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giovedì 3 marzo 2016

Patriarca Rai: l’incontro tra il Papa e Kirill è stato un fatto provvidenziale e i cristiani del MO giudicano positivamente l’intervento russo nel conflitto siriano


Il Medio Oriente è sconvolto dalla tempesta delle guerre, del terrorismo e delle pulizie etnico-religiose. Ma la tempesta passerà, e anche i cristiani non spariranno dalle terre dove è nato Gesù e si è diffuso il primo annuncio cristiano. 
Il cardinale libanese Boutros Bechara Rai, Patriarca di Antiochia dei maroniti, non sembra contagiato dai toni catastrofici che segnano tanti interventi di altri vescovi e Patriarchi mediorientali. Lui dà ragione con accenti appassionati della speranza cristiana che lo anima anche riguardo al futuro del Vangelo in quella parte del mondo. 
Beatitudine, esponenti di altre Chiese cattoliche orientali hanno espresso riserve per l’abbraccio tra Papa Francesco e il Patriarca Kirill, e soprattutto per la dichiarazione comune da loro sottoscritta. Come è stato vissuto quell’evento tra i cristiani del Medio Oriente?
“Da noi l’ecumenismo non è una questione accademica. È la vita di tutti i giorni. Tra cristiani di diverse tradizioni ci incontriamo spesso e decidiamo tutto insieme. Abbiamo percepito l’incontro tra il Papa e il Patriarca russo come un fatto provvidenziale, e io l’ho scritto anche al Papa. La dichiarazione comune, la sto leggendo un pezzo per volta al programma di formazione cristiana che tengo ogni settimana in tv. Ho cominciato coi paragrafi dedicati ai cristiani in Medio Oriente. La prossima settimana tratterò della parte sulla famiglia. Io ho rapporti fraterni anche col Patriarca Kirill. Ci scriviamo sempre, mi sono consultato con lui anche sulle questioni della politica”.
Quale giudizio prevale tra i cristiani del Medio Oriente riguardo all’intervento russo in Siria, che ha cambiato le sorti del conflitto e viene criticato da molti circoli in Occidente?
“La Russia si occupa da sempre dei cristiani del Medio Oriente, soprattutto quelli ortodossi. Nel solo Libano, i russi hanno aiutato a far nascere almeno un’ottantina di scuole ortodosse, che rappresentano un contributo importante per la vita ecclesiale. Riguardo alla guerra, ai nostri occhi l’intervento della coalizione guidata dagli americani non ha fatto altro che consolidare i jihadisti del Daesh, lo Stato Islamico. E questo ci spingeva sempre a porci delle domande. Poi sono arrivati i russi, stanno colpendo Daesh e allora si sentono le proteste di chi li rimprovera di voler solo sostenere il regime siriano… Allora non ci si capisce più niente. Noi sappiamo solo che non è possibile essere preda delle organizzazioni terroristiche: Daesh, al Qaida, al Nusra, e i mercenari che ci mandate dall’Occidente… Quindi noi giudichiamo positivamente questo intervento russo, come una lotta concreta lotta contro il Daesh. Poi, è ovvio che tutti gli Stati hanno i propri interessi politici. Ma almeno c’è una Nazione, la Russia, che parla anche dei cristiani del Medio Oriente”.
Ma c’è sempre bisogno di qualcuno che difende dall’esterno i cristiani del Medio Oriente? Non c’è il pericolo di teorizzare per loro nuovi protettorati, come quelli esercitati un tempo dalle potenze occidentali? 
“Non c’è più nessun protettorato, e forse non c’è mai stato. Gli Stati facevano i loro interessi, sotto la coperta del protettorato. Noi non abbiamo bisogno di protettori. Abbiamo bisogno solo che dall’esterno ci lascino in pace, Prima di questi interventi esterni, c’erano stati tanti problemi, ma negli ultimi tempi vivevamo in pace. Lungo la storia abbiamo sempre trovato le vie per andare avanti”.
Eppure ci sono tante forze e organizzazioni, anche politiche, che dicono di voler aiutare i cristiani in Medio Oriente.
“Sì, va bene, ma si tenga conto che noi non siamo degli individui isolati, o delle piccole minoranze derelitte. Siamo la Chiesa di Cristo, che si trova in Medio Oriente. Ci sono quelli che trattano i cristiani mediorientali come dei poveretti, quelli che dicono: venite da noi, che vi accoglieremo, cinquanta qui, cento lì, cinquecento in quell’altro Paese…. A questi dico che le cose non funzionano così. Noi vogliamo rimanere nella terra nostra, insieme ai musulmani, dove abbiamo vissuto insieme per 1400 anni, e vogliamo rimanerci nel nome del Vangelo. Abbiamo creato una cultura insieme, una civiltà insieme. E tutti quelli che ora combattono in Medio Oriente, non sono del Medio Oriente”.
L’alternativa obbligata, in Medio Oriente, è tra regimi autoritari e fanatismo jihadista?
“L’ultimo tempo di sangue e dolore è iniziato coi popoli di diverse nazioni che esprimevano il legittimo desiderio di riforme politiche. È un diritto chiedere cambiamenti. Ma poi quelle richieste sono sparite, e sono venute fuori le organizzazioni terroristiche, sostenute da fuori con i soldi, le armi e il sostegno logistico. A tanti che ne parlano sempre, la democrazia e la libertà non interessa davvero. Hanno altri interessi”.
C’è anche chi, riguardo alla condizione vissuta ora dai cristiani in Medio Oriente, utilizza sempre le categorie di persecuzione e addirittura di genocidio. L’uso di queste espressioni è sempre appropriato?
“Il problema in Medio Oriente non un problema di persecuzione dei musulmani sui cristiani. I problemi sono altri: quelli tra sciiti e sunniti, tra regimi e gruppi terroristici, e tra Arabia Saudita e Iran, che si fanno la guerra sul suolo della Siria, dell’Iraq, dello Yemen, e in Libano si fanno guerra politica. I cristiani ci vanno di mezzo, ci sono stati attacchi mirati, perchè nel caos succede sempre così. Ma non possiamo parlare di persecuzione vera e propria e sistematica, e tanto meno di genocidio. Ci sono molte più persecuzioni contro i musulmani che contro i cristiani, I cristiani sono vittime come tutti gli altri, ma i 12 milioni di siriani che sono dovuti scappare dalle loro case non sono cristiani. Anche le atrocità del Daesh sono rivolte più contro i musulmani che contro i cristiani”.
Ma anche fuori dagli scenari di guerra, nei Paesi del Medio Oriente i cristiani vivono spesso situazioni obiettive di discriminazione. 
“Ci sono difficoltà, maltrattamenti, ci sono regimi che non rispettano la libertà religiosa, ma tutto questo è un’altra cosa rispetto alla persecuzione e addirittura al genocidio. E sono situazioni con cui noi abbiamo una certa familiarità storica. Se ci si lascia in pace, troveremo noi le soluzioni per andare avanti nelle situazioni nuove che ci troveremo a vivere. I protettorati del passato, di cui abbiamo accennato prima, hanno fatto più danni che bene ai cristiani che dicevano di voler difendere. Gli Stati fanno solo i loro interessi, e i cristiani venivano identificati come un corpo estraneo, da espellere. Mentre noi nelle nostre terre ci siamo nati, e abbiamo saputo vivere anche sotto i regimi più dittatoriali. Per questo nelle nostre terre noi non saremo mai “minoranze”, anche se rimanesse un solo cristiano in tutto il Medio Oriente I cristiani mediorientali riconoscono i limiti, rispettano le leggi e le autorità costituite. Sanno bene di vivere in Paesi dove l’islam è religione di Stato, la Sharia e sorgente principale delle leggi. Desiderano le riforme, Certo. Ma rispettano i tempi della storia. A quelli che vengono con le bombe, che fanno la guerra con la scusa di voler la democrazia e le riforme, o addirittura dicono di voler aiutare i cristiani, non si può dar credito. Non vogliono davvero le riforme. Cercano altro”.
Quale è allora il modo di aiutare i cristiani che soffrono?
“Chi riceve i colpi non è come quello che li conta. Dobbiamo sempre immedesimarci con chi è in difficoltà, perché siamo la Chiesa di Cristo. Ma stare vicino a chi soffre non vuol dire invitare i cristiani a fuggire dalle loro terre. Bisogna aiutarli lì dove si trovano. Ai politici stranieri che incontro ripeto sempre: fate finire la guerra, trovate soluzioni politiche ai conflitti, e lasciateci in pace, Non chiediamo altro”.
Nel disastro del Medio Oriente, il Libano vive una crisi istituzionale devastante. Eppure non è stato risucchiato dai conflitti. 
“Il Libano rimane una necessità per tutto il Medio Oriente. Lì cristianesimo e islam vivono in una condizione di eguaglianza”.
Ma anche lì la situazione politica è bloccata dallo scontro tra forze allineate con l’Iran o con l’Arabia Saudita. 
“All’Iran chiediamo sempre di fare pressioni sul Partito sciita di Hezbollah, perchè la smettano di boicottare le elezioni presidenziali. Siamo senza Presidente da quasi due anni, fanno mancare sempre il quorum alle riunioni del parlamento convocate per l’elezione. Al posto di Presidente deve essere eletto un cristiano maronita. Ma quelli di Hezbollah hanno deciso di boicottare ogni candidatura che non sia gradita a loro”.
Vede davvero qualche possibilità di trovare una via d’uscita dal conflitto siriano? 
“Finché la Turchia tiene aperte le frontiere a tutte le organizzazioni terroristiche, la pace rimane un sogno. E la coscienza della comunità internazionale sembra essere morta. Tutti questi esseri umani sparsi nelle strade del mondo non significano niente, per chi ha in mano il potere nel mondo”.
Tanti capi cristiani ripetono dichiarazioni catastrofiche. Lei, invece, una volta ha detto che anche questa tempesta passerà. 
“I cristiani non sono un gruppo etnico-religioso, e non sono un partito politico. Sono i figli della Chiesa di Cristo. La loro presenza, anche in Medio Oriente, non dipende solo dagli equilibri politici e dalle vicissitudini della storia. C’è una tempesta, e allora noi facciamo il gioco della canna, che si piega, non si irrigidisce, e la tempesta passa, e la canna non si spezza. Abbiamo vissuto difficoltà peggiori di quelle presenti, ai tempi di Mamelucchi e degli Abassidi. Anche i Patriarchi maroniti hanno vissuto per 400 anni in posti inaccessibili, in piccole celle in alte montagne, altre volte nel profondo di valli isolate, per custodire e essere custoditi nella fede cattolica. La fede non è mai spenta dalle tribolazioni, come si vede bene anche in tutta la storia della Chiesa di Roma. Io sento che il Medio Oriente ha più che mai bisogno di noi, ha bisogno di sentire un’altra voce. Diversa da quella della guerra, dell’odio, del sangue innocente sacrificato. Ha bisogno della voce del Vangelo. Oggi più che mai”.  
http://www.lastampa.it/2016/02/21/vaticaninsider/ita/inchieste-e-interviste/non-c-nessun-genocidio-di-cristiani-e-non-ci-servono-protettori-k1buJtC2euLob4snOaNsjI/pagina.html 

venerdì 6 novembre 2015

«VOLETE SALVARE I CRISTIANI? FERMATE LA GUERRA»: cardinale Béchara Boutros Raï



FAMIGLIA CRISTIANA
«La prima cosa da fare per proteggere i cristiani in Medio Oriente è far cessare la guerra in Siria, Iraq, Yemen e Palestina. Gli Stati europei litigano fra di loro per il numero di profughi da accogliere ma non agiscono per porre fine al conflitto. Solo il Papa leva la sua voce su questo». Sua Beatitudine Mar Béchara Boutros Raï, 75 anni, creato cardinale nel concistoro del novembre 2012, è il patriarca di Antiochia dei Maroniti del Libano. Lo incontriamo a Milano, in un meeting organizzato dalla Fondazione Oasis, a pochi giorni dalla chiusura del Sinodo sulla famiglia dove era padre sinodale insieme al cardinale Scola che lo ha invitato nell’ ambito dell’ iniziativa “Evangelizzare le metropoli”.

La richiesta d’ aiuto dei cristiani mediorientali è sempre più drammatica. Di cosa hanno bisogno i cristiani in Siria, Iraq, Libano?
«Per prima cosa che la guerra cessi perché a causa del conflitto sia i cristiani che i musulmani moderati emigrano e se ne vanno. Il Medio Oriente si sta svuotando e si lascia campo libero a fondamentalisti e organizzazioni terroristiche. Il secondo è che  ci sia un appello forte perché cessi la guerra. Gli Stati non ne parlano, gli unici appelli li fa il papa Francesco. L’ Europa discute sull’ accoglienza dei profughi, chi  ne vorrebbe diecimila e  chi tremila, ma questo non ci aiuta, non ci serve. L’ Europa dovrebbe concentrarsi sulla causa dei profughi, ossia la guerra. Bisogna chiudere il rubinetto e far sì che musulmani e cristiani tornino nelle loro terre. Un Medio Oriente senza cristiani, come diceva Benedetto XVI, non ha più identità. Perché quello è il luogo di tutta la rivelazione divina: lì Gesù si è incarnato, è morto ed è risorto. Lì è nata la Chiesa ed è partito l’ annuncio del Vangelo al mondo».

Oggi però la convivenza con i musulmani è difficile, quasi impossibile.

«I cristiani sono lì da duemila anni, seicento anni prima dell’ arrivo dell’ Islam. Non accettiamo di essere chiamati “minoranza”! Abbiamo creato lo strato culturale cristiano di questa regione. Da 1400 anni viviamo insieme e pacificamente con i musulmani. Come l’ Europa discute su come preservare la propria identità, anche a noi preme di conservare la nostra che è formata dalla cultura islamica e da quella cristiana. È questo di cui abbiamo bisogno oggi».
Lei pensa che ci sia un progetto dei musulmani di conquistare l’ Occidente attraverso i flussi migratori? 
«Ho sentito più volte dai musulmani che il loro obiettivo è conquistare l’ Europa con due armi: la fede e la natalità. Per loro la pratica della fede è essenziale e fondamentale. In Arabia Saudita vanno il Venerdì alla preghiera anche col bastone. Conoscono a memoria il Corano e quando parlano lo citano spesso, lo stesso non accade per i cristiani che non si rifanno né alla Bibbia né all’ insegnamento della Chiesa. Loro credono che la volontà di Dio è procreare e che il matrimonio sia finalizzato a questo. Qui vedono che difficilmente ci si sposa, che non si fanno molti figli. Se siamo tanti possiamo imporci, pensano. Ad esempio non comprendono il significato  celibato dei preti, sono scandalizzati da questo perché secondo loro questo significa andare contro la volontà di Dio. Noi dobbiamo mantenere la nostra presenza con la qualità della vita e della testimonianza, non possiamo puntare sui numeri perché siamo pochi. Nel Golfo e in tutti i paesi arabi i cristiani occupano i migliori posti perché hanno cultura, moralità e non s’ intromettono nella politica interna».

Esiste un Islam moderato? 

«La maggioranza lo è, viviamo insieme a loro tutti i giorni: a scuola, al mercato, in università. E non da oggi. Però i musulmani non osano prendere posizioni nette contro gli estremisti e i terroristi. Ultimamente, sia pur con molta cautela, hanno preso posizione contro lo Stato Islamico dell’ Isis. In Libano dicono a noi di schierarci. Vengono da me al patriarcato dicendo di schierarci e che loro non possono parlare. L’ elemento religioso è fondamentale. Per un musulmano viene prima l’ Islam, poi la propria patria. I musulmani sunniti sono legati totalmente all’ Arabia Saudita, mentre gli sciiti all’ Iran. Per questo non possono prendere posizioni forti se non le prendono i loro Paesi di riferimento. In Libano, l’ Isis l’ hanno condannata ma i Fratelli Musulmani no, per fare un esempio. Quando i Fratelli Musulmani hanno preso il potere in Egitto e iniziato a imporre la sharia tutto il popolo si è ribellato fino ala destituzione di Mohammed Morsi. Questo vuol dire che la società è moderata. Poi viene una certa politica da fuori e distrugge tutto».

La persecuzione nei confronti dei cristiani mediorientali quanto è dovuta all’ odio religioso del Califfato e quanto al fatto che sono vittime perché non contano nulla in questi Paesi?

«Ci sono tre elementi essenziali da considerare. Per i musulmani il giudaismo è stato completato e soppiantato dal Cristianesimo e questo è stato completato e soppiantato dall’ Islam. Per loro il passaggio normale e naturale del cristiano è diventare musulmano e quindi guardano al cristiano come una persona che non ha fatto questo passo. Nella loro psiche il cristiano non è accettato come cristiano perché deve diventare musulmano ecco perché dicono che Maometto è l’ ultimo dei profeti. Secondo: loro identificano qualsiasi cosa che viene dall’ Occidente come cristiana tout court. Tutta la politica occidentale è una politica cristiana, è una nuova crociata. Loro dicono che i cristiani sono i resti delle crociate e dell’ imperialismo occidentale e noi rispondiamo che siamo in quelle terre seicento anni prima di voi. Un giorno venne da un personaggio religioso sciita dall’ Iraq per chiedermi cosa bisognava fare per proteggere i cristiani. Io gli risposi di non accettare la parola “proteggere” perché i cristiani sono cittadini iracheni come tutti gli altri. Poi ribaltai la domanda: “Cosa fate voi”, dissi, “per proteggere i cristiani? Perché li ammazzate mentre pregano e fate esplodere le chiese?" E lui mi rispose, indicandomi il fianco: “I cristiani sono il fianco debole della società, nel caos si attaccano loro”. Se gli chiedi perché attaccano i cristiani non trovano motivazioni plausibili però nel loro inconscio giocano questi elementi. Per questo Giovanni Paolo II, da persona saggia, quando convocò un’ assemblea speciale del Sinodo dei vescovi per il Libano prima di annunciarlo mandò una delegazione nel Paese per parlare con i capi religiosi musulmani e informarli ed evitare che questo venisse interpretato come una crociata nei loro confronti. Abbiamo fatto la preparazione del Sinodo insieme ai musulmani. E l’ esortazione post sinodale l’ hanno letta più loro che noi cristiani! Nella vita quotidiana loro hanno molto fiducia nei cristiani, noi lo sappiamo e sappiamo anche come vivere insieme a loro».
Lei teme che il conflitto siriano si allarghi anche al Libano?
«Siamo un Paese più piccolo della Sicilia e attualmente abbiamo un milione e mezzo di profughi su 4 milioni di abitanti, più mezzo milione di palestinesi. Cosa resterà di noi? La gente libanese emigra. Cosa resterà della cultura libanese, dell’ economia? Se continua la guerra per noi sarà la fine. Ci sono 350mila alunni siriani solo per quest’ anno che hanno bisogno di insegnanti, scuola, libri. Sono quanti gli alunni libanesi delle scuole statali. Stiamo pagando a caro prezzo la guerra in Siria: siamo vicini e non possiamo chiudere le porte a questa gente, sono esseri umani. E se fossi io o la mia famiglia nei loro panni? Ecco perché la comunità internazionale non dovrebbe lasciarci soli».

Al Sinodo i problemi “occidentali” sono stati a lungo al centro della discussione. Lei viaggia molto e conosce bene l’ Europa. Ritiene che  l’ uomo dell’ oriente sia profondamente diverso da quello occidentale o c’ è stato un avvicinamento? 

«C’ è differenza, senza dubbio.  I problemi che riguardano noi e la famiglia sono molti diversi da quelli europei che sono stati discussi dal Sinodo per l’ Occidente. Sia per i musulmani che per i cristiani il punto saldo è che il matrimonio è un’ istituzione divina. Per noi è un sacramento, per i musulmani una legge divina. Le legislazioni civili nei paesi del Medio Oriente salvaguardano il matrimonio come realtà religiosa, non esiste il matrimonio civile e i musulmani non lo riconoscono. In Libano il matrimonio civile è accettato ma solo se celebrato fuori dal Paese. La legislazione salvaguarda il matrimonio e la famiglia. I cristiani sono più aperti verso la laicità e il secolarismo occidentali, però siamo protetti dalle leggi civili. I nostri problemi sono differenti. Ho detto al Sinodo l’ anno scorso che qui in Europa la Chiesa deve andare sempre a raccogliere quello che gli Stati buttano per terra, legiferando senza alcuna considerazione per la legge divina né rivelata né naturale. Bisogna fare un appello allo Stato affinché rispetti almeno la legge naturale. Da noi, invece, le legislazioni statali ci aiutano molto a conservare i nostri valori».  

I Vescovi maroniti: no alla spartizione della Siria

Agenzia Fides  6/11/2015

Beirut – La prospettiva – da tempo ventilata - di una spartizione su base settaria della Siria preoccupa i Vescovi maroniti, che propongono di guardare al modello istituzionale libanese per cercare di neutralizzare le spinte centrifughe settarie che alimentano il conflitto siriano, rischiando di dilaniare il Paese. Sono queste le chiavi di lettura della crisi siriana emerse nell'assemblea dei Vescovi maroniti riunitisi ieri presso la sede patriarcale di Bkerkè, per il loro incontro periodico, sotto la presidenza del Patriarca Boutros Bechara Rai. 
“Le voci sulle ipotesi di una nuova mappa della Siria” si legge nel comunicato finale dell'incontro, pervenuto all'Agenzia Fides “non lasciano ben sperare per il futuro di pace nella regione. La soluzione proposta non è buona”. 
Dal canto loro, i Vescovi suggeriscono che i negoziatori impegnati nella ricerca di una soluzione al conflitto siriano prendano in considerazione l'esperienza storica di convivenza vissuta nel Paese dei cedri, che con tutti i suoi limiti, le sue crisi e le sue contraddizioni, ha consentito che tutte le comunità religiose fossero coinvolte nella gestione della cosa pubblica. Solo la ricerca di sistemi istituzionali capaci di garantire equilibrio tra le diverse realtà etniche e religiose – sostengono i Vescovi maroniti - può salvare l'intera regione dalla logorante prospettiva di un conflitto permanente e generalizzato. 
Nel loro comunicato, i Vescovi libanesi ribadiscono anche il loro pieno sostegno per l'esercito e tutte le forze di sicurezza libanesi, e aggiungono di nuovo la propria voce a quella del Patriarca, che ha lanciato innumerevoli appelli ad uscire dall'impasse politica creatasi intorno all'elezione del nuovo Presidente della Repubblica.

domenica 7 giugno 2015

Incontro ecumenico a Damasco con il Patriarca Bechara Rai


lI patriarca maronita Rai è a Damasco.
Dalla cattedrale di sant' Antonio a Bab Tuma ha detto queste parole:
Il popolo siriano paga il prezzo e si chiede come e quando finirà .
Per questo domani ci riuniremo con i patriarchi di Antiochia.
Saremo sempre davanti e dietro di voi per proteggervi..
Portiamo la causa cristiana dovunque andiamo.
Chiediamo la pace : occorre trovare una soluzione politica e condannare chi fornisce armi ai gruppi in Siria”-
I cinque patriarchi sono: John Yazigi  patriarca greco-ortodosso di Antiochia e primate della Chiesa greco-ortodossa di Antiochia. Ignatius Ephrem II Patriarca di Antiochia e tutto l' oriente, capo supremo della Chiesa ortodossa siriaca nel mondo. Gregorios III Laham, Patriarca di Antiochia e tutto l'Oriente dei melchiti cattolici. Ignatius Joseph III Younan, Patriarca dei cattolici siriaci, oltre al Patriarca maronita cardinale Bechara Rai.

A Tartous la prima moschea del mondo islamico dedicata alla Vergine Maria


Il ministro siriano degli Affari Religiosi ha inaugurato

 il 
06/06/2015 la prima moschea nel mondo arabo e islamico

che porta il nome di "Vergine Maria",

nella città di Tartous. 

martedì 28 aprile 2015

Patriarca Béchara Raï all'UNESCO: “Bisogna smetterla di sostenere i belligeranti con armi e denaro e di proteggere politicamente loro e le organizzazioni terroristiche”

BECHARA RAI: LA BUIA NOTTE D’ORIENTE E LE SENTINELLE DELL’AURORA
da: Rosso Porpora – di GIUSEPPE RUSCONI 
Il patriarca maronita è in questi giorni in Francia: sabato 25 aprile ha pronunciato un discorso veemente davanti all’assemblea dell’Unesco in difesa dei cristiani e di tutti i perseguitati del Medio Oriente. La comunità internazionale deve agire, fermare le guerre; le potenze regionali e mondiali blocchino la fornitura di armi e di denaro ai belligeranti, non proteggano più le organizzazioni terroristiche. Tornino i profughi in patria e siano loro restituiti i beni e i diritti.

Sabato 25 aprile il patriarca Raï è stato in visita all’Unesco, dove ha pronunciato un discorso molto lucido, vigoroso e nel contempo accorato sulla “presenza cristiana nel Medio Oriente e sul suo ruolo nel promuovere la pace”.  Dapprima ha incontrato il direttore generale dell’agenzia onusiana per l’educazione, la scienza e la cultura Irina Bokova, che ha salutato osservando come “la cultura divenga sempre più un’arma di guerra, in nome di un’interpretazione deviata della religione”; con lei ha anche evidenziato come tra i problemi più urgenti del Libano (su quattro milioni di abitanti, due milioni di rifugiati) ci sia quello di far sì che ”i profughi possano ritornare degnamente alle loro terre”.
Davanti all’assemblea il patriarca ha poi svolto un intervento (molti i richiami storici e quelli riguardanti le istituzioni educative e sociali delle Chiese d’Oriente) protrattosi per circa mezz’ora e che nell’ultima parte si è trasformato in un vero e proprio appello veemente. “Bisogna smetterla di sostenere i belligeranti con armi e denaro e di proteggere politicamente loro e le organizzazioni terroristiche”, ha detto Béchara Raï, rilevando che oggi “solo nel Libano i cristiani hanno una presenza politica rispettata in patria e nel mondo arabo”. Del resto proprio “il Libano, grazie alla sua cultura conviviale, resta la sola speranza per la convivenza tra cristiani, musulmani e altri”.
Ha poi proseguito il patriarca maronita, riferendosi alla condizione drammatica dei cristiani in Medio Oriente: “Questa situazione non troverà soluzione se non con la solidarietà della comunità internazionale e con i suoi interventi incisivi per fermare le guerre e per imporre il ritorno degli sfollati nei loro Paesi ma in modo tale che essi possano recuperare i loro beni e i loro diritti”. Con voce incrinata Béchara Raï ha poi affermato davanti all’assemblea: “Io sono venuto qui per dar voce a chi la voce è stata rubata, sono venuto qui per attestare le sofferenze di milioni di rifugiati, di sfollati, di bambini, di anziani, di donne e di uomini cui si sono rubati la propria patria, i propri beni e si è distrutto l’avvenire. Sono venuto qui per testimoniare davanti a voi l’immenso e indicibile dolore di chi è stato perseguitato per la sua fede, di chi si è insultata l’identità in nome di un Dio, ragione invocata da assassini implacabili. Sono venuto qui per sostenere gridando la causa di coloro che attendono la fine della notte e che sperano la loro salvezza da una comunità internazionale che purtroppo tarda a porre fine all’azione di morte di omicidi senza fede e senza frontiere”.
Perciò, prima di congedarsi con un richiamo accorato a “Cristo, principe della pace”, il patriarca Raï ha di nuovo scosso visibilmente l’assemblea: “Dal cuore della notte che ci copre, con le tenebre che ci avvolgono, lancio un appello angosciato a tutte le sentinelle dell’aurora d’Oriente come d’Occidente, d’Europa, del mondo arabo e del mondo intero, della Cristianità come dell’Islam, perché ci aiutino a suscitare la speranza e a confortare popoli abbandonati, sconvolti, perseguitati nella loro tenace volontà di non rassegnarsi alla sventura”.



Conférence à l’UNESCO du Patriarche Card. Béchara Boutros RAI Paris, le 25 avril 2015

Introduction

1. Je voudrais tout d’abord saluer et remercier Mme Irina Bokova, Directrice générale de l’Organisation des Nations Unies pour l’Education, la Science et la Culture et le Conseil Exécutif, ainsi que Dr Khalil Karam, Ambassadeur, Délégué permanent du Liban auprès de l’UNESCO, de m’avoir invité à donner cette conférence à l’occasion du 70ème anniversaire de cette Organisation, autour du thème : "La présence chrétienne au Moyen - Orient et son rôle dans la promotion de la culture de la paix". Je développerai ce thème en trois points :
1) Le parcours historique de la présence chrétienne bimillénaire au Moyen - Orient.
2) Ses espaces de promotion de la culture de la paix.
3) Les moyens pour sauvegarder la présence chrétienne.

mercoledì 26 novembre 2014

Béchara Boutros Raї: «L’Occidente, mandando armi e soldi, ha distrutto quello che avevamo costruito noi cristiani in quattordici secoli di storia. In questo modo però sta alimentando il fondamentalismo»

«La guerra mette in fuga i cristiani. L'Occidente smetta di alimentarla»


Terrasanta.net, 24 novembre 2014

di Carlo Giorgi |

«Penso che Papa Francesco a Istanbul farà un appello chiaro per la pace in Medio Oriente. In particolare penso che inviterà la Turchia a collaborare per mettere fine alla guerra in Siria. In questo momento, infatti, la Turchia permette il passaggio a mercenari e fondamentalisti islamici dal suo territorio verso la Siria. Sono quasi due anni che il vescovo  greco ortodosso e quello siro ortodosso di Aleppo sono stati rapiti al confine tra Turchia e Siria … Bisogna invece che la Turchia collabori e inizi a svolgere un altro ruolo».
Il cardinale Bechara Boutros Rai, patriarca dei maroniti, guarda con speranza al viaggio che Papa Francesco svolgerà in Turchia dal 28 al 30 novembre. Il patriarca ha inaugurato il 23 novembre la parrocchia di Santa Maria della Sanità di Milano, come luogo di culto per i cattolici maroniti e di rito orientale che vivono nella diocesi ambrosiana. In l’occasione della visita milanese, ha rilasciato questa intervista a Terrasanta.net.

La presenza di una parrocchia maronita a Milano, è un arricchimento per i cattolici locali. D’altra parte, l’emigrazione è anche il segno della crisi in cui si trova oggi il Libano …
Il Paese sta attraversando una crisi gravissima. Una volta il Libano era considerato la Svizzera del Medio Oriente. Nel 1975, all’inizio della guerra civile, un dollaro si cambiava con due lire libanesi. Oggi ce ne vogliono 1500 … Dal ’48 abbiamo sulle spalle il peso di mezzo milione di profughi palestinesi; la guerra in Siria ci ha portato un milione e mezzo di siriani; per non parlare delle migliaia di cristiani iracheni … il totale dei profughi oggi equivale alla metà della popolazione libanese. Per fare un esempio: solo il numero degli studenti siriani, 600 mila, supera quello degli studenti libanesi. Dove li mettiamo? Mancano le strutture. Tutto questo si trasforma in un problema sociale, economico, politico e di sicurezza. Secondo le stime dell’Onu, un terzo della popolazione è sotto la soglia della povertà …

Una situazione che incoraggia l’emigrazione.
È così. Io visito abitualmente le diocesi libanesi all’estero. L’anno scorso, ad esempio, mi sono recato in sette Paesi dell’America Latina. Ho trovato così tanti giovani libanesi. Mi chiedevo: ma chi è rimasto in Libano?  Sono tutti qui! … Abbiamo paesi che si stanno svuotando, un flusso migratorio enorme. È tremendo! E non possono tornare perché ormai hanno lì il loro lavoro, i figli. E chi parte vede che i problemi in Medio Oriente non si risolvono. Anche perché nessuno vuole risolvere il primo dei problemi, quello che teologicamente potremmo definire il «peccato originale» della crisi mediorientale.

Cioè?
Mi riferisco al conflitto israelo-palestinese, che è come una grande fornace da cui dilaga il fuoco della guerra. Fino a quando non si vorrà risolvere il problema palestinese, permettendo ad esempio ai profughi di tornare, il Medio Oriente sarà in guerra. Adesso tocca all’Iraq e alla Siria; domani sarà un altro Paese… e poi un quarto Paese… il problema è che ci sono interessi economici superiori: il petrolio, il gas, il commercio delle armi.

Cosa può fare l’Europa per fermare la guerra?
Deve aiutare alla riconciliazione in particolare tra sunniti e sciiti, perché oggi la guerra è soprattutto all’interno del mondo islamico. E poi deve aiutare l’islam - ma anche l’ebraismo – a separare religione e Stato. Finché non ci sarà separazione tra religione e Stato in Medio Oriente, la pace è molto lontana. E poi deve smettere di vendere armi in Medio Oriente e di finanziare i fondamentalisti. Papa Francesco, che parla in modo diretto, ha detto - riferendosi alla della guerra in Siria-: «Basta commercio di armi!»
Noi cristiani del Medio Oriente, in 1400 anni di vita comune con i musulmani, abbiamo trasmesso dei valori, facendo crescere la moderazione. L’Occidente, mandando armi e soldi, ha distrutto quello che avevamo costruito noi cristiani in quattordici secoli di storia. In questo modo però sta alimentando il fondamentalismo: ma quando il terrorismo si scatena, chi può arrestarlo?

Chi paga le conseguenze di questa situazione?
I cristiani del Medio Oriente. In Iraq abbiamo perso un milione di cristiani, prezzo di una democrazia che non è mai venuta… la loro fuga significa la scomparsa di tutta la cultura cristiana, la storia della salvezza.
Non si possono sacrificare i cristiani del Medio Oriente! Noi vogliamo rimanere nella nostra terra, vogliamo portare i valori cristiani a questo mondo arabo. Adesso più che mai il Medio Oriente ha bisogno dei cristiani, che parlano un altro linguaggio rispetto a quello di oggi. Oggi nei nostri Paesi si parla di guerra, terrorismo, uccidere, distruggere; il nostro linguaggio è Vangelo di Pace, fratellanza, dignità umana, sacralità della vita.
A me pare che l’Europa non abbia coscienza di questo, anzi sembra quasi che si vergogni…

http://www.terrasanta.net/tsx/articolo.jsp?wi_number=7044&wi_codseq= &language=it

 «Il fondamentalismo è foraggiato con armi e i soldi dell'Occidente» 


Vaticaninsider, 22/11/2014

di Andrea Tornielli

«Mi aspettavo un altro ruolo dall'Europa, che è stata trascinata alla cieca prima nella guerra in Irak e poi ora in Siria. È triste constatare che il fondamentalismo è foraggiato con le armi e i soldi occidentali, e che i nemici di oggi erano gli alleati di ieri». Il cardinale Béchara Boutros Raї, Patriarca di Antiochia e di tutto l’Oriente dei Maroniti, è a Milano per inaugurare la missione per i fedeli di rito maronita: l'arcivescovo Angelo Scola ha infatti affidato la parrocchia di S. Maria della Sanità per questo scopo. L'intervista con Vatican Insider è l'occasione per un'analisi a tutto campo sulla situazione mediorientale da parte di uno dei più lucidi protagonisti della vita delle Chiese di quella martoriata regione.

L'Isis con il suo auto-proclamato Califfato vuole la guerra di religione: siamo allo scontro finale tra islam e cristianesimo?


«Non bisogna cadere nelle semplificazioni. I fondamentalisti dell'Isis combattono contro tutti quelli che non sono come loro: a Mosul e Ninive hanno perseguitato anche musulmani sunniti e sciiti, e la minoranza degli yazidi. La loro è un'ideologia o chissà che cosa. Sono un movimento ultrafondamentalista, quelli che vengono chiamati "takfiri" cioè quei musulmani che accusano altri musulmani di infedeltà. Ma il Gran mufti libanese mi ha detto: "Non possiamo chiamarli takfiri, perché non hanno fede e combattono tutti!". È vero che anche i cristiani sono stati vittime, ma il numero maggiore di morti è stato tra i musulmani sunniti e sciiti, e tra gli yazidi».

Papa Francesco sta per arrivare in Turchia, molto vicino all'area più calda del conflitto. Che cosa si aspetta dalla visita?

«Spero che sia un'occasione per chiedere alla Turchia di collaborare a mettere fine alla guerra in Siria. Purtroppo i mercenari fondamentalisti di Al Nusra, Al Qaeda e dell'Isis entrano in Siria attraverso il confine turco. Papa Francesco sa parlare con chiarezza e penso che farà un appello per la pace in Medio Oriente».

Come giudica l'atteggiamento dell'Occidente di fronte alla crisi mediorientale?

«Mi aspettavo un altro ruolo dall'Europa, che è stata trascinata alla cieca prima nella guerra in Irak e poi ora in Siria. Alla comunità internazionale chiediamo: basta guerra in Siria e in Irak, basta con la tragedia dei palestinesi. Sono convinto che il conflitto israelo-palestinese sia il grande focolaio da risolvere se si vuole la pace nella regione. E la soluzione non può essere che quella dei due Stati: perché non si fa? Senza Stato palestinese la guerra non avrà fine. Poi c'è il conflitto arabo-israeliano, con le zone occupate in Siria e Libano. Finché non si applicano le risoluzioni dell'Onu non ci sarà la pace. Bisogna mettere fine alla guerra in Siria: il Papa ha parlato chiaramente del commercio di armi. L'Europa deve aiutare la riconciliazione, deve favorire la ricomposizione del conflitto tra musulmani sunniti e sciiti, e aiutare l'islam a separare la religione dallo Stato».

Che cosa chiedono i cristiani?

«Innanzitutto che cosa non chiedono. Non chiedono alcun protettorato! Non chiediamo di essere protetti dall'Occidente. I fondamentalisti ci accusano di essere discendenti dei crociati, ma noi viviamo lì da secoli prima dell'arrivo dell'islam. I cristiani del Medio Oriente in 1400 di vita comune con i musulmani hanno trasmesso valori e cultura. L'Occidente, inondando di armi e di soldi, distrugge quello che abbiamo creato e di fatto fa aumentare il fondamentalismo. È triste constatare, guardando a ciò che è accaduto negli ultimi decenni, che i nemici di oggi erano gli alleati di ieri. Ai cristiani non servono appelli perché lascino il Medio Oriente, servono politiche di investimento per lo sviluppo, per poter dare lavoro».

Ci sono voci musulmane che si levano contro l'Isis?

«Molti musulmani sono contro, ma non osano dichiararsi. Ma ci sono anche voci di condanna. Il 2 e il 4 dicembre, ad all'università di Al Azhar al Cairo, si terrà un vertice tra musulmani al quale sono stati invitati anche i cristiani, per denunciare il fondamentalismo del Califfato».

Quali conseguenze hanno questi conflitti nella situazione del suo Paese?

«Un terzo della popolazione libanese secondo l'Onu è sotto la soglia di povertà. In Libano vivono mezzo milione di profughi palestinesi e un milione e mezzo di profughi siriani. Ormai la metà degli abitanti sono profughi. Molti di loro per sopravvivere accettano di essere pagati di meno per lavorare. Un paese di soli 10mila chilometri quadrati ha possibilità limitate. Ma il Libano, nonostante le difficoltà - siamo uno Stato al momento senza presidente, a motivo dei conflitti tra sunniti e sciiti che riflette quanto sta accadendo nella regione - rimane un modello di convivenza per il Medio Oriente ma anche per l'Occidente. Un modello nel quale i musulmani hanno rinunciato alla sovrapposizione tra religione e politica, e i cristiani hanno rinunciato a quella laicità che finisce per mettere Dio e la religione da parte».

http://vaticaninsider.lastampa.it/nel-mondo/dettaglio-articolo/articolo/37679/

lunedì 20 ottobre 2014

Concistoro Medio Oriente, compito delle NU e situazione del Libano

Nel Concistoro i membri del Collegio Cardinalizio si confronteranno circa l’attuale situazione dei cristiani in Medio Oriente e l’impegno della Chiesa per la pace in quella regione con la presenza dei Patriarchi mediorientali.


Intervista al cardinale Béchara Boutros Raï, patriarca di Antiochia dei maroniti:

Radio Vaticana , 19 Ottobre 2014

 R. – Siamo molto grati al Santo Padre per questa seconda iniziativa, dopo quella dell’incontro con i nunzi, per conoscere la realtà del Medio Oriente e, adesso, per il Concistoro. Vuol dire che il Papa ha una grande preoccupazione, e a giusto titolo, sia per il Medio Oriente come tale, e la pace, sia anche per la presenza cristiana, la quale vive momenti molto cruciali. E poi siamo anche grati che lui abbia invitato i Patriarchi a partecipare. Noi stiamo preparando un foglio, a nome dei Patriarchi, partendo da dove sono arrivati con l’incontro dei nunzi. Quindi faremo la nostra lettura sulle attese della Chiesa e della comunità internazionale. Io penso che rappresenti un grande conforto morale per i cristiani del Medio Oriente, ma anche per il Paese del Medio Oriente, che il Papa abbia questo interesse e questa preoccupazione, perché tutti hanno bisogno di un sostegno morale. E’ un vero sostegno morale, ma è anche un vero sostegno diplomatico, perché la Santa Sede ha anche un suo ruolo, una sua influenza importante a livello internazionale. Noi faremo quindi sentire la nostra voce e poi mostreremo che tutte queste Chiese del Medio Oriente, sia cattoliche sia ortodosse, formano una sola unità, una sola voce. Abbiamo anche sempre dei vertici con i capi musulmani, per parlare tutti insieme la stessa lingua. Questo lo diremo domani.

D. – Preoccupa sempre più l’avanzata del sedicente Stato islamico. Questo sicuramente sarà un tema cui sarà dedicata particolare attenzione...

R. – Quello che noi diciamo, abbiamo detto e diremo ai governi locali e alle comunità internazionali è di fermare l’azione dell’aggressore. Non è possibile che nel XXI secolo si torni alla legge preistorica, dove un’organizzazione arriva, ti sradica dalla tua casa e dalla tua terra, dice “tu sei fuori”, e la comunità internazionale guarda inerte e neutrale. Non è possibile. Noi denunciamo tutto questo e sollecitiamo il contributo, più che il contributo l’azione, della comunità internazionale. Bisogna fermare l’aggressore. Quello che ci duole, che ci dispiace, che notiamo, in questo periodo di guerra in Medio Oriente, è che molti Paesi di Oriente ed Occidente sostengono le organizzazioni fondamentaliste, terroriste per interessi propri - politici, economici - e sostengono queste organizzazioni terroriste con denaro, con armi e politicamente. Questo ci duole veramente molto. E noi lo denunciamo e lo abbiamo denunciato. Chiediamo quindi alla comunità internazionale di assumersi le sue responsabilità. E quando parliamo di comunità internazionale, non intendiamo qualcosa di anonimo, ma le Nazioni Unite, il Consiglio di Sicurezza, il Tribunale internazionale penale. Questi devono agire, altrimenti dove andiamo? Le Nazioni Unite perdono la loro ragione di essere. Questa assemblea delle nazioni è stata creata per proteggere la pace nel mondo e la giustizia, no? Adesso, però, diventa uno strumento in mano alle grandi potenze. Non è possibile accettarlo.

D. – In Libano, com’è vissuta l’avanzata dello Stato islamico?

R. – C’è ora una parte, dove si sono infiltrati, nella Beka'a, e quindi l’esercito è in agguato. Ci dispiace, però, di alcune voci a favore. In questo periodo di guerra in Siria, infatti, i confini tra Siria e Libano sono aperti e tutte queste organizzazioni si trovano sui confini. Quindi, né il Libano né la Siria possono proteggersi. Riusciamo comunque ancora a resistere.

© www.radiovaticana.org


IL  PATRIARCA BECHARA RAI SU SINODO, MEDIO ORIENTE E LIBANO  – di GIUSEPPE RUSCONI –
www.rossoporpora.org – 20 ottobre 2014



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   E’ legittimo pensare che gli Stati Uniti e i loro alleati abbiano commesso ripetuti e gravi errori di strategia sia nei confronti dell’Iraq che della Siria? Se sì, gli Stati Uniti secondo Lei stanno cercando di porre riparo per quanto possibile a tali errori?
Penso di sì. Spero che vogliano rivedere la loro strategia, rendendola una strategia per la pace in tutto il Medio Oriente. Ciò significa tentare di risolvere in primo luogo il conflitto israelo-palestinese, impegnarsi in uno sforzo serio per porre fine alla guerra in Siria e in Iraq e bloccare le aggressioni delle organizzazioni terroristiche. Dovrebbero in ogni caso utilizzare la loro influenza per spingere i Paesi sunniti e sciiti a un dialogo costruttivo, così da eliminare i conflitti nella regione evitando altri disastri umanitari.
  Non sarebbe più efficace se alcuni Stati cessassero di fornire armi e acquistare petrolio dall’ Isis e bloccassero i passaggi degli estremisti islamici attraverso le proprie frontiere ?
 Certo: è questa la richiesta essenziale. Tutto il problema nasce dal fatto  che ci sono Stati d’Oriente e d’Occidente che purtroppo - per interessi politici ed economici propri -sostengono le diverse organizzazioni fondamentaliste. Alcuni con armi e denaro, altri con l’acquisto illegittimo del petrolio, altri ancora offrendo ai terroristi e ai mercenari il libero passaggio delle frontiere. Non solo: c’è anche chi sostiene i terroristi politicamente. Bisogna assolutamente che le Nazioni Unite e il Consiglio di Sicurezza facciano cessare questo tipo di “delitto”.
  Come definirebbe il conflitto in Siria?
 E' una guerra civile, ma anche una guerra tra Stati sunniti e Stati sciiti per interessi propri. Perciò è ormai una guerra senza senso. Si tratta solo di distruggere di più, di assassinare di più, di accrescere gli odi e l’esodo di popolazioni intere. Dieci milioni di siriani sono ormai rifugiati in altri Paesi e regioni, sradicati dalle loro case distrutte o gravemente danneggiate.
 Emergono in Libano divisioni tra i musulmani nel valutare quanto accade in Siria?
 I musulmani libanesi sono adesso piuttosto divisi: i sunniti sostengono l’opposizione sunnita siriana e gli sciiti sostengono il regime alleato dell’Iran e dell’ Hezbollah libanese. E’ noto però che prima dell’assassinio nel 2005 del primo ministro sunnita Hariri, sunniti e sciiti sostenevano ambedue Assad.
  Secondo Lei, dopo il prolungato attacco islamista di qualche settimana fa ad Arsal (quasi al confine con la Siria) e dopo gli scontri tra islamisti e Hezbollah, è concreto il pericolo che anche il Libano divenga terra di combattimento, con i cristiani a farne le spese maggiori? Peggio ancora: c’è il rischio che il Libano si dissolva?
Il pericolo per il Libano è reale, ma l’esercito libanese è ben preparato. Speriamo di non dover tornare a qualche anno fa, al conflitto interno: nessuna fazione vuole la guerra, pur essendo precaria, critica, la situazione della sicurezza. Tutti i libanesi aspirano e vogliono la stabilità. Il pericolo di dissoluzione è apparente: le buone volontà sono ancora più forti.

leggi tutta l'intervista qui:  http://www.rossoporpora.org/rubriche/interviste-a-cardinali/428-il-patriarca-bechara-rai-su-sinodo-medio-oriente-e-libano.html



Caritas Libano: L'ondata di profughi mette a dura prova il nostro popolo

di Carlo Giorgi
Terrasanta.net  4 ottobre 2014

«Noi libanesi non siamo un gregge che vaga in una terra di nessuno: siamo i proprietari della nostra terra, siamo arrivati qui prima di tutti gli altri, anche prima dei musulmani…; siamo esseri umani che hanno il diritto di vivere dignitosamente e la comunità internazionale deve assumersi le sue responsabilità nel garantire la nostra dignità. Un fatto è certo: non possiamo essere noi a venire cacciati via e a pagare così il prezzo di altri!». Padre Paul Karam, presidente di Caritas Libano, tuona durante l’incontro che ha riservato a Terrasanta.net. Le sue parole sono lo specchio dell’esasperazione di tutti i libanesi, costretti a fronteggiare praticamente da soli, una crisi senza precedenti.
A causa della guerra in Siria, infatti, negli ultimi quattro anni la pressione demografica esercitata in Libano dai profughi è cresciuta progressivamente: i profughi siriani registrati dall’Onu in Libano oggi sono un milione e 130 mila (cifra esplosiva se si pensa che è raddoppiata nel giro di un solo anno), riversandosi su uno Stato, il Libano, privo di spazio e risorse. I siriani che oggi affollano l’area metropolitana di Beirut sono oltre 310 mila. Mentre nella regione di confine della Bekaa – dove vivono 750 mila abitanti autoctoni – si sono affollati in campi profughi e rifugi di fortuna altri 420 mila siriani. Per provvedere ad una tale massa sconfinata di persone, secondo le Nazioni Unite sarebbero necessari almeno un miliardo e mezzo di dollari mentre oggi gli organismi internazionali possono contare solo su 600 mila dollari: meno della metà dei fondi necessari.
«Il Libano, che è un piccolo Paese, ha accolto molti più rifugiati di Paesi più grandi, come Giordania e Turchia – spiega padre Karam –. Sistemare queste persone, aiutarle per il cibo e i vestiti è un’impresa al di sopra delle nostre possibilità. Basti pensare al problema delle scuole: ci sono circa 600 mila studenti siriani che dovrebbero iniziare l’anno scolastico. Le nostre scuole non ne possono accogliere più di 350 mila, non c’è posto per tutti… E degli altri che cosa facciamo? Saranno educati ad essere jihadisti ? Moltissimi ragazzi rimangono fuori, ci sarebbe bisogno di insegnanti, educatori…».
Le risorse del Paese non bastano per tutti …E questo provoca tensione sociale; quando, ad esempio, la Caritas aiuta i profughi a livello sanitario, con le medicine e le cure psicologiche; e poi dice al libanese in difficoltà: con te non posso fare la stessa cosa che sto facendo gratuitamente con il siriano… la gente si arrabbia e l’odio cresce. A causa dell’aumento enorme di stranieri sul nostro territorio sono aumentati i furti, le occupazioni di appartamenti… Per non parlare di quello che è successo negli ultimi mesi ad Arsal, nella valle della Bekaa…
Si riferisce agli scontri tra l’esercito libanese e le milizie fondamentaliste?Due soldati dell’esercito libanese, uno sunnita ed uno sciita, sono stati decapitati dalle milizie dello Stato islamico; altri sono stati presi in ostaggio. Mi ha colpito il fatto che i media internazionali abbiano parlato dei tre giornalisti, due americani e uno inglese, che sono stati decapitati… mentre dei due soldati dell’esercito libanese nessuno ne ha parlato. Ho ancora negli occhi l’immagine dei loro corpi decapitati… Questo fatto ha toccato molto la popolazione libanese.
Che appello lancia alla comunità internazionale?
Il nostro popolo è stanco: ci sentiamo come il formaggio dentro un panino, morsicato da una parte e dall’altra. Abbiamo diritto di vivere in pace, vogliamo la pace. Ma che sia una pace con dignità e giustizia. Per questo dalla comunità internazionale attendiamo una pace giusta, non una pace tagliata a pezzi… Oggi siamo minacciati nella libertà e la tentazione, per molte famiglie cristiane, è quella di scappare. Ma d’altra parte, quando uno è minacciato nella sua libertà, soprattutto quella religiosa, che cosa dovrebbe fare?

http://www.terrasanta.net/tsx/articolo.jsp?wi_number=6905&wi_codseq= &language=it

domenica 13 aprile 2014

Primavere arabe, teocrazia e democrazia, laicità e libertà...: grandissima intervista al Patriarca maronita Bechara Raï. Appello per il Libano

I Cristiani d'Oriente non sono "una minoranza", siamo cittadini originari in una terra che è pienamente la nostra.


Vi invitiamo a leggere per intero l'ampia, ricchissima intervista (in francese) di Isabelle Dillmann
  della 'Revue des Deux Mondes' al Patriarca libanese - a questo link : http://www.oeuvre-orient.fr/2014/04/04/entretien-sur-les-chretiens-dorient/

  Traduciamo e pubblichiamo solamente alcuni dei passaggi inerenti la situazione siriana.



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Ecco perché abbiamo bisogno di stabilità. Non si può parlare di progetto di sopravvivenza quando la guerra distrugge tutto. "Primum vivere deinde philosophari." Dobbiamo prima vivere e poi filosofare. La sfida è di rimanere, trovare modi per vivere in solidarietà, per mantenere sul posto una popolazione moderata che  spesso non ha scelta tra l'esilio o scivolare nel fondamentalismo. Questo è ciò che minaccia la pace nel mondo.

Revue des Deux Mondes - Quale paese, quali governi mette in causa?
Bechara Boutros Rai:  Io ho detto - e io sono responsabile delle mie parole - che alcuni paesi dell' Occidente e dell'Oriente, compresi alcuni paesi arabi e potenze regionali che non mi permetterò di nominare, supportano con armi, denaro e sostegno politico dei gruppi ribelli e milizie islamiste venute da tutto il mondo. Alcuni paesi pagano questi mercenari stranieri, sia dal Maghreb, dall'Azerbaigian e l'Afghanistan. Si trovano combattenti ceceni, libici, yemeniti o europei  radicalizzati per distruggere, terrorizzare e uccidere. Possiamo ancora parlare di guerra civile in Siria con tante interferenze internazionali?
Un ambasciatore di uno stato "pro-opposizione", ha ammesso davanti a me che "purtroppo" alcuni stati occidentali, compreso il suo, sostengono e finanziano questi gruppi fondamentalisti in Siria. Si tratta di una ingerenza esterna che fomenta la guerra a tutti i costi, prendendo il pretesto di instaurare la democrazia! Se delle riforme sono indispensabili  in Siria come in altri paesi arabi, queste non si possono fare dall'esterno o col terrore. Noi non siamo stolti. Non si tratta in questo caso nè di volontà democratica nè di sostegno alle riforme sociali e politiche di cui il mondo arabo avrebbe grande bisogno, ma di interessi finanziari ed economici con un commercio di armi appetitoso e di mire geopolitiche sulla regione . La Siria è diventata il teatro di un conflitto armato al quale prendono parte degli stati esteri per il proprio interesse. Non abbiamo bisogno di questo. Permettetemi di essere chiaro.

Revue des Deux Mondes - All'inizio del conflitto in Siria, nel settembre 2011, voi avevate optato per una posizione di mezzo, siccome i maroniti sono divisi in due fazioni - pro-e anti-siriane. Voi invitavate alle riforme attraverso il dialogo, suggerendo di "dare il tempo al presidente siriano" ...
Bechara Boutros Rai: Ciò che mi preoccupa non è la divisione dei cristiani, è la divisione dei musulmani dei due rami opposti dell'Islam, sunniti e sciiti, e le sue ripercussioni regionali e internazionali. La grande domanda è: "Come riconciliarli e tagliare corto questo aumento fondamentalista?".  I maroniti sono divisi in due campi:. Pro-Assad e anti-Assad. Da un lato, i sunnito-cristiani che vogliono un cambio di regime in Siria, e dall'altro i sciito-cristiani che ritengono che l'asse Teheran-Damasco-Hezbollah fornisce maggiori garanzie di sopravvivenza ai  cristiani orientali che non un'alleanza con l'Occidente. Ma su tutti gli affari nazionali, i cristiani sono d'accordo tra di loro.

Revue des Deux Mondes - Siete stato frainteso o voi sostenete il regime di Bashar al-Assad?
Bechara Boutros Rai:  No, certo che non supporto il regime di Bashar al-Assad. Questa non è la funzione di un patriarca, sostenere questo o quel regime, contrariamente da quanto immaginato da chi costruisce questo. Io sono contro la guerra, contro la violenza, contro la tirannia e dittatura. Ma mi rifiuto di passare di male in peggio. Un capo di Stato occidentale mi ha detto rispetto a questo: "Non bisogna sacrificare la democrazia in nome della stabilità."
Voglio approfittare di questa conversazione per cercare di illuminare l'Occidente su ciò che non capisce dell'Oriente. Lei mi ha posto questa domanda come se fosse cosa ovvia. Ma l'Occidente non riesce a capire nè ad ammettere che i cristiani hanno sempre rispettato le autorità locali in carica. Paradossalmente, è finora la migliore garanzia di sopravvivenza.

Revue des Deux Mondes - Il mio amico lo storico Samir Kassir, assassinato nel giugno 2005, ha parlato di un doppio sentimento di persecuzione e di odio di sé che hanno gli arabi. Egli credeva anche che la democrazia nel mondo arabo sarebbe passata dalla "primavera araba" a Damasco. Cosa ne pensa lei delle rivoluzioni arabe?
Bechara Boutros Rai:  Abbiamo accolto con favore le proteste popolari della "Primavera araba" in Tunisia, Egitto, Siria. Ma cosa è successo tutto ad un tratto? Come un gioco di prestigio "magico", o meglio tragico, questi eventi popolari sono scomparsi. Movimenti fondamentalisti hanno preso il sopravvento e si è verificata la guerra civile. Questa è la situazione in Egitto e in Siria oggi, per non parlare della Libia!
Questi giovani, qualunque sia la loro religione, vogliono la pace e vogliono riforme eque e attese. Hanno avuto il coraggio di scendere in piazza e non vogliono consegnarsi consenzienti nelle mani retrograde dei fondamentalisti. Complimenti alla pressione della società civile egiziana che dice no all'instaurazione di una società islamica!
La "primavera araba" è ben altro da questa diversione grossolana  di una democrazia-trappola che ha cercato di stornare ciò che era acquisito come in Tunisia. Stiamo assistendo allo stesso fenomeno in Siria. Che i mass media trasmettano le bugie non significa che si possa nascondere la verità. Ciò che si auspica è una rivoluzione dell'uomo e della stima che egli deve avere per se stesso. E mi rivolgo a quelli dell' ombra, a quelli che provocano terrore collettivo, e sostengono  gruppi  estremisti per destabilizzare un po' di più il mondo arabo su tale scala snaturando le speranze della gente.

Revue des Deux Mondes - Lei crede, come Walid Jumblatt il leader druso, che il mondo arabo sta morendo e affonderà?
Bechara Boutros Rai:  No, questa non è la fine del mondo arabo o la morte di un popolo. Questo è una fortissima crisi storica della stessa portata della fine dell'impero ottomano e della divisione della regione che ne seguì  più di un secolo fa. Abbiamo bisogno di una riflessione unitaria all'interno. Io non sono un utopista, ma l'ultima parola non potrà mai essere la disperazione. Questa è una crisi molto grave che assomiglia a quella di un organismo vivente che cade gravemente malato. Fino a quando non è morto, egli può tornare in buona salute. Noi, cristiani e musulmani, ci siamo ammalati. Dobbiamo riprenderci.
Ricordate, nella sua esortazione alle nazioni, Papa Francesco ha chiesto al mondo di "rinunciare all'odio fratricida, alla menzogna, alla proliferazione e al commercio illegale di armi." Egli ha sollevato la questione di un'economia mafiosa.
Chiedo regolarmente, senza mai ricevere una risposta, agli ambasciatori dei paesi che sostengono i gruppi estremisti di rivedere la loro politica. Che dire del mercato delle armi? Per quale scopo così tanti soldi spesi, tanto supporto logistico per sostenere queste milizie? Tante città sistematicamente distrutte, tanta sofferenza, tanti rifugiati nel mondo ... Chi ha  interesse nel voler tornare al sogno del grande califfato internazionale? Ci ritroveremo questi "sponsor di guerra" che in seguito presenteranno la fattura per la ricostruzione? Ancora nessuna risposta. Non mi ricordo chi ha detto con una triste ironia che Dio ha creato il mondo, ma che l'economia lo gestisce.

http://www.oeuvre-orient.fr/2014/04/04/entretien-sur-les-chretiens-dorient/

Il card. Raï all'Onu: il fondamentalismo islamico, minaccia per la pace




dal sito Radio Vaticana

Il cardinale Béchara Boutros Raï, patriarca d'Antiochia dei Maroniti, ha tenuto nella sede Onu di Ginevra, una conferenza sul tema dei cristiani, la pace e il futuro in Medio Oriente. 
Tre i punti toccati: la presenza dei cristiani nel mondo arabo, una ricchezza di tradizioni e iniziative sociali nei vari Paesi che ha promosso valori morali e umani, in una costante testimonianza di ricerca di convivialità tra le differenze. In secondo luogo la destabilizzazione attuale del Medio Oriente, dovuta ai tanti colpi di Stato, alle lotte ideologico-religiose, al trionfo di rivoluzioni come quella di Khomeini in Iran, alla deviazione fondamentalista che ha pressoché annullato i frutti iniziali della "primavera araba" e le ingerenze di Paesi occidentali che mantengono vivi i conflitti. Infine, il porporato si è soffermato sulle prospettive di futuro per la Siria, facendo suoi, da un lato, i richiami di Papa Francesco ad una soluzione politica, fatta di dialogo e di negoziazioni e, dall'altro, gli interventi di mons. Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l'Ufficio Onu di Ginevra, che più volte ha ribadito analoghe vie di risoluzione del conflitto, nel rispetto reciproco, liberando fede e politica da strumentalizzazioni reciproche. 
Il milione e mezzo di rifugiati in Libano, vittime del conflitto siriano, non possono più attendere una soluzione al dramma che stanno vivendo. Il patriarca, al termine del suo intervento, ha ribadito che persistono numerosi elementi in comune e complementari tra cristiani e musulmani, vissuti da più di un millennio tra le due culture che costituiscono una base solida per il futuro. 
A margine della conferenza Gabriele Beltrami ha rivolto al cardinale Béchara Boutros Raï alcune domande a partire dalle parole di Papa Francesco all'udienza generale relative all’uccisione del padre gesuita Frans van der Lugt lunedì scorso in Siria.

R. - Ci rincresce molto l'assassinio del padre che conosciamo molto bene dal Libano. Penso che sia stato ammazzato da fondamentalisti i quali, perseguitano i cristiani dichiaratamente e anche i musulmani. Ogni fondamentalismo commette atrocità, violenza, terrorismo, morte, assassinio, lo fa a nome della religione, quindi danneggia la religione stessa. Certo questo non rappresenta l'Islam. L'Islam è un'altra cosa, ha i suoi valori. I moderati, che sono la maggioranza, dovrebbero condannare tutto ciò. Purtroppo non condannano apertamente e noi insistiamo affinché questa posizione sia presa chiaramente. Spesso non lo fanno perché hanno paura di essere perseguitati. Questo noi lo sappiamo e lo rispettiamo. Però voglio dire alla comunità internazionale e all'opinione pubblica che la maggioranza dei musulmani sono moderati. Mi dispiace che una scelta politica sta fomentando e promuovendo il fondamentalismo. Prendiamo il caso dell'Egitto: i Fratelli musulmani sono stati aiutati finanziariamente da grandi potenze per ottenere il potere. Questo cosa vuol dire? Vuol dire che questa scelta politica vuole fomentare i conflitti dentro l'Islam stesso, ma anche vuole mostrare, per il bene di qualcuno, che è impossibile la convivenza tra gli uomini e, socialmente, tra le diverse civiltà. Bene, vogliamo salutare il popolo egiziano che ha potuto fare questa rivolta, la stessa cosa in Siria. Mi dispiace molto, perchè la gente voleva le riforme: erano delle manifestazioni giuste e vere. Sono state soppiantate da questi gruppi fondamentalisti. Sia Paesi dell'Oriente che Paesi dell'Occidente volevano sempre mandare armi ai ribelli: ma a chi andavano? Ai fondamentalisti, ai mercenari. Vuol dire che c'è una scelta politica latente che vuole destabilizzare le società. Bisogna non solo che i moderati musulmani denuncino apertamente, ma bisogna anche che la comunità internazionale si renda conto che non può continuare a promuovere e sostenere e consolidare e fortificare i gruppi fondamentalisti, perché questi non sono un pericolo solo per la regione, per i cristiani: sono un pericolo per la pace mondiale. Quando uscissero fuori questi gruppi fondamentalisti che non promuovono che il terrorismo, chi li potrà domare? Bisogna che la comunità internazionale prenda coscienza e che dia ascolto al Santo Padre Francesco.

D. - In una recente intervista ha messo chiaramente in discussione che si possa ancora parlare di guerra civile in Siria dopo le tante ingerenze internazionali che, secondo lei, alimentano solo le ostilità. La sua è una denuncia forte: che reazioni ha ottenuto fino ad oggi?

R. - Quelli che non vogliono la pace e non vogliono soluzioni politiche rifiutano questo discorso. E io l'ho sperimentato personalmente già all'inizio della guerra in Siria, perché sono cosciente e lo dico dichiaratamente, pubblicamente: quando io facevo appello ad una soluzione pacifica e politica in Siria, allora dicevano che sostenevo il regime. Poi mi sono consolato perché fin dalla sua elezione, Papa Francesco non ha cessato mai di richiamare alla soluzione politica. Chi non vuole la pace, non accetta il tuo discorso; chi vuole la guerra non accetta il discorso per la pace; chi vuole l'oppressione non accetta il discorso della giustizia; chi vuole inimicizie non accetta il discorso della fratellanza. Però questo non vuol dire che dobbiamo tacere: dobbiamo sempre dire la verità, richiamare alla giustizia, all'amore - perché siamo tutti uomini - e anche alla libertà. Questi sono i quattro pilastri della pace di Papa Giovanni XXIII: verità, giustizia, libertà e amore. Se questi pilastri non esistono, allora la pace non può esistere. Ecco la voce profetica della Chiesa.

D. - Sembra che in Medio Oriente la ricerca di pace stabile e di riforme eque attese da tempo si sia arrestata o quantomeno rallentata. Lei parla di "fortissima crisi storica della stessa portata della fine dell'Impero ottomano e della divisione della regione che ne seguì più di un secolo fa": quali le piste per una risoluzione?

R. - All'origine di tutto quello che sta avvenendo nel Medio Oriente, ci sono il conflitto israelo-palestinese e israelo-arabo. Sono due conflitti. Quello israelo-palestinese riguarda il territorio palestinese: gente cacciata dalla terra, la propria terra, che vive miseramente nei campi. Quello israelo-arabo riguarda Israele che occupa Paesi arabi - Libano, Siria, Palestina - e le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza non vengono applicate. Bene: né i palestinesi hanno diritto di ritornare, né hanno diritto di formare il loro Stato, né l'esercito israeliano applica le risoluzioni per lasciare i territori occupati: vuol dire che non vogliono la pace. E da questo conflitto nascono, si alimentano, come da un fuoco, gli altri conflitti del Medio Oriente. Sono riusciti a creare il conflitto tra i musulmani, hanno cercato di farlo tra cristiani e musulmani, ovunque, specialmente in Libano, con la guerra del Libano: non sono riusciti perché la cultura libanese della convivialità ha prevalso. Sono riusciti a creare questo grande conflitto tra sunniti e sciiti, tra moderati e fondamentalisti e integralisti, il conflitto in Egitto tra moderati e fratelli musulmani che sono piuttosto integralisti. In Irak hanno acceso il conflitto sunniti-sciiti. Tutti i giorni si ammazzano a vicenda. In Siria la lotta non è tra siriani sunniti e sciiti, lì non ci sono sciiti: si tratta di una lotta di Paesi sunniti capeggiati dall'Arabia Saudita e Paesi sciiti capeggiati dall'Iran. Questi Stati fanno la guerra in Siria attraverso l'opposizione, da una parte, e attraverso i gruppi fondamentalisti e mercenari che vengono da diversi Paesi occidentali e orientali. Questa è la grande tragedia: se la comunità internazionale vuole veramente la pace nel Medio Oriente, deve cominciare a risolvere il conflitto israeliano-palestinese e israeliano-arabo.

D. - Il Libano ha accolto un milione e mezzo di profughi siriani, un terzo della popolazione libanese: qual è oggi la situazione e le prospettive per loro?

R. - Il Libano, differentemente da altri Paesi, non ha potuto chiudere le porte, non ha potuto mai dire basta, perché in Libano c'è una parola che dice: "Le mani che hanno conosciuto i chiodi, inchiodate dai chiodi, solo loro sanno toccare le ferite". Noi abbiamo sperimentato e noi sempre abbiamo detto, io ed altri: "Fossimo noi al loro posto! Fossero le nostre famiglie!". Quindi noi non possiamo chiudere la porta alla gente innocente. Questo non vuol dire che il Libano deve assumere da solo questo peso. Non si tratta solo di un grande peso economico-sociale - perché non hanno nulla per vivere, per vestirsi, per mangiare, per le scuole – ma anche niente sicurezza, perché entrano le armi. A lungo andare questo minaccia l'identità del Libano, la fisionomia sociale e la cultura libanesi e minaccia specialmente la sicurezza del Libano perché queste persone verranno strumentalizzate politicamente: è gente oppressa, gente ferita quindi può vendersi a tutte le correnti. Una volta il Beato Giovanni Paolo II disse all'Onu che non basta denunciare i fondamentalisti e integralisti, bisogna vedere perché esistono, dove stanno le cause perché se c'è oppressione e ingiustizia nel mondo ecco che nascono questi gruppi fondamentalisti. Bisogna aiutare i profughi, certo, ma bisogna anche salvare il Libano. Noi chiediamo oggi che siano stabiliti campi all'interno della Siria, dove hanno molto spazio di sicurezza sotto il controllo dello Stato, e se per caso fosse difficile far passare gli aiuti attraverso le frontiere siriane - dato che il regime ha paura che entrino anche i mercenari - noi proponiamo che siano sulla "no man's land", cioè tra le due frontiere. Però adesso lo stesso problema è che vivono in mezzo ai villaggi: non abbiamo spazio in Libano. Il Libano ci sono montagne e valli e qualche pianura.
Quindi faccio un appello alla comunità internazionale: non bisogna sacrificare un Paese che è democratico, un Paese dove c'è la convivialità tra musulmani e cristiani organizzata dalla Costituzione. Volete democrazia? Nel Medio Oriente la porta il Libano! Volete diritti umani e fondamentali? Li porta il Libano! Volete le libertà, tutte le libertà pubbliche? E' il Libano a portarle! Volete convivialità di religioni, culture? E' il Libano ... ! Per favore, non sacrificate il Libano perché con senso umanitario riceve gente disperata. Spero che questo appello arrivi a delle coscienze e a delle buone volontà per non creare un altro problema ancora: noi non vogliamo rinunciare a questa nostra cultura cristiana, però, per favore, che il mondo aiuti questo Paese di cui ha detto Giovanni Paolo II che è un messaggio e modello per l'Oriente e l'Occidente, per dire che è possibile vivere insieme essendo diversi.

martedì 24 dicembre 2013

"La forza e la violenza di cui facciamo esperienza in questo tempo ci potranno togliere tutto, ma non la vita che nasce da quell’amore."

Icona di Mikhail Damasceno , 1740, nella Chiesa di Costantino in Yabrud


“Maria diede alla luce il suo figlio primogenito, 
lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia” 
(Lc 2,7)

Il lungo anno che sta per concludersi ha visto un crescendo di violenze. Abbiamo sofferto per il coinvolgimento di tanti innocenti: bambini, vecchi, donne, poveri di tanti Paesi; per tanti fratelli e sorelle cristiani, vittime di discriminazione, persecuzione e di martirio in Medio Oriente e in varie parti del mondo. Un lungo tempo in cui la nostra speranza è stata sostenuta dalla preghiera e dall’urgenza di prestare aiuto. Abbiamo sentito fortemente la necessità e il dovere di tenere alta la nostra speranza, di difenderla quasi, dall’assalto ripetuto di una violenza che sembra inarrestabile. E abbiamo toccato con mano l’eterna verità che il Natale racchiude e il Vangelo rivela.
La via della vita non passa attraverso le strade del dominio e del potere, ma percorre i sentieri nascosti di un amore che si fa debole, che sceglie di non imporsi.
Dio non ci salva con un gesto di forza, ma con l’umile segno di un’infinita disponibilità, che si offre a tutti. Avevamo bisogno che l’Onnipotenza si facesse Bambino. “Quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto” (1Cor 1,27). Perché “ci basta la Sua grazia; e la forza si manifesta pienamente nella debolezza” (1Cor 12,9)
Solo così ci ha salvati davvero, fin dentro le radici più profonde, nascoste, oscure del nostro cuore. Perché se a salvarci fosse stata solamente la Sua potenza, anche la potenza benefica di un miracolo, certo saremmo stati guariti dal male, ma non trasformati nel cuore.
Avremmo avuto la conferma - ma questo lo sappiamo già, da sempre -, che il potere conosce questa ambiguità: cioè il potere di fare il male e il potere di fare il bene. Ma sempre con potenza. E il nostro cuore avrebbe continuato a confidare nella potenza, augurandosi che fosse una potenza benefica e non malefica.
Dio, invece, ci ha salvati dal male non con la potenza, ma con la debolezza dell’amore. E allora siamo davvero guariti. Perché abbiamo fatto esperienza che l’amore, quando è autentico e radicale, ci salva. Ci salva perfino da noi stessi, dalla nostra brama di potere, dal nostro confidare nella forza, dall’illusione di possedere la vita attraverso la forza. 


E questa è la salvezza: fidarsi, infine, dell’amore.
Fidarsi che nient’altro trasforma il cuore, nient’altro cambia il mondo. La violenza che ultimamente ci circonda e che sembra essere l’unico linguaggio in uso diventa dunque impotente di fronte all’amore che salva.
Avevamo bisogno che qualcuno, prima di noi e per noi (Cristo patì per voi lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme, 1Pt 2, 21), percorresse questa strada, questi umili sentieri, per dirci che questa strada è vera, l’unica strada vera. E su questa strada camminasse fino alla fine, fino a quella croce dove l’amore - l’amore debole e sconfitto - dona tutto se stesso, per rinascere vivo per sempre.
La forza e la violenza di cui facciamo esperienza in questo tempo, dunque, ci potranno togliere tutto, ma non la vita che nasce da quell’amore. Essa è donata per sempre. 


Questo è il Natale. Che questo Bambino ci prenda per mano e ci conduca su questa stessa strada, quella che Dio ha scelto; lì dove solo all’amore consegniamo il nostro cuore, lì dove siamo salvati davvero.
Posiamo allora lo sguardo sulla grotta di Betlemme, per vedere che Dio ha scelto quanto c’è di più lontano dalla forza, di più diverso dalla potenza: Dio ha scelto la carne di un bambino.

Fra Pierbattista Pizzaballa, OFM
Custode di Terra Santa


http://it.custodia.org/default.asp?id=4&id_n=24060

           Buon Natale a tutti!


Il Natale, quest’anno, parla ai nostri cuori in questo martoriato Oriente, essendo la festa della pace annunciata dal coro degli angeli nel cielo di Betlemme: “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà”. 
Nel nostro Oriente e dalla nostra terra è stata annunciata la pace al mondo, con la nascita del Principe della pace, il Cristo Salvatore, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo. 
Ci rincresce e ci duole che questa stessa terra sia trasformata dagli interessi politici, economici e distruttivi in una terra di guerra, di violenza e di terrorismo. 
Però, essendo la pace un dono di Dio e Cristo stesso nostra pace, la pace è possibile ed è affidata a ciascuno di noi, secondo il suo stato, la sua posizione e la sua responsabilità. La pace è anche necessaria perché gli uomini e le donne, i piccoli e i grandi possano vivere nella verità, nella giustizia, in amore e libertà. Cristo è nato: Alleluja!

Patriarca Béchara Raï