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giovedì 23 aprile 2015

Il primo genocidio del XX secolo


 Io sono armeno. Ես հայ եմ

di Alessandro Aramu
 Da qualche mese nel mio DNA c’è anche l’Armenia. Il mio patrimonio genetico è fatto di tutti i luoghi che ho visitato, di tutte le persone che ho incontrato, di tutti gli sguardi che ho incrociato. C’è un pezzo di loro in tutte le cose che faccio, in tutto ciò che credo.
Da qualche mese sono anche armeno, figlio adottivo di quel genocidio che ha sterminato cento anni fa milioni di persone. Lo sono in particolar modo da quando ho intervistato gli ultimi sopravvissuti, in una cavalcata di emozioni e pulsioni che mi ha portato in quel paese schiacciato tra la Turchia e l’Azerbaigian.
Sono loro ad avermi chiesto di ricordare quelle persecuzioni, quell’odio, quella ferocia che da un secolo si portano dentro. Un crimine che non dimenticano. Che nessuno deve dimenticare.
Le mani intrecciate sul rosario di Aharon, lo sguardo fiero di Silvard e la forza di Andranik sono la ragione che mi ha spinto a raccontare le loro storie, fatte di strappi, di lacerazioni, di affetti impossibili da ricongiungere. Di luoghi che non potranno più visitare perché qualcuno ha violentato, ma non ucciso, la loro identità di popolo.
Fotografie sparse su un tavolo, ricordi che si perdono nel tempo, quando ancora si era bambini e tutto sembrava avvolto da innocenza e ingenuità.
Ma poi vennero gli uomini cattivi, con le loro armi, a portare via mamma e papà. Fratelli. Sorelle. Nonni e zii. Uomini cattivi che non hanno neppure un volto.
Pensieri, silenzi. Ancora silenzi. E poi, improvvisi, ricordi che acquistano spessore, come quella pelle marchiata dal sole al termine di camminate interminabili. Dove c’era vita all’improvviso crebbe la morte, come una pianta infestante che sbuca fuori subito dopo averla estirpata.
Morte.
Sono armeno. Lo sono ogni giorno che passa, perché da quella gente ho imparato la dignità, la semplicità e l’affetto sincero. Invaso dal calore di una casa che si apre a uno sconosciuto e diventa anche un po’ tua.
Sono armeno perché ho il diritto e il dovere, come uomo e come giornalista, di ricordare quella violenza, che non scalfisce solo i corpi, non li violenta, non li deturpa. No, quella rabbia ha segni profondi che si imprimono nell’anima. E nella memoria collettiva di una nazione.
Ho sentito le loro grida, visto i ventri delle donne incinte squarciati dalle lame, le teste mozzate ed esposte come trofei. Corpi smembrati, ripiegati come cartacce da calpestare. Croci, tante croci. Simbolo di un cristianesimo negato. Luogo di morte per migliaia di persone.
Ecco perché “Il genocidio armeno: 100 anni di silenzio” non è un libro qualunque. Non è il mio libro. E neanche degli altri autori che hanno costruito insieme a me questo viaggio verso l’orrore, di ieri e di oggi. Perché, qui dentro c’è anche un pizzico della Siria contemporanea, con il suo sangue che scorre proprio nei luoghi dove migliaia di armeni trovarono rifugio o morte.
Siria e Armenia. Legate da un destino comune, abbracciate come le donne costrette a soffocare i propri figli in una stretta mortale. Perché tutto qui si mischia, sangue, sudore, polvere e sofferenza.
Questo è il libro di quei sopravvissuti, dei loro figli, dei loro nipoti. Un libro offerto in dono a chi vuole vivere in un mondo migliore, dove i giusti e i torturatori possono finalmente sedersi intorno a un tavolo nella consapevolezza del riconoscimento dell’orrore e del perdono. Un libro che deve unire, che deve far riflettere, che deve far sentire tutti un po’ figli di quella terra generosa che sa perdonare ma non potrà mai dimenticare.
Ecco perché sono armeno. Orgoglioso di esserlo diventato.


1915-2014










SALUTO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
Messa  per i fedeli di rito armeno
del 12 aprile 2015

Cari fratelli e sorelle armeni,
cari fratelli e sorelle!
In diverse occasioni ho definito questo tempo un tempo di guerra, una terza guerra mondiale ‘a pezzi’, in cui assistiamo quotidianamente a crimini efferati, a massacri sanguinosi e alla follia della distruzione. Purtroppo ancora oggi sentiamo il grido soffocato e trascurato di tanti nostri fratelli e sorelle inermi, che a causa della loro fede in Cristo o della loro appartenenza etnica vengono pubblicamente e atrocemente uccisi – decapitati, crocifissi, bruciati vivi –, oppure costretti ad abbandonare la loro terra.
Anche oggi stiamo vivendo una sorta di genocidio causato dall’indifferenza generale e collettiva, dal silenzio complice di Caino che esclama: “A me che importa?”; «Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9; Omelia a Redipuglia, 13 settembre 2014).

La nostra umanità ha vissuto nel secolo scorso tre grandi tragedie inaudite: la prima, quella che generalmente viene considerata come «il primo genocidio del XX secolo» (Giovanni Paolo II e Karekin II, Dichiarazione comune, Etchmiadzin, 27 settembre 2001); essa ha colpito il vostro popolo armeno – prima nazione cristiana –, insieme ai siri cattolici e ortodossi, agli assiri, ai caldei e ai greci. Furono uccisi vescovi, sacerdoti, religiosi, donne, uomini, anziani e persino bambini e malati indifesi. Le altre due furono quelle perpetrate dal nazismo e dallo stalinismo. E più recentemente altri stermini di massa, come quelli in Cambogia, in Ruanda, in Burundi, in Bosnia. 
Eppure sembra che l’umanità non riesca a cessare di versare sangue innocente. Sembra che l’entusiasmo sorto alla fine della seconda guerra mondiale stia scomparendo e dissolvendosi. Pare che la famiglia umana rifiuti di imparare dai propri errori causati dalla legge del terrore; e così ancora oggi c’è chi cerca di eliminare i propri simili, con l’aiuto di alcuni e con il silenzio complice di altri che rimangono spettatori. Non abbiamo ancora imparato che “la guerra è una follia, una inutile strage” (cfr Omelia a Redipuglia, 13 settembre 2014).

Cari fedeli armeni, oggi ricordiamo con cuore trafitto dal dolore, ma colmo della speranza nel Signore Risorto, il centenario di quel tragico evento, di quell’immane e folle sterminio, che i vostri antenati hanno crudelmente patito. Ricordarli è necessario, anzi, doveroso, perché laddove non sussiste la memoria significa che il male tiene ancora aperta la ferita; nascondere o negare il male è come lasciare che una ferita continui a sanguinare senza medicarla!
Vi saluto con affetto e vi ringrazio per la vostra testimonianza.

Con la ferma certezza che il male non proviene mai da Dio, infinitamente Buono, e radicati nella fede, professiamo che la crudeltà non può mai essere attribuita all’opera di Dio e, per di più, non deve assolutamente trovare nel suo Santo Nome alcuna giustificazione. 
Viviamo insieme questa Celebrazione fissando il nostro sguardo su Gesù Cristo Risorto, Vincitore della morte e del male.




Il discorso di Sua Santità Karekin II, Patriarca Supremo e Catholicos di Tutti gli Armeni:

http://www.news.va/it/news/il-discorso-di-sua-santita-karekin-ii-patriarca-su




Il Patriarca maronita: evitano di nominare il Genocidio armeno solo per paura delle conseguenze legali


Erevan (Agenzia Fides) - “Dopo cento anni, la comunità internazionale sta cercando una definizione per il Genocidio armeno e ha paura di chiamarlo Genocidio perché ne teme le conseguenze legali”. Così il Patriarca di Antiochia dei Maroniti, Bechara Boutros Rai, ha spiegato la riluttanza di nazioni e organismi internazionali a pronunciare la parola genocidio per indicare i massacri pianificati di armeni avvenuti in Anatolia nel 1915. Le dichiarazioni del Patriarca Rai sono state rilasciate a Erevan, dove il Primate della Chiesa maronita si trova per prendere parte alle commemorazioni ufficiali del centenario del Genocidio armeno. 

Senza citare espressamente la Turchia – che esercita pressioni diplomatiche a tutti i livelli e in tutte le direzioni per evitare che la definizione di Genocidio armeno sia utilizzata dai leader politici e religiosi, dalle istituzioni politiche delle singole nazioni e dagli organismi internazionali – il Patriarca maronita ha ribadito l'urgenza di riconoscere il Genocidio armeno “non per rivalersi, ma per evitare il ripetersi di altri Genocidi”. Se la comunità internazionale non riconosce il Genocidio armeno, ha avvertito il Cardinale Rai, “saranno commessi altri Genocidi” Mentre “nessun Genocidio, attacco o massacro può essere giustificato per ragioni economiche, come sta succedendo adesso”. 
Alle celebrazioni ufficiali in corso a Erevan prendono parte, oltre al Patriarca Rai, anche il Patriarca copto ortodosso Tawadros II e il Patriarca siro ortodosso Ignatius Aphrem II. La delegazione della Santa Sede è guidata dal Cardinale Kurt Koch, Presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei cristiani. 

martedì 5 marzo 2013

Cristiani d'Oriente sacrificati

"MENTRE I MOVIMENTI ISLAMICI RADICALI SONO INDAFFARATI CON LA LORO PRIMAVERA POLITICA, I CRISTIANI DEL MONDO ARABO SONO ALLE PRESE CON UN INVERNO BURRASCOSO CHE RISCHIA DI DECIMARLI. CIO’ A CAUSA DI UN PROGETTO NEO-COLONIALE CHE PUNTA A ISOLARE L'IRAN"



da Nigrizia - febbraio 2013
di MOSTAFA EL AYOUBI

In passato non sono mancati conflitti e tensioni tra musulmani e cristiani d'Oriente, spesso a causa di strumentalizzazioni politiche interne (Egitto) e ingerenze esterne per scopi geopolitici (Libano). Tuttavia la situazione delle minoranze cristiane arabe non è mai stata cosi preoccupante come lo è oggi, in seguito all'affermazione degli islamisti come la più grande forza politica in quasi tutti i paesi arabi. Gli islamisti hanno "vinto l'appalto" per un ri-modellamento geopolitico del mondo arabo, nato dall'urgente necessità di arginare la crescente influenza dell'Iran nel Medio Oriente e in altre parti del mondo islamico, a scapito degli Usa e dei loro alleati. Diversi sono stati i tentativi per destabilizzare il regime sciita iraniano: dalle sanzioni e dagli embarghi che durano dal 1979 alla guerra affidata a Saddam (1980-1988), alla rivoluzione verde del 2009 per far cadere il regime. Tentativi non riusciti.
Si è passati quindi al piano B, ossia innescare un conflitto interconfessionale tra la maggioranza sunnita e la minoranza sciita: la logica di tale piano è la creazione di una regione con una forte connotazione confessionale sunnita in tutto il mondo arabo per isolare il regime sciita di Teheran. Il piano si basa su un fattore determinante, ovvero l'odio che i sunniti nutrono nei confronti degli sciiti considerati eretici. Il baricentro di questo conflitto oggi è la Siria.
Questo scontro intra-musulmano, studiato ad arte, ha gravi conseguenze sul presente e sul futuro delle storiche minoranze cristiane - ciò vale anche per altri gruppi di minoranza - sia in termini di sicurezza che di diritti. Si pensi agli attentati contro le chiese copte prima e dopo la "Rivoluzione del 25 gennaio" in Egitto o alla distruzione dei luoghi di culto cristiani in Siria negli ultimi due anni.
I jihadisti sunniti in Siria, oltre a voler gettare gli alawiti (sciiti) nelle bare, vogliono cacciare i cristiani verso Beirut. Interi quartieri cristiani a Homs e in altre città siriane sono stati occupati e devastati dai jihadisti. Tantissimi cristiani hanno dovuto lasciare le loro città per rifugiarsi all'interno o fuori dal paese. La violenza contro i cristiani in questa fase di trasformazione geopolitica araba ha raggiunto livelli inauditi: persino nella Libia "liberata" una chiesa copta egiziana vicino a Misurata è stata distrutta dai jihadisti il 29 dicembre scorso; l'attentato in cui sono morte due persone è passato sotto il silenzio assordante dei media mainstream.
Morsi, che si è dichiarato il presidente di tutti gli egiziani, non ha partecipato alla cerimonia di insediamento del nuovo patriarca copto ortodosso, Tawadros II, il quale, prima della sua nomina, aveva criticato la nuova costituzione egiziana, scritta in sostanza dai Fratelli musulmani e dai salatiti.
Di fronte a questo nuovo clima di insicurezza e di esclusione di cui sono oggetto i cristiani d'Oriente, qual è la posizione delle istituzioni cristiane d'Occidente? Diverse autorità religiose cristiane, come il patriarca di Mosca Kirill I, il patriarca maronita libanese Bechara Rai, il cardinale Filoni, ex nunzio a Baghdad, hanno spesso messo in guardia contro il rischio di un Medio Oriente che si sta svuotando della sua componente cristiana a causa della politica neo-coloniale dell'Occidente nella regione. A questo grido d'allarme il governo francese, sin dall'inizio della crisi in Siria, aveva risposto che «bisogna incoraggiare i cristiani d'Oriente a venire a insediarsi in Europa».
Dopo l'invasione dell'Iraq nel 2003, dei due milioni di cristiani arabi ne sono rimasti solo 800.000. Negli ultimi anni più di 100.000 copti hanno lasciato l'Egitto e oggi numerosi cristiani di altri paesi arabi stanno abbandonando la loro terra.
Le autorità religiose di cui sopra, insieme ad altre, come il patriarca di Antiochia, Gregorio III Laham, e il patriarca di Gerusalemme, Fouad Twal, chiedono con insistenza di fermare la guerra alla Siria per risparmiare la vita di cristiani, musulmani, drusi e altri ….

Una nuova Jalta, per superare la crisi siriana e poi le riforme




da Assadakah - 04-03-2013
di Raimondo Schiavone

Se non fosse per il rispetto che si deve agli Stati e, soprattutto alle vittime della tremenda guerra in corso in Siria, potremmo affermare che l’accordo di Roma promosso da John Kerry con alcuni paesi europei – fra i quali l’Italia – appare come un accordo fra clown. Per vari motivi. Primo perché 60 milioni di dollari sono davvero un ruscello in quel mare di desolazione e se ne perderà una buona parte per strada prima di arrivare alla gente. Gli stessi ribelli siriani hanno deriso questo impegno: si aspettavano un contributo fattivo con armi e addestratori, invece verranno accontentati solo i mediatori che si incaricheranno di portare le provviste. Secondo aspetto: John Kerry aveva un mandato limitato. Gli USA infatti non vogliono innervosire la Russia e hanno proposto solo di dare un contentino ai ribelli al fine di far emergere la fazione meno integralista dell’opposizione. Inoltre, in vista della chiusura di un accordo fra il governo di Assad e i ribelli, era necessario far aumentare il peso dell’opposizione nella prossima e imminente trattativa. Terzo aspetto: gli Stati europei sulla vicenda siriana hanno grande interesse: il pericolo è vicino geograficamente e l’integralismo alle porte del vecchio continente fa molta paura. Sotto il profilo economico, c’è da segnalare la chiusura dei mercati arabi, un danno enorme per le aziende europee.

Di diverso segno è la posizione degli Stati Uniti per i quali il caos in Siria è tutt’altro che un problema. La crisi siriana, secondo Washington, è un’occasione irripetibile per indebolire il “nemico” Iran e consentire ad Israele di controllare militarmente l’area mediorientale, anche in virtù dell’attuale pochezza del regime egiziano di Morsi. La parola che in questi giorni si pronuncia di più qui a Beirut – e anche a Damasco – è “accordo”. Oramai non è più solo un auspicio ma una certezza. Bisogna solo definire i termini e gli attori di questa nuova fase. Quasi certamente ci sarà una Yalta siriana.

   
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mercoledì 2 gennaio 2013

"Difendo il mio popolo e la verità sulla Siria": si alzano le voci fuori dal coro

 La dissoluzione dello Stato Siriano, continua a ripetere la deputata cristiana  Maria Saadeh, sarebbe un disastro per tutto il Medio Oriente e per le comunità religiose minoritarie che ci vivono.

Non ci sta Maria Saadeh a vedere la sua Siria dipinta come l’impero del male assoluto, non smette mai di impegnarsi di correre dove può per portare la sua parola di verità sulla situazione siriana.
Maria Saadeh: Si precipita a Beirut per incontrare la delegazione di Assadakah, una porta aperta verso l’Europa, una porta che non si vuole far aprire. Con la sua auto percorre la strada, per lei pericolosa, che congiunge Damasco a Beirut. Mostra tutto il coraggio di una donna che ha fatto della difesa del proprio Paese il suo modus vivendi. Fallita la sua missione e quella di due parlamentari siriani a Roma per incontrare le istituzioni italiane, a causa del diniego dei visti da parte del Ministro Terzi, ora il tentativo è quello di passare per Bruxelles. Non è facile, l’omologazione e la mistificazioni politica e mediatica sulla Siria sono fortissime, la campagna di menzogne continua a diffondersi per bocca dei politici e nei palinsesti televisivi. Non accettano nessun confronto in Occidente, vogliono sentire una sola voce, quella dei potenti, quella degli Stati Uniti, di Israele, del Qatar e della Turchia. Pur smentita nei fatti, la macchina del fango sul regime di Bashar al Assad non si ferma. Ora le armi chimiche! Una bufala clamorosa, dimostrata dai fatti e dalle testimonianze dei giornalisti, quelli ancora liberi, che in Siria ci vanno e raccontano. Quelli che non si capacitano del fatto che la verità possa essere mistificata in modo cosi palese. Quelli i cui servizi vanno in terza serata, mentre nei TG trasmettono i twitt dei terroristi. Maria Saadeh non smette di raccontare: “A Damasco non ci sono problemi, gli attacchi sono stati respinti all’esterno della città, certo cominciano a sentirsi gli effetti della guerra ed anche delle sanzioni, il popolo soffre, ma all’Occidente questo non interessa”.
Come al solito pragmatica e concreta, lei non ha mai difeso aprioristicamente il regime di Assad, anzi ha sempre contestato il predominio assoluto del partito Baath, tuttavia: “Una cosa è costruire un sistema democratico, altra è abbattere lo Stato. Lo Stato va difeso come principio assoluto, bisogna lavorare dall’interno per costruire regole democratiche, partecipazione e libertà. Non possiamo sprecare questa occasione”. “Il partito Baath per anni ha pervaso il tessuto sociale Siriano, si è sostituito allo Stato, ha creduto di poter fare le veci delle istituzioni, ha coltivato dentro di sé fenomeni di corruzione pesante, questo è tutto vero, ma per cambiare dobbiamo accettare la logica del pluripartitismo, proporre riforme interne, superare la supremazia del partito unico. Non possiamo accettare che questo accada con un intervento esterno, io difenderò fino alla fine il mio Paese, ed allo stesso tempo combatterò per ottenere le riforme”. Maria Saadeh, deputata eletta al Parlamento, manifesta tutta la sua forza di donna impegnata, quando racconta della sua Siria. “La Siria deve mantenere la sua laicità, non può cadere in mano agli integralisti sponsorizzati dal Qatar e dall’Arabia Saudita, la forza della Siria è il pluralismo religioso e l’integrazione fra i suoi componenti. La strategia occidentale è tesa ad indebolire il nostro Paese, prima di tutto perché nonostante la vicinanza geografica a Israele, ci siamo sempre schierati a favore del popolo palestinese, poi perché non accettiamo che si precluda il dialogo aperto con l’Iran, ed ancora per il nostro impegno di contrasto nei confronti delle interferenze esterne in Medio Oriente, inoltre gli interessi dell’industria bellica sono sempre in agguato e non potete immaginare quante armi sono state messe in campo dalle lobby americane in questa guerra. Una Siria debole e divisa fa più comodo all’Occidente e a Israele. I paesi del Golfo coltivano l’idea di dividere il nostro Paese, per realizzare dei piccoli emirati, cosi riducendo la sua forza”. Ecco il perché di tanta tenacia nel delegittimare l’attuale governo siriano”.Non si ferma mai Maria Saadeh, racconterebbe per ore la sua verità, il suo modo di vedere, la sua soluzione alla crisi siriana. Perché si parla di bombe, di armi, di conflitti, ma non si leva mai la voce di chi sostiene che la crisi siriana si può risolvere con il dialogo. Fra persone che vogliono confrontarsi e che hanno a cuore l’integrità statale e laica della Siria, gli altri sono solo i signori della guerra. Non ascoltare la voce di Maria Saadeh, non consentirle di portare in Occidente la propria parola è un grave errore, è come voler chiudere la porta di fronte alla verità, per alcuni è come mettere la testa sotto la sabbia per non vedere. Lei non si arrende e noi neppure nel farci interpreti delle sue parole ogni volta che c’è uno spiraglio di libertà che lo consente.
http://www.assadakah.it/dettaglio-attivita203/Maria-Saadeh-Difendo-il-mio-popolo-e-la-verita-sulla-Siria

L'Inviato Vaticano : la Nazione siriana ha il diritto di decidere il proprio destino



TEHERAN - L'ambasciatore del Vaticano in Libano Mons. Gabriele Caccia ha sottolineato che il popolo siriano è l'unico che ha il diritto di determinare il proprio destino, e ha accolto con favore il piano dell'Iran in sei punti per risolvere la crisi in Siria.

"La decisione finale sul destino politico della Siria deve essere fatta dal popolo di quel paese e attraverso un percorso democratico," ha detto Mons. Caccia in un incontro con il suo omologo iraniano Qazanfar Roknabadi a Beirut Lunedi.Ha descritto i colloqui e la soluzione politica come l'unico modo per risolvere la crisi in Siria, e ha sottolineato il ruolo costruttivo dell'Iran nella regione e il sostegno del Vaticano al piano in sei punti di Teheran per risolvere i problemi in Siria.Mons. Caccia ha anche sottolineato che l'aiuto finanziario e in armi offerto da alcuni Stati stranieri per i ribelli armati in Siria è inaccettabile.Lo ha detto dopo che l'esercito siriano ha annunciato Lunedi di avere sventato un attacco massiccio da parte di un gran numero di terroristi che cercavano di entrare in Siria attraverso il confine con la Giordania, e anche confiscate missili di fabbricazione israeliana e armi dei ribelli armati.L'esercito siriano ha confiscato ai terroristi missili anticarro e diversi apparecchi senza fili che sono stati fabbricati in Israele, secondo le notizie riportate sul sito Jahineh .L'esercito siriano ha impedito ai ribelli armati di attraversare il confine della Siria attraverso la vicina Giordania.Il giornale Washington Post, citando attivisti dell'opposizione e funzionari statunitensi e stranieri, ha riferito che i funzionari dell'amministrazione Obama hanno sottolineato che l'amministrazione ha ampliato i contatti con le forze di opposizione militari per fornire le nazioni del Golfo Persico con valutazioni di credibilità dei ribelli e comando e controllo delle infrastrutture.Secondo il rapporto, il materiale è stato accumulato a Damasco, a Idlib, vicino al confine turco, e in Zabadani al confine libanese.Attivisti dell'opposizione che qualche mese fa avevano detto che i ribelli erano a corto di munizioni hanno riferito a maggio che il flusso di armi - la maggior parte acquistati sul mercato nero nei paesi limitrofi o da elementi in passato appartenenti alle forze armate siriane - è notevolmente aumentato a seguito della decisione di Arabia Saudita, Qatar e altri stati del Golfo Persico di fornire milioni di dollari nel finanziamento, ogni mese.
http://english.farsnews.com/newstext.php?nn=9107132143



Addio alle archeologie siriane

Nel caos della guerra civile, il patrimonio archeologico siriano sta scomparendo pezzo dopo pezzo oltreconfine, favorendo così fortune personali o finanziando il conflitto. "E' molto simile a quanto accaduto in Iraq", ha detto al Financial Times un uomo coinvolto nel contrabbando delle opere d'arte.
Così si finanziano i ribelli siriani

 MADRE MARIE-AGNES  DENUNCIA: RIBELLI HANNO DECAPITATO UN CRISTIANO E DATO I PEZZI AI CANI

Si era appena sposato e sua moglie stava per partorire, ma questo non ha salvato Andrei Arbashe, un giovane cristiano, all'inizio di questo mese, da un destino orribile ...per mano di ribelli che combattono il regime del presidente Bashar al-Assad .
"Lo hanno decapitato, tagliato a pezzi e dato in pasto ai cani", ha detto Agnès-Mariam de la Croix, madre superiora del Monastero di San Giacomo il mutilato tra Damasco e Homs.
Dimenticate la narrativa consueta sulla primavera araba in merito a masse calpestate che affrontano le forze del male: il conflitto siriano sembra essere entrato in una fase più tenebrosa, in cui i ribelli stanno commettendo atrocità contro civili innocenti. Non è di buon auspicio per la pace.
Le persone che hanno fatto a pezzi Arbashe non sembra avessero bisogno di molto più di questo motivo: suo fratello era stato sentito lamentarsi che i ribelli si comportano come banditi ...
Conclude Madre Marie-Agnes : « Il sostegno dell’Occidente agli insorti islamisti è uno scandalo al mondo libero e democratico ».

sabato 3 novembre 2012

I cristiani, i salafiti, i prigionieri ribelli

Nella visita in Siria dello scorso settembre, il Centro Italo-Arabo Assadakah ha incontrato l'antica comunità cristiana, minacciata dai gruppi ribelli salafiti e jihadisti, e un gruppo degli stessi ribelli in una prigione a Damasco.
VIDEO ESCLUSIVO GIRATO DA  ASSADAKAH, CHE RINGRAZIAMO