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venerdì 24 ottobre 2014

“RICOSTRUIAMO LA SIRIA IMPARANDO DA PADRE FRANS”

Padre Frans era rimasto ad Homs per custodire il monastero ed il suo gregge, (ma il suo servizio era soprattutto all'uomo, ospitava nel monastero sia musulmani che cristiani).
E’ quello che lui stesso ha detto in più occasioni “Il popolo di Siria mi ha dato così tanto, tanta gentilezza“. Tanta mitezza era ripagata con l’affetto, la gente semplice lo stimava ed è dalla stima e non dalla paura che viene la vera autorevolezza.
 
In sua memoria riproponiamo un estratto di un'intervista a padre Ziad Hilal apparsa sulla rivista TRACCE  "RICOSTRUIAMO LA SIRIA IMPARANDO DA PADRE FRANS"
di Luca Fiore  ( servizio a pag 13 ''Guerra e Pace'' del numero di ottobre)


Il gesuita Ziad Hilal racconta la vita a Homs: "I bombardamenti cambiano molte cose, ma non toccano l'essenziale della fede".



"All'inizio non capiva perché noi aiutassimo anche musulmani. Era pieno d'odio perché era stato costretto a fuggire da casa sua. Poi dopo due settimane che lavorava con noi, è cambiato. Ora neanche lui fa più distinzioni tra cristiani e musulmani".
Padre Ziad Hilal, direttore del Jesuit Refugee Service (Jrs) a Homs, Siria, racconta uno dei tanti segni di speranza che vede dentro il dramma della guerra. Perché la pace non si costruisce solo al palazzo di vetro o al G20, ma anche e soprattutto dove le bombe cadono davvero. "Qui la guerra ha portato una tensione settaria che prima non c'era", spiega il gesuita: " ma é proprio per questo che raccogliamo i bambini per far giocare insieme: così anche gli adulti possono tornare a incontrarsi".
Oggi la città vecchia di Homs non è più controllata dai ribelli, ma in alcuni quartieri si combatte ancora. Mancano cibo, medicine, vestiti caldi per l'inverno. Padre Hilal ne ha di lavoro, eccome. Basti pensare agli 11 centri di supporto psicologico dove giocano centinaia di ragazzini. Le tre case di accoglienza che ospitano 65 bambini portatori di handicap mentale.

Almukales Center Homs
 Il punto di distribuzione di aiuti umanitari che serve 3000 famiglie della città e altrettante della regione. Un'opera imponente, che padre Hilal ha raccontato al meeting di Rimini e che, racconta, negli ultimi mesi ha avuto una svolta. Un cambiamento di metodo. Ispirato da padre Frans van der Lugt, il suo confratello ucciso il 7 aprile.

Che cosa l'ha più segnata in questi anni di guerra?
Innanzitutto vedere che il mio paese viene distrutto. Non mi sarei mai potuto immaginare la violenza che vedo oggi. E poi l'essere stato tanti mesi ad attendere di rivedere padre Frans. Lui abitava nel centro storico, io a meno di un km di distanza. Ma era impossibile incontrarsi. Eravamo vicinissimi, ma per due anni siamo stati divisi dalla guerra. Poi quella mattina ho ricevuto una chiamata…

Se l'aspettava?
Ogni tanto qualcuno ci chiamava dicendo che era morto. Ma le notizie erano sempre state smentite. Quella mattina, però, qualcuno mi ha fatto pensare che fosse vero. Ho chiamato per verificare: "Dov'è padre Frans"? La voce dell'altra parte ha risposto: "È tra le mie braccia, è morto assassinato".

Da quel giorno è cambiato il suo modo di stare a Homs?
Per me c'è un prima e un dopo la morte di Frans. Prima il nostro obiettivo era entrare nella città vecchia per poterlo vedere e aiutare. Oggi cerchiamo di seguire la sua lezione: lui ha sempre lavorato più sull'ascolto che sulla urgenza umanitaria.

Cosa fate di diverso?
Abbiamo una casa di ritiri in una zona di montagna. Abbiamo iniziato a usarla per invitare i giovani, la gente comune e nostri collaboratori. Abbiamo pensato che occorresse prendersi delle pause dal lavoro umanitario. Io stesso l'ho proposto alla mia équipe. Siamo tornati a guardare il fatto che la vita è una cosa bella, non è soltanto un continuo lavorare. Occorre prendersi un po' di riposo, trovare il tempo per pregare. Era quello che faceva, lì nella città vecchia padre Frans: passava il suo tempo a pregare per la Siria e per noi. Oggi la sua tomba è diventata meta di pellegrinaggio: 20 o 30 persone ogni giorno. Cristiani e musulmani..

È strano che un gesto di violenza come questa uccisione produca, anziché odio, desiderio di pace e riconciliazione.
Padre Frans ha pagato con la vita la fine della tragedia nella città vecchia. Ha donato se stesso e questo ha permesso che la gente potesse tornare a vivere in quella parte di Homs. Qualche giorno prima che morisse gli abbiamo di nuovo chiesto se volesse spostarsi in un luogo più sicuro. Lui ha risposto di no: "Io qui sono l'unico sacerdote del quartiere, sono l'ultimo custode dello Spirito Santo". Ha testimoniato che l'odio non può vincere.

È' cambiato il suo modo di vivere la fede in questi anni?
La guerra cambia molte cose della vita, ma non può toccare l'essenziale della fede. Continuiamo a celebrare messa, a pregare e radunarci anche sotto i bombardamenti. Una volta sono cadute delle bombe a pochi metri dalla nostra Chiesa mentre dicevo l'omelia. Ci siamo fermati per un momento, poi ho continuato con la messa.

Quando dice "l'essenziale della fede" che cosa pensa?
Il nostro credere in Dio, a Gesù Cristo e alla nostra Chiesa. Nessuno può toccare questo. Perché, come dice Papa Francesco, la vita dell'uomo è un legame con il Destino.
L'uomo è sempre sotto la protezione di Dio e né la guerra, nè l'odio, nè la violenza possono cambiare il nostro modo di credere in Lui. I credenti a Homs sono rimasti credenti. Certo, possono esserci momenti di dubbio. Ci si può chiedere dove sia Dio dentro la violenza. Ma la gente vede che la guerra non è prodotta da Lui, ma dagli uomini.

Ha avuto paura? Ha paura oggi ad Homs?
Sì, c'è la paura di tutti giorni, è per tutti così: la paura di essere cacciati, di essere uccisi da una pallottola o da una bomba. Ma alla fine abbiamo la certezza che Dio ci protegge.