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mercoledì 20 marzo 2013

A dieci anni dall'intervento degli americani per rovesciare il regime di Saddam Hussein


Il Patriarca caldeo, mons. Sako, a 10 anni da "Iraqi Freedom": la guerra fu un "male"

Le riforme non si fanno con le armi, ma con il dialogo ....


dal sito Radio Vaticana 


In Iraq non si celebra, non si ricorda quel 20 marzo del 2003 quando scattò l’operazione militare a guida statunitense. Perché le stragi in quel Paese non sono ancora un ricordo. Sebbene la violenza sia diminuita rispetto al periodo peggiore, tra il 2006 e il 2008, gli attentati continuano e l’insicurezza nel Paese è totale. 

L’intervento straniero fu stabilito per liberare gli iracheni dall’oppressione di Saddam Hussein, e per mettere in sicurezza il mondo minacciato dalle armi di distruzione di massa, mai trovate. Oggi, oltre 112 mila morti civili dopo, a quella guerra si dà un altro nome, quello dell’interesse economico legato al petrolio. Negli Stati Uniti, i sondaggi dimostrano che per oltre la metà degli statunitensi quella guerra fu “un’idiozia”, non fu una “guerra moralmente giustificata” e in molti pensano di essere stati ingannati dall’ex presidente del tempo, George W. Bush. 

D.- Cos’è l’Iraq di oggi? Mons. Louis Sako è il neo Patriarca di Babilonia dei Caldei, arrivato a Baghdad da Kirkuk dove era arcivescovo:
R. – C’è libertà ma non c’è sicurezza, dunque manca l’essenziale. Ci vuole tempo.

D. - Però, in attesa ci sono tante persone che continuano a morire. Come si fa a fermare questa violenza?

R. – Io penso che abbiamo bisogno di un dialogo coraggioso, sincero, fra gruppi politici. Nel governo ci deve essere armonia e buona intesa.

D. – Quindi, se lei dovesse pensare all’eredità lasciata dall’intervento degli americani di dieci anni fa, lei che cosa potrebbe dire? Doveva accadere?

R. – No, no. La guerra è sempre male e noi abbiamo un’esperienza molto brutta con le guerre: sempre ci sono state guerre in Iraq. Non sono venuti per realizzare la democrazia, per imporre la democrazia, perché è un qualcosa che non può essere imposta dall’alto, con un decreto. Bisogna formare la gente! Non sono venuti per salvare gli iracheni dalla dittatura. Come sta accadendo anche adesso nella primavera araba: loro predicano la democrazia, ma vendono armi o danno armi a tutti, anche l’America. Hanno cambiato l’Egitto e ora è la volta della Siria, dove c’è una guerra quasi civile. Le riforme non si fanno con le armi, ma con il dialogo. Se volevano cambiare le cose in Iraq, potevano farlo in altro modo, senza la guerra.

D. – Lei di che cosa ha paura? Che cosa teme in questo momento per il suo Paese?

R. – Ho paura di due cose: anzitutto che il Paese venga diviso, ma ho anche paura che non ci sia libertà, non ci sia sicurezza. La gente ha perso la fiducia nel futuro e nei responsabili. Se questo continuerà, i cristiani andranno via. La comunità internazionale ha una responsabilità molto grande nei confronti di tutti questi Paesi: prima c’è bisogno di capirne la mentalità, la cultura e anche la religione, e soprattutto cosa pensa la gente. 

D. – E’ vicina la Pasqua e quest’anno lei la trascorrerà a Baghdad: in che modo?

R. – Sarò a Baghdad e per me sarà una nuova esperienza. La gente a Baghdad ha più paura rispetto ai fedeli che vivono in Kirkuk o anche in Kurdistan. Sarò molto vicino a loro. Presenterò anche una iniziativa per la riconciliazione nel governo iracheno: bisogna che il governo sia riconciliato, che vi sia armonia. Questo avrà un impatto sulla gente, perché quando la gente ha fiducia in loro, quando loro servono la causa della gente, quindi della pace e della sicurezza, tutti possiamo guadagnarci. Dunque, incoraggerò i cristiani a rimanere e anche a contribuire allo sviluppo del Paese, partecipando alla vita politica, entrando nei partiti politici. Adesso l’ambiente è più adatto e aiuta di più.

L’Iraq è un Paese economicamente in gravi difficoltà, nonostante l’impennata del prezzo del petrolio e nonostante abbia scalzato l’Iran al numero due della classifica dell’Opec, l’Organizzazione dei Paesi produttori di Petrolio. Il tasso di disoccupazione è molto alto, soprattutto nel sud del Paese, i redditi delle famiglie sono depressi. La corruzione dilaga al pari della violenza e delle violazioni dei diritti umani. Il parere di mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad:

R. – Noi non vogliamo ricordare, noi aspettavamo altre cose. Il popolo iracheno aspettava la liberazione vera dalla dittatura. Invece, abbiamo sperimentato tante altre cose e non buone. L’amarezza delle autobombe, ieri, erano più di dieci. L’amarezza dei kamikaze, l’amarezza nel vedere le mine disseminate in terra, che ammazzano innocenti. Noi volevamo avere la libertà, ma a questa libertà non si è stati educati, è stata imposta, ma è impossibile obbligare chiunque ad essere libero. Prima è necessario educarlo. Noi abbiamo pregato tanto e preghiamo ancora per avere la vera libertà, la vera democrazia. Perciò, vogliamo chiedere a tutto il mondo di non vendere le armi a nessuno, le armi producono orfani e vedove. Quindi noi preghiamo per avere la vera libertà, quella che ci ha dato Cristo morendo per noi. Perché la libertà che c’è ora uccide. E’ una libertà interessata, perché l’occupazione dell’Iraq è avvenuta per interessi grandi, interessi del petrolio. Noi vogliamo la vera democrazia, la vera libertà. Chiedo che questa Pasqua sia una Pasqua di pace, veramente una resurrezione della vera vita spirituale, affinché tutti si avvicinino a Dio per il bene dell’uomo.

http://it.radiovaticana.va/news/2013/03/20/il_patriarca_caldeo,_mons._sako,_a_10_anni_da_iraqi_freedom:_l/it1-675234