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lunedì 7 maggio 2018

mons Abou Khazen: «..e sono assolutamente contro i corridoi umanitari che non sono altro che un invito a lasciare il Paese».

Tre vescovi che non si arrendono

di Michele Zanzucchi

«Il simbolo della guerra attuale sono i 15 km del suq di Aleppo che sono stati distrutti: erano Patrimonio mondiale dell’Unesco. Sono stati distrutti per il disegno di spartizione della Siria, alla caccia del petrolio e del gas del nostro sottosuolo. Che altro scopo può avere la presenza, ad esempio, di 2 mila soldati statunitensi? Difendere i curdi? Li hanno abbandonati, si contano ormai 3.600 morti. È stata operata una distruzione sistematica delle infrastrutture del Paese, in un’offensiva i bombardieri Usa hanno distrutto i 32 ponti sull’Eufrate ed è stata danneggiata la diga che trattiene un invaso di 85 km: l’irrigamento ormai è un ricordo nella regione. 23 gruppi etnici e religiosi erano un bel mosaico, chissà in futuro. Con l’arrivo dei russi qualcosa s’è mosso, e ormai in 5 mila villaggi c’è stata resa delle armi e un inizio di riconciliazione. Ora bisogna riaprire le scuole».   Mons. Georges Abou Khazen, vicario apostolico dei latini, francescano, entra in materia molto decisamente. Come tutti (o quasi) i cristiani rimasti in Siria sceglie la continuità dello Stato siriano: «C’è una proposta di nuova costituzione laica: per la Siria sarebbe un passo in avanti nella cittadinanza, perché la vecchia costituzione verrebbe epurata da alcune tracce di shari’a. Anche il muftì di Aleppo la accetterebbe. E verrebbe introdotta anche la possibilità di cambiare religione».
Racconta di un progetto in comune col muftì: «Vogliamo occuparci dei bambini abbandonati di Aleppo, spesso nati per le relazioni estemporanee di soldati o ribelli con donne del popolo, senza che poi vi sia stato riconoscimento alcuno dei nuovi nati. Si chiama “Un nome e un avvenire”. Abbiamo trovato due centri, uno già è in funzione, l’altro aprirà tra pochi giorni: vogliamo dare un nome a questi bimbi e un supporto scolastico adeguato, cercando pure di realizzare eventuali “ricongiungimenti familiari”. Non sarà un centro per far dormire i bambini, ma un centro per risolvere alla radice i loro problemi. Nell’Islam non c’è adozione, ma qualcosa si può egualmente fare, si può accogliere in famiglia un bambino dandogli il nome, ma dichiarando pubblicamente che quel piccolo non è figlio naturale della coppia. A 18 anni il ragazzo partirà di casa».
Cosa fare per i giovani siriani che se ne vanno? «Abbiamo già fatto molto, ma quando non c’è più cibo, né sicurezza, la battaglia è difficile. La guerra ormai dura da 7-8 anni, i giovani si sono trovati a combattere contro loro coetanei che magari erano loro amici, e poi la scia di morti e feriti è stata senza fine, e così i mutilati che non trovano ancora protesi, mentre le famiglie si sono smembrate, gli anziani sono stati abbandonati a loro stessi e hanno dovuto bruciare persino le loro scarpe per scaldarsi d’inverno! Solo cessando la guerra i giovani torneranno. Ci interroghiamo se ora è giusto aiutare i profughi all’estero: credo che si debba aiutare la gente a restare, solo a restare. In questo senso sono assolutamente contro i corridoi umanitari che non sono altro che un invito a lasciare il Paese».

Mons. Audo
È invece gesuita e caldeo, mons. Antoine Audo, una delle voci più ascoltate in Occidente della Siria cristiana. Commenta l’ultimo raid americano-franco-britannico: «È stato un momento molto triste, mi dice, ma nel contempo è chiaro ormai che l’esercito siriano, col supporto russo, sta vincendo la guerra. È stato in qualche modo un atto di frustrazione degli sconfitti. I leader occidentali vogliono umiliare il presidente Assad, ma con lui dovranno trattare. E sullo sfondo ci sono le grandi questioni del petrolio, del commercio delle armi, della lotta tra sciiti e sunniti, della presenza di Israele. La Chiesa cattolica deve dire la verità e portare a un dialogo vero tra sunniti e sciiti qui in Siria».
Passiamo a parlare dei bimbi di strada, anche con mons. Audo: «Spesso hanno traumi sessuali, sono stati violentati, non sanno cosa voglia dire avere una madre. È una novità per la Siria, un Paese ben organizzato e a suo modo ricco. Ma non tutti i bimbi sono così. Sono rimasto stupito dalla forza dei bambini di Aleppo Est che hanno una straordinaria capacità di adattamento, di sopravvivenza, che gli europei nemmeno sospettano che esista. Anche gli anziani hanno maturato una loro forza di resistenza: lo vedo in alcuni centri che abbiamo aperto per loro. Sono soprattutto musulmani. Qualcuno arriva ad accusarmi di aiutare i musulmani invece dei cristiani: ne sono orgoglioso, anche se non dimentico i fedeli delle nostre Chiese cristiane». Continua sulla questione musulmana: «I musulmani hanno scoperto in questa guerra un po’ meglio le qualità dei cristiani, soprattutto per le attività umanitarie che abbiamo organizzato. Lo sguardo è rinnovato. Ma i cristiani hanno invece perso la fiducia nei musulmani, a causa del fanatismo di gruppi armati, soprattutto pagati e ispirati dall’estero. Qui ad Aleppo tanti cristiani usano parole aggressive nei confronti dei musulmani, ma non è giusto».
La Chiesa si è trasformata in una Ong? «No. Non è il nostro scopo quello di fare solo opere di solidarietà. Bisogna resistere spiritualmente e intellettualmente, evitando lo scadimento delle qualità della comunità cristiana in Siria, come in Iraq». La sfida? «Mantenere la speranza. Rileggo in questo periodo von Balthasar e altri teologi: quello che non avevo capito nelle loro riflessioni ora mi sembra di capirlo. La guerra porta anche all’intelligenza della fede. E con questa intelligenza dobbiamo ricostruire le basi di un Paese prospero come la Siria».
Cosa sarà la Siria tra 5 anni? «Bisognerà vedere se anche il regime Baas saprà riconoscere i propri sbagli, le proprie ingiustizie, nella ricerca di un dovere della verità. Con la violenza non si arriverà a nessun cambiamento vero. La Chiesa ha il dovere di lavorare per il cambiamento, anche se siamo deboli. Anche la nostra influenza nella politica e nell’esercito è molto diminuita in questa guerra, anche se ci sono cristiani validissimi, come cinque ministri. Ma speriamo, sempre».
Jean-Clement Jeanbart

Ci riceve in un episcopio provvisorio, un semplice appartamento, perché la sua cattedrale è stata distrutta. L’arcivescovo greco-cattolico di Aleppomons. Jean-Clement Jeanbart, ha un carattere di ferro: «Questa è una terra santa – esordisce – che va preservata assolutamente, curata e sostenuta. La Siria ha dato 7 papi a Roma, il Vaticano deve riconoscenza a questa Chiesa. Non bisogna in alcun modo favorire la diaspora, bisogna incoraggiare tutti i cristiani a rimanere da queste parti, anche pagando il loro ritorno, sostenendoli con nuovo lavoro… 40 persone sono tornate negli ultimi mesi nella nostra comunità. Il papa deve dire chiaro e forte non solo: “Cristiani rimanete in Siria”, ma anche: “Cristiani tornate in Siria”. Anche perché le Chiese d’Oriente possono aiutare le loro consorelle d’Occidente a ritrovare i valori fondanti del cristianesimo».
Il presente è in chiaroscuro: «Per Pasqua ho celebrato messe per 4 mila persone. Non poche. Ora bisogna riaprire scuole, istituzioni e chiese danneggiate o distrutte, perché solo così il Paese ritroverà un suo ruolo nella comunità internazionale. Ma per far questo dobbiamo mantenere la laicità del Paese, e così sopravvivremo. Questo influenzerà positivamente anche l’Islam, perché senza libertà religiosa non si potrà sopravvivere da queste parti. Non bastano i soldi, serve libertà».

domenica 29 novembre 2015

Avvento in Siria 2015: I Focolari e la condivisione del dolore

I bombardamenti a Damasco e in altre località siriane sono l'altra faccia della guerra sulla sponda opposta del Mediterraneo. La gente vuole la pace e si chiede chi invece continui a volere la guerra e a fornire armi al posto di cibo e farmaci


21-11-2015  Diario dalla Siria, a cura di Maddalena Maltese
fonte: Città Nuova

Mentre i colpi di mortaio stanno cadendo vicino a noi, la paura e la preoccupazione ci assalgono sia per la nostra vita che per quella di tutti quelli che conosciamo crisitiani o musulmani, siriani o stranieri: ci accomuna l'appartenenza all'umanità e l'essere tutti fratelli e sorelle. In queste vie di Damasco si vive e si muore insieme, senza distinzione alcuna.

Il bilancio del bombardamento è tragico: 9 morti e 52 feriti. Nessuno ne parla. Parigi ha per ora la ribalta. Ma questi sono i numeri della guerra dall'altra parte del Mediterraneo, sono i numeri di questa giornata. Non voglio fare somme che rendano ancora più raccapricciante quanto qui è per tutti una normale quotidianità. Appena il frastuono termina, perchè il rumore delle bombe è assordante, prendo il cellulare e chiamo tutti: "Stai bene? Dove sei? Non muoverti! Aspetta...". Queste sono le domande ricorrenti dopo ogni lancio di bombe o dopo i colpi sul quartiere. Ci raccomandiamo a vicenda di restare fermi nel posto che per ora ci ha dato rifugio e scampo e lì si resta perchè non si capisce dove andare.
L'ufficio, la cucina, l'androne diventano rifugi o tombe a seconda se le bombe ti hanno risparmiata o ti hanno centrata. Dentro di me le domande persistono, continue come un mantra: "Ma è normale vivere con questa agitazione? E' normale che la gente debba vivere sempre nella paura? Perchè l'altra parte del mondo tace? Fino quando dovrà durare questa assurdità? E' possibile che il potere, i soldi, gli interessi possono vincere sulla volontà di pace dei popoli e della gente semplice?

Aleppo all'inizio di novembre è rimasta per 15 giorni senza viveri e le strade di accesso erano chiuse. Le mine sono un altro dei lasciti di questa guerra. Prima di riaprire ogni via di transito, bisogna sempre sminarla. Un villaggio vicino Homs è stato preso di mira dall'Isis e ci sono circa tremila sfollati. La gente desidera che la guerra finisca e si fa tante domande: "Chi procura le armi a queste milizie crudeli? Perchè non arriva il cibo ma arrivano munizioni e ordigni bellici?".
Questi interrogativi ci lacerano, mentre la preghiera diventa il balsamo, la nostra roccia. La comunità cristiana cerca di vivere nella normalità, si incontra alle celebrazioni, lavora a tanti progetti di solidarietà, ma siamo in pochi.
Si parte inesorabilmente, si lascia una terra amata perchè non si vedono prospettive e tutto è costosissimo, dai farmaci ai cibi. Ma anche chi parte, desidera tornare: la vita è salva, ma non è la vita in Siria, non gli stessi rapporti, non gli stessi gusti, non la stessa complicità. Eppure non si è divisi. Si è sparsi, ma si continua a vivere tutti insieme per la stessa pace.

sabato 12 ottobre 2013

Una risposta adeguata alla crisi siriana

Il contributo del responsabile della rete internazionale di giuristi “Comunione e Diritto” per una lettura della questione della guerra in Siria e il compito dell’Europa



05-09-2013  di Gianni Caso
fonte: Città Nuova


Abbiamo seguito in questi giorni le notizie riguardanti l’eventuale azione militare americana e inglese nei confronti della Siria di Assad. Sulla stampa si sono fatte tante ipotesi sullo scopo e il significato di tale azione e sulle possibili conseguenze. Al momento, il presidente Obama ha sospeso l’azione richiedendo l’assenso del Congresso. Analoga cosa è avvenuta in Inghilterra, dove il gabinetto Cameron si è sottomesso alla decisione della Camera dei Comuni. Ritengo che tutto ciò sia positivo e l’avere sospeso l’intervento militare sia stata una prova di saggezza.

Tuttavia rimane il problema dell’atteggiamento dell’Occidente – intendendo per Occidente in senso stretto l’Europa e gli Stati Uniti – di fronte al mondo islamico.
Qui, a mio avviso, alcuni princìpi, che sono anzitutto princìpi ideali e di giustizia prima che di diritto internazionale, devono imporsi agli Stati occidentali (compresi quelli dell’Europa orientale). Il primo principio è la non interferenza negli affari interni degli Stati. Può fare eccezione solo l’intervento chiaramente umanitario, ma sotto l’egida delle Nazioni Unite. Riguardo alla non interferenza bisogna purtroppo rilevare che ad essa non sembrano attenersi neppure gli Stati arabi, se è vero, come sembra, che alla crisi siriana non siano estranei altri Paesi e gruppi arabi.

Un secondo principio che dovrebbe ispirare i rapporti tra gli Stati è la difesa della libertà propria ove questa sia minacciata dall’esterno. La difesa della propria libertà è un sacrosanto dovere e diritto. Questo principio, però, non può essere interpretato nel senso di imporre con la forza la libertà negli Stati ove non ci sia, almeno nel senso che noi occidentali abbiamo della libertà. Fa eccezione, come detto, l’intervento umanitario. Esiste, poi, già il principio nella Carta dell’Onu del divieto di risolvere con la guerra le controversie internazionali.

Venendo a considerare più in concreto il rapporto tra mondo occidentale e mondo islamico, anche qui occorre una dottrina chiara. Questo rapporto riguarda due aspetti: a) le divisioni e le lotte all’interno del mondo islamico; b) il confronto tra l’Occidente e l’Islam.
Quanto al primo aspetto, bisogna accettare che il mondo islamico ha la sua storia e ha diritto di continuare a costruirsi la sua storia. È vero, ci sono all’interno del mondo islamico divisioni e guerre religiose; ma anche la cristianità ha avuto le sue guerre di religione (che, però, sia per gli uni che per gli altri, a ben vedere, sono guerre politiche, ossia legate al potere).
Quanto al secondo aspetto, penso che il confronto tra Occidente e Islam debba avvenire sul piano della civiltà e della cultura. E, in questo confronto, ciò che si richiede all’Occidente (Europa, compresa quella slava, e Nord America) è recuperare la propria civiltà e la propria cultura, che sono quelle della cristianità.

Si afferma che, nell’epoca della secolarizzazione che stiamo vivendo, la cristianità attraversa una grave crisi, per cui non si può più parlare di Occidente cristiano. Ciò nonostante, penso che la sfida per l’Occidente sia proprio questa. Anzitutto, la cristianità deve risolvere i problemi che sono al suo interno in una duplice direzione: a) superare la divisione tra le Chiese, iniziando subito con l’unità tra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa. Questa unità darebbe alla cristianità, e quindi all’Occidente, la possibilità di presentare all’Islam i propri valori di cultura e di civiltà, inducendo il mondo islamico a fare altrettanto. A questo riguardo, bisogna rilevare quanto sia grave, pericoloso, e non assolutamente accettabile e giustificabile, un rivivere della rivalità tra America e Russia proprio nell’atteggiamento di fronte al mondo islamico.
Ed ecco una ragione in più per l’unità tra cattolici e ortodossi; b) riscoprire e proporre una fede cristiana che risponda ai bisogni dell’uomo e dell’umanità di oggi; che ritrovi l’uomo, al cui servizio deve porsi. Un cristianesimo, quindi, nuovo che recuperi e attualizzi le ragioni del primo annuncio.
Sono stato questa estate in visita al santuario della Madonna di Monte Lussari, posto sui confini tra Italia, Austria e Slovenia. Esso è meta continua di pellegrinaggi delle popolazioni latine, slave e germaniche, ed è diventato simbolo dell’unità dei popoli latini, germanici e slavi, che hanno costruito l’Europa e la cultura europea. Che possa aiutare a costruire l’unità politica dell’Europa.

http://www.cittanuova.it/c/431044/Una_risposta_adeguata_alla_crisi_siriana.html

Siria, una chance (subito) per la pace


Terrasanta.net - di Giuseppe Caffulli

Il clima a Damasco, dopo il raggiungimento dell’accordo tra Usa e Russia e l’accettazione da parte di  Bashar al Assad del piano sulla distruzione delle armi chimiche, sembra essere più sereno. Ma lo spettro di un intervento armato (nel caso di mancato rispetto degli accordi da parte del regime siriano) non è affatto scongiurato.

Nel frattempo, come rivela il Washington Post, gli Usa hanno iniziato a rifornire di armi i ribelli. La Russia, da parte sua, da sempre sostenitrice di Damasco, non ha nascosto i dubbi circa l’esito del rapporto degli ispettori Onu sull’uso di armi chimiche in Siria (il testo è stato presentato il 16 settembre scorso). Per Mosca le «prove inequivocabili» a carico di Assad altro non sarebbero altro che indizi parziali e deduzioni viziate da pregiudizi politici.

Nel mezzo della tragedia siriana, tra ipocrisie e menzogne, a preoccupare sempre più è la marea di rifugiati interni e profughi, mentre il Paese è allo stremo: mancano in molte zone generi di prima necessità e medicine. Ovunque morti (ormai centomila) e centinaia di migliaia di feriti (in gran parte civili) in una guerra che dura ormai da due anni e mezzo. E della quale, ad oggi, non si vede la fine.

Può essere un intervento contro Assad (con il rischio di rafforzare le frange dell'Islam qaedista che controllano zone del Paese, e il cui integralismo religioso preoccupa fortemente le comunità cristiane siriane) a risolvere la situazione? Può essere viceversa il sostegno alla galassia delle fazioni anti-Assad, spesso in contrapposizione tra loro e con progetti politici diametralmente opposti?

O non è proprio questo il momento di giocare con più forza l’arma della politica e della diplomazia, agendo sugli attori regionali (Iran, Turchia, Arabia Saudita, Qatar) in campo su fronti opposti, per trovare rapidamente una via d’uscita? Solo il dialogo e la trattativa (come ha ribadito Papa Francesco) «rispettando giustizia e dignità soprattutto per i più deboli», può fornire una qualche soluzione.

Nell’imminenza del paventato attacco Usa su Damasco, gli operatori umanitari si erano trovati a fronteggiare un nuovo, massiccio flusso di profughi verso la Giordania, il Libano e il Kurdistan iracheno.
Se non sarà data una nuova possibilità alla pace, il baratro nel quale sembra essere precipitata la Siria potrebbe farsi ancora più profondo.

http://www.terrasanta.net/tsx/articolo-rivista.jsp?wi_number=5454&wi_codseq=TS1305

sabato 5 ottobre 2013

Diario dalla Siria: testimoni, sperando oltre ogni speranza


dalla fortezza i guerriglieri bombardano i sottostanti villaggi cristiani

Intervista ad alcuni siriani giunti nella città giordana per incontrare la presidente dei Focolari. Torneranno nelle loro case esposti a bombardamenti e attentati, ma cosa e come stanno vivendo?



Amman, 05-09-2013  a cura di Roberto Catalano
fonte: Città Nuova

Come sono percepiti e vissuti dai cristiani siriani gli avvenimenti tragici che stanno dilaniando il Paese? Dai vostri racconti emerge che la prospettiva occidentale con cui si legge il conflitto è parziale e imprecisa. Dove sta il problema?
«Riguardo alla Siria, non si può ignorare l’impatto devastante che hanno avuto i potenti media occidentali e arabi nel preparare il terreno alla guerra civile e nell’accompagnare il suo svolgersi. Ora stanno lavorando per spingere un intervento esterno a tutti i costi. Abbiamo toccato con mano in questi quasi tre anni di conflitto come i mezzi di comunicazione, potenzialmente utili al bene dell’umanità, possano invece diventare la mannaia del boia per interi gruppi sociali, religiosi o, persino, per un popolo intero. Se si vuole cogliere quanto sta accadendo in Siria è necessario cominciare da un cambiamento nell’uso dei media e nella lettura di quanto trasmettono. Questo contribuirebbe ad aiutare la pace. Ovviamente, qui entriamo nel merito di giganteschi interessi economici e politici e anche su questi il dibattito non può essere unilaterale».


Ha senso parlare di dialogo fra le religioni in questo contesto?
«In Siria il dialogo c’è sempre stato, a livello ufficiale, promosso dal moufti, da altre personalità musulmane e dalle Chiese, che sono sempre state rispettate nel loro lavoro. In questo senso nulla è cambiato. La Siria in questi tre anni ha pagato però anche il prezzo dell’integralismo che si è manifestato con l’uccisione di esponenti dell’Islam sunnita moderato. Si tratta di persone di grande valore, come il chekr El Boudi, presidente del Consiglio internazionale dei professori di legge islamica. Amiche quarantenni mi hanno raccontato che fin dalla loro infanzia ascoltavano molto volentieri le sue prediche del venerdì, perché intrise di sentimenti e idee di amore, compassione, rispetto reciproco. Tutto questo è durato fino al momento della sua barbara uccisione avvenuta a Damasco alcuni mesi fa».


E i cristiani?
«A livello di popolo, con l’inizio delle violenze, è cominciata a serpeggiare tra i cristiani la paura, frutto, da una parte, di quella che potremmo chiamare la “memoria storica” di questa componente religiosa del Paese (per esempio la guerra libanese). Dall’altra, non dobbiamo dimenticare l’ingresso nelle varie città siriane di gruppi armati terroristici dichiaratamente ostili ai cristiani, che possono essere uccisi solo perché portano questo nome. Non che prima tutto fosse roseo, ma certo è che, seppur le leve del potere erano in mano ai musulmani (alaouti o sunniti), i cristiani erano rispettati e potevano accedere anche a posti di qualche responsabilità nell’amministrazione pubblica e nel mondo accademico. In ogni caso, sebbene quello che avviene in Siria non sia un attacco diretto ai cristiani, di fatto li pone di fronte al dramma dell’emigrazione, come unica via per sfuggire alle violenze e per assicurare un futuro ai propri figli. Il dialogo interreligioso non è solo questione siriana».


Come si vive la quotidianità sotto attentati e bombe?
«Ad Aleppo i prezzi sono aumentati ancora. Nella parte sotto il controllo dell’esercito siriano il pane è introvabile perché le strade di accesso ai silos di farina sono sotto controllo dei ribelli. La strada che collega Aleppo-Homs-Damasco è pericolosissima. Soprattutto nel primo tratto si rischia realmente la vita. Ma viaggiare in tutto il Paese, a parte sulla costa, è diventato un terno al lotto. Percorsi che prima richiedevano tre ore ora ne necessitano anche 36. Dieci giorni fa terroristi di Jabat el Nouszra sono scesi dal Krak des Chevaliers verso la zona cristiana di Wadi Nazara, hanno eliminato i soldati in due posti di blocco, sono entrati nel primo villaggio cristiano dove si svolgeva una festa e hanno falciato i passanti, soprattutto giovani, che si trovavano nella strada principale. I morti sono stati almeno 18. Poi si sono ritirati. Questo ha gettato nel terrore le famiglie, molte delle quali già sfollate da altri posti della Siria».


Esiste a qualche livello la speranza di una soluzione pacifica o politica al conflitto?
«Non mi sembra che in queste settimane ci siano stati segnali positivi. Al contrario i combattimenti si sono intensificati in varie parti del Paese e, di conseguenza, la paura dei civili è cresciuta. L’impressione che ho avuto a Damasco la settimana scorsa è di sentire riecheggiare le parole del Salmo: “Come un agnello condotto al macello”. Mai come in quel momento ho capito la realtà dell’Agnello innocente che non può far nulla di fronte alla morte incombente e ingiusta. È questa la realtà della gente soprattutto dopo la minaccia dell’attacco da parte degli Usa: sgomento e desolazione. Ci si guardava negli occhi increduli come a dire: "Attaccheranno davvero?". I mortai e i razzi dalla periferia sulla città erano molto più numerosi e l’attacco dell’esercito altrettanto pesante».


http://www.cittanuova.it/c/431065/Diario_dalla_Siria41.html
  

Il racconto di una stilista di Damasco

L’esperienza di Rahmé conferma che in nome della fratellanza si può abbattere qualsiasi tipo di barriera, anche a costo di gravi rischi.

Focolare.org 
 29 settembre 2013



.... Nel giugno 2013, nel giorno della consegna dei diplomi, alla presenza di membri dell’Associazione internazionale e dei rappresentanti della Mezzaluna Rossa, è stato chiesto loro quali fossero stati i momenti più difficili durante l’anno. Una, a nome di tutto il gruppo, ha risposto che era quello il giorno più difficile, perché era l’ultimo giorno nel Centro. “L’unico posto – diceva – dove riusciamo a respirare e che ci ha sempre aiutato ad andare avanti, mettendo la pace nelle nostre famiglie e nei nostri cuori”.



Nell'anniversario del martirio di Padre Murad...

La morte di padre Murad e la fuga di tanti cristiani lasciano campo libero all'estremismo religioso che non vedrà più un Paese dove le religioni sapevano convivere pacificamente. Le responsabilità dell'Occidente in questa nuova diaspora non vanno taciute



Città Nuova 28-07-2013  - a cura di Maddalena Maltese  


«La notizia dell’uccisione di padre Franҫois Murad, eremita francescano morto a Ghassaniye, nella zona nord-occidentale del Paese occupata da più di un anno dall’Esercito Libero e da ribelli, ci ha colto di sorpresa, anche quella, come una staffilata. Nella messa della sera il celebrante francescano l’ha annunciata ai fedeli che riempivano la chiesa di Bab Touma, poco prima di leggere il Vangelo che quel giorno recitava: «Chi vorrà salvare la propria vita la perderà ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo la ritroverà». Papa Francesco all’Angelus dell'altra domenica aveva commentato quel brano ricordando i martiri attuali che danno la vita per la fede e la verità.

Lo conoscevo bene Padre Franҫois, lo si vedeva sovente celebrare nella chiesa dei Francescani a Azizie, si sapeva del suo progetto, poi realizzato, di creare nella zona di Ghassaniye un convento dove ritirarsi a pregare ma, anche, ad accogliere chi, come lui, volesse immergersi nella contemplazione, in quel delizioso posto della Siria, dove vigneti e alberi di olivo curati con somma attenzione, da centinaia di anni, parlano della laboriosità della gente, in gran parte cristiana.
Lì la tormenta è arrivata già da tempo e la morte di Padre Franҫois lo testimonia, come confermano anche le religiose che si trovavano al momento dell’uccisione non lontano dal convento, già colpito più di una volta. Ma c’è di più. Da giorni i conventi della zona erano sotto attacco da parte di elementi armati che li stavano saccheggiando, infierendo soprattutto contro le immagini sacre. Il custode della Terra Santa, padre Pizzaballa, ha già dichiarato che in questo modo, fornendo armi alla ribellione, l’Occidente sta facendo davvero un bel servizio ai cristiani d’Oriente, chiedendosi a ragione se di qui a poco ne resteranno ancora.

Chi ci guadagnerà da questa loro fuga, già vista in Irak e in Libano e in Libia e in Egitto? Sicuramente l’estremismo, e quello più fanatico, appoggiato da quei Paesi che continuano a ragionare in termini di nuovi assetti regionali. Chi ci perderà? Forse tutti, perché l’estremismo religioso è alle porte anche nelle città occidentali, americane ed europee, da dove centinaia di mercenari sono partiti in questi mesi per venire a combattere in Siria contro quelli che, perché diversi, sono considerati eretici. Sono giovani che ormai da anni hanno nazionalità europea ma che non hanno recepito il fulcro della cultura europea e le sue radici forse perché l’Europa e l’Occidente continuano a calpestarle, le loro nobili radici, e non riescono a presentarsi al mondo se non con la loro avidità, quella di chi non ha paura di provocare guerre a destra e sinistra pur di procurarsi petrolio e gas o minerali preziosi e continua a ragionare in termini di “nemico” per poter vendere armi. Che pena! Un incubo da cui ci sveglieremo?
In Siria, nella regione di Deir Ezzor, non lontano dalla frontiera turca, nella zona ricca di petrolio e di centri di estrazione del prezioso minerale, sono i ribelli stranieri e quelli interni che hanno ora in mano il territorio e la produzione petrolifera e che stanno inviando il petrolio, a prezzo stracciato, in Turchia e di lì anche in Occidente. L’ha raccontato con profonda amarezza un signore sunnita fuggito da Deir Ezzor con la famiglia qualche mese fa, quando la situazione non faceva ormai presagire nulla di buono. Non ha alcun affetto per il governo al potere, anzi, ma non può nascondere lo sgomento di vedere il suo Paese depredato, con la complicità di suoi connazionali. «Quando tornerà la pace, non troveremo lì che persone malate per il grado altissimo di inquinamento, giacché le fabbriche sono state colpite e poi occupate e il primo lavoro di raffineria si fa ora con mezzi assolutamente inadeguati».

Ma queste cose non le ha potute dire ad alta voce, giacché non sono accettate dai nuovi padroni della regione, e anche per questo se ne è andato, a ingrandire quella schiera innumerevole di persone che in Siria hanno dovuto lasciare il loro passato e vedono cancellato il futuro. A meno che nel presente drammatico in cui si continua a vivere e a morire non arrivi il miracolo».
Giò Astense


"ci vuole ormai del coraggio per decidere di restare nella bella Siria"


Il Ramadan non fa tacere le armi e le morti assurde che costellano le giornate dei siriani: il piccolo Salem è stato ucciso da una scheggia, mentre un medico giocava a fare il cecchino contro i pullman di linea di passaggio sotto l'ospedale


Città Nuova - 19-07-2013  

« ll mese di Ramadan, mese di preghiera e di digiuno, é cominciato male e non sembra far presagire nulla buono. 
Le notizie alle tv sono sconfortanti, pare di assistere, passi la parola, ad una farsa al capezzale di un povero moribondo. E quanto mai inumano e repellente il doppio gioco condotto su questo Paese ormai in guerra da più di due anni.
Parole di accusa, descrizioni di piani bellici, silenzi colpevoli di fronte alla violenza, tira e molla tra governo ed esercito ribelle pur di non trovarsi insieme ad un tavolo di dialogo che metterebbe fine ai dolori indicibili nella popolazione. Si usano solo parole altisonanti che dicono semplicemente a chi le sa decifrare l’inutilità di una guerra quanto mai sporca e crudele. Non cesserò mai di ripeterlo, a me e a chiunque voglia convincermi del contrario.

No, questa guerra non si doveva fare, né ieri né mai e le ultime notizie dell’uccisione da parte di terroristi di due alti responsabili dell’Esercito Libero confermano il caos e la divisione imperante che può portare solo a piani inconcludenti in direzione della pace ma che svelano purtroppo un progetto per il quale si continua a scavare nel torbido: gettare il Paese nella violenza più cieca, dove tutti combattono contro tutti, per poterlo dividere o renderlo assolutamente invivibile per almeno i prossimi vent’anni.

Già, perché ci vuole ormai del coraggio per decidere di restare nella bella Siria, benché la parola speranza sia anche qui l’ultima a morire. Ma non la ripetono più i genitori del piccolo Selim ucciso da una scheggia in un quartiere cristiano di Aleppo sabato scorso, proprio davanti alla casa di un’amica che se l’è cavata per miracolo. Non lo ripete più la famiglia di quel giovane che era rientrato a Damasco dai Paesi arabi per assistere al matrimonio della sorella. Prima di ripartire ha voluto andare a visitare i parenti ma all’uscita da Damasco, a Harasta, un cecchino l’ha colpito mentre era sul pullman. Ed era un un cecchino di lusso l'autore di questo assassinio: un medico che dal suo gabinetto in ospedale giocava a tiro a segno con i passeggeri dei pullman di linea. E questo per dire a che punto è arrivata la barbarie».
Gio Astense

http://www.cittanuova.it/c/430103/Diario_dalla_Siria_40.html

martedì 9 luglio 2013

Diario dalla Siria : un cuore ( grandissimo) in azione













Gli struggenti racconti dei membri del Movimento dei Focolari nel Paese distrutto 


fonte: Città Nuova - a cura di Maddalena Maltese

«Sembra che in questi giorni non ci sia regione della Siria risparmiata dalle violenze. Ieri ho telefonato ad un’amica ortodossa sfollata a Banias, sulla costa, per farle gli auguri di Pasqua. Non c’è stata alcuna celebrazione liturgica a Banias, mi dice accorata. La città dove sono morte in questi giorni almeno centoquaranta persone vive in un clima irreale. Nel Giovedì Santo il sacerdote a metà liturgia ha fatto uscire la gente in fretta dalla chiesa ortodossa mentre cominciavano a piovere i colpi e da allora tutte le chiese, e non solo quella, sono rimaste chiuse. Anche lì la situazione è diventata davvero pesante.
«Dalla Siria ormai fuggono non solo i cristiani, ma anche i sunniti moderati preoccupati della deriva integralista. Nessuna donna prima di questo conflitto era obbligata ad indossare il velo, adesso viaggiare sicuri fuori città significa doverlo portare o tenerlo a portata di mano: impensabile in uno Stato che si è sempre definito laico. Ci sorprendono questi cambiamenti a vista d’occhio che non appartenevano alla cultura siriana.

«In questo clima di sospensione per un peggio che potrebbe arrivare ci interroghiamo senza sosta sul significato che le istituzioni internazionali danno all’espressione: Stato sovrano. Ci chiediamo: perché l’Onu tace? Perché i suoi organismi non hanno la forza di “obbligare” alla pace e al dialogo, come si dovrebbe fare quando fratelli incoscienti vogliono picchiarsi a morte, e sanno invece molto bene e molto in fretta votare embarghi che fanno poi solo la disperazione della gente?


«Perché tanti regimi in Medio Oriente vengono sostenuti e poi in un giorno tutto si capovolge e si aprono conflitti sanguinosi, dove massacri e omicidi diventano linfa per l’odio religioso? Perché sempre due pesi e due misure? Perché la verità tace o è sovente contraffatta e l’opinione pubblica mondiale è anestetizzata? 
A Banias due anni fa nelle memorabili manifestazioni del venerdì si gridava: “Alaouiti nella fossa e cristiani in Libano!” eppure all’opinione pubblica interna ed estera con un tam-tam insistente si vendevano storie di libertà di un popolo che finalmente aveva il coraggio di rivoltarsi, e lo si affermava, ahimè, per depistare il grande pubblico soprattutto esterno sulla vera realtà del conflitto siriano.
«Chi osava sottolineare tale incongruenza pur ammettendo con chiarezza le colpe del regime era tacciato di fautore di dittature e filo-non so che! Ora che la Siria è devastata e divisa, ora che il sangue di fratelli è versato copioso ogni giorno e c’è chi purtroppo crede nella vendetta e la usa, ora che i terroristi hanno raggiunto le montagne sopra Damasco e quartieri di Homs e Aleppo, ora si parla finalmente con tutta sincerità del gas del Qatar e della Russia e della volontà di indebolimento della politica shiita contro quella sunnita, dell’annosa questione palestinese e del gioco “fuori casa” tra Russia, Cina, Iran, Stati Uniti e Israele e del sogno turco di fare da padrone e di altro ancora.
«La parola libertà non la si nomina più. Forse perché si sa che la libertà, quella vera, nasce solo dalla giustizia, che vuol dire: dare a ciascuno il suo. Non armi o altro. Era probabilmente quella la libertà che anche il popolo siriano sognava, ma che nessun Paese ha saputo aiutarlo a realizzare. Forse perché non c’è più, o non c’è ancora, la cultura della fraternità universale. Sono ancora troppo pochi gli uomini adeguatamente preparati e convinti a percorrere in economia e politica o nel diritto questa strada come quella che paga davvero.
«È alla fraternità però che ci aggrappiamo ancora oggi, come ad un filo di speranza, che ogni giorno diventa sempre più sottile. Tutto deve sempre cominciare da ciascuno di noi, ne siamo convinti, ma abbiamo bisogno di aiuto e di preghiere per poterlo fare».

La situazione in Siria raccontata direttamente da chi la vive in prima persona. La toccante esperienza degli sfollati di Matcha Helou.
Ciò che vi scriviamo non vuole essere un’analisi economica o politica della situazione in Siria. È una testimonianza di vita, quella vita che grazie anche alle azioni di aiuto intraprese in tutto il mondo con grande generosità, ci permette di essere ancora qui a raccontare e a fissare attimo per attimo quei tasselli di pace, di condivisione e solidarietà, di ascolto profondo e di dialogo che impediscono la disperazione e mantengono tanta gente ancora sana (psicologicamente) e in piedi. A credere che la pace arriverà.
La gente è allo stremo. Il fatto di coabitare con la morte che può arrivare per tutti senza troppi annunci rende la vita sempre più pesante. Non si osa pensare al futuro per paura di affrontare la prospettiva che esso possa continuare ad esprimersi in questo modo e costringa quindi ad alzare le mani in segno di resa. “Non ce la faremmo a sopportare ancora per mesi un tale stress a livello psicologico, fisico ed economico” è la frase che si sente pronunciare da tanti. Poi, nel presente, si cuce quel “punto” che permette di continuare e di andare avanti, nonostante la distruzione circostante.

L’economia è in ginocchio per l’embargo e per la distruzione o la chiusura o la rapina di industrie e laboratori artigianali. A ciò vanno aggiunti i giochi di potere dei grandi commercianti che incidono paurosamente sulla svalutazione della moneta locale, ripercuotendosi in maniera drammatica sul caro vita. Non c’è ormai  posto della Siria dove i generi alimentari o quelli di prima necessità non siano a prezzi esorbitanti, nemmeno nelle campagne; delle altre cose (vestiario ecc.) non se ne parla nemmeno perché tutto in fondo, tranne le medicine, è sentito come superfluo dalla gente, che economizza al massimo.
Un chilo di patate, ad esempio, è passato da 30 a 150 lire siriane, il latte in polvere da 700 a 2.500, la carne da 450 a 1.200 al kg, il pane in tutto il Paese non scende sotto alle 100 lire, quando prima la “rabta”- così si chiamano qui nove pezzi del buon pane arabo – costava 15 lire. Ma gli stipendi sono restati, per chi ancora lavora, gli stessi.
In questo contesto drammatico si disegnano però fatti di riconciliazione, di comprensione reciproca, di dialogo, di aiuto concreto.

Shaza e gli sfollati di Machta Helou:
Machta Helou è un grande villaggio in una zona collinare non lontano dalla costa, dove si sono rifugiate tantissime famiglie di Homs, fra cui alcune persone del Movimento dei Focolari con cui siamo in contatto. Una di loro, Shaza, racconta che all’inizio dell’inverno erano arrivate famiglie bisognose di tutto: cibo, vestiti, riscaldamento. Sono state accolte in un vecchio convento abbandonato, arredato con mezzi di fortuna. Il trauma della fuga e della perdita di tutto erano schiaccianti. Ascoltarle, raccogliere le loro esperienze e le loro necessità, visitarle regolarmente, è stato il primo impegno di Shaza e dei suoi amici. Questo ha fatto nascere un rapporto di fiducia e di amicizia che ha consentito alle famiglie di esprimere la loro situazione senza paura e vergogna. Le organizzazioni presenti riescono a dare mensilmente a ciascuna famiglia un pacchetto di cibo di base (riso, olio, zucchero e legumi secchi) e a garantire alcune medicine ma ci si è resi conto per esempio che da molti mesi nessuno di loro mangiava carne o latticini, che i bambini non avevano latte a sufficienza, né si poteva andare dal medico per controlli o cure indispensabili.


«Anche tanti di noi siamo sfollati, racconta Shaza, e quello che abbiamo ci è appena sufficiente per vivere ma, grazie all’unità fra noi, abbiamo avuto la forza di uscire da noi stessi e di guardarci attorno, visitando regolarmente queste famiglie, stando con loro ed ascoltandole a lungo. Era difficile per noi vederli in quello stato, anche perché alcuni di loro erano nostri vicini a Homs o persone benestanti che si trovavano senza più nulla. Per noi la cosa più importante è stata fare tutto con amore, cercare di dare quel poco che avevamo con amore, ascoltando ognuno profondamente. Il rapporto con queste famiglie si è intensificato a tal punto che ci hanno chiesto espressamente di continuare a visitarle anche se non avevamo nulla da dare poiché si sentivano amate.»
Quando Shaza  e gli amici di Machta Helou hanno condiviso questa esperienza per cercare una soluzione per il futuro si è visto che, grazie agli aiuti raccolti per l’emergenza in Siria, avremmo potuto sostenere un piccolo progetto per almeno 3 mesi, per aiutare queste famiglie in modo mirato. L’aiuto economico è quindi arrivato come una preziosissima opportunità per alleviare i bisogni di queste persone, secondo un progetto personalizzato per ogni famiglia, che ha alla base l’offerta di un po’ di carne e formaggio, vestiti (un bonus per ogni famiglia), pannolini per i bambini, medicine e analisi mediche. Speriamo certamente che gli aiuti continuino e che queste famiglie possano continuare a trovare un po’ di sollievo.

Nel mese di maggio, che in Siria dai cristiani è molto sentito come il mese dedicato a Maria,abbiamo pensato che avremmo potuto anche proporre di recitare insieme il Rosario, come abbiamo poi fatto in una delle visite. Al termine, una delle persone a nome di tutte ci ha detto: «Grazie, grazie infinite di questo momento, ne avevamo estremamente bisogno”. L’esperienza più significativa che stiamo facendo è certamente quella della reciprocità: non c’è chi dà e riceve ma tutti diamo e riceviamo, ci sentiamo davvero fratelli e sorelle, una sola famiglia.


Una commovente telefonata mondiale con i membri del Movimento dei Focolari nel Paese allo stremo delle forze riporta l’attenzione sulla forza della preghiera e dell’aiuto concreto.
«"Noi stiamo bene. Da Damasco e da Aleppo vi salutiamo! In questo momento un gruppo di noi è ad un incontro di giovani, che si fa ormai da due mesi regolarmente in una parrocchia, perché vogliono conoscere l’ideale dell’unità.
Certo, la “notte” nel Paese si fa sempre più scura, non si sa fino a quando ce la faremo a resistere sia a livello di stress, che a livello economico. I prezzi sono alle stelle, la gente nella grande maggioranza pensa solo a garantirsi il cibo, perché tutto il resto è diventato superfluo e questo per persone abituate a lavorare è come uno schiaffo, sentono che anche la loro dignità è stata calpestata da questa guerra.
In tante località o quartieri poi si convive con il rischio, quando si esce di casa, ci si chiede: rientreremo? Ci sono poi i due Vescovi e i due sacerdoti rapiti di cui non si sa assolutamente nulla e per i quali si levano preghiere incessanti come per le altre persone rapite.
Ma in questa “notte”, ve lo possiamo assicurare, c’è una luce molto forte e sono le parole di Gesù, l’insegnamento di Chiara Lubich, che ci ripete di vivere l’attimo presente, di amare, restare uniti, tenere viva la presenza spirituale di Gesù tra noi.
E allora ecco il miracolo che davvero ci stupisce: viviamo “fuori di noi”, per gli altri, non pensiamo che ad amare, a disarmarci continuamente di fronte ai risentimenti o anche alla rabbia che si può provare nel cuore, a migliorare i rapporti tra noi e con tutti. Questo ci fa restare in una certa normalità, ci dà la pace e in tanti sentiamo che è proprio qui il nostro posto, perché proprio qui si può portare l’unità e la serenità, e di questo la gente è assetata.
Un giovane che fa il servizio militare e lavora negli uffici, in un posto che subisce molti attacchi, ci ha raccontato che durante uno degli ultimi, molto forti, mentre scappava con i colleghi nel rifugio, si è reso conto che uno di loro era stato colpito e giaceva a terra. Per un attimo il dubbio: “Torno indietro ad amare questo fratello o continuo a scappare?”. Nel cuore, chiara, una voce che gli diceva: “Non avere paura, Io sono con te”. È tornato indietro, si è tolto la camicia per arrestare il sangue che scendeva dalla gamba e ha aspettato, sotto i colpi, l’arrivo dell’ambulanza.
In questo momento in cui ci sentiamo uniti a tutti voi, vorrei ringraziare ciascuno degli aiuti che ci arrivano in vari modi e che ogni volta ci commuovono. Sono un segno di quella realtà di famiglia che ci accompagna sempre. Sono preziosissimi, ci permettono di fare sentire a Gesù nel fratello quell’amore che ognuno di voi ha per Lui, di consolarLo, di darGli la forza di resistere e non disperare.
Se siamo qui è perché voi e tanti con voi ci siete e ci sono, e allora quindi un grandissimo grazie, grazie e un saluto speciale da tutti qui, dalla Siria».


Per aderire al progetto Emergenza Siria lanciato dall'Amu (Azione Mondo Unito), l'organizzazione non governativa del Movimento dei Focolari: chiunque voglia contribuire può indirizzare i suoi aiuti specificando la causale del versamento Siria, Emergenza Siria su
c/c postale n. 81065005
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c/c bancario n. 120434 presso
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http://www.cittanuova.it/c/429534/Diario_dalla_Siria_37.html
http://www.focolare.org/it/news/2013/06/22/siria-nella-notte-del-dolore-il-miracolo-della-solidarieta/
http://www.amu-it.eu/2013/06/26/testimonianze-dalla-siria/?lang=it

giovedì 4 aprile 2013

Cristiani di Aleppo: quando loro, dalla sciagura, ci insegnano una fede più grande

Da sei giorni seguiamo con apprensione gli eventi in corso nei quartieri di Aleppo che fino ad ora erano stati risparmiati dalle violenze. Abbiamo pubblicato le testimonianze  giunte nei giorni scorsi dai Fratelli Maristi e via via  aggravate da terribili notizie  ed  orrori 


Dai Frati della Custodia di Aleppo (notizia agenzia SIR):


"E’ stata una reale Settimana di passione quella appena trascorsa dalle comunità cristiane di Aleppo, città martire della Siria, al centro da mesi di violenti scontri tra forze fedeli al regime di Assad e quelle dell’opposizione armata e dei ribelli. La Custodia di Terra Santa ha da poco diffuso la testimonianza delle due fraternità francescane di Aleppo relativa alla Pasqua appena trascorsa. “Ad Aleppo - si legge nel testo che riporta le parole di padre Giorgio - abbiamo potuto celebrare tutte le funzioni della Settimana Santa, Vigilia Pasquale e Domenica di Pasqua con grande afflusso di gente. Ma è stata una settimana di Passione per la comunità cristiana della città: i dissidenti hanno occupato, il Venerdì Santo, il quartiere confinante con i nostri cimiteri cristiani, mettendo a ferro e fuoco il quartiere!
 La gente è fuggita solo con i vestiti che avevano addosso, tra questi le 350 trecento cinquanta famiglie cristiane del quartiere; anche gli abitanti di altri due quartieri a maggioranza cristiana, hanno dovuto abbandonare le loro case perché esposte a mortai, razzi e cecchini. Sabato Santo il guardiano del nostro cimitero latino è stato colpito da un cecchino ed è morto sul colpo”. I morti, secondo la testimonianza non trovano sepoltura adeguata dal momento che non si può arrivare ai cimiteri. “Il governatore ci ha messo a disposizione momentaneamente un pezzo di terreno per seppellire i nostri morti. Da Sabato Santo siamo senza luce, poca acqua, i telefoni possono funzionare alle volte come pure internet. 
I nostri frati stanno bene, cerchiamo di fare il nostro meglio e essere un segno di speranza per la gente che ora per paura vuole fuggire”.



"Sento che dobbiamo cercare di amare come Gesù farebbe al nostro posto in Siria, per questo stiamo cercando di aiutare come possiamo; magari riusciamo a fare solo dei piccoli gesti.."


Le ragazze di Aleppo
29 marzo 2013 - Posta dalla Siria, da alcune giovanissime dei Focolari.


«Un giorno, ad Aleppo sono entrati i ribelli nel quartiere dove tante di noi abitiamo. In quel momento eravamo su Facebook chattando tra noi. Preoccupazione, rabbia…, diversi i sentimenti di ciascuna. C’è chi, preso dalla paura scrive: «Si vede che anche Dio è contro di noi»; «No, Lui sta piangendo con noi»; «Ma questi qui ci hanno rovinato la vita»; «Cerchiamo di amare anche loro»; «Ma come?»; «Pregando che trovino anche loro l’amore».
Alla fine abbiamo accettato la sfida di amare anche chi ci sta facendo del male.
A dire la verità – scrive Mira da Aleppo – non sempre sto riuscendo a vivere l’ideale dell’unità come vorrei; l’odio che c’è attorno a me è riuscito quasi ad entrare nel mio cuore, ma non riuscirà a vincermi. Sono arrivata al punto che il mio sguardo verso la vita è diventato pessimista. Mi sono chiesta: come ha potuto Chiara Lubich vivere la situazione della guerra quando è iniziato il Movimento? Ma poi mi sono risposta: se lei ci è riuscita, vuol dire che magari anche io potrò farlo. Questo mi dà una spinta in avanti, una spinta per ricominciare. Alle volte sento che dobbiamo cercare di amare come Gesù farebbe al nostro posto in Siria, per questo stiamo cercando di aiutare come possiamo; magari riusciamo a fare solo dei piccoli gesti.
Vorrei chiedere a tutti di pregare perché, credetemi, le vostre preghiere ci daranno una grande forza. Spero che nessuno di voi viva questi momenti neri che noi viviamo o veda quello che noi vediamo. Scusatemi se ho scritto poco, cercavo di scrivere velocemente prima che stacchino l’elettricità. Chiediamo al Signore di dare la pace ai nostri cuori».

http://www.focolare.org/it/news/2013/03/29/le-ragazze-di-aleppo/





 « Se vuoi la pace prepara uomini nuovi, mi verrebbe da dire, che ragionino in termini di fraternità, giustizia, condivisione dei beni, amore, libertà vera».


 « Parlando del più e del meno con un amico, mi viene confermata una notizia sconcertante, già espressa a bassa voce da altre persone anche autorevoli: a Yabroud, grande villaggio nell’entroterra montagnoso sull’asse Damasco-Homs, ogni mese i cristiani devono pagare all’esercito libero 1.800.000 LS (circa 18 mila €) , una specie di salatissima tangente usata presumibilmente per l’acquisto di armi. Questa cifra iniqua ricorda inevitabilmente ai cristiani di queste terre la tassa che i loro antenati, a partire dal primo millennio, dovettero cominciare a pagare in quanto non musulmani. Fa impressione constatare un altro frutto insano della guerra, in antitesi con ogni sollecitazione alla fiducia reciproca e alla rispettosa convivenza tra persone di fedi e culture diverse.
«Il vescovo latino parla di almeno due generazioni a suo avviso necessarie prima di poter risanare le ferite di questa guerra (se però si riuscirà a fermarla in fretta!) che lacera il Paese e la cui motivazione, tanti anche qui ne sono convinti, è primariamente di natura economica e politica. La gente non è stupida. 
Parlando con molti ci si rende conto che sono ben coscienti che il gioco che si sta facendo sulla loro testa è enorme, mosso e fomentato da potenze che per avidità e sete di potere appoggiano la politica di morte dei produttori di armi e ne sono appoggiate.
«Vorrebbe fare qualche cosa, tanta gente, per finirla con questi progetti insensati e maligni, che da decenni generano soltanto dolori su dolori, qui come altrove, convinta che la convivenza pacifica e il dialogo siano le strade più intelligenti e davvero a misura d’uomo, di oggi e di sempre. 
C’è anche chi, invece, preme per una conclusione drastica e violenta: da una parte o dall’altra, “mors tua vita mea”. Altri, e non sono pochi, si riuniscono per pregare o lo fanno in silenzio tante volte al giorno, e non solo alle 12 per il time-out per la pace lanciato dal Movimento dei Focolari, che si cerca anche qui di divulgare parlandone a conoscenti, amici, gente incontrata magari per caso, uomini di tutte le religioni.
«Viene da chiederci: ce la faremo a ottenerla? “Sarà fatto secondo la vostra fede”. Ancora oggi ce la mettiamo tutta per credere nel miracolo ma tu, Dio, aiutaci. Conferma e irrobustisci la nostra fede. Rendila incrollabile. La prova è sempre più dura da sostenere».
«Quanta menzogna in quel: “Si vis pacem para bellum” (se vuoi la pace prepara la guerra)! imparato a scuola. Se vuoi la pace prepara uomini nuovi, mi verrebbe da dire, che ragionino in termini di fraternità, giustizia, condivisione dei beni, amore, libertà vera».

http://www.cittanuova.it/c/425420/Diario_dalla_Siria13.html