa continua a richiamare alla difesa dei cristiani. Oggi in Siria c'è già una guerra civile reale mai dichiarata tanto che assistiamo continuamente a intere città prima liberate dai partigiani, poi riconquistate dall'esercito. I missionari ovviamente non possono neanche avvicinarsi alla Siria. Eppure in Siria c'è davvero una forte comunità cristiana. Ho visitato questo Paese per due volte e rimasi stupito nel vedere quale radicata presenza dei cristiani era presente: scuole, ospedali, chiese, case di riposo Ricordo che al confine con l'Iraq sull'Eufrate trovammo una chiesa ortodossa e il parroco ci spiegò che era normale: i cristiani, ci disse, sono ovunque in Siria.
Questi sono i luoghi dove il cristianesimo è nato, ma adesso rischiano di trovarsi senza più i cristiani.
Il problema dell'Islam che si sta operando per far sparire la presenza cristiana è che quella evoluzione verso una società moderna che era stata avviata è stata bloccata. Il problema vero infatti è l'educazione. In quei Paesi non esiste una vera scuola che prepara i bambini al mondo moderno. Ho visto in Pakistan, in Indonesia, in Malesia, in Egitto e anche in Libia testi scolastici che dicevano che i nemici sono bianchi, cristiani, europei e americani. Questa è una educazione che viene da lontano, da quando l'Islam si sentì perseguitato dalla colonizzazione europea, addirittura dall'arrivo di Napoleone in Egitto. Fu così che nacquero organizzazioni come i Fratelli musulmani. La conseguenza è la mancanza di un sistema educativo, non esiste una èlite di intellettuali in grado di confrontarsi con il mondo occidentale, ma c'è una popolazione povera e diseducata su cui è facile far presa per introdurre il terrorismo. Anche i governi che proteggevano i cristiani in Siria o in Egitto non hanno cambiato la mentalità della gente perché non hanno creato un sistema educativo moderno.

mercoledì 23 maggio 2012

Tre civili cristiani uccisi nell’area di Homs

I civili cristiani innocenti sono vittime del conflitto in corso in Siria.
Homs (Agenzia Fides) 23/5/2012 –
Nella cruenta zona di Homs, dove il conflitto armato prosegue, alcune famiglie cristiane hanno abbandonato il villaggio di Dmeyneh, interamente cristiano, che si trova sulla strada fra Qusayr e Homs. Come appreso dall’Agenzia Fides, il villaggio è presidiato dalle forze dell’esercito siriano ma nei giorni scorsi colpi di mortaio di milizie ribelli lo hanno colpito, uccidendo tre civili cristiani: Hanna Skandafi, 60 anni; suo nipote George Skandafi, 14 anni, e Jessica Layyous, di 13 anni. Dopo i bombardamenti, una ventina di famiglie cristiane sono fuggite da Dmeyneh, sono attualmente sfollate e non sanno dove andare.
Intanto alcune famiglie cristiane, che erano state cacciate dal villaggio Al Borj Al Qastal, nella provincia di Hama (vedi Fides 12/5/2012), sono tornate nel loro villaggio. Le forze dell’esercito siriano, infatti, hanno preso possesso della zona e gli abitanti cristiani del villaggio sono potuti rientrare nelle loro case. Lo riferiscono a Fides fonti nella comunità greco-cattolica locale. Come riferito a Fides, padre George Hosh, sacerdote greco-ortodosso, ha detto che “i fedeli hanno ripreso a pregare”, mentre “fedeli musulmani sunniti e alawiti dei villaggi circostanti hanno espresso la loro solidarietà, condannando tale incidente”. Abitanti locali affermano che “gli occupanti erano stranieri ed erano radicali islamici armati, che hanno sequestrato case in tutto il villaggio e requisito la chiesa per renderla il loro quartier generale”. Secondo p. George Hosh “erano militanti armati venuti dalla Turchia, ed altri estremisti islamici di Tunisia, Libia e Pakistan”
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39153&lan=ita


Vicario apostolico di Aleppo: forze straniere non vogliono la pace in Siria

Aleppo (AsiaNews) - "Ci sono forze straniere che non vogliono la pace in Siria. Il Paese è ormai preda di guerriglieri provenienti da Tunisia, Libia, Turchia, Pakistan e altri Stati islamici. Armi e denaro passano attraverso i confini e alimentano questa spirale di violenza". È quanto afferma ad AsiaNews mons. Giuseppe Nazzaro, vicario apostolico di Aleppo. "I Paesi occidentali non fanno nulla di concreto per fermare il conflitto - sottolinea - essi non hanno a cuore il destino del popolo siriano, che oltre alla guerra fra esercito e ribelli subisce anche l'embargo economico". Mons. Nazzaro racconta che in tutto il Paese iniziano a scarseggiare medicinali, carburante, gas. Nelle province più colpite dagli scontri, manca tutto ed è difficile per la popolazione sopravvivere, soprattutto se si protrarrà ancora questa situazione di tensione.
Il vescovo spiega che gli estremisti islamici continuano a sparare e compiere attacchi e non hanno alcun interesse a cercare una via d'uscita dal conflitto. "Chi finanzia queste milizie? - si chiede il prelato - dopo l'imposizione del cessate il fuoco lo scorso 12 aprile, vi sono stati continui attacchi mirati contro l'esercito che purtroppo risponde con altrettanta crudeltà".
http://www.asianews.it/notizie-it/Vicario-apostolico-di-Aleppo:-forze-straniere-non-vogliono-la-pace-in-Siria-24841.html

 

martedì 22 maggio 2012

Gruppi radicali islamici soffiano sul conflitto che contagia il Libano

Beirut; Gruppi radicali islamici soffiano sul conflitto siriano e vogliono contagiare il Libano:
 è l’allarme lanciato all’Agenzia Fides da p. Paul Karam, Direttore Nazionale delle Pontificie Opere Missionarie in Libano. P. Karam, commentando i recenti scontri fra alawiti e sunniti in Libano, afferma: “Siamo molto preoccupati per due motivi: il flusso di rifugiati siriani continua nel Nord del Libano, inoltre il conflitto si sta propagando in Libano. Accade per interessi politici che calpestano i diritti umani, e per la fragilità del nostro paese, composito mosaico etnico-religioso. Si trova qui la componente determinante di movimenti fanatici islamici che soffiano sull’aspetto religioso, fomentando l’odio fra comunità”. P. Karam ribadisce che “la violenza non ha mai risolto nulla: la strada per la riconciliazione è il dialogo, il rispetto dell’altro, il tenere a mente il bene del paese”.
Sul conflitto in Siria, p. Karam dice: “L’invio di Osservatori Onu è un atto di responsabilità della comunità internazionale. Ma occorre che non siano strumentalizzati a livello politico da nessuna delle parti in lotta. Speriamo sia una missione all’insegna della verità, della credibilità e della trasparenza. Solo così può contribuire alla pace”.La situazione dei cristiani “resta molto preoccupante” afferma il sacerdote. “In Siria – ricorda – i fedeli hanno libertà di fede e di testimonianza pubblica non garantite in altri stati del Medio Oriente. Siamo preoccupati perchè i cristiani, in quanto minoranza, sono il bersaglio più facile. Confratelli sacerdoti siriani ci dicono che la situazione è drammatica: vi sono in campo forze che vogliono trasformare il conflitto in guerra di religione, e questo sarebbe una tragedia”.
http://www.news.va/it/news/asiasiria-gruppi-radicali-islamici-soffiano-sul-co

Dove Dio piange: Libano
Il 13 aprile 1975, degli uomini armati cercarono di uccidere il leader falangista cristiano maronita Pierre Gemayel. Come segno di rappresaglia, uomini armati falangisti attaccarono un pullman che trasportava dei palestinesi, uccidendone 27. Gli scontri che ne risultarono segnarono l'inizio della guerra civile del Libano, durata 15 anni e terminata solo con gli Accordi di Ta'if il 13 ottobre 1990.Anche se l'esatto costo umano della guerra non sarà mai noto, si stima che siano morte tra le 150.000 e le 200.000 persone, per la maggior parte civili. I feriti sono stati centinaia di migliaia, e ancor di più gli sfollati o i senzatetto. Gran parte di Beirut è stata distrutta, e la città è stata divisa in settori musulmani e settori cristiani, separati dalla cosiddetta Linea Verde.Da allora il Libano è rimasto ai margini e a volte al centro del conflitto mediorientale – una zona cuscinetto sul cui suolo sono stati giocati conflitti brutali tra poteri regionali come Israele e la Siria. Come ha affermato il Ministro per la Cooperazione Andrea Riccardi, tuttavia, “la forza e la resistenza del Libano è importante per i cristiani, che sono una garanzia di pluralismo”.Benedetto XVI visiterà il Libano dal 14 al 16 settembre 2012. La notizia è stata annunciata lo stesso giorno in cui il papa ha rivolto un appello per la pace in Medio Oriente e in Terra Santa. Il coordinatore della visita papale in Libano, p. Marwan Tabet, ha dichiarato che “questa parte del mondo sta attraversando un momento molto critico, davvero molto critico... ciò che sta accadendo in Siria, quello che sta accadendo in Israele – da entrambe le parti, il Libano non è felice”. Il viaggio del pontefice vuole essere un segno di fiducia e incoraggiamento per la popolazione sofferente del Libano e per tutti i cristiani del Medio Oriente.-Aid to the Church in Need Italiawww.acs-italia.glauco.it-Aid to the Church in Need Switzerlandwww.aiuto-chiesa-che-soffre.ch
http://www.h2onews.org/italiano/1-Eventi/224450881-dove-dio-piange-libano.html?cat=&maincat=#

domenica 20 maggio 2012

Ban ki-Moon ammette: La mano di al-Qaeda dietro il duplice attentato di Damasco

Damasco (AsiaNews/ Agenzie) - Vi è al-Qaeda dietro gli attentati che lo scorso 10 maggio hanno colpito Damasco facendo 55 morti e 372 feriti. Lo ha affermato Ban Ki-moon, segretario generale dell'Onu durante. "Alcuni giorni fa - ha sottolineato - è avvenuto un potente e pericoloso attacco terroristico a Damasco. Credo che debba esserci al-Qaeda dietro questi fatti. E questo è un serio problema". Ban ha anche espresso preoccupazione per i due attacchi in cui sono stati coinvolti nei giorni scorsi due convogli delle Nazioni Unite, che mostrano la volontà di fomentare la violenza nel Paese.
La conferma dell'attività degli estremisti di al-Qaeda in Siria, dà peso alle dichiarazioni fatte nei mesi scorsi dal presidente Bashar al- Assad sulla presenza di jihadisti fra le fila delle varie armate ribelli. A inizio maggio il leader siriano ha presentato all'Onu una lista di 26 cittadini stranieri sospettati di avere contatti con l'organizzazione terrorista islamica. Secondo il governo, almeno 20 sono entrati in Siria varcando il confine con la Turchia.
Dopo un anno di scontri, il bilancio della guerra fra regime siriano e Free Syrian Army è di 9mila vittime e decine di migliaia di sfollati, secondo dati Onu. Il governo Assad sostiene invece che i morti sono 3.838: 2.493 civili e 1.345 fra militari e forze di sicurezza.

Oggi, il gen. Robert Mood, responsabile del team di osservatori Onu, ha fatto notare che il peso della forza di pace scende di giorni in giorno. Ribelli ed esercito continuano a non rispettare il cessate il fuoco in vigore dallo scorso 12 aprile. Mood ha sottolineato che senza la volontà delle due parti, i 372 osservatori non possono fare nulla di concreto per migliorare la situazione, soprattutto se vi sono Paesi stranieri contrari al dialogo.
Nei giorni scorsi il Washington Post ha pubblicato un'analisi in cui accusa Qatar, Arabia Saudita e Stati Uniti di fornire ai ribelli armi molto sofisticate che nel tempo potrebbero portare a una sconfitta delle forze di Assad sul campo. A tutt'oggi gli Stati Uniti rifiutano le accuse, mentre i due Stati arabi, principali interlocutori del mondo musulmano sunnita, hanno ridimensionato il loro ruolo guida dell'opposizione armata siriana. In risposta alle accuse del Washington Post, al- Jazeera, nota emittente di proprietà dell'emiro del Qatar, ha pubblicato ieri un servizio dove accusa l'Iran di finanziare il continuo traffico di armi verso il regime di Assad attraverso il confine con il Libano. L'articolo cita un rapporto di alcuni funzionari Onu incaricati di verificare il rispetto delle sanzioni da parte della repubblica islamica.
http://www.asianews.it/notizie-it/Ban-ki-Moon:-La-mano-di-al-Qaeda-dietro-il-duplice-attentato-di-Damasco-24792.html

Altro articolo : In Siria la “terza forza” è la più pericolosa
I recenti sanguinosi attentati nelle principali città siriane indicano che una terza forza si sta insinuando in Siria, forse dall’Iraq, dal Libano o dalla Giordania; essa è probabilmente armata dagli Stati del Golfo – sostiene il giornalista palestinese Abdel Bari Atwan
Mentre l’opposizione siriana è attraversata da differenze profonde, che rischiano di minarne la tenuta e di distruggere l’idea che essa rappresenti la maggioranza del popolo siriano e che costituisca un’alternativa al regime o quanto meno un suo interlocutore, sul terreno inizia a comparire una terza forza, armata, che forse porterà a rimescolare le carte e ci farà riconsiderare molti postulati che hanno dominato la scena politica dallo scoppio della rivolta siriana.
continua su: http://www.medarabnews.com/2012/05/21/in-siria-la-%e2%80%9cterza-corrente%e2%80%9d-e-la-piu-pericolosa/

Altro articolo: KOSOVO: Ecco dove si addestrano i ribelli siriani
 I miliziani del Consiglio Nazionale Siriano, in arabo al-Majlis al-Watani al-Suri, che si oppongono al regime di Bashar al Assad verranno addestrati in Kosovo. Rivela l’Associated Press che il giorno 26 aprile, di ritorno dagli Stati Uniti, una delegazione del CNS ha fatto tappa a Pristina per prendere accordi in merito col governo kosovaro. Fulcro delle consultazioni è come impiegare in Siria le conoscenze apprese dall’Esercito di Liberazione del Kosovo, più noto come UCK, durante la guerra contro la Serbia negli anni dal ’96 al ’99. Afferma in proposito Ammar Abdulhamid, nato in Siria ma in esilio negli USA dal 2005, “attivista dei diritti umani” e capo delegazione “Siamo venuti qui per imparare. Il Kosovo ha già compiuto questo cammino e possiede un’esperienza che potrebbe esserci molto utile, soprattutto vorremmo sapere in che modo gruppi armati sparsi si sono infine organizzati nell’UCK. Abbiamo un bisogno vitale di azioni congiunte come coalizione di opposizione”.
..... http://eastjournal.net/2012/05/23/kosovo-ecco-dove-si-addestrano-i-ribelli-siriani/