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lunedì 9 febbraio 2015

9 febbraio: memoria di San Marone, monaco di Siria

foto: le rovine della basilica maronita (561 D.C.) a Barad - Nord Siria


San Marone ("piccolo Signore" in aramaico) è nato intorno al 350 d.C. a Cirro, una cittadina nei pressi di Antiochia.
Fu ordinato sacerdote e successivamente si ritirò come eremita per una montagna di Taurus, vicino ad Antiochia, sopra le rive del fiume Oronte. Trascorse il suo tempo pregando in solitudine, digiuno e lavorando.
Il grande arcivescovo di Costantinopoli, S. Giovanni Chrysostomo era suo amico. 

San Marone ha attratto molti discepoli: Giacomo di Cirro, Limnaeus, Domnina, Cyra, Marana, Abraham l'eremita, l'apostolo del Monte Libano e molti altri.
San Marone morì nel 410, dopo la sua morte sopra la sua tomba fu edificata una chiesa. 




All'intercessione di San Marone affidiamo oggi la pace di tutta la regione siro-libanese e la sorte dei due sacerdoti Michel Kayyal (armeno cattolico) e Maher Mahfouz (greco ortodosso) rapiti il 9 febbraio 2013 ad Aleppo

BREVE STORIA DELLA CHIESA E DELLA COMUNITA’ MARONITA




venerdì 11 aprile 2014

Siria, dove la pietà è un grido


Damasco, 10 aprile 2014


In questi giorni  sono caduti tanti colpi di mortaio sulle nostre zone cristiane, al-Kassa, Jaramana, Bab Touma…, abbiamo avuto tanti morti...

Oggi sono caduti a Jaramana piu di 45 colpi. E’ morto per una scheggia di mortaio pure un giovane uomo cristiano lasciando un bimbo.  Si chiama George Abo Samra.

Ero a pochi metri dal primo colpo, dove ero andato a fare la spesa. Mentre la gente era nascosta all'angolo dell'ospedale francese è caduto  il secondo colpo proprio dove la gente si era radunata, causando la morte di altre due persone .

Sono  corso subito alla scuola dove c’è mio figlio Micheal , il piccolo. Ho visto la paura negli occhi dei genitori. Ho visto bimbi con un volto sconvolto. Mio figlio mi ha detto che ha visto dalla finestra della classe una colonna di fumo. Insomma sono caduti in pochi minuti 4 colpi di mortaio nella zona di al-Kassa all'ora di punta. Colpiscono  mentre la gente sta facendo le spese e i genitori stanno andando a prendere i loro figli dalle scuole. Sono rientrato alle ore 13:15 e squilla il telefono e mi dicono che un colpo di mortaio ha colpito il palazzo dove ho la casa mia a Jaramana causando danni alla mia cisterna d'acqua e creando un buco nel soffitto della casa del mio vicino.

Ma quali sono le fonti di Avvenire???
Mentre ti scrivo queste parole ho sentito passare sopra di me due colpi di mortaio. Non so dove andranno a finire.  Ma la gente qua è proprio stanca di Jobar e Mileha da dove i ribelli lanciano contro di noi centinaia di colpi. 

Le scuole a Jaramana sono chiuse per più di una settimana, dopo che erano stati ammazzati 4 bambini, e  pure qua al Kassa le scuole domani chiudono che sono state aperte solamente due giorni (mercoledi e giovedi).

E la settimana scorsa hanno colpito pure sulla Patriarcale Melkita...

E allora diciamo:  Fino a quando l'esercito deve rimanere cosi di fronte a quello che fanno i gruppi armati di Jobar? Fino a quando dobbiamo resistere?

 Chiediamo all'esercito siriano di farli finire!

Samaan



Siria: Cristiani come animali



 MARCO TOSATTI

L’arcivescovo metropolitano della Chiesa apostolica ortodossa di  Antiochia Antonio Chedraui Tannous, ha affermato oggi che i cristiani di Siria sono ammazzati come se si trattasse di animali, nel momento in cui la comunità internazionale “si è tappata gli occhi e non vuole sentire”.  
L’arcivescovo parlava a José Gálvez Krüger direttore dell’Enciclopedia Cattolica, che fa parte del gruppo ACI. E denuncia che “senza dubbio la chiesa ortodossa antiochena vive un martirio interminabile: sequestro dei due arcivescovi e di alcuni sacerdoti, mattanza di sacerdoti e fedeli innocenti che non hanno niente a che edere con ciò che sta accadendo. Persecuzioni, distruzione di chiese, assassini. E la cosa peggiore e più barbare e che si uccidono i cristiani come si ammazzano gli animali, e tutto questo, nel nome di Dio”. E continua il prelato: “Mi chiedo: che cosa ha a vedere questo con la lotta per la democrazia o la libertà in Siria? I criminali, nella loro maggioranza, sono stranieri, che vengono dall’Arabia Saudita, dalla Turchia, dalla Cecenia e da altri Paesi”. Se i ribelli lottassero per la democrazia “sarebbero stati siriani, e non mercenari stranieri”.  
“Se l’occidente con in testa gli Stati Uniti e altri Paesi come l’Arabia Saudita e la Turchia non fossero intervenuti mandando denaro e armi, non saremmo al punto in cui siamo in Medio Oriente; e le Nazioni Unite, che ricevono ordini dagli Stati Uniti, non si interessano dei diritti umani e ancor meno di quelli dei cristiani in Medio Oriente”. Obama, secondo il vescovo ha sviluppato una politica ancora più aggressiva e peggiore di quella di Bush nella zona.  

http://www.lastampa.it/Page/Id/2.0.589627549


Homs : 25 morti tutti civili e 107 feriti per un'autobomba in quartiere abitativo,
seguita da una seconda quando si era radunata la gente per i soccorsi...


Armeni siriani di Kessab deportati in territorio turco

Agenzia Fides 10/4/2014
Alcuni anziani di Kessab, la città nord-orientale siriana a maggioranza armena assalita nelle scorse settimane da milizie armate anti-Assad, sono stati trasferiti dagli stessi miliziani in territorio turco, senza essere stati informati prima della loro destinazione. É quanto emerge da fonti armene consultate dall'Agenzia Fides.
Nei giorni scorsi la stampa turca aveva dato risalto alla notizia che almeno 18 armeni fuggiti da Kessab dopo l'assalto dei ribelli avevano trovato asilo in alcuni villaggi turchi come Yayladagı e Vakif. La notizia era stata riportata con enfasi, mentre si avvicina il centenario del genocidio subito dagli armeni nella Turchia ottomana. Le indagini condotte da alcuni media armeni hanno rivelato dettagli eloquenti sul modo in cui è avvenuto il trasferimento degli armeni siriani in territorio turco. Secondo le testimonianze di alcune donne anziane accolte nel villaggio turco di Vakif, gli uomini armati che hanno assalito le loro case parlavano in turco e hanno scelto di trasferire in territorio turco i pochi anziani rimasti a Kessab dopo che la quasi totalità della popolazione armena della città era fuggita verso la zona costiera di Latakia, all'arrivo delle milizia anti-Assad. Il trasferimento forzoso in Turchia è avvenuto in condizioni proibitive per gli anziani armeni, che erano stati tenuti all'oscuro della reale destinazione. 



Nel 1915 si è consumato uno dei più efferati genocidi dello scorso secolo. In un impero ottomano ormai agonizzante e percorso da ventate di nazionalismo, di cui era interprete l'organizzazione conosciuta come “giovani turchi”, si scatenò la caccia agli esponenti della piccola, ma radicata minoranza armena. Gli Armeni sono cristiani, anzi furono una delle prime nazioni a diventare interamente cristiane, e per questo la loro vita non fu mai facile all'interno di un impero che innalzava la bandiera dell'Islam militante. Ma quello che avvenne nel 1915 superò per orrore ogni precedente persecuzione. Decine di migliaia di persone furono strappate dalle loro case e brutalmente massacrate sul posto o avviate, in lunghe colonne, verso le zone più inospitali dell'Anatolia dove vennero letteralmente lasciate morire di fame e di stenti. I villaggi armeni vennero distrutti e le chiese profanate e trasformate in moschee o locali pubblici. 
Molti Armeni fuggirono dalla Turchia per non essere vittime dei pogrom e trovarono rifugio e protezione nelle nazioni vicine tra cui Siria e Libano che, pur essendo formalmente parte dell'Impero Ottomano, non solo non si associarono ai massacri, ma anzi nascosero e protessero i fuggitivi. Fu così che in Siria e Libano nacquero grosse comunità armene e sopravvissero quelle più antiche che vi risiedevano già da molti secoli. Una di queste ultime vive (forse  meglio dire viveva fino al 21 marzo di quest'anno) nella piccola città di Kessab al confine tra Siria e Turchia ed a pochi chilometri dall'importante porto siriano di Latakia. Seimila persone, per oltre due terzi Armeni, che abitavano in sei piccole frazioni in una zona montuosa fino a pochi giorni fa risparmiata dalla guerra. IL 21 marzo però dal confine turco sono arrivate gli integralisti islamici dell'ISIL e del fronte Al Nusra che hanno prima bombardato e poi attaccato Kessab, costringendo l'intera popolazione a fuggire ed a cercare rifugio nella vicina Latakia. Fatto assolutamente nuovo, l'esercito turco, che presidia il confine a pochi chilometri da Kessab, non solo ha lasciato passare le bande armate, ma addirittura, secondo molti testimoni oculari, le ha appoggiate con l'artiglieria ed i blindati ed ha lanciato missili contro gli aerei siriani, uno dei quali è stato abbattuto. L'intenzione dei guerriglieri è sicuramente quella di minacciare Latakia per distogliere forze siriane dalla battaglia in corso nel Qalamoun. I Turchi invece sembrano cercare un casus belli per poter attaccare la Siria, come parrebbero confermare le intercettazioni dei discorsi tra esponenti del regime di Erdogan resi pubblici probabilmente da ambienti militari turchi ostili alla linea del premier. Non è sicuramente un caso per che, per dare il via a questa loro nuova linea, i Turchi abbiano scelto di attaccare un villaggio armeno, colpendo così oltre che la Siria, anche i loro tradizionali nemici. Probabilmente Erdogan contava sul fatto che la Russia -impegnata sul fronte ucraino- non si sarebbe esposta più di tanto in difesa dell'alleato siriano. Così ovviamente non è stato perchè immediatamente tre navi russe alla fonda nel porto di Tartous hanno fatto rotta verso quello di Latakia. Una presenza simbolica, ma sufficiente a far capire ad Ankara che la strada intrapresa avrebbe potuto portare a conseguenze pericolose. Vedremo gli sviluppi.

domenica 9 febbraio 2014

9 febbraio : San Marone monaco

Nel gravissimo momento attraversato dalla comunità civile libanese, non possiamo che affidare oggi  all'intercessione di San Marone la richiesta della pace per il Libano e per tutta la regione, riprendendo l'appello di S. B. il Patriarca maronita Bechara  Raï: "il Libano sarà costruito insieme o non sarà"




di  padre Pasquale Castellana ofm

Si innalzano monumenti agli antenati e a coloro che spesero la vita per la Chiesa o per la patria. Non dobbiamo, quindi, meravigliarci se, lungo i secoli, i fedeli abbiano innalzato chiese o monumenti a coloro che lavorarono per il bene dei fratelli. E per i poveri e gli ammalati, in particolare.
Tra questi benefattori dell’umanità è da annoverarsi san Marone, che visse come monaco eremita sul colle di Qal’at Kalota, nella regione, chiamata, in seguito, Jebel Sim’an.
Meritò il privilegio di celebrare la vita e le opere di questo santo, Teodoreto, antiocheno di nascita, monaco nel monastero di Nikertai, presso Apamea, e, poi, trentenne appena, vescovo della città di Cirro, situata 60 chilometri a nord di Aleppo, Siria. Per le sue buone opere, per la vita di penitenza, di cui lasciò un luminoso esempio a tutta la regione, per i miracoli che compì in favore degli ammalati e dei poveri e per la sua vita apostolica, la gente di Brad onorò san Marone con un sepolcro, pervenutoci quasi intatto dopo circa mille e cinquecento anni.
Appena si sparse la notizia della morte del santo eremita, la gente della cittadina di Brad si mosse. Il luogo era di prima importanza; lo dice l’iscrizione ritrovata a Bab el-Hawa presso il luogo, dove, nel 418, fu costruito un grandioso monastero, sotto la direzione dell’architetto Kyris Markianos, la cui fama si era sparsa nella Siria del nord dopo la costruzione di tre basiliche nei villaggi di Babisqa, di Ksejbe e di Dar Qita.
Che cosa fece il clero di Brad per onorare degnamente il corpo di san Marone? Adattarono la più grande basilica della regione, che prima era un tempio pagano, e,  poi, per ordine dell’imperatore Teodosio il Grande, divenne chiesa. Era la chiesa più grande della Siria, misurava 42 metri per 22. Tolsero il muro della parete settentrionale, vicino alla porta del diakonikon, e al suo posto costruirono un grande arco, che permetteva ai fedeli, dopo la liturgia eucaristica, di passare dalla chiesa al tempietto di san Marone.
......
   continua qui la lettura del racconto: 
http://www.terrasanta.net/tsx/articolo-rivista.jsp?wi_number=2247&wi_codseq=TS1003



un ribelle siede sopra le rovine della Basilica Bizantina di  Bab el-Hawa



La Santa Vergine, il Libano, i Maroniti. Tre realtà compenetrate e inscindibili

 di Jocelyne Khoueiry

La comunità monastica maronita è stata fondata nel IV° secolo dal santo anacoreta Maroun, e fu successivamente trasformata in Chiesa patriarcale agli inizi dell’VIII° secolo, a seguito della vacanza della sede di Antiochia già occupata dagli Arabi. A causa di una serie di feroci persecuzioni la sede patriarcale antiochena-maronita venne trasferita, agli inizi del X° secolo nella regione del Monte Libano già evangelizzata da discepoli di San Maroun fin dal V° secolo. In Libano i Maroniti divennero un popolo e una nazione, organizzata e diretta dalla Chiesa la cui sede patriarcale fu consacrata alla Vergine Maria. Per comprendere l’intimo rapporto che ha sempre unito la Chiesa maronita alla Madre di Dio è fondamentale considerare due dati interessantissimi: un testo siriaco maronita che si trova al British Museum e un’icona scoperta provvidenzialmente durante un restauro ad opera delle suore carmelitane del convento della Theotokos.
.............
   continua la lettura qui:  La Madre di Dio nella storia della Chiesa Maronita


Il patriarca Raï: "il Libano sarà costruito insieme o non sarà"

AsiaNews, 06/02/2014
di Fady Noun

Una "Memoria" indirizzata alle componenti della società politica libanese, nella fase "più critica" della sua esistenza. La perdita "di fatto" del senso del Patto nazionale. Il valore della neutralità, la guerra in Siria e Israele. Le "priorità" che si impongono.

Beirut  "Il Libano sarà costruito insieme o non sarà": lo scrive il patriarca maronita in una "Memoria" che mette in guardia i libanesi sull'indebolimento del loro patto di vita insieme e che li invita a rimettere ordine nelle loro priorità.
E' una lettera molto bella, una "memoria" molto bella, molto sincera, quella che il Patriarca ha indirizzato ieri, a conclusione della riunione mensile dell'assemblea dei vescovi maroniti, alle componenti della società politica libanese, per ricordare "che esse hanno fatto il Libano insieme" - la proclamazione del Grande Libano porta la data del 1920 - e "che esse ne debbono preservare insieme l'esistenza".
Se le cose sono detta con tale gravità e perché, secondo il Patriarca, il Libano sta vivendo una fase critica della sua esistenza, "la più critica", nelle sue parole, e che per superarla ha bisogno di tutta la sua memoria storica.
Di qui l'affermazione che ""Il Libano sarà costruito insieme o non sarà" (17), contenuta in questo documento ricco e ben articolato.
Se queste parole, del tutto ovvie, sono necessarie oggi è perché, afferma in sostanza il documento, le diverse comunità che compongono il Libano sono estremamente polarizzata dall'esistenza di assi politici regionali, ai quali esse debbono maggiore o minore fedeltà.
Di fatto, diviso tra l'asse siro-iraniano e l'Arabia Saudita, il Libano vive in questo momento ore cruciali. Esso è risucchiato, poi, nella guerra in Siria, divenuta il punto di convergenza di tutte le alleanze regionali e internazionali, il luogo nel quale si gioca una parte determinante del futuro del Medio Oriente. Una partita che, sul piano locale, si è tradotta, attraverso un'acerrima lotta di potere che ha completamente falsato il ruolo delle istituzioni, "nel punto di paralisi" sottolineato dalla memoria.

Il patriarca maronita custode del Libano
Cosciente del pericolo e del fatto che la storia ha fatto dei patriarchi maroniti i fondatori e "i custodi" del Libano, il patriarca Raï ha sentito il dovere di ricordare agli uni e agli altri le costanti storiche che impediranno al Libano di essere diviso fino ad esplodere e gli permetteranno di vivere secondo la sua vocazione, quella di essere "più che un Paese, un messaggio, un modello di libertà e di pluralismo per l'Oriente e l'Occidente", secondo la felice formula di Giovanni Paolo II con la quale si conclude il messaggio.
Per farsi capire, il patriarca risale alle origini della creazione del Libano indipendente, fondato su un "Patto nazionale" orale (mithaq), che è il consenso, l'adesione a una "convivialità (islamo-cristiana) che gli è precedente".
La Memoria deplora la perdita di fatto, in interi settori della sfera politica, del senso del "patto", a vantaggio di una lotta feroce per il potere e invita a ritrovarlo e rinvigorirlo.

Formula e Costituzione
Il Patto di fondazione, prosegue il Patriarca, si è incarnato in una "formula" (sigha) e in una Costituzione. La formula si esprime attraverso "due negazioni", "Né Oriente, né Occidente" che erano un consenso a una volontà di vivere insieme. All'epoca, sostiene il Patriarca, quel "né... né" significava no all'unione con la Siria e no all'obbedienza alla Francia. Oggi ciò che va recuperato è "l'essenziale della formula", l'adesione a una vita insieme che è la rinuncia a legami esterni, e non la sua lettera.
Dopo "il patto" e "la formula" viene "la Costituzione", che incarna la volontà di condivisione nell'esercizio del potere e di edificazione delle istituzioni, che si è evoluta verso il rispetto del principio della parità islamo-cristiana in parlamento, nel governo e nelle alte cariche amministrative.

La neutralità positiva
Il Patriarca pone al rango delle costanti fondamentali il principio della "neutralità positiva", sottinteso dalla formula. Egli ricorda che questa neutralità si esprime nei confronti degli assi politici verso i quali sono attratte le comunità libanesi, ma che non escludono in alcun modo l'impegno del Libano per le grandi cause del mondo arabo, a cominciare dalla causa palestinese.
A proposito della neutralità egli assicura che "lungi dall'isolare il Libano dagli impegni regionali, come alcuni temono, è il modo migliore per difendere il pluralismo in società composite" (15) come quella libanese.
Va da sé che la maggiore violazione della neutralità che protegge il Libano è, agli occhi di molti libanesi, l'impegno militare di Hezbollah in Siria e le rappresaglie che esso comporta sul suolo libanese, sotto la forma di attentati suicidi.
Senza nominare Hezbollah, il documento patriarcale sottolinea l'importanza, per il Libano, "di impedirsi di essere un punto di passaggio o un punto di partenza di azioni capaci di coinvolgere il Libano in conflitti (...) tra assi regionali o internazionali". Nel passo, il Patriarca non manca di auspicare una soluzione pacifica della guerra in Siria.
Per bilanciare, la memoria evoca la necessità si una "strategia di difesa nazionale" che permetterebbe al Libano di "recuperare le sue terre sottratte (da Israele) e di proteggere i suoi confini".

Le priorità
A conclusione, il Patriarcato si fa il dovere di trarre le conseguenze dei pericoli reali corsi dal Libano e di ricordare "le priorità" d'azione che ritiene si impongano. Esse sono:

  • Il procedimento della costruzione delle istituzioni (dopo la conservazione di ciò che si è acquisito), nello sforzo di aiutare il potere centrale a emergere e imporsi.
  • L'elezione di un nuovo capo dello Stato e la promozione del dialogo interno.
  • L'elaborazione di una nuova legge elettorale e l'organizzazione di elezioni politiche.
  • La formazione di un governo.
  • Il decentramento amministrativo.
  • La prosecuzione dell'applicazione dell'accordo di Taif (che prevede la creazione di un Senato) e la correzione delle sue mancanze.
  • L'attenzione per i giovani.
  • La promozione del ruolo della donna.
  • La riforma amministrativa e la lotta contro tutto ciò che corrompe l'organizzazione dello Stato (corruzione e clientelismo),
  • L'apertura al mondo, in particolare al mondo dell'emigrazione e la votazione di una legge che permetta agli aventi diritto di recuperare la nazionalità libanese.
  • La partecipazione del Libano all'emergenza di un vero rinnovamento arabo e la fedeltà all'apertura e ai tradizionali amici del Libano.

giovedì 11 aprile 2013

Diamo ai cristiani del Medio Oriente una speranza nella loro terra





La visita di Papa Benedetto XVI in Libano, aveva a suo tempo attirato i riflettori dell’attenzione internazionale sulla situazione dei cristiani che vivono nella regione medio orientale, il cui numero si è ridotto considerevolmente in questi ultimi anni, ma l’impatto è durato poco . Certo uno dei fattori della diminuzione dei cristiani in questa parte del mondo è dato dal fatto che la radicalizzazione dei musulmani, guidata dalla proliferazione delle moschee wahabite, li ha resi incapaci di convivere con persone di altre religioni. Tuttavia, sebbene sia vero che i cristiani subiscono discriminazioni in alcuni paesi musulmani, sono più spesso la violenza e le guerre, come oggi in Siria e in Iraq, e le crisi economiche, non l’oppressione, che li spingono a rimpolpare i ranghi della diaspora. E pur tuttavia il silenzio sulle loro condizioni sui media occidentali è, per usare un facile ossimoro, assordante.

Ciò anche oggi mentre le drammatiche vicende della Siria, in primis, ma anche l’onda integralista che cresce in Egitto li vede in prima linea come candidati all’esodo dalle loro terre natali che, non dimentichiamolo, sono state le terre dove la fede cristiana ha visto le sue origini, dall’Egitto che ha dato rifugio a Cristo bambino, alla Palestina e al Libano che ne hanno visto la predicazione e la resurrezione, alla Siria che vide la conversione di S. Paolo, all’Armenia che vide la prima conversione di una intera nazione.

Come altre minoranze nel mondo, i cristiani mediorientali sono stati i primi a soffrire ogniqualvolta i loro paesi sono stati invasi da forze straniere o devastati da conflitti interni, e sono fra coloro che sono più colpiti in tempi di crisi economica.

Più della metà degli 800.000 cristiani che risiedevano in Iraq prima dell’invasione americana del 2003 è fuggita. Tantissimi cristiani palestinesi, come i loro concittadini musulmani, sono stati cacciati dalla loro patria, e coloro che sono rimasti sono costretti a sopportare le difficoltà fisiche ed economiche della vita sotto l’occupazione israeliana. Decine di migliaia di cristiani libanesi sono fuggiti dai molteplici conflitti del loro paese, o hanno lasciato la loro patria per inseguire migliori opportunità economiche. Allo stesso modo,la Giordania ha perso circa il 20% dei suoi cristiani, sebbene la comunità cristiana giordana goda dei pieni diritti e dell’appoggio ufficiale delle autorità. E oggi tocca alle variegate comunità cristiane della Siria, ivi compresa quella caldea già profuga, valutare, nella disperazione, la dolorosa ipotesi di fuggire dalle propria terra.

Le conseguenze di questo massiccio esodo di esseri umani dalla regione si estendono molto al di là dell’ambito religioso. Tra le fila di questi rifugiati figurano alcuni tra i professionisti più istruiti del Medio Oriente, e la loro assenza ha contribuito al declino economico dei paesi che hanno abbandonato. Inoltre, l’emigrazione dei talenti accresce le possibilità di futura instabilità, rendendo il problema della fuga dei cervelli e dei conflitti una questione ciclica e ricorrente.

Un osservatorio sulla condizione dei cristiani in Medio Oriente per rompere la congiura del silenzio.
         La Chiesa da sempre con le parole del Papa, dei patriarchi, dei presuli e dei pastori orientali, incoraggia i cristiani rimasti a perseverare, a dispetto delle continue difficoltà che essi devono affrontare. Ma, ciò per cui più soffrono i nostri fratelli del Levante è l’impressione che noi cristiani d’occidente ci siamo dimenticati di loro, che anzi siamo solidali coi loro persecutori e con coloro che ne rendono drammatica l’esistenza. Questo traspare dagli accorati appelli che ci vengono dai nostri fratelli orientali per bocca dei loro patriarchi,tanto che sua Eminenza Bechara Boutrus Rai, patriarca di Antiochia dei Maroniti,ha ritenuto di farne oggetto di discussione, con un documento distribuito ai cardinali elettori, nelle congregazioni per il Conclave.

Perciò dal nostro circolo è partita l’idea (subito raccolta da realtà cattoliche di varie regioni italiane) di costituire un Osservatorio sulle condizioni dei Cristiani nel Medio Oriente, per cercare di rompere la congiura del silenzio e promuovere, nei cristiani e negli uomini di buona volontà del nostro paese, la consapevolezza che le soluzioni richieste per far sì che questa comunità minoritaria non abbandoni i propri paesi di origine sono rimedi che andrebbero a beneficio di tutti i popoli della regione: la risoluzione dei conflitti, il raggiungimento della pace, e lo sviluppo economico.

di Massimo Granata


La presenza cristiana in un ambiente teocratico 


Conferenza del Card. Béchara Boutros RAI all' Institut Catholique Paris - 10 aprile 2013, all'interno del Convegno : « Christ et César, quelle parole publique des Eglises ? »

"Da un lato, la primavera araba è una rivolta reale contro sistemi totalitari. Pertanto, dei gruppi che sono stati precedentemente emarginati o perseguitati hanno potuto emergere a favore di un certo pluralismo democratico e cercano di lavorare in modo più efficace per una libertà di cittadinanza equa e rispettosa, e il diritto alla differenza. Il diritto dei popoli di decidere da soli il proprio destino trova così la sua prospettiva.. D'altro lato, più oscuro, il crollo dei sistemi totalitari ha aperto la strada all'estremismo islamico a volte con la scusa di adozione della democrazia e riforme politiche. Ma in realtà è l'anarchia, il caos, la violenza, il terrorismo e la guerra. In Siria non si riesce più a comprendere lo scopo della violenza e della guerra tra i belligeranti. Noi vediamo solo le stragi, la distruzione e l'emigrazione dei cittadini. Gli Stati di Oriente e Occidente non fanno che fomentare la guerra senza alcun appello alle parti in conflitto a favore della pace, del dialogo e dei negoziati. Noi sosteniamo che la riforma politica e la democrazia deve essere opera delle popolazioni interessate, secondo le loro aspirazioni. In questi paesi, la maggioranza cosiddetta "silenziosa" deve essere in grado di esprimersi liberamente. La moderazione è una necessità

I cristiani , come in passato, in cui sono stati i pionieri della rinascita arabaparte integrante della vita culturale, economica e scientifica delle diverse civiltà della regione, vogliono oggi, ancora e sempre, condividere con i musulmani le loro esperienze apportando il proprio contributo specifico. E' a causa di Gesù che il cristiano è sensibile alla dignità della persona umana e alla libertà religiosa che ne deriva. E' per l'amore per Dio e per l'umanità, glorificando così la doppia natura di Cristo e l'amore per la vita eterna, che i cristiani hanno costruito scuole, ospedali e istituti di tutti i tipi in cui vengono ricevuti tutti, senza discriminazioni  (cfr Mt 25, 31ss.). E' per queste ragioni che i cristiani prestano particolare attenzione ai diritti fondamentali della persona umana. Affermare pertanto che questi diritti sono i diritti dell'uomo cristiano non è giusto. Sono semplicemente i diritti esigiti dalla dignità di ogni persona umana e tutti i cittadini, indipendentemente dalle origini, le credenze religiose e le scelte politiche "(Ecclesia in Medio Oriente, n. 25).

http://www.bkerkelb.org/french/index.php?option=com_content&view=article&id=409:conference-du-card-bechara-boutros-rai-institut-catholique-colloque-iseo-avril-2013-&catid=46:homilies&Itemid=71


sabato 23 marzo 2013

VIAGGIO IN LIBANO: incontro con le comunità cristiane


L'Osservatorio sulle Comunità Cristiane del Medio Oriente propone


il viaggio in Libano che si svolgerà dal 24 al 29 aprile 2013

Sono previsti:
1) incontri con i Patriarchi delle principali comunità cristiane ivi compreso (salvi impegni dell’ultima ora) S.E. Cardinale Bechara Rai, anche al fine di presentare loro l’Osservatorio sulle Comunità Cristiane del Medio Oriente;

2) un breve corso con insegnante qualificato (professore Università Kaslik) sulla storia delle comunità cristiane orientali;

3) visita ai luoghi più significativi della storia libanese (valle di Qadisha, monastero di Annaya, Byblos ecc…


Alloggio presso H.M. di Jouniè al costo previsto di circa 60 dollari a persona per notte (prima colazione inclusa) che verranno pagati al termine del soggiorno direttamente alla reception dell’hotel.

Si ricorda la necessità di avere un passaporto valido con scadenza oltre i sei mesi e senza timbri di Israele (altrimenti si viene bloccati all'aeroporto)

Per informazioni e per segnalare la propria partecipazione, scrivere a: osservatorio.ccmo@gmail.com

http://osservatorioccmo.altervista.org/site/pagina2/