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venerdì 17 maggio 2013

Quella sottile linea rossa


ARMI CHIMICHE IN SIRIA


di Francesco Mario Agnoli
da: Identità Europea

Archiviati la sbornia elettorale, l’elezione/rielezione del presidente della Repubblica e perfino il varo del nuovo governo (anche se quest’ultimo continua a essere soggetto a poco rassicuranti scosse sismiche), è possibile cambiare argomento. Tornare per esempio alla politica estera, a quanto sta avvenendo in Africa e in Medio Oriente, a così breve distanza dalla Sicilia, cioè da casa nostra. Da ultimo (ma già in precedenza non sarebbero mancate le occasioni) mi sollecita a farlo l’articolo “Siria nel caos Obama decida” pubblicato dal Resto del Carlino di domenica 12 maggio.

La politica estera interessa poco agli italiani, ma appunto per questo offre a un nutrito gruppo di protagonisti della politica e dell’informazione ottimi spunti senza rischio di eccessive contestazioni per esibire, sotto forma di rispettoso rimbrotto/esortazione, da consiglieri del principe, la propria fedeltà a Washington, mostrandosi più americani dello stesso presidente americano.
Tutti questi signori non vedono l’ora che gli States ripetano in Siria quanto accaduto in Iraq e in Libia e si preoccupano perché Obama non ripete più che “Assad se ne deve andare” e addirittura ha “fatto una imbarazzante marcia indietro quando il Pentagono gli ha confermato l’uso delle armi chimiche”. Già la famosa “linea rossa”, superata la quale l’America avrebbe rotto gli indugi e autorizzato l’intervento militare. In effetti a inizio maggio Obama aveva dato l’impressione di stare per premere il bottone, dichiarando che l’impiego di armi chimiche in Siria è ormai un fatto accertato. Aveva sì aggiunto di non avere ancora l’assoluta certezza sugli autori del crimine, ma anche lasciato capire che tutti i sospetti puntano su Assad e l’esercito governativo.
I consiglieri del principe si stavano già fregando le mani quando, il 5 maggio, a rompere le uova nel paniere è intervenuta l’ex-magistrato svizzero Carla Del Ponte, autorevolissima componente della Commissione ONU incaricata di indagare sulla violazione dei diritti umani in Siria. La Del Ponte, celebratissima in Italia e in tutto l’Occidente quando sosteneva l’accusa davanti al Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia e al Tribunale penale internazionale per il Ruanda, ha dato ragione ad Obama sull’avvenuto utilizzo di armi chimiche, ma ha aggiunto che le testimonianze attribuivano l’impiego del micidiale gas Sarin non ai governativi, ma ai ribelli. Difficile immaginare qualcosa di peggio di queste dichiarazioni per i sostenitori dell’intervento Usa contro Assad, proprio perché confermano le dichiarazioni del presidente quanto all’avvenuto impiego di armi chimiche, ma “sbagliano” colpevole. Difatti, una volta superata la “linea rossa”, o si mantiene l’impegno e si interviene contro gli autori del crimine o non si potrà farlo contro l’altra parte del conflitto, qualora decidesse di replicare con le stesse armi.
I collaboratori più responsabili e preparati degli States se ne sono immediatamente resi conto e non hanno esitato a smentire non solo la Del Ponte, ma (con qualche cautela) lo stesso Obama a proposito del “fatto accertato”, cioè dell’avvenuto impiego di armi chimiche. Anders Fogh Rasmussen, segretario generale Nato, si è affrettato a dichiarare che “la Nato ha avuto indicazione dell’impiego di armi chimiche in Siria, ma non ha prove consolidate né sulle circostanze né su chi ne abbia fatto effettivo uso”, aggiungendo di ignorare “su quale base Carla Del Ponte abbia fatto le sue dichiarazioni”. A sua volta la Commissione dell’ONU, di cui è componente il magistrato svizzero, ha diffuso una nota per affermare di non avere “prove conclusive in grado di determinare l’uso delle armi chimiche, né dall’una, né dall’altra parte”.

Insomma il “fatto accertato” è soltanto un’ipotesi o al massimo un sospetto.
In Italia gli aspiranti consiglieri del principe possono concedersi qualche parola critica per sollecitare il presidente americano a superare le proprie esitazioni, ma mai si permetterebbero di smentirlo. Per loro resta indiscutibile che le armi chimiche sono state usate e, dal momento che il sospetto del principe è per i cortigiani certezza, che ad impiegarle è stato il tiranno Assad e non le anime belle dei salafiti, degli islamisti e dei mercenari sauditi.



La "partita" delle armi chimiche può spaccare il Medio Oriente          



da Il Sussidiario , venerdì 19 aprile 2013
INT. A  Gian Micalessin 

Il primo ministro, Benjamin Netanyahu, ha dichiarato alla BBC che Israele ha il  diritto di fare quanto è in suo potere per impedire che le armi chimiche siriane  cadano nelle mani sbagliate. Per il premier, se i terroristi dovessero  sequestrare armi anti-aeree e chimiche, diventerebbero l’ago della bilancia del  Medio Oriente. Il Sussidiario.net ha intervistato Gian Micalessin, inviato di  guerra de Il Giornale.

D: Che cosa ne pensa dello scenario delineato dal premier Netanyahu?
R: E’ uno scenario che potrebbe verificarsi. Esistono effettivamente dei depositi  di armi chimiche e si trovano in zone che potrebbero essere raggiunte dai  ribelli. Un intervento israeliano però esaspererebbe la già drammatica  conflittualità in cui vive la Siria, e potrebbe avere un effetto assolutamente  devastante per l’intero Medio Oriente.  Sarebbe più opportuno un intervento  americano o europeo, come è stato delineato più volte in passato, con  l’obiettivo specifico di evitare il diffondersi delle armi chimiche. Resterebbe  comunque una scelta pericolosa e con molte controindicazioni, ma pur sempre meno disastrosa di un blitz israeliano che rischierebbe di minare dalle fondamenta  quel poco che resta della stabilità mediorientale.

D: Quanto sono realmente pericolose le armi chimiche siriane?
R: Le armi chimiche siriane, finché restano nelle mani di Assad che non le ha mai usate né intende usarle, sono relativamente poco pericolose. Diventano  estremamente pericolose se cadono nelle mani di gruppi come Al-Nusra, che formalmente appartengono alla galassia della rivolta jihadista in corso contro  Assad. Queste formazioni agiscono autonomamente e si dichiarano addirittura  schierate su posizioni vicine ad Al Qaeda. Quindi è chiaro che le armi chimiche,  se cadessero in mano loro, potrebbero essere usate non solo per fare cadere  Assad o per combatterlo, ma anche nello scenario globale per mettere a punto  attacchi terroristici contro quello stesso Occidente che ritiene di dover  sostenere la rivolta.

D: Quanto è forte ancora Assad e perché la situazione è così bloccata?
R:  Perché non c’è un Paese contro Bashar Assad, ma una nazione divisa in due. Il 50  per cento della popolazione è composta dalla minoranza cristiana, dagli alawiti,  ma anche da buona parte dei sunniti che continuano a restare con Assad. Molti  generali e ufficiali dello stesso esercito sono sunniti e continuano a sostenere  il regime.

 D: Quanto conta l’influenza delle potenze straniere?
R: Chi lotta contro Assad ha il sostegno di potenze regionali quali Qatar, Arabia  Saudita e Turchia, oltre all’appoggio occidentale. Dall’altra ci sono alleati  come Pechino e Mosca, importanti dal punto vista economico e del rifornimento di  armi, e la compartecipazione all’attività bellica dell’Iran e di Hezbollah, che  ritengono fondamentale per il mantenimento dell’asse sciita la sopravvivenza di  Bashar Assad e dell’attuale regime siriano.

D: Lei è stato più volte in Siria. Che cosa ha visto?
R: Quel che balza di più agli occhi quando si viaggia a Homs, Aleppo e altre città siriane è la sostanziale difformità tra i resoconti giornalistici che riceviamo  in Occidente e quel che accade sul terreno. Esiste effettivamente una situazione  di guerra. In particolare Aleppo, almeno nella parte che si affaccia verso la  Turchia, è una città circondata dai ribelli, ma al suo interno esiste una vasta  parte della popolazione che continua a vivere normalmente e a sostenere la  necessità di battersi con Assad.

D: Per quali motivi?
R: Considerano il regime comunque più legittimo di un’opposizione armata,  foraggiata da Stati stranieri, come il Qatar e l’Arabia Saudita. I ribelli sono  inoltre ritenuti pericolosi, incontrollabili, disorganizzati, privi di una guida  politica e soprattutto colpevoli di massacri efferati e di attentati che mettono  a rischio la popolazione civile. Attentati che sono descritti da chi vive a Homs  e Aleppo come terrorismo puro e non come ribellione e lotta contro il tiranno.

(Pietro Vernizzi)
© Riproduzione Riservata. 

http://www.ilsussidiario.net/News/Esteri/2013/4/19/SIRIA-Micalessin-la-partita-delle-armi-chimiche-puo-spaccare-il-Medio-oriente/384891/

venerdì 21 dicembre 2012

Finis Syriae

 
 
di Francesco Mario Agnoli - 17/12/2012

A quanto pare, in Siria il regime di Assad ha, se non le ore, i giorni contati se è vero che anche Mosca, pur avendo poi smentito, si appresta ad abbandonarlo. I mass-media occidentali hanno esultato. Per quello che conta (cioè niente) mi sono preoccupato. Da giurista e da cattolico.

Da cattolico ho ripensato al viaggio in Siria, compiuto una ventina di anni fa con la guida dell'archeologo domenicano, padre Bernardo Boschi, e allo stupore provato ad Aleppo, oltre che per le molte fontane sprizzanti alti getti d'acqua, per una grande croce luminosa posta sul sagrato di una chiesa cristiana e per il fatto che i cittadini di Aleppo non ci avessero nulla da ridire.

Temo forte che grazie alla primavera araba e ai presunti “patrioti” (in realtà forse ottimi musulmani, ma in gran parte per nulla siriani) non sia più così. Francamente non me la sento di andare a controllare di persona, ma presto fede ai siti cristiani che, a dispetto dei mercanti che si rifiutano di sentire, continuano a gridare le parole di padre Jules Baghdassarian, direttore delle Pontificie Opere missionarie, morto qualche giorno fa di un arresto cardiaco dovuto allo stress per il gravoso impegno nell'organizzazione degli aiuti e nella sistemazione di famiglie sfollate: “Non c’è guerra civile in Siria, ci sono tentativi di renderla una guerra civile, c’è un pressione per trasformare il conflitto in un conflitto settario, abbiamo vissuto questa esperienza in Libano, si è visto in Iraq e ora lo vediamo in Siria. La gente non vuole la guerra e la violenza: il mondo ci aiuti a ritrovare la pace. Chiediamo alla comunità internazionale e all’Unione Europea di aiutarci a ritrovare la pace, non di fomentare la guerra!”. Appello destinato a restare inascoltato, perché le bande di islamisti salafiti, armati e finanziati da Qatar, Arabia Saudita e Turchia, che vogliono una Siria esclusivamente sunnita e seminano il terrore al grido di “Cristiani a Beirut (cioè via dalla Siria), Alauiti nella tomba”, godono del pieno appoggio della Nato e delle principali potenze occidentali, Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna (anche l'Italia di Mario Monti – sarebbe comunque lo stesso con Berlusconi o Bersani - è schierata al loro fianco, ma, in miseria, si limita ad un sostegno politico-morale).

Da giurista mi sono chiesto cosa contino le Nazioni Unite e, ancor prima, che ne è stato del diritto pubblico internazionale, dal momento che uno dei suoi principi, essenziale per la coesistenza pacifica, è quello del rispetto della sovranità e della non ingerenza negli affari interni di altri membri della comunità internazionale. Principio tradizionale ribadito, nel 1945, dallo Statuto dell'Onu, e, di nuovo, nel 1975, nella Dichiarazione sui Principi che reggono le relazioni fra gli Stati partecipanti nell’Atto Finale della CSCE, con la precisazione che "gli Stati si astengono fra l'altro dall'assistenza diretta o indiretta ad attività terroristiche o ad attività sovversive o di altro genere volte a rovesciare con la violenza il regime di un altro Stato partecipante". L'esatto contrario di quanto accaduto appena ieri in Libia, ieri l'altro in Serbia, e sta adesso accadendo in Siria sotto il patrocinio della NATO, e di quegli Stati (in prima linea Usa, Inghilterra, Francia) che ben lungi dal condannare il continuo invio di uomini e armi da parte di Arabia Saudita. Turchia e Qatar, non solo approvano, ma forniscono a loro volta denaro e mezzi bellici, promuovono la formazione di un adeguato comando unitario e di una specie di governo subito riconosciuto come unico legittimo rappresentante del paese.

A sostegno di questa politica interventista alcuni giuristi hanno escogitato la teoria dell' “intervento umanitario”, che dovrebbe legittimare l'ingerenza armata negli affari degli Stati nei quali non si rispettino i valori democratici e vengano violati i diritti umani. Si tratta però o di politici malamente travestiti da giuristi o, peggio, di giuristi di servizio, sempre disponibili ad attaccare l'asino dove vuole il padrone. Difatti le violazioni che dovrebbero autorizzare interventi militari sono già previste dallo Statuto dell'Onu, che attribuisce in via esclusiva al Consiglio di Sicurezza tanto l'accertamento delle violazioni quanto la decisione sui rimedi da applicare.

Questi giuristi d'accatto nemmeno si sono accorti che in questo modo fanno della Nato il contraltare dell'Onu ai vertici della comunità internazionale. O forse lo sanno fin troppo bene. Dal momento che l'Alleanza Atlantica è armata fino ai denti mentre le Nazioni Unite debbono piatire dagli Stati membri l'invio di qualche battaglione di “caschi blu” è facile immaginare chi, in caso di contrasto, abbia più voce in capitolo.

Difatti, povera Siria e poveri cristiani siriani.
http://www.identitaeuropea.it/?p=968

 Faccio i complimenti al Dottor Agnoli per la puntuale e profonda analisi della situazione siriana. Solo su un punto ritengo di non essere completamente d'accordo: il Dott. Agnoli ritiene come certo il ritiro dell'appoggio russo ad Assad e la conseguente caduta del suo regime. Francamente io invece non vedo un reale mutamento della posizione russa. A fronte delle vere o presunte dichiarazioni di Bogdanov su una possibile vittoria dei ribelli vi sono atteggiamenti, come le programmate manovre navali della flotta russa davanti alle coste siriane, che fanno ritenere come i Russi siano ben lontani dal ritenere persa la partita. A maggior ragione se fosse vera la notizia che sta circolando della firma di contratti miliardari per la ricostruzione tra il governo siriano e imprese russe. Putin poi, nella sua conferenza stampa, non ha fatto che ribadire un concetto che esprime fin dall'inizio della crisi: solo il popolo siriano deve poter decidere del suo destino. Dovrebbe essere una regola aurea per tutti, ma evidentemente non è così... MARIO VILLANI