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giovedì 19 dicembre 2013

“Ho sempre la Siria nel mio cuore”

Intervento del Cardinale Leonardo Sandri prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali nell'incontro "Cosa chiede la Siria?" presso il Centro Internazionale di Comunione e Liberazione


a cura Redazione "Il sismografo"

Martedì 17 dicembre 2013

 Cari amici, saluto e ringrazio il Signor Ministro della Difesa, Senatore Mario Mauro, che ritrovo volentieri pochi mesi dopo la tavola rotonda sul Medio Oriente organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio a Roma, come pure il presidente del Centro Internazionale, Dottor Fontolan, organizzatore e ospite di questa serata, insieme al Dottor Cusenza, direttore de Il Messaggero che funge da moderatore. Il nostro essere qui stasera dice il desiderio ed insieme la decisione di non lasciarci vincere da quella “globalizzazione dell’indifferenza” tanto denunciata da Papa Francesco in diverse occasioni. A lui anzitutto va il pensiero riconoscente e la preghiera, nel giorno del suo 77° genetliaco, per la cura paterna sempre mostrata verso la Siria e la sua cara e martoriata popolazione.

1. Fa da cornice a questa serata l’Avvento, durante il quale la preghiera liturgica della Chiesa, in uno dei suoi prefazi, afferma:  “Ora egli viene incontro a noi in ogni uomo e in ogni tempo, perché lo accogliamo nella fede e testimoniamo nell’amore la beata speranza del suo regno” . Per il credente, e anche per chi è sulla soglia della fede, la vicenda della Siria rappresenta quell’uomo e quel tempo particolare nei quali il Signore continua a venirci incontro, fa appello a noi, e chiede accoglienza e testimonianza nell’amore. 
Proprio come accadrà qui nella seconda parte della serata, con il reportage di Gianni Micalessin e le parole del Presidente della Fondazione AVSI, Dottor Alberto Piatti. Con la medesima preoccupazione del Santo Padre, come l’ho sentita espressa dal nuovo Vicario Apostolico di Aleppo, il frate George Abou Khazen, che ordinerò Vescovo all’inizio di gennaio a Beyrouth: al termine dell’Udienza generale di mercoledì scorso egli si è accostato a Papa Francesco, si è presentato, e subito, con una mano sul petto, Sua Santità gli ha replicato: “Ho sempre la Siria nel  mio cuore”

2. Dobbiamo anche noi ripartire dal cuore ferito, che non vuole e non può fare finta di niente: francamente, negli uffici della Congregazione per le Chiese Orientali, ci è dato di farne esperienza ogni giorno. Volti di seminaristi e suore che da lì provengono, sono a Roma per affrontare gli studi ma non possono non correre col pensiero alla loro patria e alla loro chiesa; Patriarchi e Vescovi che riferiscono della dura situazione personale e del gregge loro affidato, che pur stentando nel quotidiano e sognando spesso una fuga all’estero - per chi se lo può permettere -  non smettono di indicare il Signore come fonte di luce e di speranza. 

E ancora le lettere e le mail, l’ultima proprio ieri, dal Padre Custode di Terra Santa, fr. Pierbattista Pizzaballa
“devo purtroppo e ancora una volta portare alla vostra attenzione la sempre più difficile situazione dei nostri ultimi due villaggi cristiani rimasti nell’Oronte di Siria, dei nostri parrocchiani e dei nostri confratelli che li assistono. Il Nord della Siria è sempre più in mano di ribelli estremisti, mentre le forze cosiddette ‘moderate’ perdono forza. I ribelli che controllavano la ‘nostra’ zona, che fino ad oggi si ritenevano tolleranti, sono stati sostituiti da gruppi estremisti che non amano la presenza dei non musulmani nel loro ‘emirato’. Gli ultimi ordini ricevuti dai nostri frati, padre Hanna e padre Dhiya, sono i seguenti: 
a.Tutte le croci debbono sparire; b. è proibito suonare le campane; c. le donne non debbono uscire di casa senza coprire la faccia e i capelli.. d. tutte le statue debbono sparire.. In caso di inadempienza, si applicherà la legge islamica. In sostanza: chi non si adegua o se ne va o viene fatto fuori. Questi ordini si applicano a Knayem, Yacoubieh e Jdeideh, che attualmente è servito dai nostri confratelli. Per coloro che forse non conoscono la zona, quei villaggi sono esclusivamente cristiani. Invito ciascuno a pregare per tutte le comunità di Siria, in particolare per coloro che vivono sotto il controllo di questi estremisti… Preghiamo affinchè il cuore di queste persone si apra all’ascolto e soprattutto perché il nostro piccolo gregge di Siria continui a confidare nel Signore”.  

Di fronte a certi racconti, il senso di ingiustizia, misto ad impotenza, ci potrebbe condurre ad  alimentare l’ira e il rancore. Ma torna alla mente la citazione dell’Antigone di Sofocle che il Pontefice emerito, Benedetto XVI, pronunziò durante la sua visita al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau: “Non sono qui per odiare, ma per insieme amare”. Proprio quel discorso ci aiuta a stare dinanzi al nostro cuore ferito dal dramma della Siria e ad intuire percorsi personali e sociali di rinnovamento: “No – in definitiva, dobbiamo rimanere con l'umile ma insistente grido verso Dio: Svégliati! Non dimenticare la tua creatura, l'uomo! E il nostro grido verso Dio deve al contempo essere un grido che penetra il nostro stesso cuore, affinché si svegli in noi la nascosta presenza di Dio – affinché quel suo potere che Egli ha depositato nei nostri cuori non venga coperto e soffocato in noi dal fango dell'egoismo, della paura degli uomini, dell'indifferenza e dell'opportunismo. Emettiamo questo grido davanti a Dio, rivolgiamolo allo stesso nostro cuore, proprio in questa nostra ora presente, nella quale incombono nuove sventure, nella quale sembrano emergere nuovamente dai cuori degli uomini tutte le forze oscure: da una parte, l'abuso del nome di Dio per la giustificazione di una violenza cieca contro persone innocenti; dall'altra, il cinismo che non conosce Dio e che schernisce la fede in Lui. Noi gridiamo verso Dio, affinché spinga gli uomini a ravvedersi, così che  riconoscano che la violenza non crea la pace, ma solo suscita altra violenza – una spirale di distruzioni, in cui tutti in fin dei conti possono essere soltanto perdenti… Noi preghiamo Dio e gridiamo verso gli uomini, affinché la ragione dell'amore e del riconoscimento della forza della riconciliazione e della pace prevalga sulle minacce circostanti dell'irrazionalità o di una ragione falsa, staccata da Dio.” (Benedetto XVI, 28 maggio 2006).

Sono parole pronunciate sette anni fa, ma che offrono in filigrana la lettura degli interventi del Santo Padre Papa Francesco e della Santa Sede a vari livelli durante il conflitto siriano. Pensiamo al grido a Dio e all’uomo risuonato nella veglia del 7 settembre scorso, alle parole all’Angelus del giorno successivo: 
in questo momento in cui stiamo fortemente pregando per la pace, questa Parola del Signore ci tocca sul vivo, e in sostanza ci dice: c’è una guerra più profonda che dobbiamo combattere, tutti! È la decisione forte e coraggiosa di rinunciare al male e alle sue seduzioni e di scegliere il bene, pronti a pagare di persona: ecco il seguire Cristo, ecco il prendere la propria croce! Questa guerra profonda contro il male! A che serve fare guerre, tante guerre, se tu non sei capace di fare questa guerra profonda contro il male? Non serve a niente! Non va… 
Questo comporta, tra l’altro, questa guerra contro il male comporta dire no all’odio fratricida e alle menzogne di cui si serve; dire no alla violenza in tutte le sue forme; dire no alla proliferazione delle armi e al loro commercio illegale. Ce n’è tanto! Ce n’è tanto! E sempre rimane il dubbio: questa guerra di là, quest’altra di là - perché dappertutto ci sono guerre - è davvero una guerra per problemi o è una guerra commerciale per vendere queste armi nel commercio illegale? Questi sono i nemici da combattere, uniti e con coerenza, non seguendo altri interessi se non quelli della pace e del bene comune” (Papa Francesco, Angelus 8 settembre 2013). 

O, in ultimo, le indicazioni offerte dal Segretario per i Rapporti con gli Stati, Sua Eccellenza Mons. Mamberti, nell’incontro del 5 settembre con gli Ambasciatori presso la Santa Sede, con alcuni elementi molto puntuali, quali 
“a. l’indispensabilità di adoperarsi per il ripristino del dialogo fra le parti e la riconciliazione del popolo siriano;  b. preservare l’unità del Paese;  c. garantire accanto all’unità del Paese la sua integrità territoriale”.

3. Nel contesto del Centro Internazionale di Comunione e Liberazione, e pensando al fondatore don Luigi Giussani, non voglio tacere su una dimensione fondamentale che è in campo oggi in Siria e in Medio Oriente ma che riguarda anche noi, quella educativa. Essa è in questione a molteplici livelli. Da un lato, la proclamata lotta al terrorismo, con alleanze che forse hanno tenuto conto solamente delle convenienze economiche, senza valutare se in taluni paesi abbia un peso consistente il pensiero e la visione fondamentalista. 
Similmente c’è da interrogarsi sull’ 'emergenza uomo' – facendo eco al titolo dell’ultima edizione del Meeting di Rimini: proprio il difetto nella visione antropologica e sul mondo conduce inesorabilmente sul piano inclinato che arriva alla distruzione della persona nella sua dignità. Ne è espressione diabolica l’utilizzo delle armi chimiche: ora si afferma che siano state usate in Siria,  stando al rapporto ONU reso pubblico nei giorni scorsi. Ma questa deriva nell’uso di armamenti letali  non è stata resa possibile anche da una ricerca scientifica e tecnica che non vuole alcun limite ed è piuttosto portata a celebrare se stessa, soprattutto nel nostro Occidente?  
Dobbiamo ugualmente affermare che se l’uomo è certo capace di pensare e compiere il male, tuttavia è anche capace di reagire, per un sussulto di coscienza, quasi rientrando in se stesso e compiendo responsabilmente gesti che limitano le azioni negative poste in essere o che potrebbero svilupparsi in futuro,  e cercano di porvi rimedio.  A Damasco, in ogni caso, , la Siria anche con l’aiuto di diversi paesi ha distrutto l’intero arsenale chimico, proposta accettata dal governo e realizzata in pochissimo tempo, che ha posto fine ad uno dei pericoli per la stabilità della regione.

La missione dell’essere umano, portata avanti con responsabilità piena, richiama anche al ruolo e alla presenza stessa dei cristiani, chiamati ad essere sale e lievito nelle società. Va decisamente riaffermato che essi sono in Medio Oriente da duemila anni, e hanno condiviso secoli di convivenza con i fedeli di altre religioni: esemplari le parole del Santo Padre pronunciate nell’Udienza alla Plenaria della nostra Congregazione: 
Non ci rassegniamo a pensare un Medio Oriente senza i cristiani” (21 novembre 2013). 
E’ una affermazione che non può essere dimenticata e va onorata con l’impegno quotidiano di ciascuno: qui voglio ringraziare pubblicamente il Senatore Mauro per l’attività svolta a tutela della libertà religiosa quando era parlamentare europeo. Anche questo è un modo per proclamare almeno nei fatti la fedeltà alle origini cristiane del continente. 

A questa dimensione che chiede tutela per l’identità cristiana in Medio Oriente, va affiancata però quella di un attivo coinvolgimento dei fedeli nella regione, per i quali è necessaria e urgente un’adeguata formazione secondo i principi della Dottrina sociale della Chiesa, come ripetuto da molte voci durante il Sinodo per il Medio Oriente del 2010. Proprio loro potrebbero essere protagonisti nel pensare con amore alla propria patria, secondo un modello di democrazia rispettoso delle tradizioni e delle culture locali e che pertanto non potrà essere semplicemente clonato dall’Occidente. E’ proprio in questo senso che il concetto di “Dhimmitudine” - intendendo cioè uno status giuridico per alcune categorie di non musulmani che vivono in uno stato governato dal diritto islamico -  debba evolvere anzitutto fra i cristiani, che non possono accontentarsi di uno statuto protetto da qualsiasi regime o potere, bensì essere coscienti e capaci, come cittadini a pieno titolo della propria nazione, di edificare il bene comune nelle libertà religiosa e nella libertà di espressione.

4. La Siria, in ultimo, ci interroga anche sul cammino ecumenico: stiamo attraversando un singolare momento in cui l’unità desiderata tra i credenti in Cristo non si può realizzare ancora presso la mensa eucaristica, ma viene vissuta ogni giorno bevendo al calice amaro della passione. Abbiamo in mente tanti volti, tante storie: quelli dei Vescovi Boulos Yazighi e Youanna Ibrahim, greco e siro ortodossi, di padre Paolo Dall’Oglio, del sacerdote armeno-cattolico Michel Kayylal, che ha studiato pochi anni fa presso il Pontificio Collegio Orientale qui a Roma, delle suore greco-ortodosse di Maaloula e di molti altri. 
Papa Francesco nell’intervista concessa al giornalista Andrea Tornielli ha parlato di “ecumenismo del sangue”, concetto già accennato peraltro nell’incontro con il Papa Copto di Alessandria, Tawadros II nello scorso mese di maggio. Le parole su questo tema di Domenico Quirico, egli pure presente col ministro Mauro all’incontro della Comunità di Sant’Egidio, apparse ieri su “La Stampa”, non possono non commuoverci: “Per coloro che uccidono siamo cristiani....  Le parole di papa Francesco mi hanno ricordato quelle di uno dei miei carcerieri, in Siria, quest’anno. Quando mi raccontò come aveva ucciso la famiglia dei suoi padroni, padre, madre e la figlia adolescente che scriveva diari, che ho visto, fitti di cuori rossi come il sangue e di vertigini, di slanci innocenti che gettano la vita al di là di noi stessi; e che li aveva sepolti nel loro frutteto, cose gettate via. Mi disse così: «Li ho ammazzati, erano cristiani… »: non maroniti, cattolici, melchiti, caldei, ortodossi, appunto soltanto cristiani. Che bisogno c’era di specificare, nel loro esser cristiani era la condanna inappellabile e senza vie d’uscita; perfino la sua giustificazione a uccidere”. 

Oltre alla preghiera per tutti i rapiti, e al rinnovato appello alla comunità internazionale perché si adoperi per la loro liberazione, a noi torna la domanda sulla nostra capacità di essere testimoni nel quotidiano, in condizioni esterne certo migliori. Suonano come invito alla riflessione e sprone al cambiamento alcune espressioni dell’Esortazione Apostolica Evangelii gaudium:ci sono cristiani che sembrano avere uno stile di Quaresima senza Pasqua.. capisco le persone che inclinano alla tristezza per le gravi difficoltà che devono patire, però poco alla volta bisogna permettere che la gioia della fede cominci  a destarsi, come una segreta ma ferma fiducia, anche in mezzo alle peggiori angustie” (EG 6). 

Proprio nel cuore del dolore della Siria vogliamo ora compiere un interiore pellegrinaggio, a Maaloula, alla grotta ove Santa Tecla trovò rifugio, e alle colline che si accendono di fuochi il 14 settembre per rievocare l’annuncio del ritrovamento della Croce trasmesso da Gerusalemme a Costantinopoli. Vi andiamo con la certezza che “la luce splende nelle tenebre, e le tenebre non l’hanno vinta” (Gv 1), ma anche con la consapevolezza che le nostre lampade, più che quelle dei nostri fratelli laggiù, sono rimaste povere dell’olio della fede, o forse l’hanno annacquato con tante scelte di “mondanità spirituale”, come ripete spesso Papa Francesco. 
La testimonianza della carità, esemplarmente e quotidianamente vissuta, come ho potuto vedere nello scorso mese di giugno durante le visite ai profughi siriani assistiti da Caritas Libano, Caritas Jordan e Avsi, possa dilatare il nostro cuore, e aiutarci a riaccendere il fuoco di un annuncio di cui il cuore dell’uomo d’oggi ha ancora sete.

Dopo aver ricevuto un filmato  da alcuni  ragazzi siriani, gli alunni della scuola primaria "Pietro Scola" di Lecco  rispondono con un video-messaggio carico di affetto, che ha accompagnato una somma in denaro ( raccolta ritrovandosi a gruppi nelle case per preparare le belle mele di San Nicolò) 
  devoluta al Centro Salesiano di Damasco.





I RAGAZZI DI DAMASCO HANNO APERTO UNA PAGINA FACEBOOK : aspettano i vostri inserimenti! :

Deport the war from our schools. أبعدوا الحرب عن مدارسنا

domenica 13 ottobre 2013

Una rivoluzione tradita?

Una nuova lettura degli avvenimenti siriani appare sui nostri mass media

foto Alessio Romenzi







     di Mario Villani 


Facciamo un passo indietro ed andiamo a rivedere quello che riportavano giornali e televisioni sui fatti che coinvolgevano la Siria. Ve lo ricordate? Per molti mesi l'immagine offerta fu quella di un popolo che scendeva pacificamente in piazza per reclamare la libertà e che veniva massacrato da un esercito e da una polizia al servizio di quello che era definito aprioristicamente come il “feroce dittatore”. Praticamente a nulla serviva il far notare che la maggior parte delle vittime dei primi scontri apparteneva alle forze dell'ordine e che, pertanto, proprio pacifiche quelle manifestazioni non dovevano essere. Sordi ad ogni argomento contrario i mass media avevano un titolo standard : “Le milizie di Assad bombardano pacifici manifestanti”. Con il passare del tempo e con il moltiplicarsi di filmati e testimonianze diffuse su internet divenne però sempre più difficile nascondere il fatto che anche i “manifestanti” sparavano e quindi ecco la nuova chiave di lettura delle vicende siriane fornita dai mass media: schiacciato dalla feroce repressione del regime il popolo siriano ha preso le armi per far trionfare la democrazia e ritrovare la libertà, aiutato in questa lotta dalle migliaia di disertori che avevano abbandonato l'esercito siriano per non essere costretti a sparare sul popolo. Chiunque osava mettere in dubbio questo dogma - magari ponendo qualche dubbio sulla reale ansia di democrazia di tutti i rivoltosi e sul reale numero dei disertori- era immediatamente bollato come amico, probabilmente prezzolato, del dittatore di Damasco. Il fatto che, solo per fare un esempio, tutte le autorità ecclesiastiche in Siria e nel vicino Libano contestassero pesantemente questa visione brutalmente manichea degli avvenimenti era considerato privo di rilevanza persino dai media cattolici che preferivano attenersi alla versione di una sola persona, un gesuita italiano (a cui peraltro oggi vanno i nostri sinceri auguri e le nostre preghiere per un ritorno in patria sano e salvo), che si era eretto a paladino dei ribelli, arrivando ad accusare di “collaborazionismo” con il regime le Gerarchie delle chiese cristiane del paese. Tutti, concordemente, prevedevano che il regime, “indebolito dalle continue diserzioni e travolto dalla crescente ostilità popolare” sarebbe caduto in pochissimo tempo. Addirittura il nostro Ministro degli Esteri di allora, Terzi di Sant'agata, dichiarò che si trattava di una questione di giorni.


Sono passati i mesi e gli anni ed il regime non è caduto, confermando che avevano ragione coloro i quali sostenevano che la rivolta aveva l'appoggio solo di una parte, oltretutto minoritaria, della popolazione siriana e che le diserzioni dall'esercito non erano state decine di migliaia, ma solo poche centinaia. Con il passare del tempo inoltre è apparso in maniera sempre meno occultabile il carattere islamista della rivolta. Dichiarazioni truculente di leaders dei movimenti armati, rapimenti e uccisioni di cristiani (compresi sacerdoti e vescovi) e appartenenti ad altre minoranze religiose, distruzioni di luoghi di culto e l'attacco a Maalula, applicazione di una feroce “legge islamica” nelle zone controllate, autobombe contro i civili, massacri e torture di prigionieri, sanguinosi regolamenti di conti tra bande di ribelli rivali, sono divenuti talmente frequenti da non poter più essere tenute nascoste all'opinione pubblica. L'orrenda immagine di un “ribelle” (ma ha il diritto di essere così definito uno psicopatico criminale?) che strappa il cuore di un soldato ferito e lo divora o di quell'altro che pone la testa mozzata di un militare a cuocere su un barbecue hanno fatto il giro di internet riuscendo a meritare ad una parte almeno dei “rivoltosi” l'etichetta che il Presidente russo Putin ha loro cucito addosso: cannibali.
 
Impossibile quindi continuare a sostenere la tesi di una opposizione al regime siriano laica e democratica, “costretta” dalla violenza del regime a impugnare le armi, ma desiderosa di risparmiare ogni sofferenza alla popolazione civile. 
Ecco quindi l'ultima versione, lanciata per primo dal giornalista della Stampa Quirico dopo alcuni mesi trascorsi come “ospite” involontario delle bande armate, versione che ormai sta facendosi strada su gran parte dei mezzi di comunicazione: la rivoluzione siriana degli inizi era buona, democratica e moderata, ma l'Occidente non l'ha appoggiata come avrebbe invece dovuto fare e così i leaders ribelli sono stati costretti a chiedere l'aiuto dei gruppi islamisti più radicali e dei paesi loro alleati, finendo però per diventare, di fatto, loro ostaggi. I gruppi islamici radicali avrebbero in pratica “scippato” la rivoluzione dalle mani dei democratici. E' una versione che, in apparenza, potrebbe mettere d'accordo tutti. Coloro che, in qualche modo ritengono la Siria di Assad preferibile a quella dei ribelli possono sottolineare il carattere attualmente estremista della rivolta, quelli che la pensano in modo opposto rimarcare invece la moderazione e la democraticità della rivoluzione ai suoi esordi chiedendo all'Occidente di operare per aiutare i rivoltosi a recuperarne lo spirito originario. Una bella versione accettabile da tutti quindi. Purtroppo ha un difetto: è falsa o, quantomeno, radicalmente incompleta . Mi spiace doverlo dire, ma sono un convinto assertore del detto secondo cui “la verità è l'unica carità concessa alla Storia”. E la verità è che, fin dagli inizi, la presenza islamista era assolutamente predominante tra i rivoltosi. Lo dico anche per un senso di giustizia verso gli estremisti islamici (salafiti e jihaidisti) colpiti da un'accusa di cui non sono colpevoli: quella di aver rubato ad altri la rivoluzione siriana. Ricordo perfettamente quello che mi risposero sacerdoti, civili e militari alla domanda che posi loro nel novembre 2011 (quindi a pochi mesi dall'inizio della guerra): da che ambienti arrivano i manifestanti che ricorrono alla violenza? La risposta fu unanime (1): in maggioranza dalle moschee dove predicavano imam wahabiti. E fin dai primi giorni del conflitto fu evidente e tutti coloro che la volevano vedere una circostanza devastante: l'arrivo da tutto il mondo islamico di un enorme numero di volontari armati che, attraverso il Libano e la Turchia, accorrevano, rispondendo all'appello di imam estremisti, a dare manforte ai loro confratelli in Siria. E' doveroso ammetterlo: agli inizi della rivolta vi fu effettivamente chi prese le armi spinto solo dalla volontà di cambiare un regime che giudicava (non senza qualche ragione) tirannico e da cui aveva in passato subito torti e ingiustizie, vi furono (e forse ancora ci sono) dei ribelli che combatterono per ottenere una maggiore libertà per il Paese. E' altrettanto doveroso ammettere però che, all'interno della Siria, tutti costoro non hanno mai avuto (e men che meno hanno oggi) un ruolo predominante nella guida della rivoluzione.


Speriamo che prima o poi qualcuno (parlo ovviamente di chi prende decisioni vere in campo internazionale e non certo di noi poveri bischeri che non contiamo nulla) si renda conto che, per affrontare il problema siriano ci vuole una grande capacità di discernimento e di comprensione delle sfumature. Pertanto deformare la realtà ed alimentare una visione manichea della situazione non serve assolutamente a risolvere il problema. Sempre ammesso, ovviamente, che qualcuno lo voglia veramente risolvere.


Mario Villani

1) Non invece i pochi politici che incontrai. Il Governatore di Homs, per fare un esempio, parlò solo di delinquenti comuni. Il timore era che indicando negli ambienti islamisti i principali oppositori armati si alimentasse un clima da guerra religiosa...Con il senno di poi una posizione suicida.

martedì 10 settembre 2013

Maalula, i giornalisti e gli islamisti

Notizie contraddittorie sulla situazione di Maalula, mentre la liberazione di Quirico e del belga Piccinin infliggono un duro colpo all'immagine dei guerriglieri. La proposta russa.

11/09 : l'armata siriana libera il monastero di Mar Tekla






"Welcome to Maalula", il cartello di benvenuto ancora resiste sulle macerie all'ingresso del villaggio cristiano


Maalula è ancora controllata da bande armate islamiste e sappiamo ben poco di quello che sta avvenendo al suo interno. Purtroppo la notizia di una sua liberazione da parte dell'esercito regolare -che avevamo riportato nel precedente articolo- è poi risultata infondata. Inoltre intorno alla cittadina simbolo della Cristianità orientale si è scatenata una ridda di false informazioni che rendono quasi impossibile conoscere la situazione. Anche le testimonianze che giungono dal suo interno devono essere prese con molta circospezione perchè è possibile che vi siano persone – ed anche religiosi- che sono, di fatto ostaggio dei guerriglieri islamici e che quindi inviano messaggi sotto costrizione. 


Damasco: sconforto dei cristiani al funerale dei martiri di Maloula


Le operazioni dell'esercito regolare sono rese difficili dalla impossibilità di utilizzare massicciamente le armi pesanti per non causare danni irreparabili agli edifici storici ed esporsi così (come probabilmente gli islamisti vorrebbero) alla pesante critica dei media internazionali. In queste condizioni liberare la cittadina non sarà facile anche considerando che presumibilmente l'esercito siriano riterrà oggi prioritario concentrare le sue forze nella preparazione della difesa da un eventuale attacco aereo e missilistico da parte di americani e francesi.
 Non resta che pregare e sperare continuando a ripetere, in ogni occasione possibile, una parola d'ordine: “Giù le mani da Maalula!”.


Maaloula resident talks to BBC



Sulla situazione siriana però vi sono due fatti nuovi che meritano di essere riportati. Dopo mesi di prigionia nelle mani dei ribelli è stato liberato Domenico Quirico e con lui un ostaggio belga Pierre Piccinin. Le dichiarazioni rilasciate dai due concordano nel definire durissime le condizioni della detenzione. Quirico ha apertamente dichiarato di essere stato tradito dalla “rivoluzione” che lui aveva appoggiato e sostenuto. “E' diventata qualcosa di altro” ha dichiarato, intendendo dire che il movimento rivoluzionario avrebbe perso il suo carattere iniziale laico e democratico per divenire islamista. 
Mi spiace doverlo contraddire sul punto. Non esiste una rivoluzione siriana dei primi tempi ed una attuale. Esiste una rivoluzione siriana vista da lontano ed una vista da vicino. La rivolta siriana è sempre stata, fin dall'inizio, egemonizzata dagli islamisti e solo chi, a tutti i costi, voleva vedervi un movimento sinceramente democratico si è lasciato ingannare. Il che è successo ad un buon numero di osservatori occidentali ed a qualche militante anti-Assad che sperava di poter utilizzare gli islamisti per abbattere il regime per poi metterli da parte successivamente. 
Piccinin con le sue dichiarazione è andato anche oltre, affermando di aver sentito i suoi rapitori parlare dell'attacco con il gas nervino ed affermare che si trattava di un'operazione orchestrata dalla stessa opposizione. In altre parole avrebbe scagionato Assad. Quirico questa mattina in alcune interviste ha confermato le inumane condizioni della sua detenzione. Ha confermato anche la conversazione riferita da Piccinin sull'uso delle armi chimiche da parte dei ribelli. Solo ha dichiarato di non sapere quanto autorevoli e informati potessero essere le persone che parlavano, uno dei quali, comunque, si autodefiniva "generale" dei ribelli. 

Il secondo fatto nuovo è rappresentato dalla proposta russa di mettere sotto controllo internazionale le armi chimiche di Damasco, proposta che la Siria ha già accettato. Ora nelle mani di Obama e Kerry vi è veramente una patata bollente. Come giustificare, di fronte ad una opinione pubblica interna ed internazionale sempre più ostile ad un attacco, la decisione di voler bombardare la Siria per impedire l'utilizzo di armi che il Governo di Damasco sarebbe comunque disposto a consegnare pacificamente? Fino ad oggi, nel contesto di questa gravissima crisi, la Russia si è mossa con intelligenza e determinazione e con questa proposta forse è riuscita a spegnere la miccia che era ormai arrivata vicinissima alle polveri. 
Tornano alla mente le parole della Santa Vergine ai pastorelli di Fatima: “La Russia si convertirà ed il Mondo avrà un periodo di pace...” ed è impossibile non rilevare come questo spiraglio di soluzione pacifica (il primo dopo un lungo periodo di crescente tensione) si manifesti il giorno immediatamente successivo alla giornata di preghiera promossa da Papa Francesco. Maria Regina della Pace, prega per noi...

Mario Villani


I funerali delle vittime della battaglia di Maaloula. 

Il racconto di Gian Micalessin

In Siria a Damasco si sono svolti i funerali delle vittime della battaglia di Maaloula, la cittadina cristiana attaccata nei giorni scorsi dai ribelli di al Qaeda. Il racconto Gian Micalessin di questa giornata di dolore.

http://www.rainews24.it/it/video.php?id=35903 



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