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martedì 10 settembre 2019

Palmira: questa antica città ha subito un colpo fatale o risorgerà?


I barbari dello Stato Islamico hanno quasi distrutto questo sito dichiarato Patrimonio dell'Umanità. Le sue meraviglie possono essere salvate, quindi perché c'è così poca volontà internazionale di farlo?
traduzione di Gb.P. per OraproSiria
"Il tuo cuore si spezzerà quando vedrai Palmira", dice Tarek al-Asaad, guardando pensieroso fuori dalla finestra mentre attraversiamo l'ampia steppa siriana sulla strada verso l'antica città. Per Tarek, Palmira rappresenta un profondo serbatoio di dolore che include l'esecuzione pubblica di suo padre Khaled, un famoso archeologo e storico. Khaled è stato determinante nel riconoscimento di Palmira come Patrimonio Mondiale dell'Umanità da parte dell'UNESCO nel 1980. Il mondo è rimasto a guardare, inorridito, mentre i fanatici dello Stato Islamico, noto anche come IS, prendevano a mazzate e facevano saltare con esplosivi i suoi maestosi monumenti, 35 anni dopo.
Ci fermiamo in un negozio lungo la strada, dove un ragazzino con gli occhi già vecchi sta raccogliendo lattine di alluminio da vendere come rottame. All'interno, i soldati dell'esercito siriano bevono vodka e birra. È maggio ed è il mese di digiuno musulmano del Ramadan, quando Tarek non mangia e non beve nulla dall'alba al tramonto, ma i giovani coscritti sono in congedo e in vena di festeggiare. Tarek acquista vettovaglie per la sua prima notte a Palmira da quando è fuggito dalla città nel 2015 verso la relativa sicurezza di Damasco, la capitale della Siria.
Il Tempio di Baal di Palmira
nel marzo 2014,
e la stessa visione due anni dopo.

Il padre di Tarek, Khaled al-Asaad, aveva 83 anni quando fu decapitato dall'IS. Aveva dedicato più di 50 anni a scoprire, restaurare e pubblicizzare i resti di questo storico crocevia della Via della Seta che raggiunse l'apice nel terzo secolo. Tarek, uno dei suoi 11 figli, è cresciuto nella moderna città di Tadmur vicina al sito. "Ogni giorno mi precipitavo fuori da scuola per andare a cavallo nelle carriole e nei secchi che trasportavano la terra degli scavi", ricorda. Khaled si ritirò come capo delle antichità di Palmira nel 2003, ma rimase un esperto molto richiesto. Fluente nell'antico Palmirene, dialetto dell'Aramaico, traduceva iscrizioni, scriveva libri e assisteva le missioni archeologiche straniere. Nel frattempo, Tarek, che ora ha 38 anni, un uomo muscoloso e un faccione pronto al sorriso, gestiva un'attività turistica di successo.
Stiamo viaggiando verso Palmira dalla città occidentale di Homs, attraverso pascoli ondulati cosparsi di papaveri cremisi. Pastori beduini, austeri e vigili, pascolano greggi di capre dal pelo lungo e pecore dalla coda grassa. I soldati fanno controlli sui camion di passaggio attraverso installazioni di blocchi di cemento circondati da appezzamenti verdi di grano e orzo. I checkpoint militari lungo la strada montano stravaganti cartelloni patriottici: la bandiera nazionale a doppia stella è dipinta sulle barriere di cemento, sui barili di petrolio e sui muri delle caserme mentre gli striscioni raffigurano il presidente siriano Bashar al-Assad che appare risoluto dietro gli occhiali da sole da aviatore o saluta la folla. Le sentinelle che controllano i documenti di identità sono rilassate e contente di scherzare. "Spero che il tuo digiuno proceda bene" chiede l'autista. "Non stiamo digiunando, siamo kuffar [non credenti]", scherza una guardia, alludendo all'insulto jihadista lanciato agli avversari.
Più avanti, il pascolo lascia posto a un terreno pietroso tempestato di ciuffi verde pallido. I resti della guerra sono più evidenti qui; camion e carri armati bruciati, tralicci elettrici abbattuti e sbarramenti fortificati di terra battuta contornati da filo spinato. Vicino a una base aerea militare circondata da stazioni radar, il checkpoint è pesantemente sorvegliato e professionale. Un mezzo di trasporto di carri armati russo che si sta dirigendo verso di noi ci ricorda che l'IS combatte ancora nel deserto oltre Palmira, dove si dice che diverse truppe siriane siano state ammazzate in questo mese. Mentre IS ha perso la sua ultima roccaforte siriana di Baghouz a marzo, sue piccole bande continuano a sferrare attacchi di guerriglia.
Questa è la mia prima visita a Palmira dopo un viaggio come turista nel 2009, attratto dalla mistica della sua spettacolare architettura presso un'oasi nel deserto. Due anni dopo, la Siria fu distrutta dalla guerra. Mentre ci avviciniamo a Palmira attraverso un varco in una bassa catena montuosa, mi gira in testa una domanda: l'antico e ipnotizzante sito ha subìto un colpo fatale o potrà risorgere?
Il Gran Colonnato di Palmira emerge improvvisamente da una pianura sabbiosa. È la spina dorsale ancora magnifica della città, un viale lungo un chilometro di imponenti colonne di calcare che lentamente passano dall'oro pallido all'arancio bruciato nel sole al tramonto. Parcheggiamo vicino alle rovine e partiamo a piedi per dare un'occhiata più da vicino. All'estremità orientale del Gran Colonnato, il grande tempio del dio mesopotamico Baal giace in rovina (sebbene il suo portico sia in qualche modo sopravvissuto agli esplosivi di Daech) e l'arco trionfale riccamente scolpito è un mucchio di blocchi enormi. Gli invasori hanno fatto esplodere anche il tetrapylon che segnava il crocevia della città e il tempio Baalshamin, una combinazione riccamente decorata di stili di costruzione romani e locali. La facciata finemente cesellata del teatro è un cumulo di macerie insieme a diverse torri di sepoltura a più piani che si trovavano su una nuda collina.
All'incrocio del commercio internazionale, la cosmopolita Palmira aveva sviluppato una cultura non ortodossa e pluralista che si riflette nella sua arte e architettura sopravvissute. Ciò, insieme alla sua posizione tra la costa mediterranea e il fiume Eufrate, l'ha resa un allettante bersaglio simbolico e strategico per i fondamentalisti moderni. I musulmani vissero a Palmira per 13 secoli, stabilendo moschee in strutture che precedentemente funzionavano come chiese bizantine e templi pagani, ma i bigotti dell'IS furono scandalizzati da quasi tutto ciò che trovarono. Ogni atto di vandalismo è stato filmato per l'uso della propaganda IS: il suo valore scioccante mirava ad attrarre reclute estremiste e intimidire gli avversari.
An Islamic State-released photo showing the destruction of Palmyra’s 1900-year-old Baalshamin temple.
Una foto pubblicata dallo Stato Islamico
che mostra la distruzione del tempio
Baalshamin di Palmira antico di 1900 anni.
IS ha occupato Palmira due volte: tra maggio 2015 e marzo 2016, e tra dicembre 2016 e marzo 2017. Durante la prima occupazione, Tarek è fuggito, ma Khaled ha rifiutato di andarsene. “Ho telefonato a mio padre e l'ho supplicato "Per favore vattene; Palmira è stata presa da persone malvagie e tu non sei al sicuro", dice Tarek. "Lui mi ha risposto: 'Sono contento che tu sia andato via, ma questa è casa mia e io non me ne vado.'”. Dopo sei settimane di arresti domiciliari, Khaled fu imprigionato in un seminterrato dell'hotel e torturato perché rivelasse la posizione di tesori nascosti che Tarek dice non essere mai esistiti. Dopo un mese nel seminterrato, il vecchio fu decapitato con una spada di fronte a una folla riunita. "Si è rifiutato di inginocchiarsi per la decapitazione, quindi lo hanno brutalmente costretto a piegare le ginocchia", dice Tarek. Una fotografia online mostrava il suo cadavere legato a un palo del traffico e la testa con gli occhiali indossati, posizionata beffardamente ai suoi piedi. Un cartello legato al suo corpo lo identificava come un apostata che serviva come "direttore dell'idolatria" a Palmira e rappresentava il governo di Assad nelle conferenze "infedeli" all'estero.
Prima dello scoppio della guerra nel 2011, il turismo e l'agricoltura hanno dato lavoro a oltre 50.000 persone a Tadmur. Ne sono tornate solo poche centinaia, rintanandosi in edifici semi-distrutti lungo le strade sulle quali erbacce giganti proliferano dai crateri delle bombe. Tarek non è tra i rimpatriati; vive con sua madre Hayat a Damasco, dove gestisce un caffè. I genieri russi hanno bonificato Tadmur dalle mine e dalle trappole esplosive e l'energia elettrica e l'acqua sono tornate. Il commercio ha fatto una ripresa provvisoria, con una panetteria, una farmacia con un buco in un muro e un semplice ristorante. Il suo proprietario, Ibrahim Salim, 45 anni, griglia il pollo sul marciapiede sotto uno stendardo raffigurante il presidente Assad e il suo alleato russo Vladimir Putin. Salim dice di essere fuggito da Palmira dopo che l'IS ha ucciso sua moglie Taghreed, un'infermiera di 36 anni, per il crimine di aver curato un soldato del governo ferito. "La sicurezza è buona, così posso dormire sonni tranquilli a Tadmur ora", dice. "Speriamo che le scuole riaprano al più presto, quindi più famiglie potranno tornare".
L'UNESCO ha esaltato l'arte palmirena, in particolare la sua espressiva scultura funeraria, come una miscela unica di influenze indigene, greco-romane, persiane e persino indiane. Mentre l'IS combatteva con le truppe siriane per il controllo di Tadmur nel 2015, Tarek si è precipitato a salvare gli esempi più apprezzati nel museo a due piani di Palmira. Con lui c'erano i suoi fratelli archeologi, Mohammed e Walid, e il loro cognato, Khalil Hariri, che era succeduto a Khaled al-Asaad come direttore del museo. Imballarono sculture, ceramiche e gioielli in casse di legno e le caricarono su camion mentre i mortai esplodevano intorno a loro. Una scheggia colpì Tarek nella schiena e Khalil prese una pallottola nel braccio. Sono scappati con centinaia di pezzi, ma ne hanno lasciati molti altri. L'UNESCO ha elogiato l'evacuazione durante la guerra in Siria di oltre 300mila reperti, provenienti dai 34 musei del Paese come “un'impresa straordinaria”.
C'incamminiamo verso il museo di Palmira. L'ex posto di lavoro di Khaled è un guscio desolato, con le pareti segnate da proiettili, le finestre in frantumi e il tetto dell'atrio forato da un missile. Le gallerie che hanno messo in mostra le realizzazioni di millenni sono spoglie se non per alcune statue e bassorilievi. Mancano teste, volti e mani; profanati dai miliziani dell'IS infuriati da oggetti "idolatrici", dice Tarek, aggiungendo: "Hanno persino tirato fuori le mummie imbalsamate dai loro cofani e le hanno investite con un bulldozer."
Tarek al-Asaad con il ritratto del defunto padre, Khaled, dell'artista di Sydney Luke Cornish.
Tarek al-Asaad con il ritratto del padre Khaled,
dell'artista di Sydney Luke Cornish
Trovo solo un pannello intatto: un ritratto di Khaled dell'artista Luke Cornish di Sydney , un'opera che io e Cornish pensavamo fosse andata perduta. Dipinto su una porta d'acciaio, il ritratto è appoggiato a un muro e coperto da un foglio protettivo di plastica trasparente. Tarek non sa come sia sopravvissuto o chi lo abbia rimesso nel museo. "Qualcuno deve averlo nascosto da IS, perché lo avrebbero distrutto di sicuro", dice.
Non meno di 15 dipendenti della rete museale siriana hanno subito morti violente negli otto anni di guerra, ma solo l'omicidio di Khaled ha fatto notizia. La notizia ha spinto Cornish a rendergli un tributo straordinario. Cornish crea arte spruzzando vernice aerosol su strati di stencil. Due volte finalista del Premio Archibald, il suo lavoro pluripremiato raggiunge un realismo quasi fotografico e veicola forti temi umanitari. 
Nel giugno 2016, è andato in Siria per filmare un gruppo di pugili australiani in una "missione di crescita della speranza" guidata da un sacerdote anglicano di Sydney, "il padre combattente" Dave Smith, noto per il suo uso del pugilato per aiutare i giovani a rischio. Tra attacchi e allenamenti, Cornish ha tenuto improvvisate dimostrazioni di arte stencil per bambini in luoghi devastati dalla guerra come Aleppo, una volta la più grande città della Siria. "I bambini erano affascinati dall'immediatezza del mezzo", mi ha detto a Sydney. “La maggior parte erano molto poveri e non avevano mai conosciuto altro che la guerra, quindi è stato bello vederli divertirsi a mettere cose come Dora the Explorer (personaggio dei cartoni animati) su un muro del cortile della scuola o lungo una strada bombardata. Anche con i soldati in giro e tra le bombe, abbiamo sempre attirato una folla curiosa". Prima di partire per la Siria, Cornish ha preparato uno stencil nella speranza di dipingere il ritratto di Khaled da qualche parte nel paese. Ne ha avuto la possibilità quando i pugili sono andati a Palmira. Sono arrivati più di due mesi dopo che un'offensiva sostenuta dalla Russia ha cacciato l'IS dalla città per la prima volta, e una settimana dopo che la Mariinsky Theater Orchestra di San Pietroburgo ha tenuto lì un concerto per celebrare - prematuramente, come si è scoperto poi - la liberazione di Palmira. L'orchestra ha eseguito Prokofiev, Bach e Shchedrin in un teatro di epoca romana che IS aveva utilizzato come sfondo scenico per esecuzioni di massa. Cornish ha scelto la porta della sala elettricità del teatro per dipingere l'uomo che definisce "un eroe che ha sacrificato la sua vita per ciò che amava". Una clip su YouTube di Cornish che lavora al dipinto, ha portato Tarek a contattarlo. “La pittura di Luke è stata un bellissimo gesto e un dono molto gentile per la nostra famiglia. Pensiamo a lui come a un nostro amico e fratello ", afferma Tarek. Ma sei mesi dopo IS ha ripreso Palmira, minando con la dinamite il teatro e pubblicando un video gongolante della distruzione. Cornish aveva pensato che anche il suo dipinto fosse andato perduto. "Sono abituato a vedere distruggere il mio lavoro per strada, ma farlo esplodere da IS è qualcos'altro", dice.
Palmira, un passato che guarda al futuro
Interno del museo di Palmira
(foto Giorgio Bianchi.National Geographic)
La Siria vanta sei siti culturali del patrimonio mondiale dell'UNESCO e tutti sono nella lista di quelli in pericolo. Normalmente, fondi dell'UNESCO dovrebbero essere devoluti per proteggere i beni minacciati. Nel caso della Siria, il sostegno delle Nazioni Unite è stato limitato al restauro di una singola statua di Palmira e alla formazione del personale del museo. Un appello di emergenza dell'UNESCO, valutando necessari 150.000 USD ($ 222.000) per salvaguardare il portico del Tempio di Baal di Palmira non è riuscito ad attirare alcun sostegno di potenziali donatori. Al museo nazionale di Damasco, i restauratori vestiti di bianco hanno iniziato l'impegnativo lavoro di riparazione di centinaia di reperti danneggiati di Palmira. È uno sforzo quasi interamente siriano, fatto con un budget limitato. "Speriamo in un maggiore aiuto internazionale perché Palmira appartiene al mondo, non solo alla Siria", afferma Khalil Hariri, direttore del museo di Palmira. Dice che le pietre cadute dell'arco trionfale, del teatro e del tetrapylon sono per lo più intatte e possono essere rimesse insieme, ma il servizio museale non può permettersi di assumere lavoratori e acquistare macchinari.
Dice uno specialista di Palmira al museo di Damasco, l'archeologo Houmam Saad: "Tutto il mondo parla dei danni a Palmira, ad Aleppo e ai nostri altri siti Patrimonio dell'Umanità, ma quasi nessuno al di fuori della Siria fa qualcosa per aiutare."
Più di venti organizzazioni europee e statunitensi sono sorte per promuovere il patrimonio in pericolo della Siria. Raccolgono dati, tengono riunioni ed emettono dichiarazioni di preoccupazione. Uno di questi gruppi ha speso £ 2,5 milioni ($ 4,1 milioni) per erigere un modello in scala di due terzi dell'arco trionfale di Palmira a Trafalgar Square a Londra, quindi ha ripetuto l'esercizio a Washington DC.  "I soldi raccolti per le antichità siriane sarebbero invece stati spesi meglio dove si trovava il danno fatto", scrive Ross Burns, ex ambasciatore australiano in Siria e autore di quattro libri sulla sua archeologia e storia: "Mettere soldi in finti archi e modelli 3D che imitano vagamente le strutture storiche fa poco più che salvare le coscienze di stranieri le cui nazioni hanno incoraggiato - persino finanziato e armato, per poi allontanarsene - la conflagrazione che è cresciuta per distruggere la Siria".
La Siria è una nazione di molte confessioni ed etnie che è emersa nei suoi attuali contorni solo nel 1945. I suoi governanti hanno reso popolare una storia condivisa come strumento per promuovere l'identità nazionale e la coesione sociale. Nel 2018, il direttore generale dell'UNESCO Audrey Azoulay ha riconosciuto questo patrimonio come "una forza potente per la riconciliazione e il dialogo". Ha aggiunto un avvertimento: l'UNESCO aiuterà a ricostruire i siti storici della Siria "quando le condizioni lo consentiranno". Ciò potrebbe significare una lunga attesa.
Le Nazioni Unite hanno vietato alle loro agenzie di fornire aiuti per la ricostruzione fino al raggiungimento di una "transizione politica autentica e inclusiva negoziata dalle parti". Il divieto riflette la posizione degli Stati Uniti, dell'Unione Europea e di altre nazioni che hanno imposto sanzioni economiche alla Siria. Il governo australiano ha fatto lo stesso nel 2011 in risposta a quello che ha definito "un uso della violenza da parte del regime siriano contro il suo popolo, profondamente inquietante e inaccettabile". Un anno dopo, il governo Gillard ha applicato ulteriori sanzioni e ha chiesto "un'intensificazione della pressione su Damasco per fermare la sua brutalità".
Luke Cornish si è imbattuto nelle sanzioni quando ha tentato di inviare $ 28.000 raccolti per gli orfani siriani a SOS Children's Villages International l'anno scorso. Le sanzioni hanno isolato la Siria dai sistemi bancari e di pagamento internazionali, quindi l'organizzazione benefica gli ha consigliato di trasferire il denaro sul suo conto bancario tedesco. Tuttavia, la sua banca australiana ha rifiutato il trasferimento, afferma Cornish, aggiungendo: "Ho fatto l'errore di usare la parola "Siria" nella causale del trasferimento".
Il relatore speciale delle Nazioni Unite sulle sanzioni, Idriss Jazairy, afferma che le restrizioni hanno "contribuito alla sofferenza del popolo siriano” bloccando le importazioni che vanno dai farmaci antitumorali, ai vaccini, alle sementi delle colture agricole e alle pompe per l'acqua. Sebbene non avallate dalle Nazioni Unite, le sanzioni hanno avuto un "effetto agghiacciante" sull'aiuto umanitario, perché ostacolano gli sforzi per ripristinare scuole, ospedali, acqua potabile, abitazioni e lavoro, ha segnalato Jazairy nel 2018.
Quali sono, quindi, le prospettive per il restauro delle antichità in pericolo della Siria, tra cui Palmira? Le risposte potrebbero risiedere in un ambizioso progetto finanziato dalla Russia per ricostruire la Grande Moschea di Aleppo. È un capolavoro dell'architettura islamica e simbolo della città, che si trova a nord-ovest di Palmira e ha perso un terzo del suo famoso Vecchio Quartiere in combattimenti che sono terminati nel 2016. Il minareto della moschea alto 45 metri è rimasto in piedi per oltre 900 anni fino a quando è crollato durante i combattimenti nel 2013. Oggi è un cumulo di blocchi di calcare da mille tonnellate sovrastato da una gru torreggiante. Rimettere in piedi il minareto è il lavoro di un team di architetti e ingegneri, scalpellini e falegnami tutti siriani. Devono anche ripristinare le colonne, i soffitti e le pareti gravemente danneggiati della sala di preghiera e dei portici che circondano il vasto cortile della moschea. Il direttore del progetto, l'architetto Sakher Oulabi, che mi ha accompagnato nella visita al sito, dice che i lavoratori sentono una pesante responsabilità: “Tutti noi capiamo che stiamo facendo qualcosa di molto importante per l'anima della nostra città e del nostro Paese.”
A guidare la ricostruzione è il Syria Trust for Development, presieduto da Asma al-Assad, - la moglie del Presidente - quindi il progetto ha un notevole peso. Tuttavia, le sue sfide tecniche sono formidabili quasi come quelle di Palmira. Le circa 2400 pietre cadute del minareto devono essere pesate e misurate, fortemente testate con ultrasuoni e fotografate da molte angolazioni in modo che la fotogrammetria - la scienza di effettuare misurazioni tridimensionali dalle immagini - possa aiutare a determinare dove si adatta ogni pietra. I materiali e le tecniche devono essere il più vicino possibile all'originale: "Un esperto potrà notare la differenza tra vecchio e nuovo, ma il pubblico non deve notarlo", dice l'ingegnere Tamim Kasmo. Tuttavia, il calcare che meglio corrisponde all'originale si trova in una cava al di fuori del territorio sotto controllo del governo, nella provincia di Idlib. Come l'alto funzionario del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti Michael Mulroy ha notato, idlib ospita “la più grande collezione di affiliati ad al-Qaeda nel mondo in questo momento”.
Palmira, un passato che guarda al futuro
Il Grande Colonnato, costruito nel secondo e terzo secolo; descritto dall'UNESCO come una testimonianza della penetrazione di Roma in Oriente.
(foto Giorgio Bianchi)
Le pietre giganti di Palmira sono bianche come vecchie ossa quando lasciamo il sito in una sera al crepuscolo. Tarek si unisce agli amici per l'iftar, il pasto che rompe il digiuno del Ramadan e inizia con datteri e acqua in linea con una tradizione presumibilmente iniziata dal profeta Maometto. Il nostro autista, Ahmad, ha messo da parte la pistola che portava nella cintura. Insiste sul fatto che non vi è alcuna prospettiva di un ritorno dell'IS, ma dice che porta l'arma perché le strade locali possono essere pericolose. Tutti gli hotel della città sono stati distrutti, perciò dormiamo in una casa privata e sentiamo il fuoco dell'artiglieria per tutta la notte.
All'alba, un vento freddo e costante soffia dalle montagne. Una strada corre dietro alle rovine di un hotel di lusso, dove una volta gli ospiti cenavano mentre si affacciavano sulle antiche rovine e sotto il quale Khaled al-Asaad fu incatenato per i suoi ultimi 28 giorni, lungo le alte mura perimetrali del complesso del Tempio di Baal. Da qui, dopo aver cercato le benedizioni delle divinità del tempio, antiche carovane di cammelli percorrevano il lungo deserto attraversandolo verso est fino all'Eufrate, con merci destinate ai lontani mercati della Cina.
Oggi all'ingresso del tempio un giovane soldato è rintanato in un posto di guardia fatto di scatole di munizioni e lamiere ondulate intonacate di fango. "Sono stato qui tutto l'inverno, ma almeno non ha nevicato", dice. Si scusa per aver dovuto ispezionare i nostri documenti e ci invita ad aspettare su sedie di plastica mentre registra la nostra visita con un superiore. Chiedo degli spari della notte. "Erano solo esercitazioni dell'esercito” dice, indicando una montagna vicina con una cittadella medievale sulla sua cima. Un decennio fa, mi ero arrampicato fin sui bastioni per scattare foto panoramiche di Palmira, ma ora è una zona militare off-limits.
Tarek e il soldato parlano di notizie gradite: la fonte che alimenta l'oasi di Palmira scorre per la prima volta da 27 anni. Fonte storica della ricchezza della città, ha irrigato gli insediamenti di questo luogo sin dal Neolitico. Il risveglio della sorgente è arrivato troppo tardi per il frutteto di famiglia di Tarek; i suoi ulivi e i pistacchi sono seccati e sono morti. Ma egli lo considera un segno di speranza che finalmente il leggendario sito di Palmira possa essere ripristinato, per la prosperità della sua gente e la meraviglia del mondo.

domenica 10 settembre 2017

Cosa ne è stato della comunità cristiana di Palmyra?

L'antica città di Palmyra fu sede di una piccola comunità cristiana che ora vive in esilio. L'arcivescovo siro-cattolico di Homs, accompagnato da alcuni sacerdoti, è tornato alle rovine della parrocchia distrutta.
 di Vincent Gelot, di ritorno dalla Siria
Un segno della croce, qualche preghiera sussurrata in punta di labbra e un rosario appeso allo specchietto retrovisore. "Non dimenticate di prendere da bere" ricorda l'arcivescovo siro cattolico Philippe Barakat di Homs ai sacerdoti che lo accompagnano. L'automobile si avvia a passo d'uomo. Gli sguardi dei passeggeri sono ansiosi. "La strada per il deserto sarà lunga e questa è la prima volta che siamo tornati a Palmyra da quando l'esercito siriano l'ha riconquistata." confida il prelato barbuto, accendendo freneticamente la prima sigaretta del viaggio. "Non sappiamo su cosa andremo a cascare", mormora. Conquistata dall'organizzazione Stato Islamico (ISIS o Daech in arabo) nel maggio 2015, la città emblematica era stata ripresa nel marzo 2016 da parte dell'esercito siriano, sostenuto dai suoi alleati russi e iraniani, prima di cadere nuovamente nove mesi più tardi in mano a Daech. Riconquistata ai jihadisti nel marzo di quest'anno, alla città è ancora vietato l'accesso, i permessi di accesso sono complicati da ottenere, e la distanza di 160 km. in linea d'aria da Homs permane pericolosa.
Una cappella discreta ma colorata
Celebre per il suo antico sito archeologico, Palmyra (o Tadmor come gli Orientali la chiamano) lo è molto meno per la sua piccola comunità cristiana e per la sua modesta chiesa. "La parrocchia è dedicata a Santa Teresa del Bambin Gesù e risale al periodo del mandato francese. I Francesi l'avevano donata alla diocesi siriaco cattolica di Homs alla fine del mandato ", spiega il vescovo Barakat.
Situata nel cuore della città moderna, lungo la Via Regale decantata dalle guide turistiche, dove alberghi-ristoranti rivaleggiavano con i negozi di souvenir, la chiesa, la cui comunità parrocchiale era composta da cinque famiglie siriache e centinaia di fedeli di tutti i riti, "era una parrocchia molto colorata", ricorda padre Georges Khoury, il sacerdote di Palmyra. "Durante la Messa della Domenica, c'erano albergatori armeni, mercanti greci, soldati, lavoratori ... e persino turisti stranieri di passaggio!” Il cellulare dell'abuna (Padre) vibra. Uno dei suoi parrocchiani gli ha chiesto di fotografare la condizione della sua casa. Dopo la riconquista di Palmyra nel marzo scorso, la zona è ancora sotto controllo militare e nessun civile ha potuto tornare sul posto.
Il deserto, ocra e grigio, si stende a perdita d'occhio. L'auto prosegue la sua corsa lungo l'antico percorso, una volta utilizzato da carovane e cammelli, adesso trasformato in un asfalto deformato dal calore soffocante di agosto e malridotto dal passaggio continuo dei camion militari. La monotonia del viaggio è a volte interrotta dai posti di blocco dell'esercito siriano, dal passaggio di carri armati russi, auto blindate con mitragliatori e pickup recanti la bandiera gialla e nera della divisione "Fatimidi" una milizia sciita composta da combattenti afghani. D'un tratto, la strada si trova a correre a lato di un aeroporto militare per diversi chilometri. "Si tratta della base aerea T4, che ha svolto un ruolo chiave nella seconda riconquista di Palmyra" commenta il vescovo. "I terroristi hanno tentato più volte di prenderla senza mai riuscirvi." Inseguiti dopo una feroce battaglia, le milizie di Daech sono state respinte indietro di un centinaio di chilometri a est verso Deir-ez-Zor, dove i combattimenti continuano.
"Ho pianto molto"
Le ore passano, l'orizzonte si apre e le lingue si sciolgono. Incollando le sigarette, Padre Georges ricorda quel 21 maggio 2015 quando gli uomini di Daech entrarono in Palmyra: "L'esercito governativo è venuto ad avvisarci che i jihadisti stavano avvicinandosi. Ho noleggiato autobus e automobili malridotte per evacuare le nostre famiglie verso Homs. Sette ore più tardi, Daech prese possesso di Palmyra.". Poi, saranno gli anni dell' esilio, ancora di guerra e di privazioni, dove anche la sua comunità ha trovato rifugio nella frazione di Meskané alla periferia rurale di Homs: "Le famiglie sono rimaste parecchi mesi ad abitare nei locali della parrocchia. Ma la situazione si trascinava e non c'era lavoro, per cui le famiglie hanno finito per trasferirsi altrove o emigrare". La popolazione cristiana della Siria, che contava due milioni di anime prima dell'inizio della insurrezione nel 2011, adesso sarà all'incirca un terzo di allora.
A tutt'oggi, Padre Georges ha in cura la Parrocchia di Meskané mentre fa il "commesso viaggiatore" per visitare i suoi fedeli di Palmyra sparsi in tutta la regione: "Io porto loro cesti di cibo, medicine, vestiti, garantendo nel contempo la cura pastorale. Ho anche celebrato diversi battesimi e alcuni matrimoni!" Nel corso di questi anni bui, ha assistito da lontano, impotente e inorridito, alla messa in scena delle esecuzioni nel teatro antico, dove secondo l'OSDDH circa 280 persone sono state massacrate, e alla distruzione di monumenti storici. "Palmyra era la perla dell'Oriente e l'orgoglio di tutti i Siriani. Il giorno in cui han fatto saltare i templi di Baalshamin e di Bêl ho pianto molto ", ammette Padre Georges, che - sulla quarantina - ha vissuto a Palmyra per dieci anni ed era diventato un familiare dell'antico sito al quale L'UNESCO ha attribuito un "valore universale eccezionale".
Improvvisamente, la cittadella araba di Fakhr-Ed-Din, una fortezza del XII° secolo, appare in cima al suo picco roccioso. Le bocche si zittiscono. Entriamo in Palmyra.
Il perdono degli antenati
La città moderna di Palmyra potrebbe assomigliare a un castello di carte collassato o a un villaggio fantasma del far-west dopo l'OK Corral. Barricate tra edifici rovinati, minareti abbattuti in mezzo a veicoli bruciati, ovunque tracce di saccheggi e combattimenti stradali, ma non un'anima viva ad eccezione dei soldati di pattuglia. Adiacente ad una piazzetta con la fontana a secco, dove gli abitanti amavano alla sera prendere il fresco dell'oasi, fumando un narghilé, un "caffè turistico" in agonia è in attesa del cliente. "La città è in condizioni molto peggiori della prima volta", dice abuna Georges che era ritornato a vederne lo stato dopo la prima riconquista di Tadmor nella primavera del 2016. "Non promette niente di buono", sbotta.
Il prete invita il conducente a fermarsi. Il veicolo parcheggia davanti a quella che, prima del suo visibile stato miserabile, doveva essere una cappella. All'interno, l'altare è devastato, le lastre del pavimento sono state strappate e le pareti sono carbonizzate. Padre Georges è prostrato: "Dopo la prima partenza degli islamisti, la chiesa era stata saccheggiata ma non bruciata. Ho anche pensato di rimetterla in uso almeno simbolicamente. Ma adesso è distrutta!" lamenta. Adiacente al santuario, la casa di accoglienza ha subito lo stesso destino. Sostenuto dall'Oeuvre d'Orient, questo Centro con una dozzina di camere aveva come obbiettivo la creazione di posti di lavoro e stimolare la comunità cristiana locale accogliendo i visitatori e i pellegrini. "Abbiamo iniziato i lavori del centro nel 2010. Il sito stava per essere completato. Che spreco!" si rammarica Monsignor Barakat e conclude: "Che i nostri antenati e i nostri figli perdonino ciò che abbiamo fatto della Siria!". 
Prima di lasciare i luoghi, facciamo un salto all'antico sito. Il veicolo passa davanti al museo archeologico, completamente saccheggiato e devastato. Dalla pista di ciottoli, l'ippodromo e i primi colonnati sfilano... "L'ottanta per cento del sito dovrebbe essere ancora in piedi" ha giudicato a lume di naso padre Georges, prima di aggiungere "Il sito rimane impressionante. Prima lo era due volte di più”. Veniamo bloccati dall'esercito nei pressi delle torri funerarie, anch'esse vittime della follia distruttiva dei jihadisti. Subito la strada è interrotta: “non potete andare oltre" ci avverte un uomo in armi, indicandoci di svoltare. Su un colonnato crollato per i tre quarti, di fronte alle immensità desolate e brucianti, lo stendardo dei "Fatimidi" vincitori, sormontato da una bandiera russa slavata, galleggia nel vento.
  Vincent Gelot, capo dei progetti per il Medio Oriente dell'Œuvre d’Orient
     traduzione: Gb.P.

sabato 18 febbraio 2017

Restauratori italiani riparano preziosi busti di Palmyra danneggiati da ISIS e li rendono a Damasco

Un busto calcareo maschile datato tra il 2 ° e 3 ° secolo dC danneggiato durante l'occupazione dello Stato Islamico della città siriana di Palmyra, viene mostrato nel corso di una conferenza stampa a Roma, giovedi, 16 febbraio 2017.
I busti funerari di un maschio e una femmina che erano conservati nel Museo nazionale di Palmyra, sono stati restaurati a Roma presso l'Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro (ISCR) e saranno riportati in Siria alla fine di febbraio. ( Foto AP / Domenico Stinellis)


La restauratrice Daria Montemaggiori mostra una replica di computer-rendered , generata con stampa 3D, di una parte mancante di un busto di pietra calcarea di sesso maschile. La replica è tenuta in posizione con i magneti. Le due sculture danneggiate dal Museo Nazionale di Palmyra sono stati portate e restaurate a Roma (Foto Domenico Stinellis)  

Il restauratore Antonio Iaccarino Idelson mostra una replica, generata in stampa 3D dal computer, di un pezzo mancante di busto di nobile abbigliato in una veste di stile romano.

https://phys.org/news/2017-02-italian-teams-ancient-syrian-city.html

giovedì 31 marzo 2016

L’attentato in Pakistan e la liberazione di Palmira

Piccole Note,
30 marzo 2016

Il feroce attentato in Pakistan, che ha causato 72 vittime innocenti, ha oscurato la notizia della conquista di Palmira ad opera delle forze di Damasco. È proprio quanto si riproponevano gli autori della strage di Pasqua, d’altronde le Agenzie del terrore conoscono a menadito le tecniche della propaganda e le sanno manipolare in maniera più che sofisticata, come hanno ampiamente dimostrato in questi anni.
Già, perché la conquista di Palmira è ormai derubricata a episodio secondario, mentre invece ha una rilevanza geopolitica di primaria importanza, sotto diversi profili.
Anzitutto strategici, perché ha dimostrato che nonostante la ritirata dei russi la controffensiva di Damasco contro le milizie jihadiste, e l’Isis in particolare, non si è affatto conclusa e anzi continua con efficacia (mentre in Iraq la fantomatica coalizione internazionale guidata dagli Usa continua a latitare).

Di immagine, perché ha strappato all’Isis una città che era diventata simbolo della barbarie identificativa di tale movimento terrorista, che attraverso l’odiosa quanto inutile distruzione delle antichità archeologiche amplificava nel mondo il suo messaggio apocalittico (altro esempio di propaganda sofisticata).

Infine, la riconquista di Palmira toglie all’Isis un ulteriore mezzo di finanziamento, dal momento che il business dei reperti archeologici, rivenduti in Occidente ha fatto entrare nelle casse dell’Agenzia del terrore e dei suoi capibastone milioni di euro (nessuno degli acquirenti di tali reperti è stato ancora identificato, nonostante le indagini in tal senso non siano affatto impossibili) .
Il fatto poi che Palmira sia stata riconquistata nel giorno di Pasqua non è affatto casuale: sarebbe potuta cadere il giorno prima o quello dopo. Invece si è scelto proprio questo giorno, per lanciare un messaggio di speranza al mondo. Da qui anche la pronta reazione delle forze del caos in Pakistan, che anzitutto vogliono annichilire la speranza.

Aver lasciato ad Assad il merito della liberazione della città è stato un capolavoro tattico di Putin: rafforza il presidente siriano sia in patria che all’estero, favorendo così la chiusura dei negoziati di Ginevra, Questi, infatti, potranno avere un esito positivo solo se i suoi avversari internazionali capiranno che lo spazio per un regime-change in Siria si è definitivamente chiuso.
Il fatto che la conquista di Palmira sia avvenuta poco dopo gli attentati di Bruxelles indica chi davvero sta contrastando l’Agenzia del terrore, nonostante tanta narrativa occidentale tesa a dipingere Assad e Putin come dittatori sanguinari, figure pericolose per la pace del mondo.

L’Isis, e chi lo supporta a livello internazionale, sa invece perfettamente chi sono i suoi veri avversari. Tanto che con la bomba in Pakistan ha inteso inviare un ulteriore segnale: il terrorismo può colpire in Asia e dilagare fino ai confini della Russia. Un progetto che le agenzie del terrore coltivano da tempo .

Non solo: il tentativo di far dilagare il caos in Pakistan punta anche a destabilizzare il governo di Nawaz Sharif, che sta tentando di chiudere il decennale contrasto con l’India attraverso la mediazione russa. Una riconciliazione necessaria per restringere gli spazi di manovra alle forze del caos nel cuore dell’Asia.
In tutto questo, e nonostante tutto questo, le cancellerie occidentali continuano a considerare Mosca un nemico più che un partner indispensabile per porre un argine al terrore globale. Una scelta folle, che condanna l’Europa a dispiegare un’azione di contrasto al terrorismo totalmente inadeguata.
Urgono correttivi, ma l’élite europea (culturale, economica e politica) da tempo ha dimostrato una scarsa propensione alla lungimiranza. 
Del simbolismo esoterico della strage di Pasqua  potete leggere  qui.

http://piccolenote.ilgiornale.it/27950/lattentato-in-pakistan-e-la-liberazione-di-palmira


PALMIRA LIBERATA MA NON È MERITO DELL’OCCIDENTE

Danni gravissimi con stime di almeno 5 anni per ristrutturare quanto è stato distrutto secondo Maamoun Abdelkarim, responsabile per le antichità e i musei siriani.

di Gianandrea Gaiani 
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La liberazione di Palmira rappresenta lo specchio più nitido dell’ambiguità dell’Occidente, incapace o privo della volontà di combattere davvero lo Stato Islamico e prono di fronte alle pretese dei regimi islamisti di Turchia, Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti pretenderebbero di sostituire il regime di Assad con la dittatura della sharia.
Neppure i rapporti stilati negli ultimi dieci anni da diversi servizi d’intelligence (e resi noti da Wikileaks) che denunciano la massiccia infiltrazione di imam Salafiti in Europa ad opera dei sauditi (o dei Fratelli Musulmani finanziati da turchi e Qatar) ha indotto le cancellerie europee ad aprire gli occhi sulla natura di alcuni “alleati”.....

.... leggi l'articolo completo qui : 

mercoledì 19 agosto 2015

Palmira si poteva salvare

A Palmira IS  decapita il capo del Sito archeologico; il corpo appeso a una colonna . Per più di 50 anni Khaled Asaad era stato il responsabile delle antichità della città patrimonio Unesco dell'umanità, conquistata a maggio dai jihadisti dello Stato islamico. Ucciso con un coltello davanti a una folla, lo studioso aveva nascosto centinaia di statue in un luogo sicuro.
Il responsabile delle Antichità siriane, Abdulkarim ha sottolineato che Asaad era conosciuto per il suo lavoro di studioso anche a livello internazionale. Era noto, infatti, per svariati lavori scientifici su Palmira, pubblicati su riviste archeologiche internazionali.
Nel corso degli ultimi decenni aveva lavorato con missioni archeologiche statunitensi, francesi, tedesche e svizzere.....
http://www.repubblica.it/esteri/2015/08/19/news/siria_l_is_decapita_e_appende_il_corpo
_di_un_archeologo_a_palmira-121211785/?refresh_ce#gallery-slider=114859870


Palmira, mia cara Palmira !


Innamorato dell’antico sito, lo scrittore Gabriel Matzneff rimprovera l’Occidente di avere abbandonato la culla della propria civiltà, la favolosa città della regina Zenobia

DI  GABRIEL MATZNEFF

Le Point.fr - 

Un artista che invecchia, un pittore, uno scultore, uno scrittore, un compositore, si abitua presto al fatto che i suoi amori più belli siano degli amori oramai morti, che abbiano cessato di esistere nella vita reale e che sopravvivano solo nelle tele, nei marmi, nei libri, nelle musiche che gli hanno ispirato.

E’ più raro per le città. L’imbecillità criminale della politica statunitense in Siria, la cieca subalternità dell’Europa a Washington, mi somministreranno forse, nelle ore e nei giorni a venire, questa dolorosa esperienza con Palmira, la mia cara Palmira. Prima che i fanatici barbuti, che la nostra cieca stampa francese ha per lungo tempo chiamato con simpatia “i ribelli”, dichiarassero guerra al governo legittimo, quello del presidente Assad, garante della laicità dello Stato, protettore dei cristiani, amico della Francia, “Le Carnet arabe”, che ho pubblicato nel 1971, era un libro che metteva voglia ai lettori di recarsi in Siria per scoprirvi i luoghi che vi sono descritti, e soprattutto Palmira, la favolosa città della regina Zenobia.
Domani, a cagione del fatto che il nostro Occidente vigliacco non ha sostenuto il governo legittimo e laico del presidente Assad, ma ha invece fatto di tutto per indebolirlo e gettarlo nelle mani di una banda di folli distruttori, la Palmira che ho descritto, le favolose vestigia tra cui mi sono abbandonato alle mie fantasticherie e ho preso appunti, cesserà d’esistere. La mia Siria sarà soltanto immaginaria, il frutto della mia fantasia.  Di colpo, lo scrittore viaggiatore si trasformerà di autore di fiction scientifiche, e la bellezza di questo luogo incantevole in polvere desertica.

Il genio occidentale in azione

Se i capi dello Stato Islamico distruggeranno Palmira, non saranno i primi. Sono stati preceduti nel III° secolo d.C. da Aureliano, che firmava le lettere che scriveva alla regina Zenobia di Palmira “Aureliano, imperatore del mondo romano e vincitore dell’Oriente”. In questo caso, però, non furono orde selvagge venute non si sa da dove ad annientare Palmira, ma l’esercito romano, quello che viene considerato il diffusore nel mondo mediterraneo della luce della conoscenza, dei benefici della Pax romana. Noi altri Europei, non possiamo dare lezioni agli Arabi, non siamo migliori di loro. Anche noi, troppo spesso, siamo stati capaci del peggio.
Aureliano, che i suoi soldati avevano soprannominato “Aureliano mano alla spada” (Aurelianus manus ad ferrum) non aveva nulla dello stile del neo-califfo Abou Bakr al-Bagdadi. E tuttavia fu senza particolari patemi d’animo che distrusse Palmira, questa città famosa in tutto il mondo per le sue bellezze, le sue ricchezze, i suoi giardini, i templi, i suoi dei, i suoi sacerdoti, le sue cortigiane. E’ giunta fino a noi la lettera nella quale l’imperatore romano descrive il sacco di Palmira da parte delle sue truppe: “Non abbiamo fatto grazia alle madri, abbiamo ucciso i bambini, sgozzato i vecchi, massacrato gli abitanti delle campagne…”

Che il lettore distratto non si inganni: non è la lettera di un presidente degli Stati Uniti sulle performance dei suoi soldati in Vietnam, in Afghanistan o in Iraq. No, si tratta dell’imperatore romano Aureliano e di Palmira. Il genio occidentale in azione. 

Un Occidente che, in Iraq, in Libia, in Siria, ha da più di vent’anni (fu del gennaio 1991 la prima aggressione statunitense contro il popolo iracheno) portato avanti la peggiore politica possibile. Noi tremiamo per il destino di Palmira, ma le distruzioni delle meraviglie archeologiche in Iraq e in Libia da parte delle bombe USA sono altrettanto spaventose di quelle perpetrate dalla soldatesche dello Stato Islamico. I barbari, ahinoi, si trovano in entrambi i campi.

TRADOTTO in italiano da OSSIN   http://www.ossin.org/crisi-siria/1767-palmira-si-poteva-salvare

giovedì 20 marzo 2014

Nulla - della cultura siriana pre-cristiana, cristiana, islamica - è risparmiato

Le tombe dell'antica Palmyra, preda dei saccheggiatori



ASSAWRA,  Lunedi, 17 Marzo, 2014 

Il luogo più bello in Siria, l'antica  Palmyra, porta le cicatrici di recenti combattimenti, ma sono soprattutto le magnifiche tombe la preda dei saccheggiatori.
Situata a 210 km a nord est di Damasco, la "perla del deserto" , iscritta dall'UNESCO come Patrimonio Mondiale dell'Umanità, conserva la sua bellezza benchè il tempio di Baal abbia subito alcuni danni a causa di scambi di artiglieria tra esercito e ribelli.
"I gruppi armati si sono installati  nel mese di febbraio 2013 nell'immenso palmeto a sud di Palmyra e hanno occupato il sito fino a quando ne sono stati cacciati dell'esercito nel settembre dello stesso anno ", ha detto a AFP Mohammad al-Assad, 44 anni,  funzionario  del Servizio delle 
Antichità .

"A partire dai frutteti dove si annidavano, sparavano sulla città e alcuni obus hanno  danneggiato alcuni punti del tempio situato nel mezzo", aggiunge.



La parete orientale del tempio ellenistico di Baal, l'edificio più imponente della città, è segnato da diverse macchie biancastre dove la pietra è stata graffiata dalle granate. Colpi di mortaio hanno danneggiato una delle aperture e l'architrave che poggia su otto colonne con alberi scanalati.
Il muro di cinta ha sofferto in più punti. Tre pilastri del colonnato a sud del tempio sono stati smembrati, i loro capitelli corinzi giacciono a terra. Ma gli altri monumenti non sono stati colpiti dai combattimenti.


Secondo Assad, i ribelli hanno saccheggiato la casa di missioni archeologiche adiacenti al tempio, ma il peggio è stato il saccheggio delle tombe meravigliose.
A ovest della città, nella Valle delle tombe, la necropoli si estende per un chilometro. E' là dove i ricchi Palmyreni avevano costruito una serie di tombe sontuosamente decorate.
Al Museo di Palmyra, il direttore Khalil al-Hariri mostra tre stele di calcare e  parti di sarcofagi scolpiti ad alto-rilievo con personaggi e bambini. "Erano stati tagliati con una motosega. Li abbiamo recuperati due giorni fa nel seminterrato di una casa", spiega.
Come sono state saccheggiate le tombe? Non sa niente. "Ci sono circa 500 tombe, di cui solo 200 sono stati scavate dagli archeologi. È in quelle che non lo erano che i ladri hanno fatto il loro sporco lavoro", dice.
Il suo unico punto di riferimento, è il bottino trovato. "Da quando l'esercito ha ripreso il controllo della regione ho recuperato 130 pezzi, ma non sono in grado di dire a quante tombe appartenevano perchè i ladri hanno avuto cura di richiuderle".


Oltre ai sarcofagi, vi sono i busti dei morti in costume greco-romano e decorazioni murali in stile palmireno.

Nel discorso ufficiale, sono gli "uomini armati" o "terroristi" che volevano spogliare il paese "vendendo a buon mercato la nostra cultura e le nostre radici."  In realtà, e il signor Hariri lo riconosce a mezza voce, anche alcuni abitanti hanno approfittato della confusione per entrare in possesso dei pezzi, tutti ne conoscono il valore. 
"La polizia li ha trovati qui, nelle case, nei frutteti e nel resto del paese. Quindici sono stati anche scoperti all'aeroporto di Beirut, pronti a prendere il volo per l'estero ", ha detto. 




Le Nazioni Unite hanno esortato le parti in conflitto a proteggere "il ricco patrimonio culturale strappato a brandelli" da tre anni di guerra. Davanti al "saccheggio sistematico" dei siti archeologici, ha consigliato ai professionisti del 
commercio dell'arte e alle dogane "di diffidare di oggetti d'arte siriani che potrebbero essere stati rubati."

Faisal al-Sharif, capo del Comune, non ha più visto un turista dal settembre 2011, sei mesi dopo l'inizio della rivolta contro il regime di Bashar Assad.
"Ce n'erano 250.000  all' anno, poi improvvisamente più niente. Sugli 85.000 abitanti, 5000 lavoravano in alberghi, ristoranti, possedevano negozi, organizzavano gite nel deserto sotto le tende, erano impiegati come autista o guida ", lamenta quest'uomo di  57 anni.
I 16 stabilimenti della città sono tutti chiusi. Per quanto riguarda il  'Zenobia', il leggendario hotel costruito nel 1920 da un 
avventuriero francese e situato nel sito archeologico, è stato saccheggiato e a metà bruciato.

"Speriamo che la tempesta finisca e che i turisti tornino presto" , sospira.

http://www.assawra.info/spip.php?article6471

Yabrud, dove i ribelli hanno bruciato il Vangelo e cavato gli occhi alle immagini di santi 








Tempi, 19 marzo 2014

Era una cittadina molto ricca Yabrud, in Siria, poco lontano dal confine col Libano. E qui dove c’è la più antica chiesa del paese, domenica sono entrate le milizie di Bashar al-Assad, che, dopo una dura offensiva contro i ribelli, si sono impossessate della città. È il reporter britannico Robert Fisk a raccontare la situazione dal villaggio alle porte di Damasco dalle colonne del The Independent, dipingendo un paese distrutto dai combattimenti e vandalizzato dai ribelli. Fisk, celebre reporter, simpatie a sinistra, descrive la situazione della chiesa greco-cattolica di Nostra Signora , diventata «un luogo di vergogna, di copie bruciate del Nuovo Testamento, dipinti squarciati coi coltelli – molti giacciono ridotti in strisce di tessuto d’oro e rosse, di fianco alla croce dell’altare distrutta -, i mosaici staccati dal muro. Gli scettici potrebbero chiedere se è stato il regime a compiere questo atto sacrilego, a vantaggio delle macchine fotografiche, ma ci sarebbero volute settimane per distruggere questo luogo di preghiera con le sue antiche colonne, e per aver cavato gli occhi dai mosaici dei santi».



PER LE VIE DEL PAESE. Tredici giorni di combattimento si vedono sui muri degli edifici di Yabrud, trivellati in più punti, tra strade ricoperte di proiettili usati. Guardando gli edifici religiosi saccheggiati dagli islamisti, annota Fisk: «C’è da chiedersi quando la Siria riuscirà a ricostruire le relazioni tra musulmani e cristiani dopo un tale vandalismo. Forse la risposta è mai, sebbene in un atto di immenso coraggio i civili musulmani di questa antica città abbiano protetto i vicini di casa cristiani fino alla fine».
Riportando le voci dei cittadini di Yabrud, Fisk narra che i ribelli di Al-Nusra hanno obbligato la gente a pagare prezzo esorbitanti per il cibo e ai cristiani chiesto di sborsare una tassa maggiore, a causa della loro fede. E gran parte dei viveri, raccontano i testimoni di Fisk, erano aiuti umanitari dell’Onu, arrivati dai campi profughi al di là del confine del Libano.
I soldati dell’esercito hanno l’aria stanca ma anche di chi sente vicina la vittoria. Raccontano di aver frugato nelle tasche dei nemici che hanno ucciso: hanno trovato documenti egiziani e degli Emirati Arabi.

La Chiesa di Nostra Signora della Liberazione di Yabroud, la più antica della Siria: com'era




On the march with Assad’s army: ‘Unusually, the Syrian army took rebel prisoners. Ominously, I saw none’
In the first dispatch from Syria, Robert Fisk reports from the town of Yabroud – reoccupied at the weekend  by government forces – and witnesses the destruction and trauma caused by a brutal civil war

The Independent , Monday 17 March 2014   - di Robert Fisk

http://www.independent.co.uk/voices/comment/on-the-march-with-assads-army-unusually-the-syrian-army-took-rebel-prisoners-ominously-i-saw-none-9198188.html












"Pas une seule strate de la culture syrienne -pré-chrétienne, chrétienne, islamique- n'est épargnée"

L'ONU lance, à nouveau, un cri d'alarme pour le patrimoine syrien.